Gli ecobonus per la riqualificazione energetica valgono anche per gli immobili in affitto
Tributi – Detrazione per interventi di riqualificazione energetica – Società esercente attività di impresa – Sostituzione di infissi vecchi – Immobile qualificabile come “bene merce” – Diritto alla detrazione – Sussiste
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 29162 del 12 novembre 2019, occupandosi delle detrazioni fiscali relative alle spese sostenute per l’efficientamento energetico degli immobili privati, ha determinato che il Fisco non può “respingere” gli sgravi fiscali garantiti dall’ecobonus a un’azienda per immobili di sua proprietà ceduti in locazione; inoltre, gli Ermellini hanno esteso le facilitazioni fiscali anche alla categoria dei cosiddetti “immobili merce”. I giudici hanno infatti stabilito che, ai fini degli sgravi fiscali dell’ecobonus non sussiste alcuna differenza tra immobili strumentali all’attività aziendale e gli immobili merce che la stessa azienda concede in locazione diretta.
Ai fini fiscali, per IRPEF e IRES abbiamo diverse categorie di immobili, come quelli definiti strumentali, merce o fabbricati di patrimonio, muovendosi sempre nell’ambito, rispettivamente, della tassazione delle persone fisiche e delle società. La fonte normativa della distinzione degli immobili è il Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), il DPR 917/1986.
Volendo circoscrivere il ragionamento, e limitando l’attenzione ai soli immobili merce, troveremo che la definizione suole comprendere tutti quegli immobili alla cui realizzazione o vendita è diretta l’attività aziendale. Gli immobili merce sono i beni alla cui produzione o scambio è diretta l’attività d’impresa: in particolare, con riferimento ai fabbricati si intendono quelli costruiti o fabbricati per la vendita delle società edili di costruzione o ristrutturazione o quei fabbricati acquistati per la rivendita da parte di società di compravendita immobiliare.
Gli immobili merce sono evidenziati in bilancio nella voce “Magazzino” e devono essere valutati sulla base dei costi specifici (art. 110, comma 1, del TUIR): si tratta di immobili così denominati in quanto è come se fosse una vera e propria merce per una società che vende merci.
La sentenza in commento presenta alcuni spunti interpretativi nuovi e interessanti, che cercheremo di riassumere brevemente, partendo da un dato interpretativo contrario.
La precedente interpretazione della Suprema Corte – vedasi in proposito la pronunzia n. 12466/2015 del 17 giugno 2015 – di fatto negava l’applicabilità della detrazione IRPEF del 50% per gli interventi di recupero eseguiti su abitazioni possedute da società immobiliari e concesse in locazione a terzi. In particolare, la Corte riteneva corretta la qualificazione giuridica dei beni “relativi all’impresa” che, sulla base del combinato disposto degli artt. 40 e 77 del TUIR, veniva attribuita alle unità abitative possedute dalla società immobiliare e date in locazione a terzi: una presunzione assoluta di strumentalità all’esercizio dell’attività d’impresa.
Ne consegue che tale qualificazione dell’immobile escluderebbe l’applicabilità della detrazione IRPEF del 50%, che, con riferimento alle società di persone, viene riconosciuta unicamente per i fabbricati produttivi di reddito fondiario, tra i quali rientrano i beni patrimonio (ai sensi dell’art. 90 del TUIR), estranei all’esercizio dell’attività d’impresa. Nella pronuncia citata, la Suprema Corte ha considerato gli immobili abitativi delle società immobiliari concessi in locazione come beni strumentali relativi all’esercizio dell’attività d’impresa, e come tali esclusi dall’applicabilità della detrazione IRPEF del 50%.
In senso analogo si era già espressa anche l’Agenzia delle Entrate, con la R.M. n. 340/E/2008, in materia di detrazione IRPEF/IRES del 65% per la riqualificazione energetica degli edifici, affermando che per le società immobiliari le unità abitative concesse in locazione si considerano oggetto dell’attività imprenditoriale e, come tali, sono escluse anche dalla detrazione per il risparmio energetico. Pertanto, per le società immobiliari prassi e giurisprudenza erano orientate a escludere le agevolazioni collegate a interventi edilizi (recupero edilizio o riqualificazione energetica) realizzati su abitazioni concesse in locazione, in quanto considerate in ogni caso relative all’esercizio dell’attività imprenditoriale. Al riguardo occorre però ricordare che l’Agenzia delle Entrate, con la C.M. 57/E/1998, da molto tempo era orientata a riconoscere la detrazione IRPEF a condizione che “l’immobile, relativo all’impresa, sul quale vengono realizzati gli interventi di recupero, non costituisce bene strumentale per l’esercizio dell’impresa, né bene alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa medesima”: la circolare, quindi, esclude dal beneficio gli immobili abitativi relativi all’esercizio dell’attività dell’impresa, qualificabili come per destinazione e merce, entrambi ritenuti “beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa”. In sostanza, la circolare 57 riconosce l’applicabilità dell’agevolazione IRPEF del 50% per gli immobili residenziali diversi da quelli strumentali e merce, ossia unicamente per quelli non utilizzati nell’esercizio dell’attività commerciale (immobili patrimonio).
Gli Ermellini ora hanno stabilito, invece, che il bonus va concesso, smentendo così l’interpretazione legislativa corrente, ripresa conformemente dai funzionari dell’Agenzia delle Entrate che in seguito a un controllo formale in base all’ex art. 36-ter, DPR 600/1973, avevano contestato le detrazioni e avevano inviato una cartella di pagamento all’azienda, basata sull’interpretazione delle citate circolari delle Entrate nelle quali si stabilisce che non è possibile usufruire dell’ecobonus per i lavori effettuati su immobili merce concessi in locazione: le agevolazioni fiscali, secondo tale interpretazione, dovrebbero essere riconosciute solamente per i fabbricati strumentali all’esercizio dell’attività imprenditoriali, e non per quelli che vengono concessi in locazione.
I Giudici di piazza Cavour, riconoscendo il diritto all’agevolazione alla società contribuente, che aveva usufruito di detrazioni IRES per lavori di efficientamento energetico su alcuni immobili merce concessi in locazione, hanno reputato invece che le limitazioni imposte dal Fisco non sono fondate su alcuna prescrizione legislativa e, dunque, non sono applicabili a nessun caso concreto.
In particolare si legge che “Questa Corte rileva innanzitutto che la citata risoluzione, sul piano giuridico, è solo un parere formulato dall’Agenzia in risposta ad uno specifico quesito di un contribuente, che non vincola né il destinatario né a maggior ragione il giudice, conformemente a quanto stabilito dalle sezioni unite (Cass. sez. un. 2/11/2007, n. 23031) che, con riferimento all’analoga questione della qualificazione giuridica delle circolari dell’Amministrazione finanziaria, hanno precisato che: «La circolare con la quale l’Agenzia delle entrate Interpreti una norma tributaria, anche qualora contenga una direttiva agli uffici gerarchicamente subordinati, esprime esclusivamente un parere dell’amministrazione non vincolante per il contribuente (oltre che per gli uffici, per la stessa autorità che l’ha emanata e per il giudice) […]» (cfr Cass. n. 6699/2014). Nel caso concreto la delimitazione del perimetro applicativo della detrazione, che l’Amministrazione finanziaria assume essere coerente con una “interpretazione sistematica” della normativa di settore collide intanto con il carattere di “detrazione dall’imposta” proprio del beneficio fiscale, che è estraneo al diverso tema della quantificazione del “reddito imponibile”, che, invece, assiste la linea argomentativa del fisco; è inoltre incompatibile con l’interpretazione letterale delle norme che introducono l’agevolazione fiscale, senza prevedere alcuna limitazione soggettiva. Nell’ipotesi in cui l’interpretazione letterale di una norma di legge o di una norma secondaria sia sufficiente ad individuarne, in modo chiaro e univoco, il relativo significato e la connessa portata precettiva, l’interprete non deve ricorrere al criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla ricerca, mercé l’esame complessivo del testo, della “mens legis”, specie se, attraverso siffatto procedimento possa pervenirsi al risultato di modificare la volontà della norma sì come inequivocabilmente espressa dal legislatore. Soltanto qualora la lettera della norma medesima risulti ambigua (e si appalesi altresì infruttuoso il ricorso al predetto criterio ermeneutico sussidiario), l’elemento letterale e l’intento del legislatore, insufficienti in quanto utilizzati singolarmente, acquistano un ruolo paritetico in seno al procedimento ermeneutico, sicché il secondo funge da criterio comprimario e funzionale ad ovviare all’equivocità del testo da interpretare (cfr. Cass. n. 24165/2018; n. 5128/2001). D’altronde l’art. 12 delle preleggi enuncia tutti i criteri ermeneutici della legge, primo tra essi quello dell’interpretazione letterale, in ossequio al principio “in Claris non fit interpretatio”, in base al quale nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dall’intenzione del legislatore. Sono invece strumenti esegetici sussidiari sia quello dell’interpretazione estensiva, che consente l’utilizzazione di norme regolanti casi simili (e non già identici), sia quello dell’interpretazione analogica (analogia legis), che permette l’utilizzazione di norme che disciplinano materie analoghe, ossia istituti diversi aventi solo qualche punto in comune con il caso da decidere (in senso conforme: Cass. 24/07/1990, n. 7494). Ebbene, la ratio legis del bonus fiscale relativo al caso di specie, che traspare con chiarezza dal testo normativo, consiste nell’intento d’incentivare gli interventi di miglioramento energetico dell’intero patrimonio immobiliare nazionale, in funzione della tutela dell’interesse pubblico ad un generalizzato risparmio energetico, ed è coerente e si salda con il tenore letterale delle norme di riferimento, le quali non pongono alcuna limitazione, né di tipo oggettivo (con riferimento alle categorie catastali degli immobili), né di tipo soggettivo (riconoscendo il bonus alle “persone fisiche”, “non titolari di reddito d’impresa” ed ai titolari di “reddito d’impresa”, incluse ovviamente le società), alla generalizzata operatività della detrazione d’imposta.
Pertanto il criterio di “interpretazione sistematica” del beneficio fiscale al quale genericamente allude l’Amministrazione finanziaria nell’esaminata risoluzione non può che essere recessivo rispetto al prioritario canone dell’interpretazione letterale, eventualmente integrato (secondo quanto sopra specificato) da quello dell’intenzione del legislatore.
A conferma della validità dell’interpretazione testuale del dato normativo, rafforzata dall’univoca intenzione del legislatore, si rileva che, senza che ciò comporti alcuna riduzione della platea dei destinatari del beneficio, una norma speciale (come suaccennato) stabilisce che, trattandosi di locazione finanziaria, la detrazione (spettante anche in tale ipotesi negoziale, come nella generalità dei casi) non compete alla società concedente, ma all’utilizzatore.
Precisato che non esiste un’analoga norma speciale per le imprese (incluse le società) la cui attività consista nella locazione immobiliare – anziché nella locazione finanziaria dei medesimi beni, è evidente che, in tale ultima ipotesi, negata l’introduzione, da parte dell’interprete, di distinzioni soggettive svincolate da una solida base testuale, il diritto alla detrazione dall’imposta -senz’altro sussistente- spetta al proprietario/locatore (che, nella locazione tout court, a differenza di quanto di solito accade in materia di leasing, è proprio il soggetto che compie l’intervento migliorativo, sopportandone il costo) e non al conduttore, sempreché, ovviamente, si tratti di “importi rimasti a carico” del locatore e che, quindi, per previsione negoziale, non debbano essere sostenuti dal conduttore medesimo. L’inserimento nelle norme fiscali in materia di riqualificazione energetica degli immobili, in virtù di un’indefinita “interpretazione sistematica”, di eccezioni e limitazioni alla fruizione generalizzata, sul piano oggettivo e sul piano soggettivo, del bonus del 55%, configurerebbe un artificiale fattore ostativo, astrattamente idoneo a depotenziare la volontà del legislatore. D’altronde ad un’identica soluzione si perviene anche ragionando, come mostra di fare l’Amministrazione finanziaria, secondo un’ottica di quantificazione del reddito imponibile delle imprese, peraltro estranea alla ratio legis del bonus fiscale.
Com’è stato evidenziato dalla dottrina, la distinzione, formulata nelle circolari interpretative, tra “immobili strumentali” (destinati, ex art. 43, co. 2, TUIR, alla produzione propria o di terzi), “immobili-merce” (destinati al mercato di compravendita) e “immobili-patrimonio” (destinati ai mercato locativo, ai sensi degli artt. 37, 90, TUIR), non rileva ex se, ma incide solo sul piano contabile e fiscale.
L’art. 1, co. 344 (Finanziaria 2007) cit., non mostra alcuna differenza oggettiva e riconosce la detrazione d’imposta per gli interventi di risparmio energetico (consequenziali alla direttiva comunitaria in materia, che, a sua volta, non contiene distinzioni) “per una quota pari al 55% degli importi rimasti a carico del contribuente”.
Il comma 20, I. n. 244/2007 (art.l) recepisce le modalità applicative dei d.m. 19/02/2007, che, all’art. 2, co. 1, lett. b), si riferisce senza distinzioni ai soggetti titolari di redditi d’impresa.
Il richiamo testuale agli “importi rimasti a carico” potrebbe essere letto secondo una chiave interpretativa diversa da quella sopra indicata, vale a dire come un indice rivelatore (nel comma 344) del fatto che la detrazione d’imposta spetta nella misura in cui il costo “a monte” non sia altrimenti deducibile. L’art. 90, co. 2, TUIR, afferma che le spese relative agli “immobili-patrimonio” non sono ammesse in deduzione; ciò che accade perché, riguardo specificamente ai fabbricati concessi in locazione (non costituenti “beni strumentali” o “beni-merce”), il reddito è di regola determinato ponendo a confronto il canone di locazione, ridotto fino a un massimo del 15% dello stesso, e le spese di manutenzione ordinaria (art. 3, comma 1, lett. a, dpr 380/2001), documentate ed effettivamente rimaste a carico (vale a dire non recuperate dagli inquilini).
L’art. 90, co. 2, TUIR dunque, speciale e derogatorio rispetto al principio generale dell’inerenza dei componenti negativi del reddito, sancisce un divieto assoluto di deducibilità per tutti i componenti negativi relativi agli “immobili-patrimonio”.
Al riguardo questa Corte, anche di recente, ha precisato che: «In tema di redditi d’impresa, i beni immobili non strumentali né riconducibili ai beni-merce agli effetti dell’art. 57 (ora 90) del d.P.R. n. 917 del 1986 – che prevede l’indeducibilità dei relativi costi ed il concorso alla formazione del reddito secondo la disciplina sui redditi fondiari – vanno individuati in ragione della loro natura e della destinazione all’attività di produzione o di scambio oggetto dell’attività d’impresa. (In applicazione del principio, la S.C. ha annullato la decisione impugnata che aveva escluso la strumentalità di numerosi cespiti appartenenti ad un’impresa commerciale, operante nel settore immobiliare, in quanto locati a terzi, senza approfondire se gli stessi fossero, in tutto o in parte, destinati alla vendita).» (Cass., n. 2153/2019).
Nel caso concreto pertanto, in ragione dell’indeducibilità delle spese di miglioramento energetico, benché inerenti e migliorative, il bonus fiscale del 55% spetta alla società contribuente, esattamente come spetterebbe ad una persona fisica, non titolare di redditi d’impresa, che nulla può dedurre dalla base imponibile”.

Corte di Cassazione – Sentenza 12 novembre 2019, n. 29162
Sul ricorso 14121-2017 proposto da:
AGENZIADELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro C. S.R.L. in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA ARCHIMEDE 120, presso lo studio dell’avvocato VIPSANIA ANDREICICH, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati DAVIDE MASSIMILIANO GALLASSO, SONIA RIVA, giusta procura in calce;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6370/2016 della COMM.TRIB.REG. di MILANO, depositata il 01/12/2016;
udita la relazione della causa svolta dalla pubblica udienza del 25.06.2019 dal Consigliere FRANCESCO FEDERICI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale LUISA DE RENZIS che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avvocato DI RUBBO che si riporta agli scritti;
udito per il controricorrente l’Avvocato GALLASSO che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Fatti di causa
L’Agenzia delle Entrate propone ricorso avverso la sentenza n. 6370/13/2016, depositata l’1.12.2016 dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che, confermando la pronuncia di primo grado favorevole al contribuente, accoglieva il ricorso della CIE s.r.l. avverso la cartella di pagamento, emessa a seguito di controllo formale ex art. 36 ter, d.P.R. n. 600/1973, con il quale, ai fini Ires, erano recuperate le detrazioni, relative all’anno d’imposta 2010, per le agevolazioni fiscali riconosciute dall’art. 1, co. 344, I. n. 296/2006, con interessi e sanzioni.
Secondo quanto sostenuto dall’Ufficio, le detrazioni recuperate riguardavano interventi di riqualificazione energetica, con sostituzione di infissi vecchi, presso un immobile della società concesso in locazione a terzi, e pertanto qualificabile come “bene merce”. L’Ufficio, anche sulla base di circolari interpretative della normativa, sosteneva la non spettanza della agevolazione alle opere di riqualificazione eseguite su beni merce, a differenza di quanto riconoscibile per gli interventi eseguiti su beni strumentali dell’impresa. Di contro la società sosteneva che la detrazione del 55% delle spese sostenute per la sostituzione degli infissi con nuovi prodotti a vetrocamera rispettanti specifici standards fosse applicabile alla totalità degli immobili, senza distinzione tra beni merce e beni strumentali dell’impresa.
Seguiva il contenzioso, esitato dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Lecco con la sentenza n. 32/01/2016, con cui erano accolte le ragioni della contribuente.
L’Agenzia proponeva appello, che era rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia con la sentenza ora all’attenzione della Corte.
Con unico motivo l’Ufficio censura la decisione, dolendosi della violazione e falsa applicazione dell’art. 1, commi da 344 a 347, I. n. 296/2006, nonché del D.M. 19.02.2007, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., per aver erroneamente ritenuto che le detrazioni per opere di riqualificazione energetica spettino ai soggetti esercenti attività d’impresa anche relativamente ai beni merce e non ai soli beni strumentali.
Ha chiesto dunque la cassazione della stessa, con ogni consequenziale statuizione.
La società si è costituita con controricorso, contestando le ragioni avverse e chiedendo il rigetto del ricorso.
All’udienza pubblica del 25 giugno 2019, dopo la discussione, il P.G. e le parti hanno concluso. La causa è stata trattenuta in decisione.
Sono state depositate memorie ex art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
Il motivo va rigettato.
L’Agenzia, premettendo che gli immobili per i quali la società chiese l’agevolazione non erano “beni strumentali”, ma cd. “beni merce” perché oggetto dell’attività immobiliare svolta dalla società contribuente, assume che la normativa fiscale agevolata in materia di riqualificazione energetica fu introdotta ad esclusivo vantaggio di coloro che si erano assunti il peso economico del miglioramento energetico degli immobili. In conseguenza la fruizione della detrazione da parte dei titolari di redditi d’impresa poteva spettare solo per i fabbricati strumentali all’esercizio dell’attività imprenditoriale. Tali non potevano considerarsi i beni che le società immobiliari concedono in locazione a terzi, dovendosi ragionevolmente ritenere che i costi di riqualificazione energetica degli edifici locati siano posti sostanzialmente a carico dei conduttori.
La ricorrente ritiene pertanto erronee le conclusioni cui perviene la sentenza impugnata, per aver riconosciuto il diritto della contribuente a fruire della detta agevolazione del 55% per interventi di riqualificazione energetica degli immobili oggetto dell’attività d’impresa, consistente nella gestione e locazione dei medesimi cespiti.
Questo Collegio ha già assunto decisioni conformi alla presente, riguardanti la medesima materia del contendere (sent. n. 19815/2019; 19816/2019). Ad esse vanno pertanto ricondotte le ragioni del rigetto del ricorso.
L’art. 1, co. 344 e ss., I. n. 296/2006 (Finanziaria 2007) ha previsto che, per le spese documentate, sostenute entro il 31 dicembre 2007, relative ad interventi di riqualificazione energetica di edifici esistenti, spetta una detrazione dall’imposta lorda per una quota pari al 55% degli importi a carico del contribuente.
Il decreto del ministero dell’economia e delle finanze del 19 febbraio 2007, attuativo di tale articolo, con riferimento ai “soggetti ammessi alla detrazione”, prevede che il bonus del 55% per interventi di risparmio energetico spetti alle persone fisiche, non titolari di reddito d’impresa – art. 2, co. 1, lett. a), nonché ai soggetti titolari di reddito d’impresa che sostengano spese per l’esecuzione degli interventi di risparmio energetico sugli edifici esistenti, su parti di edifici esistenti o su unità immobiliari esistenti di qualsiasi categoria catastale, anche rurali, posseduti o detenuti – art. 2, co. 1, lett. b.
Il co. 2 dell’art. 2 dispone che, nel caso in cui gli interventi di cui al primo comma siano eseguiti mediante contratti di locazione finanziaria, la detrazione compete all’utilizzatore ed è determinata in base al costo sostenuto dalla società concedente.
Composto il quadro normativo di riferimento, deve affermarsi che la detrazione d’imposta, ossia il bonus fiscale del 55%, è finalizzata alla riqualificazione energetica degli edifici esistenti e si rivolge ad un’ampia platea di beneficiari (“soggetti ammessi alla detrazione”), siano essi persone fisiche non titolari di reddito d’impresa, o soggetti titolari di reddito di impresa, incluse le società, con la precisazione che, se gli immobili sui quali è effettuato l’intervento sono concessi a terzi a titolo di leasing, la detrazione è comunque dovuta, ma compete all’utilizzatore anziché alla società concedente.
L’Agenzia sostiene che, per i redditi d’impresa (inclusi quelli prodotti dalle società), il bonus del 55% spetti solo per gli interventi sui fabbricati strumentali all’attività sociale, mentre dovrebbero rimanere esclusi dall’agevolazione gli “immobili- merce” (o “beni-merce”), categoria nella quale inserisce anche quelli locati a terzi dalle società di gestione immobiliare.
Una simile chiave di lettura è avallata dalla risoluzione 340/E/2008, con la quale l’Agenzia ha affermato che l’attribuzione del beneficio «per un’interpretazione sistematica è riferibile esclusivamente agli utilizzatori degli immobili oggetto degli interventi».
In particolare, per quanto concerne la fruizione della detrazione da parte delle società e dei titolari di reddito d’impresa – prosegue la risoluzione -, essa compete solo in relazione ai “fabbricati strumentali” utilizzati nell’esercizio dell’attività imprenditoriale (ossia in relazione agli immobili la cui unica destinazione è di essere direttamente impiegati per l’espletamento delle attività tipicamente imprenditoriali, e cioè quelli che, per destinazione, sono inseriti nel complesso aziendale e non sono, quindi, suscettibili di creare un reddito autonomo).
Per le imprese dunque, condizione per potere fruire della detrazione è che all’intervento di risparmio energetico consegua un’effettiva riduzione dei consumi energetici nell’esercizio dell’attività imprenditoriale, mentre l’agevolazione non può riguardare gli interventi realizzati su beni oggetto dell’attività esercitata, come nel caso degli immobili locati a terzi.
Questa Corte rileva innanzitutto che la citata risoluzione, sul piano giuridico, è solo un parere formulato dall’Agenzia in risposta ad uno specifico quesito di un contribuente, che non vincola né il destinatario né a maggior ragione il giudice, conformemente a quanto stabilito dalle sezioni unite (Cass. sez. un. 2/11/2007, n. 23031) che, con riferimento all’analoga questione della qualificazione giuridica delle circolari dell’Amministrazione finanziaria, hanno precisato che: «La circolare con la quale l’Agenzia delle entrate Interpreti una norma tributaria, anche qualora contenga una direttiva agli uffici gerarchicamente subordinati, esprime esclusivamente un parere dell’amministrazione non vincolante per il contribuente (oltre che per gli uffici, per la stessa autorità che l’ha emanata e per il giudice) […]» (cfr Cass. n. 6699/2014).
Nel caso concreto la delimitazione del perimetro applicativo della detrazione, che l’Amministrazione finanziaria assume essere coerente con una “interpretazione sistematica” della normativa di settore collide intanto con il carattere di “detrazione dall’imposta” proprio del beneficio fiscale, che è estraneo al diverso tema della quantificazione del “reddito imponibile”, che, invece, assiste la linea argomentativa del fisco; è inoltre incompatibile con l’interpretazione letterale delle norme che introducono l’agevolazione fiscale, senza prevedere alcuna limitazione soggettiva.
Nell’ipotesi in cui l’interpretazione letterale di una norma di legge o di una norma secondaria sia sufficiente ad individuarne, in modo chiaro e univoco, il relativo significato e la connessa portata precettiva, l’interprete non deve ricorrere al criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla ricerca, mercé l’esame complessivo del testo, della “mens legis”, specie se, attraverso siffatto procedimento possa pervenirsi al risultato di modificare la volontà della norma sì come inequivocabilmente espressa dal legislatore. Soltanto qualora la lettera della norma medesima risulti ambigua (e si appalesi altresì infruttuoso il ricorso al predetto criterio ermeneutico sussidiario), l’elemento letterale e l’intento del legislatore, insufficienti in quanto utilizzati singolarmente, acquistano un ruolo paritetico in seno al procedimento ermeneutico, sicché il secondo funge da criterio comprimario e funzionale ad ovviare all’equivocità del testo da interpretare (cfr. Cass. n. 24165/2018; n. 5128/2001).
D’altronde l’art. 12 delle preleggi enuncia tutti i criteri ermeneutici della legge, primo tra essi quello dell’interpretazione letterale, in ossequio al principio “in Claris non fit interpretatio”, in base al quale nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dall’intenzione del legislatore. Sono invece strumenti esegetici sussidiari sia quello dell’interpretazione estensiva, che consente l’utilizzazione di norme regolanti casi simili (e non già identici), sia quello dell’interpretazione analogica (analogia legis), che permette l’utilizzazione di norme che disciplinano materie analoghe, ossia istituti diversi aventi solo qualche punto in comune con il caso da decidere (in senso conforme: Cass. 24/07/1990, n. 7494).
Ebbene, la ratio legis del bonus fiscale relativo al caso di specie, che traspare con chiarezza dal testo normativo, consiste nell’intento d’incentivare gli interventi di miglioramento energetico dell’intero patrimonio immobiliare nazionale, in funzione della tutela dell’interesse pubblico ad un generalizzato risparmio energetico, ed è coerente e si salda con il tenore letterale delle norme di riferimento, le quali non pongono alcuna limitazione, né di tipo oggettivo (con riferimento alle categorie catastali degli immobili), né di tipo soggettivo (riconoscendo il bonus alle “persone fisiche”, “non titolari di reddito d’impresa” ed ai titolari di “reddito d’impresa”, incluse ovviamente le società), alla generalizzata operatività della detrazione d’imposta.
Pertanto il criterio di “interpretazione sistematica” del beneficio fiscale al quale genericamente allude l’Amministrazione finanziaria nell’esaminata risoluzione non può che essere recessivo rispetto al prioritario canone dell’interpretazione letterale, eventualmente integrato (secondo quanto sopra specificato) da quello dell’intenzione del legislatore.
A conferma della validità dell’interpretazione testuale del dato normativo, rafforzata dall’univoca intenzione del legislatore, si rileva che, senza che ciò comporti alcuna riduzione della platea dei destinatari del beneficio, una norma speciale (come suaccennato) stabilisce che, trattandosi di locazione finanziaria, la detrazione (spettante anche in tale ipotesi negoziale, come nella generalità dei casi) non compete alla società concedente, ma all’utilizzatore.
Precisato che non esiste un’analoga norma speciale per le imprese (incluse le società) la cui attività consista nella locazione immobiliare – anziché nella locazione finanziaria dei medesimi beni, è evidente che, in tale ultima ipotesi, negata l’introduzione, da parte dell’interprete, di distinzioni soggettive svincolate da una solida base testuale, il diritto alla detrazione dall’imposta -senz’altro sussistente- spetta al proprietario/locatore (che, nella locazione tout court, a differenza di quanto di solito accade in materia di leasing, è proprio il soggetto che compie l’intervento migliorativo, sopportandone il costo) e non al conduttore, sempreché, ovviamente, si tratti di “importi rimasti a carico” del locatore e che, quindi, per previsione negoziale, non debbano essere sostenuti dal conduttore medesimo.
L’inserimento nelle norme fiscali in materia di riqualificazione energetica degli immobili, in virtù di un’indefinita “interpretazione sistematica”, di eccezioni e limitazioni alla fruizione generalizzata, sul piano oggettivo e sul piano soggettivo, del bonus del 55%, configurerebbe un artificiale fattore ostativo, astrattamente idoneo a depotenziare la volontà del legislatore.
D’altronde ad un’identica soluzione si perviene anche ragionando, come mostra di fare l’Amministrazione finanziaria, secondo un’ottica di quantificazione del reddito imponibile delle imprese, peraltro estranea alla ratio legis del bonus fiscale.
Com’è stato evidenziato dalla dottrina, la distinzione, formulata nelle circolari interpretative, tra “immobili strumentali” (destinati, ex art. 43, co. 2, TUIR, alla produzione propria o di terzi), “immobili-merce” (destinati al mercato di compravendita) e “immobili-patrimonio” (destinati ai mercato locativo, ai sensi degli artt. 37, 90, TUIR), non rileva ex se, ma incide solo sul piano contabile e fiscale.
L’art. 1, co. 344 (Finanziaria 2007) cit., non mostra alcuna differenza oggettiva e riconosce la detrazione d’imposta per gli interventi di risparmio energetico (consequenziali alla direttiva comunitaria in materia, che, a sua volta, non contiene distinzioni) “per una quota pari al 55% degli importi rimasti a carico del contribuente”.
Il comma 20, I. n. 244/2007 (art.l) recepisce le modalità applicative dei d.m. 19/02/2007, che, all’art. 2, co. 1, lett. b), si riferisce senza distinzioni ai soggetti titolari di redditi d’impresa.
Il richiamo testuale agli “importi rimasti a carico” potrebbe essere letto secondo una chiave interpretativa diversa da quella sopra indicata, vale a dire come un indice rivelatore (nel comma 344) del fatto che la detrazione d’imposta spetta nella misura in cui il costo “a monte” non sia altrimenti deducibile.
L’art. 90, co. 2, TUIR, afferma che le spese relative agli “immobili-patrimonio” non sono ammesse in deduzione; ciò che accade perché, riguardo specificamente ai fabbricati concessi in locazione (non costituenti “beni strumentali” o “beni-merce”), il reddito è di regola determinato ponendo a confronto il canone di locazione, ridotto fino a un massimo del 15% dello stesso, e le spese di manutenzione ordinaria (art. 3, comma 1, lett. a, dpr 380/2001), documentate ed effettivamente rimaste a carico (vale a dire non recuperate dagli inquilini).
L’art. 90, co. 2, TUIR dunque, speciale e derogatorio rispetto al principio generale dell’inerenza dei componenti negativi del reddito, sancisce un divieto assoluto di deducibilità per tutti i componenti negativi relativi agli “immobili-patrimonio”.
Al riguardo questa Corte, anche di recente, ha precisato che: «In tema di redditi d’impresa, i beni immobili non strumentali né riconducibili ai beni-merce agli effetti dell’art. 57 (ora 90) del d.P.R. n. 917 del 1986 – che prevede l’indeducibilità dei relativi costi ed il concorso alla formazione del reddito secondo la disciplina sui redditi fondiari – vanno individuati in ragione della loro natura e della destinazione all’attività di produzione o di scambio oggetto dell’attività d’impresa. (In applicazione del principio, la S.C. ha annullato la decisione impugnata che aveva escluso la strumentalità di numerosi cespiti appartenenti ad un’impresa commerciale, operante nel settore immobiliare, in quanto locati a terzi, senza approfondire se gli stessi fossero, in tutto o in parte, destinati alla vendita).» (Cass., n. 2153/2019).
Nel caso concreto pertanto, in ragione dell’indeducibilità delle spese di miglioramento energetico, benché inerenti e migliorative, il bonus fiscale del 55% spetta alla società contribuente, esattamente come spetterebbe ad una persona fisica, non titolare di redditi d’impresa, che nulla può dedurre dalla base imponibile.
Né al fine della esclusione dal beneficio è utile il richiamo alla giurisprudenza di legittimità, pur invocata dalla ricorrente, riguardante la fattispecie agevolativa di cui all’art. 1, I. n. 449/1997, in materia di disposizioni tributarie concernenti interventi di recupero del patrimonio edilizio (Cass., n. 12466/2015). Secondo tale arresto giurisprudenziale «In tema di reddito di impresa, la norma di agevolazione introdotta dall’art. 1 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, si riferisce alla sola ipotesi di determinazione del reddito immobiliare secondo il criterio del reddito fondiario, atteso che, in questa ipotesi, i costi sostenuti [in particolare, per gli interventi di ristrutturazione] non concorrono come componenti negativi ma costituiscono un onere per alleviare il quale il legislatore ha introdotto tale beneficio; viceversa, in caso di redditi derivanti da immobili strumentali, il reddito è il risultato della somma tra le entrate e i costi sostenuti, deducibili dall’imponibile, sicché l’applicazione della suddetta agevolazione si tradurrebbe in una duplicazione della deduzione e, dunque, in una indebita locupletazione poiché non correlata ad un costo effettivamente rimasto a carico dell’imprenditore».
A prescindere dalla constatazione che per un verso questa giurisprudenza esclude un certo beneficio per i “beni strumentali”, laddove invece nella presente controversia l’Amministrazione sostiene che la detrazione fiscale spetti solo per la riqualificazione energetica dei “beni strumentali” e che, per altro verso, Cass. 12466/2015 si occupa del tema della “deduzione” di costi – al fine di quantificare la base imponibile delle imprese, consistente in linea di massima nella differenza tra i costi e i ricavi – e non della materia, in generale non sovrapponibile alla prima, della “detrazione” dall’imposta, va qui rimarcato che tale pronuncia non è affatto “in termini” rispetto alla materia del contendere anche da un altro punto di vista.
L’agevolazione di cui al detto art. 1, I. n. 449/1997 cit., secondo il significato letterale della norma, era espressamente volta ad incentivare gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, con riferimento “all’imposta sul reddito delle persone fisiche”.
La Corte quindi con l’ordinanza n. 12466/2015, ha risolto la questione dell’applicazione estensiva del beneficio a favore dei soggetti economici diversi dalle persone fisiche (che erano le uniche menzionate dalla norma), ed è giunta alla condivisibile conclusione, rispettosa di un’esigenza di parità di trattamento delle persone fisiche e delle imprese, che la norma agevolativa si riferisse soltanto ai “beni patrimoniali” (e non ai “beni strumentali”), produttivi di reddito fondiario, i cui costi (nella specie, gli interventi di ristrutturazione), non concorrono, come componenti negativi, alla formazione del reddito di impresa, ma costituiscono un onere che il legislatore ha inteso attenuare riconoscendo il beneficio. Nella stessa prospettiva, invece, è stato escluso che l’agevolazione si applicasse ai redditi d’impresa delle società derivanti dagli immobili che sono da considerarsi “strumentali” o “beni-merce”, posto che detto reddito è la risultante della differenza tra costi e ricavi, essendo i primi già dedotti dall’imponibile, sicché, se anche in quest’ipotesi si riconoscesse l’agevolazione, ne deriverebbe una duplicazione delle “deduzioni” e, in definitiva, un indebito arricchimento dell’imprenditore. Nella fattispecie concreta, al contrario, il beneficio fiscale introdotto dalla Finanziaria 2007 non riguarda (testualmente) la più limitata categoria dei (soli) soggetti IRPEF, ma è diretta (di regola, salva l’ipotesi speciale del leasing, nella quale la detrazione spetta al conduttore) a beneficio di tutte le categorie immobiliari e di tutti i soggetti che ne hanno la proprietà, inclusi i titolari di reddito d’impresa (e le società), a condizione che questi ultimi abbiano sostenuto spese per il potenziamento dei loro cespiti (ed a prescindere dalla categoria reddituale di riferimento), in coerenza con la finalità pubblicistica di un generalizzato miglioramento energetico del patrimonio immobiliare nazionale, che rimarrebbe parzialmente (con riferimento ai beni posseduti dalle società di gestione immobiliare) indebolita a causa dell’interpretazione restrittiva proposta dall’Agenzia.
In conclusione deve affermarsi il seguente principio di diritto: «Il beneficio fiscale, consistente in una detrazione dall’imposta lorda per una quota pari al 55% degli importi rimasti a carico del contribuente, di cui all’artt. 1, commi 344 e seguenti, della legge n. 296/2006 (Finanziaria 2007) e al decreto del ministero dell’economia e delle finanze del 19 febbraio 2007, per le spese documentate relative ad interventi di riqualificazione energetica di edifici esistenti, spetta anche ai soggetti titolari di reddito d’impresa (incluse le società), i quali abbiano sostenuto le spese per l’esecuzione degli interventi di risparmio energetico su edifici concessi in locazione a terzi. conf. 19815/19/00».
Ne consegue il rigetto del ricorso.
Alla soccombenza segue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese processuali del giudizio di legittimità, che si liquidano nella misura specificata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alle spese, che si liquidano in favore della società nella misura di € 1.500,00 per competenze ed € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie pari al 15% e accessori.
Così deciso in Roma, il giorno 25 giugno 2019