DIRITTO

Giustizia lumaca in Italia, ma diminuiscono le cause

La Commissione europea, presentando i risultati dello “Eu Justice Scorboard” 2017, valuta la situazione annuale (riferita al 2015) dei progressi conseguiti in materia di gestione della giustizia mettendo a confronto l’efficienza, la qualità e l’indipendenza dei sistemi giudiziari degli Stati membri dell’Unione.

L’Italia si piazza al quartultimo posto nella classifica per la più lunga durata dei procedimenti amministrativi, commerciali e civili, con una media di 393 giorni nel 2015, rispetto ai 395 del 2010: dietro di noi solo Cipro, Portogallo e Malta hanno avuto risultati peggiori.

Per quanto riguarda il tempo che serve per le cause civili, che è salito a 108 giorni, siamo al penultimo posto e precediamo Cipro. Per concludere il primo grado in una causa civile è necessario, in media, più di un anno e mezzo, un anno e mezzo per un contenzioso e quasi tre anni (1008 giorni) per concludere una questione amministrativa presso il Tar. Siamo in ultima posizione per la durata dei contenziosi civili (527 giorni per risolverne uno, mentre nel Regno Unito ne bastano 86), dato in peggioramento rispetto al 2010. Per risolvere cause in materia di concorrenza servono 200 giorni, per quelle di tutela dei consumatori 685 e per i processi di riciclaggio 659 giorni.

La Commissaria alla giustizia Vera Jourova, presentando i risultati dello Scoreboard, dopo aver ricordato che “La lunghezza dei processi danneggia l’economia perché è un principio del diritto romano quello che una giustizia ritardata è una giustizia negata”, ha dichiarato che “ci sono progressi, come dimostra il forte calo del 30% nel numero delle cause pendenti rispetto al 2010” e che è importante continuare gli sforzi per sveltire i tempi della giustizia. In Commissione si è inoltre affermato che in Italia, “sebbene il numero di casi pendenti resti molto alto, ci sono miglioramenti”, dovuti soprattutto a “uno sforzo genuino per realizzare le riforme e all’impegno per una gestione più efficace dei casi, grazie all’azione del Consiglio Superiore della Magistratura” e al “rafforzamento dell’uso delle tecnologie dell’informazione, che comincia a essere sempre più efficiente”.

Va molto meglio in Nord Europa, con la Danimarca, ad esempio, dove dopo 17 giorni si chiude il primo grado di una causa civile e in Svezia, con 105 giorni per le cause presso il tribunale amministrativo di primo grado.

Siamo, inoltre, quintultimi in Europa per il numero dei magistrati (11 ogni 100.000 abitanti), ma secondi per il numero degli avvocati (391 ogni 100.000 abitanti), in aumento rispetto al 2010 quando erano 350.

A fronte di tutto ciò, comunque, dal Rapporto emerge che l’Italia è al terzo posto, dopo Estonia e Portogallo, per il tasso di risoluzione delle cause, registrando un miglioramento dal 2010.

 

I dati positivi

Detto del bicchiere mezzo vuoto, vediamo però anche i dati confortanti rilevati dalla Commissione: il numero delle cause è diminuito dal 6,9 per 100 abitanti del 2010 al 5,7 del 2015, il che ci pone al quindicesimo posto su questo aspetto. In calo anche il numero delle cause pendenti, ma non tanto da migliorare la quinta posizione.

Un dato positivo anche per quanto concerne la presenza femminile nel contesto giudiziario: sono donne il 56% dei giudici nei tribunali di prima istanza (+3,7%), il 51% in quelli di secondo grado (+8,1%), ma solo il 28% nelle Corti supreme, nonostante l’aumento del 15% tra i giudici di Cassazione tra il 2007 e il 2014. I dati dicono che promette bene – anche se si stenta a crederlo – anche il miglioramento della percezione dell’indipendenza dei giudici, che sale dal 25% del 2016 al 32% del 2017 dei cittadini, che la considerano “buona o molto buona”; un miglioramento simile si riscontra nella percezione dell’indipendenza dei giudici tra le società, con crescita della valutazione positiva dal 24% al 31%.

 

Il primo grado in Europa

In testa alla classifica si trova il Lussemburgo, dove la sentenza arriva in 53 giorni (rispetto ai 200 del 2010), mentre in Belgio e Lituania poco più di 3 mesi (meno di 100 giorni) sono sufficienti per chiudere una causa civile in primo grado; devono trascorrere, invece, dai 100 ai 200 giorni in Germania, Austria, Olanda, Danimarca, Estonia, Romania, Polonia, Repubblica Ceca, Svezia e Ungheria. In Lettonia e Slovenia ne servono fra i 200 e i 300 giorni, mentre in Francia, Spagna, Portogallo, Finlandia, Croazia, Slovacchia e Grecia ne servono dai 300 ai 400. A Malta servono ancora circa 440 giorni per arrivare in giudizio, ma nel 2010 ne servivano oltre 800. A seguire, Italia e Cipro.

 

Dichiarazione d’intenti

Nella Relazione della Commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione presentata alla Camera dei Deputati il 16 aprile 2014 sul Documento di Economia e Finanza 2014, riguardo alle problematiche che affliggono la giustizia in Italia si leggeva, tra l’altro, di “politiche che hanno avuto un impatto assolutamente negativo sul duplice fronte della garanzia del diritto all’accesso per il cittadino alla giustizia e dell’effettività della certezza della pena per i condannati”.

Tra i “disorganici ed inefficaci provvedimenti sovente richiamati” sono indicati, fra gli altri: il Dl 6972013, (“Decreto del fare”), che “ha recato modifiche al diritto processuale – segnatamente con riferimento alle modalità di accesso al processo civile e alla reintroduzione dell’obbligatorietà della mediazione, che qui si vuole ulteriormente sviluppare senza indicare come e relativamente a quali materie – che incidono sulla tutela del diritto costituzionale alla difesa in giudizio, sancendo altresì l’introduzione di un grave precedente giuslavorativo con l’arruolamento, al fine di smaltire l’arretrato civile, di stagisti, giovani meritevoli neolaureati da parte del Ministero della giustizia, senza alcun compenso né alcuna copertura assicurativa sugli infortuni”; il Dl 78/2013, (“Decreto carceri”), che “non ha previsto, a fronte di un aumento dei flussi in uscita, adeguati stanziamenti volti alle attività per il reinserimento sociale e professionale per gli ex detenuti”; il Dl 93/2013, (“Decreto sul femminicidio”), che “con l’introduzione di meccanismi – peraltro inapplicabili e drammaticamente smentiti dalla recente cronaca – orientati al solo versante della repressione e non alla prevenzione, ha rappresentato una preziosa opportunità sprecata dal Governo per contrastare con successo il fenomeno della violenza sulle donne, preferendo colpevolmente un approccio al problema di tipo esclusivamente comunicativo, mascherando inoltre, nelle pieghe di un decreto dedicato ad un grave ed attualissimo problema, alcune materie che ne erano del tutto avulse”; la legge di stabilità 2014, “dove, in assenza di appositi stanziamenti per il settore Giustizia, si è peraltro inteso mortificare l’istituto del gratuito patrocinio, sottraendo ad esso risorse fondamentali, effettuando altresì un aumento indiscriminato del contributo forfettario per l’iscrizione al ruolo delle cause. Aumento che ha frapposto un emblematico ulteriore filtro fra la giustizia ed il cittadino, assolutamente in contrasto con l’articolo 111 (sesto comma) della Costituzione”; il Dl 146/2013, (“svuota carceri”), “recante un vero e proprio indulto mascherato estraneo alla Costituzione, omogeneo alle politiche messe in atto sino ad oggi dal Governo per alleggerire la densità all’interno delle carceri”. Nel Def venivano fissati “due specifici macro-obiettivi programmatici, il primo intitolato ‘Una giustizia celere ed accessibile’, il secondo ‘Trasparenza e garanzia dei diritti’, il cui compimento è fissato per entrambi entro il giugno 2014”.

Dai contenuti del Rapporto Ue non sembra che gli obiettivi siano stati raggiunti.

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