CASSAZIONE

Frode fiscale: è lecita la confisca del denaro affluito sul conto del titolare

Tributi – IVA- Reati tributari – Frode – Confisca diretta – Conto corrente– Rappresentante legale

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16576 del 19 aprile 2023 ha annullato senza rinvio la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Torino, impugnata dal titolare di una ditta individuale imputato per frode fiscale,

nei confronti del quale era stata disposta la confisca diretta della somma di denaro rinvenuta sul suo conto corrente, decretando che nei reati tributari la confisca è diretta e non per equivalente anche se l’ablazione del denaro presente sul conto corrente della società si riferisce a poste attive versate dopo la commissione del reato da parte del suo rappresentante legale.

Ricordiamo che la confisca diretta (art. 240 c.p.) costituisce una misura di sicurezza patrimoniale avente a oggetto il prodotto, il prezzo, il profitto del reato, ovvero la res destinata alla commissione del reato, mentre la confisca per equivalente (art. 322 ter c.p.), al contrario, incide su un ammontare corrispondente al valore dei beni che sarebbero stati – in caso di disponibilità degli stessi – oggetto della confisca diretta. Lo scopo di tale strumento è quello di inibire all’autore del reato la fruizione del guadagno illecitamente acquisito nel caso in cui, appunto, i beni illecitamente acquisti dal reo non siano più disponibili.

Comunque, va innanzitutto sottolineato che la confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, in qualsiasi modo rinvenuto nel patrimonio dell’autore del reato e che rappresenti l’effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito, va sempre qualificata come diretta, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile del bene, con la conseguenza che non è ostativa alla sua adozione l’allegazione o la prova dell’origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione.

Tale principio trova applicazione anche in relazione ai reati tributari di cui al D.lgs. 74/2000, per i quali la confisca delle somme di denaro affluite sul conto corrente intestato alla persona giuridica anche successivamente alla commissione del reato da parte del suo legale rappresentante, ha natura di confisca diretta in quanto le stesse costituiscono comunque profitto del reato, risolvendosi in un vantaggio per il suo autore il risparmio di spesa conseguente all’omesso versamento delle imposte.

È la stessa giurisprudenza (così Sez. Unite n. 42415/2021, la quale ha confermato le enunciazioni, in particolare, di Sez. Unite n. 31617/2015) ad aver evidenziato che la confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, comunque rinvenuto nel patrimonio dell’autore della condotta, e che rappresenti l’effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito, va sempre qualificata come diretta, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile del bene.

I Massimi Giudici hanno anche osservato che la confisca per equivalente è applicabile in relazione a reati dichiarati estinti per prescrizione, in forza di quanto previsto dall’art. 578-bis del codice di procedurale penale.

Tuttavia, ad avviso di una recentissima decisione delle Sezioni unite (Sent. n. 4145/2023), la sopraindicata norma, introdotta dall’articolo 6, comma 4, del D.lgs. 21/2018, ha, con riguardo alla confisca per equivalente e alle forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria, natura anche sostanziale e, pertanto, è inapplicabile rispetto a fatti posti in essere prima della sua entrata in vigore. In particolare, le SS. UU., citando la giurisprudenza precedente, ricordano un  primo orientamento, che seguendo l’art. 578-bis c.p.p. consente la confisca per equivalente anche in caso di sentenza dichiarativa della prescrizione di un reato commesso anteriormente alla sua entrata in vigore. In base a tale orientamento la nuova disposizione è finalizzata a sottrarre i patrimoni illegalmente accumulati anche in caso di estinzione del reato e si presenta in continuità con l’elaborazione della giurisprudenza di legittimità, costituzionale e della Corte EDU, sulla “possibilità di disporre la confisca, anche di carattere sanzionatorio, allorché la declaratoria di prescrizione […] si accompagni ad un compiuto accertamento del fatto-reato e della responsabilità’. (Corte Cost., sent. n. 49/2015 e Cass. pen., Sez. Un., n. 31617/2015; Corte EDU, 28/6/2018, G.I.E.M. s.r.l. ed altri c. Italia, che ha ritenuto pienamente compatibile con l’art. 7, Conv. EDU, le confische-sanzione fondate su accertamenti ‘sostanziali’ di responsabilità).  

Sotto altro profilo si sottolinea la natura processuale dell’art. 578-bis c.p.p., come tale soggetta al principio tempus regit actum, non introducendo nuovi casi di confisca ma limitandosi a definire la cornice procedimentale entro cui può essere disposta la cd. ablazione senza condanna, agendo perciò su un profilo processuale e temporale ma lasciando inalterati i presupposti sostanziali di applicazione del vincolo quali la legittimazione normativa e l’identificazione di beni di valore corrispondente al profitto. La natura punitiva delle confische di valore impedisce l’applicazione retroattiva delle norme che le prevedono, ma non delle norme processuali che definiscono ‘quando’ possono essere applicate.

Un secondo orientamento porta l’applicabilità dell’art. 578- bis c.p.p. anche alla confisca tributaria di cui all’art. 12-bis, D.lgs. 74/2000, che sostiene, invece, che quando la confisca sia disposta per equivalente non può essere mantenuta in relazione a fatti commessi prima dell’entrata in vigore del citato art. 578-bis c.p.p. in quanto, atteso il suo carattere afflittivo, produce effetti sostanziali e, pertanto, non può operare retroattivamente, sicché la soluzione accolta dall’opposto orientamento si porrebbe in contrasto con il combinato disposto degli artt. 25 della Costituzione e 7, Conv.  EDU, per l’inevitabile riflesso sostanziale caratteristico della confisca di valore.

La natura sanzionatoria costituisce un dato che caratterizza la confisca di valore, perché questa può attingere anche a beni acquistati anteriormente o successivamente alla commissione del reato, ossia beni privi di connotati di pericolosità e di legami di pertinenzialità con l’illecito, per cui, anche a voler riconoscere alla confisca di valore una natura solo ‘parzialmente’ sanzionatoria, resta ferma la sua natura afflittiva, in quanto l’oggetto dell’ablazione è rappresentato da una porzione di patrimonio che in sé non presenta alcun elemento di collegamento con il reato, con la conseguenza che, in relazione a tale forma di ablazione, si pone la necessità di garantire al destinatario una ragionevole prevedibilità delle conseguenze cui si esporrà trasgredendo il precetto penale. In questo senso, l’applicazione retroattiva dell’art.578- bis c.p.p. a fatti antecedenti alla sua entrata in vigore determina l’adozione di una pronuncia (appello o in Cassazione) impositiva di un sacrificio patrimoniale ‘a sorpresa’ non prevedibile per il ricorrente, all’atto della commissione del reato.

Le Sezioni Unite, aderendo al secondo orientamento confermano che a seguito dell’introduzione dell’art. 578- bis c.p.p., la confisca per equivalente può oggi essere disposta anche in caso di sentenza del giudice dell’impugnazione che dichiara l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione. 

Fatta questa premessa, le Sezioni Unite partono dal dato incontestato della natura ‘eminentemente sanzionatoria’ della confisca per equivalente (o di valore), desumibile dal fatto che tale misura colpisce beni privi di alcun rapporto di pertinenzialità con il reato, caratteristica che, pur in costanza dei medesimi effetti (l’espropriazione di beni a favore dello Stato) ne svilisce la natura di misura di sicurezza patrimoniale rendendo inapplicabile la regola stabilita, per le misure di sicurezza, dall’art. 200 c.p. (e dall’ art. 236, c. 2, c.p., che consente la confisca anche in caso di estinzione del reato). Mentre la confisca diretta, reagendo alla pericolosità indotta nel reo dalla disponibilità di determinati beni, assolve a una funzione essenzialmente preventiva, la confisca per equivalente, che raggiunge beni che non hanno alcun rapporto con il reato, palesa una connotazione prevalentemente afflittiva. La funzione punitiva assolta dalla confisca per equivalente la proietta nell’alveo tracciato dal primo comma dell’art. 25 Cost., non essendovi ragioni per escluderne la natura di sanzione penale anche ai sensi e per gli effetti dell’art. 7, Conv. EDU.

Del resto, ricordano le Sezioni Unite, si tratta di un approdo al quale la Corte di Cassazione era già pervenuta da tempo (Cass. pen., Sez. Un., 23/4/2013, n. 18374 e Cass. pen., Sez. Un., 21/7/2015, n. 31617), sicché il fatto che la confisca di valore risulti parametrata al profitto o al prezzo dell’illecito solo da un punto di vista ‘quantitativo’ e che dunque possa assolvere anche una funzione ripristinatoria della situazione economica, modificata in favore del reo dalla commissione del fatto illecito, nulla toglie al suo carattere marcatamente afflittivo/sanzionatorio, poiché l’oggetto dell’ablazione finisce per essere rappresentato direttamente da una porzione del patrimonio, il quale, in sé, non presenta alcun elemento di collegamento col reato.

L’entità del profitto costituisce solo l’unità di misura del quantum, non un predicato della misura stessa. Anche la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha in più occasioni riconosciuto alla confisca natura di pena ai sensi della Conv. EDU, rilevando che tale misura non tende alla riparazione pecuniaria di un danno, ma si pone obiettivi preventivi e repressivi, funzioni queste che appartengono alle sanzioni penali.

Da sottolineare che la S.C., con riferimento alle censure riguardanti la diversa definizione giuridica della misura ablatoria da parte della sentenza impugnata, ha ribadito l’insegnamento consolidato della giurisprudenza di legittimità in forza del quale il giudice d’appello può sempre riqualificare la misura, anche d’ufficio, da confisca per equivalente in confisca diretta, qualora ne sussistano i presupposti, ritenendo quindi corretto che la sentenza impugnata si concludesse con l’affermazione della fondatezza dei presupposti per qualificare la confisca in esame come confisca diretta. Infatti, secondo la Corte costituisce principio consolidato quello secondo cui il giudice dell’impugnazione può confermare un provvedimento di confisca del profitto del reato, anche quando questo, dopo la pronuncia di condanna in primo grado, deve essere dichiarato estinto per prescrizione, quando per la predetta fattispecie è prevista la confisca obbligatoria del pertinente prezzo o profitto.

Di conseguenza, nel caso che ci occupa (relativo a fatti avvenuti tra il 2008 e 2011), gli Ermellini hanno applicato il principio di diritto secondo cui il Giudice, nel dichiarare l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, non può disporre, atteso il suo carattere afflittivo e sanzionatorio, la confisca per equivalente delle cose che ne costituiscono il prezzo o il profitto (v. Cass., Sez. Un., sent. n. 31617/2015): ragion per cui il Collegio di legittimità ha disposto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla confisca per equivalente disposta con riferimento ai reati per i quali la Corte d’Appello di Torino, in riforma della sentenza di condanna pronunciata in primo grado, ha dichiarato il non doversi procedere per intervenuta prescrizione.

Tanto premesso e tornando alla vicenda in esame, i fatti raccontano che l’imputato ricorrente denunciava essenzialmente una violazione di legge, in relazione all’art. 8, D.lgs. 74/2000, e vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), c.p.p.; la violazione di legge in riferimento agli artt. 2 e 157 c.p. e 17, comma 1-bis, D.lgs. n. 74/2000, nonché vizio di motivazione a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), c.p.p.; e, infine, l’erronea applicazione della legge penale con riguardo alla mancata revoca da parte della Corte d’Appello della confisca per equivalente per i reati tributari a lui ascritti dichiarati estinti per prescrizione. Da segnalare che l’imputato era titolare di una ditta individuale, ascritto per frode fiscale, nei confronti del quale era stata disposta la confisca diretta della somma di denaro rinvenuta sul suo conto corrente, stabilendo che nei reati tributari la confisca è diretta e non per equivalente anche se l’ablazione del denaro presente sul conto corrente della società si riferisce a poste attive versate dopo la commissione del reato da parte del suo rappresentante legale. La S.C. ha dunque affermato che “… Va premesso che costituisce principio consolidato quello secondo cui il giudice dell’impugnazione può confermare un provvedimento di confisca del profitto del reato, anche quando questo, dopo la pronuncia di condanna in primo grado, deve essere dichiarato estinto per prescrizione, quando per detto reato è prevista la confisca obbligatoria del pertinente prezzo o profitto. Invero, secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite, il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, può disporre, a norma dell’art. 240, secondo comma, n. 1 cod. pen., la confisca del prezzo e, ai sensi dell’art. 322-ter cod. pen., la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato a condizione che vi sia stata una precedente pronuncia di condanna e che l’accertamento relativo alla sussistenza del reato, alla penale responsabilità dell’imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come prezzo o profitto rimanga inalterato nel merito nei successivi gradi di giudizio (così Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264434-01). Ora, per i reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000 è stata prevista la confisca obbligatoria dei beni che ne costituiscono il prezzo o il profitto già dall’art. 1, comma 143, legge 24 dicembre 2007, n. 244, proprio mediante espresso richiamo all’art. 322-ter cod. pen. E, nella specie, i reati per i quali è stata dichiarata l’estinzione per prescrizione in appello dopo la sentenza di condanna in primo grado sono tutti successivi alla data di entrata in vigore di detta disposizione. Precisamente, i reati in questione sono quelli: -) di omessa dichiarazione per l’anno 2007, con evasione d’imposta pari a 286.502,62 euro, commesso il 29 dicembre 2008 (capo D);  -) di emissione di fatture per operazioni inesistenti nell’anno 2010 per un imponibile pari a 101.137,00 euro e per IVA pari a 20.227,00 euro, e nell’anno 2011 per un imponibile pari a 9.000,00 euro e per IVA pari a 0,00 (capo E); -) di emissione di fatture per operazioni inesistenti nell’anno 2008 per un imponibile pari a 285.270,00 euro e per IVA pari a 57.054,00 euro, e nell’anno 2009 per un imponibile pari a 8.260,00 euro e per IVA pari a 1.652,00 euro (capo F). Inoltre, la sentenza impugnata spiega diffusamente perché deve ritenersi accertata l’addebitabilità al ricorrente dei fatti di cui ai capi D, E e F, per i quali ha dichiarato l’estinzione per prescrizione dopo la sentenza di condanna in primo grado (cfr. spec. pagg. 14-16 della sentenza della Corte d’appello). E contro tali conclusioni non è stato formulato alcun motivo di censura nel ricorso. Ancora, si è già detto ìn precedenza, al § 5.1, perché deve ritenersi ammissibile la riqualificazione da parte del giudice di appello della confisca, già disposta in primo grado come confisca per equivalente, come confisca del prezzo e del profitto dei reati per cui si procede. Si può aggiungere che l’affermazione delle Sezioni Unite sulla necessità della permanenza della qualificazione del bene da confiscare come prezzo o profitto nei successivi gradi di giudizio (Sez. U, n. 31617 del 2015, Lucci, cit.) non è funzionale a precludere la possibile riqualificazione della forma di confisca, ed è diretta, piuttosto, ad assicurare che il provvedimento di ablazione sia stato emesso in occasione della dichiarazione di penale responsabilità di chi lo subisce (cfr., per applicazioni in questo senso, (Sez. 6, n. 13844 del 02/12/2016, dep. 2017, Aracu, Rv. 270372-01, e Sez. 6, n. 10708 del 18/02/2016, Mercuri, Rv. 266558-01).  5.2.2. Va poi osservato che la confisca del denaro costituisce confisca diretta anche quando sia possibile dimostrare la provenienza lecita della specifica somma di denaro oggetto di ablazione. Invero, le Sezioni Unite hanno recentemente ribadito il principio in forza del quale la confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, comunque rinvenuto nel patrimonio dell’autore della condotta, e che rappresenti l’effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito, va sempre qualificata come diretta, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile del bene, con la conseguenza che non è ostativa alla sua adozione l’allegazione o la prova dell’origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione (così Sez. U, n. 42415 del 27/05/2021, C., Rv. 282037-01, la quale ha confermato le enunciazioni, in particolare, di Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264437-01). E questo principio ha trovato applicazione anche in relazione ai reati tributari di cui al d.lgs. n. 74 del 2000. Si è infatti affermato che, in tema di reati tributari, la confisca ex art. 12-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, delle somme di denaro affluite sul conto corrente intestato alla persona giuridica anche successivamente alla commissione del reato da parte del suo legale rappresentante, ha natura di confisca diretta in quanto le stesse costituiscono comunque profitto del reato, risolvendosi in un vantaggio per il suo autore il risparmio di spesa conseguente all’omesso versamento delle imposte (così Sez. 12 3, n. 42616 del 20/09/2022, L’Angolana srl, Rv. 283714-01, anche per riferimenti ad ulteriori decisioni non massimate).  5.2.3. Per completezza, deve solo essere segnalato che il saldo attivo del conto corrente n. presso la come meglio si indicherà al § 5.3, risulta inferiore al profitto dei reati per i quali è stata pronunciata condanna o dichiarazione di estinzione per prescrizione in appello. Invero, l’importo trasferito dal conto corrente della sul corrente n. presso la è stato quantificato dai dai giudici di merito nella somma di 190.332,77 euro, né sono indicate ulteriori rimesse funzionali ad alimentare la giacenza di tale rapporto bancario. Le somme costituenti profitto dei reati per i quali è stata dichiarata l’estinzione per prescrizione in appello sono di molto superiori: è sufficiente considerare che, per il solo reato di omessa dichiarazione per l’anno 2007, commesso il 29 dicembre 2008, e di cui al capo D), l’evasione d’imposta è stata pari a 286.502,62 euro. 5.3. In terzo luogo, infine, le censure concernenti l’attribuzione a del conto corrente n. presso la dei e quindi delle somme presenti su tale rapporto bancario, oltre che tardive, perché prospettate solo in sede di motivi nuovi, sono del tutto prive di specificità, in quanto meramente assertive, nonostante le approfondite ricostruzioni dei giudici di merito, esposte con puntuali motivazioni. In particolare, la sentenza della Corte d’appello rappresenta che: -) all’epoca dei fatti intercorreva un rapporto di convivenza more uxorio tra l’attuale ricorrente e la persona alla quale risulta formalmente intestato il precisato conto corrente n. (Omissis)  -) il rapporto in questione è stato aperto e contestualmente alimentato mediante il versamento del saldo attivo di un conto corrente intestato a pari a oltre 190.000,00 euro (la sentenza di primo grado precisa: 190.332,77 euro), e chiuso proprio con questa operazione; -) il saldo attivo del conto corrente intestato a presso la era determinato dall’incasso del prezzo della vendita di un immobile, pari a 218.000,00 euro, vendita effettuata dalla donna a terzi; -) a sua volta, aveva acquistato detto immobile da per l’importo dichiarato di 62.800,00 euro; -) il pagamento dell’immobile da a era avvenuto, in particolare, mediante un assegno circolare di circa 45.000,00 euro, tratto su un conto corrente intestato alla donna, non percettrice di redditi, ed alimentato tra il 2 ed il 14 ottobre 2008 con versamenti in contanti per 50.000,00 euro, in concomitanza con prelievi di pari importo effettuati da su conti correnti nella di lui disponibilità. La sentenza del Tribunale, poi, precisa che: -) acquistò l’immobile da ín data 15 ottobre 2008, corrispondendo l’assegno circolare di cui si è detto, relativo all’importo di 44.714,97 euro, nonché un assegno bancario di 4.500,00 euro emesso da ritenuto in sentenza prestanome dell’attuale ricorrente con riferimento all’omonima ditta individuale negli anni 2008 e 2009, e dichiarando inoltre di aver versato la restante parte del prezzo in contanti prima del 4 luglio 2006; -) il conto corrente utilizzato da per emettere l’assegno circolare di 44.714,97 euro non ebbe movimentazioni ulteriori rispetto a quelle registrate in occasione della compravendita, salvo la ricezione di un bonifico di 10.000,00 euro nel febbraio 2009; -) aveva rilasciato delega ad operare in favore di anche in relazione ad altro conto corrente sul quale erano transitati proventi illeciti, come un assegno di 37.750,00 euro emesso dal già indicato -) la vendita sottocosto dell’immobile da a nell’ottobre 2008 trova una spiegazione nell’avvenuta contestazione all’attuale ricorrente di un’evasione di imposta per l’anno 2003; -) i debiti fiscali accertati per gli anni 2003 e 2004 a carico di sono risultati pari, anche all’esito dei giudizi tributari, a 1.118.244,56 euro. 6. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla confisca per equivalente disposta con riferimento ai reati dichiarati estinti per prescrizione dalla Corte d’appello. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nel resto, con conseguente irrevocabilità: -) della condanna di per il reato di cui all’art. 8 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, a partire dalla fattura n. del 14 luglio 2011, contestatogli al capo E; -) della statuizione della confisca per equivalente in ordine al prezzo ed al profitto per il reato appena indicato;-) della statuizione della confisca diretta in relazione al prezzo ed al profitto per questo reato e per tutti i reati dichiarati estinti per prescrizione dalla Corte d’appello. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla confisca per equivalente disposta con riferimento ai reati dichiarati prescritti. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto”.

Corte di Cassazione – Sentenza 19 aprile 2023, n. 16576

sul ricorso proposto da nato (Omissis) a (Omissis)   il  (Omissis)

avverso la sentenza del 15/09/2021 dalla Corte d’appello di Torino

seguente visti gli atti,

il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Antonio Corbo;

letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Stefano Tocci, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio dell’affermazione di responsabilità penale limitatamente alle fatture n. 36, 38 e 42 del 2011, essendo il relativo delitto estinto per intervenuta prescrizione, e della disposizione di confisca in riferimento ai reati estinti per prescrizione, con l’adozione di ogni provvedimento consequenziale, e per l’inammissibilità del ricorso nel resto.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 15 settembre 2021, la Corte di appello di Torino, per quanto di interesse in questa sede, in parziale riforma della sentenza (omissis) (omissis) (omissis) pronunciata dal Tribunale di Torino, ha:

– confermato la dichiarazione di penale responsabilità di per il reato di cui all’art. 8 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, a partire dalla fattura n. del 14 luglio 2011 (capo E);

– dichiarato di non doversi procedere in ordine agli altri fatti di reato al medesimo ascritti perché estinti per prescrizione;

– rideterminato la pena in un anno e sei mesi di reclusione;

– confermato la confisca anche in relazione ai reati estinti per prescrizione, fissata fino a concorrenza di 383.594,62 euro.

L’affermazione di colpevolezza di precisamente, è stata pronunciata perché lo stesso, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, quale gestore occulto della ditta individuale (Omissis) di (Omissis)  al fine di consentire a terzi l’evasione dell’imposta sul valore aggiunto, aveva emesso a nome della predetta ditta fatture per operazioni inesistenti, per un imponibile pari a 96.346,00 euro e per IVA pari a 18.159,00 euro, tra il 14 luglio 2011 ed il 23 dicembre 2011 (capo E).

I reati per i quali è stata dichiarata l’estinzione per prescrizione in appello, in riforma della sentenza di condanna pronunciata in primo grado, sono quelli di omessa dichiarazione per l’anno 2007, con evasione d’imposta pari a 286.502,62 euro (capo D), di emissione di fatture per operazioni inesistenti nell’anno 2010 per un imponibile pari a 101.137,00 euro e per IVA pari a 20.227,00 euro, e nell’anno 2011 per un imponibile pari a 9.000,00 euro e per IVA pari a 0,00 (capo E), nonché di emissione di fatture per operazioni inesistenti nell’anno 2008 per un imponibile pari a 285.270,00 euro e per IVA pari a 57.054,00 euro, e nell’anno 2009 per un imponibile pari a 8.260,00 euro e per IVA pari a 1.652,00 euro (capo F).

2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe con atto sottoscritto dall’avvocato articolando tre motivi.

2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in relazione all’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000, e vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui al capo E).

 Si deduce che la Corte territoriale ha omesso di rispondere allo specifico motivo di gravame avanzato dalla difesa con cui si contestava l’affermazione della responsabilità penale dell’imputato relativamente ai reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti per difetto dell’elemento soggettivo, atteso che l’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000 richiede per la sua configurazione la terzietà dell’evasore rispetto al soggetto emittente la fattura, nonché il dolo specifico di evasione.

Si premette che, secondo l’orientamento dominante della giurisprudenza di legittimità, il reato di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000 non si  (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) configura laddove la condotta di emissione di fatture per operazioni inesistenti abbia uno scopo diverso da quello di favorire l’evasione fiscale di terzi, non essendo sufficiente la coscienza e volontà di emettere fatture per operazioni inesistenti, ma essendo necessario che detta condotta sia preordinata al fine di fare evadere a terzi le imposte sui redditi o sul valore aggiunto (si cita Sez. 3, n. 26575 del 21/04/2021, Martini; Sez. 3, n. 1714 del 19/10/2004, Scorpio).

Si rappresenta, poi, che, per i fatti per i quali è stata pronunciata condanna, la finalità di consentire a terzi l’evasione non risulta accertata, poiché, con riferimento al reato di cui al capo E), i soggetti terzi i quali avrebbero effettivamente eseguito i lavori ‘coperti’ dalle fatture emesse dall’imputato non sono stati neanche individuati dalla Corte territoriale.

Si osserva che il reato di cui all’art. 8 è complementare con quello di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, siccome riferiti il primo alla ditta che emette le fatture e il secondo alla ditta la quale si avvale delle predette fatture portandole in detrazione (si cita Sez. 3, n. 16353 del 11/01/2021, Marinuzzi), e che, però, nel caso concreto, gli esecutori dei lavori non hanno mai utilizzato le fatture in contestazione nelle rispettive dichiarazioni, né hanno percepito l’IVA, la quale, anzi, ed eventualmente, è stata incamerata dalla ditta attribuita al ricorrente.

Si conclude, quindi, che l’evasione, se avvenuta, sarebbe riferibile alla stessa ditta emittente, e che, perciò, a carico del titolare di questa, al più, sarebbero configurabili, ovviamente in presenza dei necessari elementi costitutivi, i diversi reati di cui all’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, in caso di presentazione della dichiarazione e omissione di versamento, ovvero di cui all’art. 5 d.lgs. cit., in caso invece di omessa presentazione della dichiarazione.

2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 2 e 157 cod. pen. e 17, comma 1-bis, d.lgs. n. 74 del 2000, nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla mancata dichiarazione di estinzione per prescrizione dei reati contestati al capo E), relativi alle fatture n. 36 del 14 luglio 2011, n. 38 del 3 agosto 2011 e n. 42 del 16 settembre 2011.

Si deduce che la Corte territoriale ha fatto erronea applicazione dell’articolo 17 comma 1-bis d.lgs. n. 74 del 2000, introdotto dal d.l. 13 agosto 2011, n. 138, che ha elevato di un terzo i termini di prescrizione dei delitti indicati dagli artt. 2 a 10 dello stesso decreto, non dichiarando la prescrizione del reato di cui al capo E) con riferimento alle fatture emesse prima del 17 settembre 2011, atteso che la precisata disposizione, in ragione della natura sostanziale della disciplina della prescrizione, non può applicarsi a fatti commessi antecedentemente alla sua entrata in vigore.

Si precisa che non può ritenersi condivisibile l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, laddove il reato si realizzi tramite la emissione nel 3 corso del medesimo anno d’imposta di una pluralità di fatture relative ad operazioni inesistenti, il termine di prescrizione decorre dalla data di emissione dell’ultima delle fatture (si cita Sez. 3, n. 9444 del 22/12/2021, Mattioli), atteso che l’articolo 8, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000 prevede piuttosto un regime di favore per l’imputato, perché riconduce ad unità più episodi di emissione di fatture per operazioni inesistenti nel corso del medesimo periodo di imposta (si cita, tra le tante, Sez. 3, n. 25816 del 21/04/2016, De Roia, Rv. 267664-01).

2.3. Con il terzo motivo, si denuncia erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 1, comma 143, legge 24 dicembre 2007, n. 244 e 578-bis cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., avuto riguardo alla mancata revoca della confisca per i reati dichiarati estinti per prescrizione. Si deduce che erroneamente la Corte territoriale, nel confermare la confisca applicata dal Giudice di prima cura, ha applicato l’art. 578-bis cod. proc. pen., introdotto dal d.lgs. 1° marzo 2018, n. 21, aderendo all’orientamento che ritiene applicabile la suddetta disposizione anche ai fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore della stessa.

Si osserva che, nella giurisprudenza di legittimità, risulta dominante l’opposto indirizzo secondo cui la previsione di cui all’art. 578-bis cod. proc. pen. è sì applicabile anche alla confisca tributaria ex art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, ma questa, ove sia stata disposta per equivalente, non può essere mantenuta in relazione a fatti anteriori alla entrata in vigore del medesimo art. 578-bis, atteso il suo carattere afflittivo (si cita, tra le tante, Sez. 3, n. 7882 del 21/01/2022, Viscovo, Rv. 282836-01, e Sez. 3, n. 39157 del 07/09/2021, Sacrati, Rv. 282374-01).

3. Successivamente, sempre per il ricorrente l’avvocato ha presentato tre motivi nuovi.

3.1. Con il primo motivo nuovo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui al capo E). Si deduce la contraddittorietà intrinseca del discorso motivazionale della sentenza impugnata che, per un verso, imputa l’evasione dell’IVA ai reali esecutori dei lavori e, per l’altro, afferma l’incameramento dell’IVA da parte dell’imputato, emittente delle fatture.

3.2. Con il secondo motivo nuovo, si denuncia violazione di legge, in relazione agli artt. 2 cod. pen., 25 Cost., 1, comma 148, legge n 244 del 2007 e 578-bis cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, / 1 . comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo all’applicazione della 4 (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) confisca per equivalente per i reati di cui ai capi A), B), C), D), E), F) e G) in quanto dichiarati estinti per prescrizione. Si deduce che il principio invocato nel terzo motivo di ricorso è stato ora affermato anche dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 4145 del 29/09/2022, dep. 2023).

Si deduce, inoltre, che il mantenimento della confisca della somma rinvenuta sul conto corrente n. presso la intestato ad altra persona, non può essere assicurato qualificando l’ablazione come diretta, sia pure in via alternativa, in quanto le due forme di sottrazione coattiva dei beni si fondano su presupposti incompatibili. Si precisa che la confisca per equivalente può essere adottata solo se non è possibile rinvenire nel patrimonio dell’imputato il prezzo o il profitto del reato, perché se questi sono reperibili si applica la confisca diretta.

3.3. Con il terzo motivo nuovo, si denuncia violazione di legge, in relazione all’art. 1, comma 148, legge n 244 del 2007, e vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla configurabilità come confisca diretta dell’ablazione relativa alla somma depositata sul conto corrente n. (Omissis)  intestato ad altra persona.

Si deduce che la sentenza impugnata non indica né il nesso di derivazione da reato della somma presente sul conto corrente n. (Omissis) quale risparmio di spesa determinato dall’omesso versamento di tributi, né perché il conto corrente appena indicato debba ritenersi nella disponibilità dell’attuale ricorrente, sebbene intestato ad altri. Si aggiunge che non può nemmeno valorizzarsi la circostanza secondo cui l’intestataria del conto è stata coimputata dell’attuale ricorrente in ordine al capo A), in quanto per questo reato è stata pronunciata sentenza di prescrizione già in primo grado.

4. Ancora per il ricorrente l’avvocato ha presentato memoria di replica e conclusioni. In particolare, si contestano gli argomenti addotti dal Procuratore generale in ordine alla configurabilità del reato di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000, e si conclude per l’annullamento della sentenza impugnata sia relativamente al capo E), con ogni conseguenza di legge, sia relativamente alla confisca con riguardo ai reati estinti per intervenuta prescrizione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile nella parte relativa al reato per il quale è stata pronunciata condanna, fondato nella parte in cui denuncia l’illegittimità della 5 (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) previsione della confisca per equivalente in relazione ai reati dichiarati estinti per prescrizione dalla Corte d’appello, ed inammissibile nella parte concernente l’applicazione, in ordine ai medesimi delitti, della confisca diretta.

2. Manifestamente infondate sono le censure esposte nel primo motivo, e nel primo motivo nuovo, le quali contestano la affermazione di responsabilità per il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti di cui al capo E), in particolare avendo riguardo alla sussistenza dell’elemento soggettivo richiesto dalla legge, deducendo che non è stata accertata la finalità di consentire a terzi l’evasione dell’IVA, così come contestato, in quanto le fatture indicate nell’imputazione sono solo soggettivamente inesistenti, ed i reali esecutori dei lavori non sono stati individuati, e che, comunque, nella specie, sarebbero configurabili, il reato di cui all’art. 10-ter o quello di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000, essendo stata l’imposta incamerata dall’attuale ricorrente.

2.1. È utile innanzitutto chiarire perché l’emissione di fatture per operazioni ‘solo’ soggettivamente inesistenti è funzionale, sotto il profilo oggettivo, a consentire a terzi l’evasione anche dell’IVA, come specificamente contestato nella specie.

2.1.1. Si è già affermato in giurisprudenza che il delitto di emissione di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti è configurabile anche in caso di fatturazione solo soggettivamente falsa, quando cioè l’operazione oggetto di imposizione fiscale sia stata effettivamente eseguita e tuttavia non vi sia corrispondenza soggettiva tra il prestatore indicato nella fattura od altro documento fiscalmente rilevante e il soggetto giuridico che abbia erogato la prestazione, in quanto anche in tal caso è possibile conseguire il fine illecito indicato dalla norma in esame, ovvero consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto (così Sez. 3, n. 24307 del 19/01/2017, Cortella, Rv. 269986-01).

A fondamento di questo principio, si è significativamente affermato: «Tale interpretazione, infatti, è consentita, innanzitutto, sia dall’argomento testuale, fondato sull’ampiezza della previsione normativa, la quale si riferisce genericamente ad ‘operazioni inesistenti’; sia dall’argomento teleologico, fondato sulla considerazione per cui, anche in tali casi, è possibile conseguire il fine illecito indicato dalla norma in esame, ovvero consentire ai terzi l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto (cfr. Sez. 3, n. 20353 del 17/03/2010, dep. 28/05/2010, Bizzozzero e altro, Rv. 247110; Sez. 3, n. 14707 del 14/11/2007, dep. 09/04/2008, Rossi e altri, Rv. 239658). Inoltre, lo stesso art. 1, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 74 del 2000 stabilisce che ‘per ‘fatture o altri documenti per operazioni inesistenti’ si intendono le fatture o gli altri 6 documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi’» (così Sez. 3, n. 24307 del 2017, cit., in motivazione, § 3.3.1.).

2.1.2. Ad avviso del Collegio, il principio secondo cui il delitto di emissione di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti è configurabile anche in caso di fatturazione solo soggettivamente falsa deve trovare continuità ed è applicabile anche quando non siano stati individuati il soggetto o i soggetti che abbiano erogato la prestazione.

Con specifico riguardo all’IVA, in particolare, va evidenziato che il sistema impositivo opera mediante un meccanismo di compensazioni e che il versamento dell’imposta all’erario deve avvenire proprio ad opera di colui che effettua la prestazione (la vendita o l’erogazione del servizio).

In altri termini, colui che effettua la prestazione, è tenuto ad emettere la fattura, nella quale deve indicare sia il valore imponibile, sia il valore dell’IVA, e, poi, alla scadenza prevista, dovrà corrispondere questa imposta all’Erario, previa detrazione di quanto versato per il medesimo tributo, ai suoi fornitori.

Precisamente, il d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e succ. modif., relativo alla istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto, individua proprio colui che effettua la prestazione come il ‘debitore’ di tale imposta. In particolare, l’art. 17 d.P.R. cit., rubricato «debitore d’imposta», al primo comma, nel testo attualmente vigente, recita: «L’imposta è dovuta dai soggetti che effettuano le cessioni di beni e le prestazioni di servizi imponibili, i quali devono versarla all’Erario, cumulativamente per tutte le operazioni effettuate e al netto della detrazione prevista nell’art. 19, nei modi e nei termini stabiliti nel titolo secondo». Ne discende che la fattura emessa da un soggetto diverso da quello che ha realmente eseguito la prestazione, è funzionale proprio a consentire a quest’ultimo di non emettere la fattura e, quindi, di non risultare come debitore dell’IVA, e, quindi, come soggetto giuridicamente obbligato al versamento della stessa secondo le scadenze periodiche previste dalla legge.

Si può aggiungere, anzi, che, se il reale autore della prestazione ‘coperto’ dalla falsa fattura non viene individuato, il mendacio documentale raggiunge appieno il risultato illecito di tenere quest’ultimo indenne dal debito per l’IVA verso l’Amministrazione finanziaria.

Non ha poi alcuna rilevanza accertare se un’evasione di imposta si sia in concreto verificata. Invero, come ripetutamente precisato in giurisprudenza, l’evasione d’imposta non è elemento costitutivo del delitto di emissione di fatture (Omissis)  o altri documenti per operazioni inesistenti, ma caratterizza il dolo specifico normativamente richiesto per la punibilità dell’agente, essendo necessario che l’emittente delle fatture si proponga il fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ma non anche che il terzo realizzi effettivamente l’illecito intento (così Sez. F, n. 31142 del 11/08/2022, Iacona, Rv. 283708-01, e Sez. 3, n. 39359 del 24/09/2008, Biffi, Rv. 241040-01).

2.1.3. Né può escludersi la configurabilità del delitto di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000 nel caso di indebito trattenimento dell’IVA da parte dell’emittente le false fatture perché tale condotta sarebbe sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, in ipotesi di presentazione della dichiarazione e omissione di versamento, ovvero in quella di cui all’art. 5 d.lgs. cit., in ipotesi invece di omessa presentazione della dichiarazione. Invero, si potrebbe immediatamente osservare che le condotte necessarie per integrare i tre reati sopra precisati sono tra loro ontologicamente e cronologicamente distinte, sicché sarebbe piuttosto ipotizzabile una vicenda di concorso materiale di reati.

In ogni caso, nella specie, essendo contestato il solo reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, è sufficiente rilevare che il mendacio documentale costituisce comunque un preciso elemento specializzante della figura delittuosa di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000 rispetto alle altre fattispecie di cui all’art. 10-ter e di cui all’art. 5 d.lgs. cit.

Del resto, a voler seguire la tesi prospettata nel ricorso, si arriverebbe al singolare risultato di escludere in radice la configurabilità del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, anche sotto il profilo oggettivo, almeno con riferimento all’IVA, salvo il caso di versamento dell’imposta o di fatture rilasciate per importi inferiori a quelli necessari per il superamento delle soglie di punibilità previste in relazione ai reati di cui all’art. 10-ter e di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000.

2.2. Posto che l’emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti è funzionale, sotto il profilo oggettivo, a consentire a terzi l’evasione dell’IVA, va poi evidenziato che la sentenza impugnata espone con motivazione immune da censure le ragioni poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità dell’attuale ricorrente per il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti di cui al capo E. La Corte d’appello, infatti, ha precisato che la ditta formalmente emittente le fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, la ‘ fu creata per iniziativa proprio di e che la formale intestataria di tale ditta, si disinteressò totalmente della stessa, in quanto, da un lato, i contratti di cui l’impresa era parte furono tutti «trattati» dall’attuale ricorrente, e, dall’altro, quest’ultimo aveva la delega ad operare sui conti correnti 8 (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) dell’impresa e tratteneva per sé l’importo dell’IVA dovuta dall’esecutore della prestazione, il quale rimaneva ‘occulto’.

In tal modo, è puntualmente indicata anche la piena consapevolezza dell’attuale ricorrente di consentire, attraverso l’emissione delle false fatture, l’evasione dell’IVA da parte dell’impresa che aveva eseguito i lavori e che per gli stessi avrebbe dovuto pagare tale imposta.

La ‘piena’ consapevolezza di consentire, attraverso l’emissione delle false fatture, al soggetto reale esecutore dei lavori l’evasione dell’IVA implica anche la finalità, quanto meno concorrente, di realizzare tale risultato.

3. Manifestamente infondate sono anche le censure formulate nel secondo motivo, le quali contestano la mancata dichiarazione di estinzione per prescrizione dei reati contestati al capo E) relativamente alle fatture emesse anteriormente al 17 settembre 2011, deducendo che ogni singola emissione integra un’autonoma fattispecie delittuosa, e che, di conseguenza, per le condotte precedenti al 17 settembre 2021, opera il più breve termine estintivo previsto dall’art. 157 cod. pen., e non quello fissato dall’art. 17, comma 1-bis, d.lgs. n. 74 del 2000, applicabile solo ai fatti successivi a tale data. Invero, secondo un principio ampiamente consolidato, che poggia sul dato testuale del comma 2 dell’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000, ed in relazione al quale non sono fornite ragioni per discostarsene, il delitto di emissione di fatture per operazioni inesistenti si perfeziona nel momento di emissione della singola fattura ovvero, ove si abbiano plurimi episodi nel corso del medesimo periodo di imposta, nel momento di emissione dell’ultimo di essi (cfr., tra le tantissime: Sez. 3, n. 9440 del 24/11/2021, dep. 2022, Cossarini, Rv. 282918-01; Sez. 3, n. 47459 del 05/07/2018, Melpignano, Rv. 274865-01; Sez. 3, n. 6264 del 14/01/2010, Ventura, Rv. 246193-01).

4. Fondate, invece, sono le censure enunciate nel terzo motivo e nel secondo motivo nuovo, nella parte in cui contestano l’applicazione della confisca per equivalente in relazione ai reati dei quali è stata dichiarata la estinzione per prescrizione. Invero, la confisca per equivalente in relazione a reati dichiarati estinti per prescrizione sarebbe applicabile solo in forza di quanto previsto dall’art. 578-bis cod. proc. pen., atteso che, in precedenza, secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite, vigeva il principio in forza del quale il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, non può disporre, atteso il suo carattere afflittivo e sanzionatorio, la confisca per equivalente delle cose che ne costituiscono il prezzo o il profitto (il riferimento è a Sez. U, n. 31617 del /( 26/06/2015, Lucci, Rv. 264435-01)

E però, ad avviso di una recentissima decisione delle Sezioni Unite, la disposizione di cui all’art. 578-bis cod. proc. pen., introdotta dall’art. 6, comma 4, d.lgs. 1° marzo 2018, n. 21, ha, con riguardo alla confisca per equivalente e alle forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria, natura anche sostanziale e, pertanto, è inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere prima della sua entrata ìn vigore (Sez. U, n. 4145 del 29/09/2022, dep. 2023, Esposito, Rv. 284209-01).

5. Manifestamente infondate sono le censure esposte nel terzo motivo, nel secondo motivo nuovo e nel terzo motivo nuovo, nella parte in cui contestano l’applicazione della confisca diretta con riferimento alla somma rinvenuta sul conto corrente n. presso la deducendo che non può ritenersi consentita la riqualificazione dell’ablazione da confisca per equivalente a confisca diretta, operata dalla Corte d’appello, che non è provato il nesso di derivazione di tali somme dal reato, e che il conto corrente è intestato ad altri.

5.1. Innanzitutto, con riferimento alle censure concernenti la diversa definizione giuridica della misura ablatoria da parte della sentenza impugnata, va ribadito l’insegnamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, in forza del quale il giudice di appello può riqualificare, anche di ufficio, la confisca disposta in primo grado da confisca per equivalente in confisca diretta, ovviamente qualora ne sussistano i presupposti. Si è infatti ripetutamente affermato che non viola il divieto di reformatio in peius una diversa qualificazione giuridica della confisca da parte del giudice di appello rispetto a quella stabilita in primo grado, pur in assenza di gravame sul punto da parte del pubblico ministero, in quanto l’attribuzione alla misura ablatoria di una diversa qualificazione giuridica costituisce un’operazione istituzionalmente spettante al giudice, anche se di secondo grado.

E questo principio è stato applicato sia per riqualificare una confisca di denaro ai sensi dell’art. 12-sexies d.l. n. 306 del 1992, convertito nella legge n. 356 del 1992, in luogo dell’originaria confisca facoltativa del profitto del reato, disposta dal giudice di primo grado ai sensi dell’art. 240, primo comma, cod. pen. (così Sez. 3, n. 9156 del 17/12/2020, dep. 2021, Petito, Rv. 281327-01), sia per riqualificare una confisca di denaro come diretta, dopo che il giudice di primo grado aveva disposto la stessa per equivalente (Sez. 6, n. 13844 del 02/12/2016, dep. 2017, Aracu, Rv. 270372-01, e Sez. 6, n. 10708 del 18/02/2016, Mercuri, Rv. 266558-01). Si può aggiungere che, nella specie, il Pubblico Ministero, pur in difetto di motivo di gravame, in sede di conclusioni del giudizio di appello, aveva (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) espressamente chiesto di qualificare la confisca come confisca diretta del reato, sicché vi è stata anche la possibilità di un concreto contraddittorio in proposito già prima della pronuncia della sentenza di secondo grado.

5.2. Relativamente alle censure in ordine alla sussistenza dei presupposti per qualificare la confisca della somma di denaro rinvenuta sul conto corrente n. presso la come confisca diretta, può concludersi che correttamente la sentenza impugnata ha concluso in senso affermativo anche avendo riguardo ai reati per i quali è stata dichiarata l’estinzione per prescrizione in appello, dopo la condanna in primo grado.

5.2.1. Va premesso che costituisce principio consolidato quello secondo cui il giudice dell’impugnazione può confermare un provvedimento di confisca del profitto del reato, anche quando questo, dopo la pronuncia di condanna in primo grado, deve essere dichiarato estinto per prescrizione, quando per detto reato è prevista la confisca obbligatoria del pertinente prezzo o profitto. Invero, secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite, il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, può disporre, a norma dell’art. 240, secondo comma, n. 1 cod. pen., la confisca del prezzo e, ai sensi dell’art. 322-ter cod. pen., la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato a condizione che vi sia stata una precedente pronuncia di condanna e che l’accertamento relativo alla sussistenza del reato, alla penale responsabilità dell’imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come prezzo o profitto rimanga inalterato nel merito nei successivi gradi di giudizio (così Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264434-01).

Ora, per i reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000 è stata prevista la confisca obbligatoria dei beni che ne costituiscono il prezzo o il profitto già dall’art. 1, comma 143, legge 24 dicembre 2007, n. 244, proprio mediante espresso richiamo all’art. 322-ter cod. pen. E, nella specie, i reati per i quali è stata dichiarata l’estinzione per prescrizione in appello dopo la sentenza di condanna in primo grado sono tutti successivi alla data di entrata in vigore di detta disposizione. Precisamente, i reati in questione sono quelli:

 – di omessa dichiarazione per l’anno 2007, con evasione d’imposta pari a 286.502,62 euro, commesso il 29 dicembre 2008 (capo D);

 – di emissione di fatture per operazioni inesistenti nell’anno 2010 per un imponibile pari a 101.137,00 euro e per IVA pari a 20.227,00 euro, e nell’anno 2011 per un imponibile pari a 9.000,00 euro e per IVA pari a 0,00 (capo E);

– di emissione di fatture per operazioni inesistenti nell’anno 2008 per un imponibile pari a 285.270,00 euro e per IVA pari a 57.054,00 euro, e nell’anno 2009 per un imponibile pari a 8.260,00 euro e per IVA pari a 1.652,00 euro (capo F).  (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis)

Inoltre, la sentenza impugnata spiega diffusamente perché deve ritenersi accertata l’addebitabilità al ricorrente dei fatti di cui ai capi D, E e F, per i quali ha dichiarato l’estinzione per prescrizione dopo la sentenza di condanna in primo grado (cfr. spec. pagg. 14-16 della sentenza della Corte d’appello). E contro tali conclusioni non è stato formulato alcun motivo di censura nel ricorso. Ancora, si è già detto ìn precedenza, al § 5.1, perché deve ritenersi ammissibile la riqualificazione da parte del giudice di appello della confisca, già disposta in primo grado come confisca per equivalente, come confisca del prezzo e del profitto dei reati per cui si procede. Si può aggiungere che l’affermazione delle Sezioni Unite sulla necessità della permanenza della qualificazione del bene da confiscare come prezzo o profitto nei successivi gradi di giudizio (Sez. U, n. 31617 del 2015, Lucci, cit.) non è funzionale a precludere la possibile riqualificazione della forma di confisca, ed è diretta, piuttosto, ad assicurare che il provvedimento di ablazione sia stato emesso in occasione della dichiarazione di penale responsabilità di chi lo subisce (cfr., per applicazioni in questo senso, (Sez. 6, n. 13844 del 02/12/2016, dep. 2017, Aracu, Rv. 270372-01, e Sez. 6, n. 10708 del 18/02/2016, Mercuri, Rv. 266558-01).

5.2.2. Va poi osservato che la confisca del denaro costituisce confisca diretta anche quando sia possibile dimostrare la provenienza lecita della specifica somma di denaro oggetto di ablazione. Invero, le Sezioni Unite hanno recentemente ribadito il principio in forza del quale la confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, comunque rinvenuto nel patrimonio dell’autore della condotta, e che rappresenti l’effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito, va sempre qualificata come diretta, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile del bene, con la conseguenza che non è ostativa alla sua adozione l’allegazione o la prova dell’origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione (così Sez. U, n. 42415 del 27/05/2021, C., Rv. 282037-01, la quale ha confermato le enunciazioni, in particolare, di Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264437-01). E questo principio ha trovato applicazione anche in relazione ai reati tributari di cui al d.lgs. n. 74 del 2000. Si è infatti affermato che, in tema di reati tributari, la confisca ex art. 12-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, delle somme di denaro affluite sul conto corrente intestato alla persona giuridica anche successivamente alla commissione del reato da parte del suo legale rappresentante, ha natura di confisca diretta in quanto le stesse costituiscono comunque profitto del reato, risolvendosi in un vantaggio per il suo autore il risparmio di spesa conseguente all’omesso versamento delle imposte (così Sez. 12 3, n. 42616 del 20/09/2022, L’Angolana srl, Rv. 283714-01, anche per riferimenti ad ulteriori decisioni non massimate).

5.2.3. Per completezza, deve solo essere segnalato che il saldo attivo del conto corrente n. presso la come meglio si indicherà al § 5.3, risulta inferiore al profitto dei reati per i quali è stata pronunciata condanna o dichiarazione di estinzione per prescrizione in appello. Invero, l’importo trasferito dal conto corrente della sul corrente n. presso la è stato quantificato dai dai giudici di merito nella somma di 190.332,77 euro, né sono indicate ulteriori rimesse funzionali ad alimentare la giacenza di tale rapporto bancario. Le somme costituenti profitto dei reati per i quali è stata dichiarata l’estinzione per prescrizione in appello sono di molto superiori: è sufficiente considerare che, per il solo reato di omessa dichiarazione per l’anno 2007, commesso il 29 dicembre 2008, e di cui al capo D), l’evasione d’imposta è stata pari a 286.502,62 euro.

5.3. In terzo luogo, infine, le censure concernenti l’attribuzione a del conto corrente n. presso la dei e quindi delle somme presenti su tale rapporto bancario, oltre che tardive, perché prospettate solo in sede di motivi nuovi, sono del tutto prive di specificità, in quanto meramente assertive, nonostante le approfondite ricostruzioni dei giudici di merito, esposte con puntuali motivazioni. In particolare, la sentenza della Corte d’appello rappresenta che:

– all’epoca dei fatti intercorreva un rapporto di convivenza more uxorio tra l’attuale ricorrente e la persona alla quale risulta formalmente intestato il precisato conto corrente n. (Omissis)  

– il rapporto in questione è stato aperto e contestualmente alimentato mediante il versamento del saldo attivo di un conto corrente intestato a pari a oltre 190.000,00 euro (la sentenza di primo grado precisa: 190.332,77 euro), e chiuso proprio con questa operazione;

– il saldo attivo del conto corrente intestato a presso la era determinato dall’incasso del prezzo della vendita di un immobile, pari a 218.000,00 euro, vendita effettuata dalla donna a terzi;

– a sua volta, aveva acquistato detto immobile da per l’importo dichiarato di 62.800,00 euro;

– il pagamento dell’immobile da a era avvenuto, in particolare, mediante un assegno circolare di circa 45.000,00 euro, tratto su un conto corrente intestato alla donna, non percettrice di redditi, ed alimentato tra il 2 ed il 14 ottobre 2008 con versamenti in contanti per 50.000,00 euro, in concomitanza con prelievi di pari importo effettuati da su conti correnti nella di lui disponibilità.

La sentenza del Tribunale, poi, precisa che:

– acquistò l’immobile in data 15 ottobre 2008, corrispondendo l’assegno circolare di cui si è detto, relativo all’importo di 44.714,97 euro, nonché un assegno bancario di 4.500,00 euro emesso da ritenuto in sentenza prestanome dell’attuale ricorrente con riferimento all’omonima ditta individuale negli anni 2008 e 2009, e dichiarando inoltre di aver versato la restante parte del prezzo in contanti prima del 4 luglio 2006;

– il conto corrente utilizzato da per emettere l’assegno circolare di 44.714,97 euro non ebbe movimentazioni ulteriori rispetto a quelle registrate in occasione della compravendita, salvo la ricezione di un bonifico di 10.000,00 euro nel febbraio 2009;

– aveva rilasciato delega ad operare in favore di anche in relazione ad altro conto corrente sul quale erano transitati proventi illeciti, come un assegno di 37.750,00 euro emesso dal già indicato -) la vendita sottocosto dell’immobile da a nell’ottobre 2008 trova una spiegazione nell’avvenuta contestazione all’attuale ricorrente di un’evasione di imposta per l’anno 2003;

– i debiti fiscali accertati per gli anni 2003 e 2004 a carico di sono risultati pari, anche all’esito dei giudizi tributari, a 1.118.244,56 euro. 6. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla confisca per equivalente disposta con riferimento ai reati dichiarati estinti per prescrizione dalla Corte d’appello. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nel resto, con conseguente irrevocabilità: -) della condanna di per il reato di cui all’art. 8, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, a partire dalla fattura n. del 14 luglio 2011, contestatogli al capo E;

– della statuizione della confisca per equivalente in ordine al prezzo ed al profitto per il reato appena indicato;

– della statuizione della confisca diretta in relazione al prezzo ed al profitto per questo reato e per tutti i reati dichiarati estinti per prescrizione dalla Corte d’appello.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla confisca per equivalente disposta con riferimento ai reati dichiarati prescritti. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto. Così deciso il 1° marzo 2023

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