CASSAZIONE

Fermo amministrativo: è irrilevante la notevole sproporzione tra valore della sanzione e valore del bene sottoposto a fermo

Tributi – Riscossione dei crediti tributari – Notifica della cartella – Proporzionalità e ragionevolezza nell’adozione delle misure cautelari – Copia fotostatica e valore probatorio- Fermo amministrativo – Art. 86 DPR 602/1973 – Irrilevanza – Art. 10-ter dello Statuto del Contribuente, intr. dall’art. 1, comma 1, lettera m) del D.Lgs. n. 219/2023

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 32062 del 12 dicembre 2024, prendendo provvedimenti in materia di fermo amministrativo, ha affermato che per la giurisprudenza di legittimità è irrilevante la notevole sproporzione tra il valore della sanzione e il valore del bene sottoposto a fermo, dato che l’art. 86 del DPR 602/1973 non prevede alcun limite di proporzionalità o di valore del credito tra i presupposti di applicabilità della misura (cfr. Cass. civ. 21 settembre 2017, n. 22018). La questione della sproporzione tra il valore della sanzione e il valore del bene sottoposto a fermo, in relazione al citato art. 86, è rilevante per comprendere il contesto normativo in cui si inserisce la misura del fermo amministrativo.

L’articolo in questione stabilisce le condizioni per l’applicazione del fermo amministrativo, senza prevedere esplicitamente un limite di proporzionalità tra il valore del credito e il valore del bene: ciò significa che, secondo la lettera della legge, l’amministrazione ha la facoltà di applicare il fermo anche in situazioni in cui il valore del bene è notevolmente inferiore all’importo del credito.

La mancanza di un limite di proporzionalità implica che il legislatore ha inteso garantire un’azione di recupero dei crediti tributari o di altro tipo in modo efficace, senza essere vincolato da considerazioni di equità economica; in altre parole, l’obiettivo principale è quello di tutelare l’interesse pubblico al recupero delle somme dovute, piuttosto che garantire un equilibrio tra il valore del bene e l’importo della sanzione.

Tuttavia, questa situazione può sollevare questioni di legittimità e di equità, poiché può condurre a risultati che appaiono ingiusti o eccessivi per il debitore: nonostante ciò, la normativa vigente non prevede meccanismi di bilanciamento che possano attenuare questa sproporzione, rendendo quindi irrilevante, ai fini dell’applicazione della misura, la differenza di valore tra il bene e la sanzione.

In sintesi, la sproporzione è irrilevante perché la norma non contempla criteri di proporzionalità, e l’Amministrazione finanziaria ha il potere di agire per il recupero dei crediti senza dover considerare il valore del bene in relazione all’importo della sanzione.

Il Collegio ha ritenuto, tuttavia, di non aderire  completamente a queste conclusioni ponendo in rilievo il profilo che riguarda comunque una necessaria proporzionalità tra lo strumento di tutela offerto dall’ordinamento al creditore e l’interesse del debitore, che viene conseguentemente sacrificato, invocando una maggiore attenzione al principio di proporzionalità che, in materia tributaria, dovrebbe essere volto principalmente a evitare che le norme e l’attività dell’Amministrazione finanziaria – disattendendo alle rispettive ratio – gravino eccessivamente sui contribuenti, comprimendone i diritti.

In ragione di tale principio, quindi, ogni provvedimento operato dalla pubblica amministrazione, specialmente se sfavorevole al destinatario, dovrà essere allo stesso tempo necessario e commisurato al raggiungimento dello scopo prefissato dalla legge. Conseguentemente, ogniqualvolta sia possibile operare una scelta tra più mezzi alternativi, tutti ugualmente idonei al perseguimento dello scopo, andrebbe sempre preferito quello che determini un minor sacrificio per il destinatario, nel rispetto del giusto equilibrio tra vari interessi coinvolti nella fattispecie concreta (Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 964/2015).

In ragione di ciò, la legge 111/2023 (Legge delega di riforma fiscale) prevede tra i principi e criteri direttivi specifici per la revisione dello Statuto dei diritti del contribuente, di cui alla L. 212/2000, quale legge generale tributaria, quello di “valorizzare il principio del legittimo affidamento del contribuente e il principio di certezza del diritto”. Il principio di proporzionalità, così come sopra declinato, si applica anche alle misure di contrasto dell’elusione e dell’evasione fiscale e alle sanzioni tributarie; sul punto la Corte costituzionale, con la sentenza n. 46/2023, aveva affermato che anche per le sanzioni amministrative tributarie vale il principio di proporzionalità, e l’articolo 7, D.lgs. 472/1997, prevedendo la possibilità di ridurre le sanzioni fino a dimezzarle, si pone come “… una opportuna valvola di decompressione che è atta a mitigare l’applicazione di sanzioni”, che “… strutturate per garantire un forte effetto deterrente al fine di evitare evasioni anche totali delle imposte, tendono a divenire draconiane quando colpiscono contribuenti che invece tale intento chiaramente non rivelano”. Il principio di proporzionalità dovrebbe stabilire, quindi, un collegamento tra azione e obiettivi. In particolare, esso limita l’azione a quanto strettamente necessario e idoneo a realizzare gli obiettivi: la sua applicazione al procedimento tributario consente, quindi, di mantenere una stretta coerenza dell’azione dell’amministrazione finanziaria rispetto a quanto stabilito dalla legge, anche in considerazione che l’orientamento giurisprudenziale consolidato della Corte di Giustizia Europea richiama spesso l’applicazione di questo principio in tali contesti.

In tema di contrasto all’elusione e all’evasione fiscale tale principio viene già impiegato per negare l’ammissibilità di argomentazioni sviluppate su base presuntiva in sede di procedimento tributario (Corte Giust. Eur., 18.12.1997, Garage Molenheide e aa. v Stato Belga, cause riunite C-286/94, C-340/95, C-401/95 e 47/96, p. 52; Id., 27.9.2007, Teleos e aa., causa C-409/04, p. 58).

La Corte di Cassazione ha evidenziato, inoltre, anche un secondo importante aspetto dell’attuale pronuncia, specificando il valore probatorio della copia fotostatica in ambito processuale, affermando che l’orientamento costante prevede che “… l’art. 2719 c.c. esige l’espresso disconoscimento della conformità con l’originale delle copie fotografiche o fotostatiche: conseguentemente, la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta, tanto nella sua conformità all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione, se la parte comparsa non la disconosce, in modo specifico e non equivoco alla prima udienza ovvero nella prima risposta successiva alla sua produzione” (v. Sent.  n. 24841/2020; Cass. n. 882/2018; n. 4053/2018).

Nel processo tributario il valore probatorio della copia fotostatica è ancor più un tema di notevole importanza, dove sono senz’altro ammissibili, come prova documentale, i documenti prodotti in copia fotostatica. Ai sensi dell’art. 2719 del codice civile è previsto che “Le copie fotografiche di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la loro conformità con l’originale è attestata da pubblico ufficiale competente ovvero non è espressamente disconosciuta”.

In generale, la copia fotostatica di un documento non ha lo stesso valore probatorio dell’originale, poiché la legge attribuisce maggiore rilevanza ai documenti originali per garantire l’autenticità e l’integrità delle informazioni contenute; tuttavia, nel contesto del processo tributario la giurisprudenza e la prassi amministrativa hanno riconosciuto in alcune circostanze la possibilità di utilizzare copie fotostatiche come prova, a condizione che siano accompagnate da elementi che ne attestino l’affidabilità.

Inoltre, il principio del contraddittorio e il diritto di difesa delle parti possono influenzare la valutazione delle prove nel processo tributario. In sintesi, mentre la copia fotostatica non ha lo stesso valore probatorio dell’originale, può comunque essere utilizzata nel processo tributario, a condizione che siano rispettate determinate condizioni e che non vi siano contestazioni sulla sua autenticità, come peraltro indicato dalla Suprema Corte, in tema di applicazione dell’art. 2719 cod. civ., nella sentenza 28096 del 30 dicembre 2009, nella quale si legge che: “… perché possa aversi, infatti, disconoscimento idoneo è necessario che la parte, nei modi e termini di legge, renda una dichiarazione che – pur nel silenzio della norma predetta, che non richiede forme particolari -evidenzi in modo chiaro ed inequivoco gli elementi differenziali del documento prodotto rispetto all’originale di cui si assume sia copia, senza che possano considerarsi sufficienti, ai fini del ridimensionamento dell’efficacia probatoria, contestazioni generiche o onnicomprensive”.

Peraltro, la Suprema Corte ha ammesso, con unanime orientamento, la produzione in copia fotostatica di documenti, affermando che “… In tema di contenzioso tributario, ai sensi dell’art. 22, comma quarto, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, la produzione […] di documenti in copia fotostatica costituisce un mezzo idoneo per introdurre la prova nel processo”. […] La copia fotostatica di un documento ha lo stesso valore dell’originale e la sua stessa efficacia probatoria solo se la sua conformità all ‘originale non viene contestata dalla parte contro cui è prodotta, secondo il principio fissato dall’art. 2712 cod. civ., applicabile anche nel processo tributario”.( Cass., sent. n. 8108/2003 ) […] “ La copia fotostatica di un documento ha lo stesso valore dell’originale e la sua stessa efficacia probatoria solo se la sua conformità all’originale non viene contestata dalla parte contro cui è prodotta, secondo il principio fissato dall’art. 2712 cod. civ., applicabile anche nel processo tributario.  (v. Cass., sent. n. 16557/2019; Cass. sent. n. 4912/2017.

La giurisprudenza, dunque, inclusa quella in tema di processo tributario, ha così costantemente affermato che la copia fotostatica di un documento ha lo stesso valore dell’originale, e la sua stessa efficacia probatoria, solo se la sua conformità all’originale non viene contestata in modo chiaro e univoco dalla parte contro cui è prodotta, secondo il principio fissato dall’art. 2712, cod. civ.

Tanto premesso e ritornando alla vicenda oggi in dibattimento, un contribuente che ha ricevuto un preavviso di fermo amministrativo alla sua autovettura, ritenendolo non proporzionato, si è rivolto alla giustizia tributaria per ottenere giustizia.

Entrambe le Commissioni tributarie rigettano però il ricorso della parte contribuente, che così si rivolge agli Ermellini presentando quattro motivi per la cassazione della sentenza della CTR, in cui essenzialmente lamentava che la Commissione tributaria regionale aveva omesso di pronunciarsi circa l’efficacia interruttiva delle copie fotostatiche delle relate di notifica delle cartelle esattoriali, sottese ai provvedimenti impugnati, prodotte dal Concessionario della riscossione e, più nello specifico, per avere la Commissione tributaria regionale omesso di pronunciarsi sulla “eccepita abnormità dei provvedimenti coercitivi adottati dal Concessionario” rispetto al credito per il quale si procedeva, che ammontava a circa 4.000 euro, rispetto al valore del veicolo sottoposto a fermo (circa 30.000 euro). I Supremi giudici di legittimità, nel respingere le tesi difensive della parte contribuente, hanno peraltro ricordato che: “… 3.4. è orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui “l’art. 2719 c.c. esige l’espresso disconoscimento della conformità con l’originale delle copie fotografiche o fotostatiche: conseguentemente, la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta, tanto nella sua conformità all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione, se la parte comparsa non la disconosce, in modo specifico e non equivoco alla prima udienza ovvero nella prima risposta successiva alla sua produzione” (cfr. Cass. 6 novembre 2020, n. 24841; Cass. n.882/2018; n. 4053/2018);  3.5. perché possa aversi, infatti, disconoscimento idoneo è necessario che la parte, nei modi e termini di legge, renda una dichiarazione che -pur nel silenzio della norma predetta, che non richiede forme particolari-evidenzi in modo chiaro ed inequivoco gli elementi differenziali del documento prodotto rispetto all’originale di cui si assume sia copia, senza che possano considerarsi sufficienti, ai fini del ridimensionamento dell’efficacia probatoria, contestazioni generiche o onnicomprensive (cfr. in tal senso Cass. n. 28096 del 30/12/2009 in tema di applicazione dell’art. 2719 cod. civ.);  3.6. si è precisato da parte di questa Corte che la contestazione della conformità all’originale di un documento prodotto in copia non può avvenire con clausole di stile e generiche, quali “impugno e contesto” ovvero “contesto tutta la documentazione perché inammissibile ed irrilevante”, ma va operata – a pena di inefficacia – in modo chiaro e circostanziato, attraverso l’indicazione specifica sia del documento che si intende contestare, sia degli aspetti per i quali si assume differisca dall’originale (Cass., 3 aprile 2014, n. 7775; Cass., 13 dicembre 2017, n. 29993.  3.7. il disconoscimento di un documento in copia, ai sensi dell’art. 2719 cod. civ., deve essere specifico, quindi riferito ad una copia concretamente individuata e successivo, effettuato cioè dopo la produzione in giudizio della copia medesima (Cass. 30 gennaio 2006, n. 1991; Cass. 24841/2020, cit.);  3.8. peraltro, il disconoscimento della conformità di una copia fotostatica all’originale di una scrittura non ha gli stessi effetti del disconoscimento previsto dall’art. 215, comma 2, cod. proc. civ., perché mentre quest’ultimo, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo di questa, preclude l’utilizzazione della scrittura, il primo non impedisce che il giudice possa accertare la conformità all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni, al che consegue che l’avvenuta produzione in giudizio della copia fotostatica di un documento, se impegna la parte contro la quale il documento è prodotto a prendere posizione sulla conformità della copia all’originale, tuttavia non vincola il giudice all’avvenuto disconoscimento della riproduzione, potendo egli apprezzarne l’efficacia rappresentativa (cfr. Cass. 11.10.2018, n. 25292, cit.; in termini analoghi Cass., Sez. 5, 26.10.2020, n. 23426, nella quale si indicano alcuni modi esemplificativi della corretta proposizione del disconoscimento “il disconoscimento deve quindi ad es. contenere l’indicazione delle parti la cui copia sia materialmente contraffatta rispetto all’originale; oppure le parti mancanti e il loro contenuto; oppure, in alternativa, le parti aggiunte; a seconda dei casi, poi, la parte che disconosce deve anche offrire elementi, almeno indiziari, sul diverso contenuto che il documento presenta nella versione originale”; Cass. n. 21338 del 2022)  3.9. per completezza espositiva va poi osservato che, secondo questa Corte (cfr. Cass. 13.5.2014, n. 10326), non sussiste peraltro alcun onere probatorio dell’Agente per la riscossione avente ad oggetto l’esibizione in giudizio della copia delle cartelle nel loro contenuto integrale, nemmeno ai sensi dell’art. 26, comma 4, del D.P.R. n. 602 del 1973 – che, peraltro, ne prevede la conservazione in alternativa alla “matrice” (la quale è l’unico documento che resta nella disponibilità dell’Agente nel caso in cui opti per la notificazione della cartella di pagamento nelle forme ordinarie o comunque con messo notificatore, anziché con raccomandata con avviso di ricevimento)- alcuna norma prevedendo tale obbligo, né ricollegando alla sua omissione la sanzione di nullità della stessa e della relativa notificazione;   3.10. deve conseguentemente rilevarsi l’inammissibilità, per genericità, del disconoscimento operato dal contribuente della conformità agli originali della documentazione prodotta in copia fotostatica dalla Concessionaria afferente alla notificazione delle presupposte cartelle esattoriali, non avendo, peraltro, il contribuente dimostrato di avere indicato specificamente, negli atti difensivi del giudizio di merito, gli elementi o gli aspetti in contestazione o di dubbio sulla corrispondenza tra le copie e quanto riportato negli originali degli avvisi di spedizione o ricezione della raccomandata relativa alla notifica delle cartelle esattoriali, essendosi limitato a lamentare che si trattava di “deposito, da parte di Equitalia, di atti in copia fotostatica o meri fogli A4 con delle stampe prive di qualsiasi riconducibilità a documenti di leggi” (cfr. pag. 7 ricorso in cassazione);  3.11. la Commissione tributaria regionale ha quindi correttamente rilevato l’effetto interruttivo della prescrizione dei debiti sottesi ai provvedimenti impugnati in relazione alla dimostrata notifica delle cartelle esattoriali;  3.12. una volta accertata la regolare notifica della cartella prodromica, il contribuente, invero, non può più impugnare l’atto successivo – vale a dire il preavviso di fermo ed il Giurisprudenza fermo – lamentando vizi dell’atto divenuto definitivo, formulando l’eccezione di prescrizione e decadenza per mancata notifica nei termini di legge delle relative cartelle di pagamento, dovendo essa proporsi entro il termine di impugnazione di quest’ultime, decorso il quale, divengono definitive (Cass. n. 19010 del 16/07/2019);  3.13. il principio è stato successivamente ribadito da questa Corte affermando che “risulta evidente che qualsivoglia eccezione relativa ad atto impositivo divenuto definitivo, come quella di prescrizione del credito fiscale maturato precedentemente a tale notifica (nella specie, quale conseguenza della dedotta irregolarità della notifica al ricorrente della cartella di pagamento a questo diretta, come tale inidonea, secondo l’assunto del contribuente, ad interrompere il termine prescrizionale del tributo recato da detta cartella), è assolutamente preclusa, secondo il fermo principio della non impugnabilità se non per vizi propri di un atto successivo ad altro divenuto definitivo perché rimasto incontestato” (cfr. Cass. n. 3005/2020, in motiv.);  3.14. il preavviso di fermo che faccia seguito a un atto impositivo divenuto definitivo per mancata impugnazione, non integra dunque un nuovo e autonomo atto impositivo, con la conseguenza che, in base al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, esso resta sindacabile in giudizio solo per vizi propri e non per questioni attinenti all’atto da cui è sorto il debito, e tali ultimi vizi, dunque, non possono essere fatti valere con l’impugnazione del preavviso di fermo, salvo che il contribuente non sia venuto a conoscenza della pretesa impositiva solo con la notificazione dell’atto predetto (cfr. Cassazione, sentenze n. 16641 del 2011 e Cass. n. 8704 del 2013); 3.15. la scadenza del termine per proporre opposizione a cartella di pagamento determina, pertanto, la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione e produce l’effetto sostanziale dell’irretrattabilità del credito sotteso, pur senza determinare anche la cd. conversione dell’eventuale termine di prescrizione breve in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 cod. civ. (cfr. S.U. n. 23397/2016; Cass. n. 5060 del 2016), né peraltro il contribuente ha formulato alcuna specifica doglianza sul decorso del termine di prescrizione breve successivamente alla notifica delle suddette cartelle;  4.1. da ultimo, va parimenti disatteso il quarto motivo di ricorso;  4.2. questa Corte, in materia di fermo amministrativo, ha affermato che è irrilevante la notevole sproporzione tra il valore della sanzione ed il valore del bene sottoposto a fermo, dato che l’art. 86 del D.P.R. n. 602 del 1973 non prevede alcun limite di proporzionalità o di valore del credito tra i presupposti di applicabilità della misura (cfr. Cass. n. 22018 del 21/09/2017);  4.3. il Collegio ritiene, tuttavia, di non aderire a queste conclusioni ponendo in rilievo il profilo che riguarda la necessaria proporzionalità tra lo strumento di tutela offerto dall’ordinamento al creditore e l’ interesse del debitore che viene conseguentemente sacrificato;  4.4. è d’uopo invero evidenziare che sono immanenti nel diritto costituzionale italiano (cfr. Corte Costituzionale n. 467 del 19 dicembre 1991), così come nel diritto comunitario (art. 5 Trattato dell’Unione Europea), i principi di ragionevolezza e proporzionalità, che devono soprassedere l’esercizio dell’azione amministrativa (e dunque anche di quella rivolta alla riscossione dei crediti tributari), ed è peraltro degno di nota che per la giurisprudenza della Corte di Giustizia trattasi di principi generali del diritto Ue fondati sulle tradizioni giuridiche degli stessi Stati membri (cfr. Corte Ue, sentenza 8 marzo 2022, C-205/20); Giurisprudenza.  4.5. in particolare, il giudizio di ragionevolezza, lungi dal comportare il ricorso a criteri di valutazione assoluti e astrattamente prefissati, deve svolgersi attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi prescelti dall’Amministrazione rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti; 4.6. tali principi valgono, quindi, sia come criteri di interpretazione delle norme, sia come canoni di legittimità dell’azione del legislatore e dell’Amministrazione, e da ultimo hanno trovato espressa codificazione nel diritto tributario con l’art. 10 ter dello Statuto del Contribuente, introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera m) del D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 219 (“1. Il procedimento tributario bilancia la protezione dell’interesse erariale alla percezione del tributo con la tutela dei diritti fondamentali del contribuente, nel rispetto del principio di proporzionalità. 2. In conformità al principio di proporzionalità, l’azione amministrativa deve essere necessaria per l’attuazione del tributo, non eccedente rispetto ai fini perseguiti e non limitare i diritti dei contribuenti oltre quanto strettamente necessario al raggiungimento del proprio obiettivo. 3. Il principio di proporzionalità di cui ai commi 1 e 2 si applica anche alle misure di contrasto dell’elusione e dell’evasione fiscale e alle sanzioni tributarie”);  4.7. occorre, inoltre, evidenziare che in base all’art. 1 dello Statuto dei contribuenti, le disposizioni in esso contenute, “in attuazione delle norme della Costituzione, dei principi dell’ordinamento dell’Unione europea e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario, criteri di interpretazione della legislazione tributaria e si applicano a tutti i soggetti del rapporto tributario”;   4.8. anche la scelta da parte dell’agente della riscossione circa l’adozione di misure quali il fermo dei beni mobili registrati (art. 86 D.P.R. n. 602/1973) deve rispettare, dunque, tale parametro, dovendo essere ponderato il sacrificio imposto al contribuente con le esigenze della riscossione;  4.9. tali canoni devono ritenersi oggettivamente violati, con la ragionevolezza che abbia a sconfinare in arbitrio, quando, ad esempio, emergano significativi disequilibri nel sottoporre a fermo autoveicoli di consistente valore per assicurare la riscossione di crediti di limitatissimo importo;  4.10. nel caso in esame, non si versa, tuttavia, in siffatta ipotesi avendo lo stesso contribuente indicato che, a fronte di un credito di circa Euro 4.000,00, era stata sottoposta a fermo un’autovettura del valore di circa Euro 30.000,00, non sussistendo quindi un’evidente sproporzione tra l’importo del credito non assolto e il valore del bene minacciato dalla misura stessa; 5.1. da ultimo va dichiarato inammissibile la richiesta, avanzata dal ricorrente nella memoria difensiva da ultimo depositata, con la quale si chiede a questa Corte di “valutare l’applicabilità e l’impatto dell’art. 4 del Decreto Legge n.119/2018 convertito con legge n.136/2018 sopravvenuto in corso di causa”;  5.2. trattasi invero di istanza formulata in modo del tutto generico e priva dei necessari riferimenti agli specifici importi dei debiti sottesi all’atto impugnato nella presente sede, in violazione dunque del principio di specificità imposto dall’art. 366 cod. proc. civ.;  6. sulla scorta di quanto sin qui illustrato, il ricorso va integralmente respinto;”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 12 dicembre 2024, n. 32062

ha pronunciato la seguente ORDINANZA sul ricorso n. 22113-2017 R.G. proposto da:

A.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato GIUSEPPE D’AMATO giusta procura speciale a margine del ricorso e con domicilio eletto presso l’indirizzo di posta elettronica certificata del medesimo

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1222/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 14/2/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 25/9/2024 dal Consigliere Relatore Dott.ssa Antonella DELL’ORFANO.

Svolgimento del processo

A.A. propone ricorso, affidato a quattro motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione tributaria regionale della Campania aveva respinto l’appello avverso la sentenza n. 1358/2014 della Commissione tributaria provinciale di Salerno in rigetto dei ricorsi, riuniti, proposti avverso preavviso di fermo amministrativo e successivo provvedimento di fermo amministrativo sul veicolo di sua proprietà;

la Concessionaria (costituita in giudizio con la difesa erariale e con il patrocinio di difensore privato) resiste con controricorso;

il contribuente ha da ultimo depositato memoria difensiva.

Motivi della decisione

1. Preliminarmente va dichiarata inammissibile la costituzione in giudizio dell’Agenzia delle entrate riscossione a mezzo di difensore del libero foro (cfr. Cass. S.U. n. 30008/2019);

2.1. con il primo motivo il ricorrente denuncia, in rubrica, “ violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c. – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c.” per avere la Commissione tributaria regionale omesso di pronunciarsi circa l’efficacia interruttiva delle copie fotostatiche delle relate di notifica delle cartelle esattoriali, sottese ai provvedimenti impugnati, prodotte dalla Concessionaria;

2.2. con il secondo motivo il ricorrente denuncia, in rubrica, “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p. c. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.- violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 2719 c.c., 115 c.p.c. e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c. – violazione e falsa applicazione dell’art. 2943 c.c. in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.” per avere la Commissione tributaria regionale erroneamente ritenuto che la documentazione prodotta dal Concessionario “in mera copia fotostatica, fosse sufficiente a provare l’esistenza della notifica delle cartelle esattoriali sottese agli atti impugnati sia ai fini della regolarità del procedimento afflittivo emesso nei confronti del contribuente che ai fini della interruzione della prescrizione”;

2.3. con il terzo motivo il ricorrente denuncia, in rubrica, “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.- Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c. -Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2934, 2948 e 2953 c.c. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.” per avere la Commissione tributaria regionale erroneamente ritenuto “definitive le cartelle esattoriali… per non essere state impugnate nei termini di legge” pur non avendo il Concessionario provato la notifica delle suddette cartelle;

2.4. con il quarto motivo il ricorrente denuncia, in rubrica, “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c. – abnormità del fermo: violazione del principio di proporzionalità, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3, 42, 53 e 97 Cost. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c. – violazione dell’art. 77 D.P.R. n. 602/1973 in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c. – omesso esame circa un fatto decisivo per il Giurisprudenza giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c.” per avere la Commissione tributaria regionale omesso di pronunciarsi sulla “eccepita abnormità dei provvedimenti coercitivi adottati dal Concessionario” rispetto al credito per il quale si procedeva che ammontava a circa Euro 4.000,00 rispetto al valore del veicolo sottoposto a fermo (circa Euro 30.000,00);

3.1. il primo motivo va disatteso, con assorbimento del secondo e del terzo motivo;

3.2. va in primo luogo richiamato l’insegnamento di questa Corte secondo cui, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma secondo, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod. proc. civ. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (cfr. Cass. nn. 16171/2017, 2313/2010);

3.3. la questione posta con il primo motivo dell’odierno ricorso va quindi esaminata per verificare se possa essere decisa in astratto, prescindendo da riscontri fattuali, in quanto ove la risposta alla questione, posta nei motivi non esaminati dal Giudice d’appello, sia negativa, si potrebbe pervenire senz’altro alla definizione del giudizio in sede di legittimità, mentre la risposta positiva dovrebbe invece portare alla cassazione con rinvio, affinché il Giudice di merito verifichi in primo luogo la sussistenza o meno delle indicazioni necessarie a pena di nullità;

3.4. è orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui “l’art. 2719 c.c. esige l’espresso disconoscimento della conformità con l’originale delle copie fotografiche o fotostatiche: conseguentemente, la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta, tanto nella sua conformità all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione, se la parte comparsa non la disconosce, in modo specifico e non equivoco alla prima udienza ovvero nella prima risposta successiva alla sua produzione” (cfr. Cass. 6 novembre 2020, n. 24841; Cass. n.882/2018; n. 4053/2018);

3.5. perché possa aversi, infatti, disconoscimento idoneo è necessario che la parte, nei modi e termini di legge, renda una dichiarazione che -pur nel silenzio della norma predetta, che non richiede forme particolari-evidenzi in modo chiaro ed inequivoco gli elementi differenziali del documento prodotto rispetto all’originale di cui si assume sia copia, senza che possano considerarsi sufficienti, ai fini del ridimensionamento dell’efficacia probatoria, contestazioni generiche o onnicomprensive (cfr. in tal senso Cass. n. 28096 del 30/12/2009 in tema di applicazione dell’art. 2719 cod. civ.);

3.6. si è precisato da parte di questa Corte che la contestazione della conformità all’originale di un documento prodotto in copia non può avvenire con clausole di stile e generiche, quali “impugno e contesto” ovvero “contesto tutta la documentazione perché inammissibile ed irrilevante”, ma va operata – a pena di inefficacia – in modo chiaro e circostanziato, attraverso l’indicazione specifica sia del documento che si intende contestare, sia degli aspetti per i quali si assume differisca dall’originale (Cass., 3 aprile 2014, n. 7775; Cass., 13 dicembre 2017, n. 29993.

3.7. il disconoscimento di un documento in copia, ai sensi dell’art. 2719 cod. civ., deve essere specifico, quindi riferito ad una copia concretamente individuata e successivo, effettuato cioè dopo la produzione in giudizio della copia medesima (Cass. 30 gennaio 2006, n. 1991; Cass. 24841/2020, cit.);

3.8. peraltro, il disconoscimento della conformità di una copia fotostatica all’originale di una scrittura non ha gli stessi effetti del disconoscimento previsto dall’art. 215, comma 2, cod. proc. civ., perché mentre quest’ultimo, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo di questa, preclude l’utilizzazione della scrittura, il primo non impedisce che il giudice possa accertare la conformità all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni, al che consegue che l’avvenuta produzione in giudizio della copia fotostatica di un documento, se impegna la parte contro la quale il documento è prodotto a prendere posizione sulla conformità della copia all’originale, tuttavia non vincola il giudice all’avvenuto disconoscimento della riproduzione, potendo egli apprezzarne l’efficacia rappresentativa (cfr. Cass. 11.10.2018, n. 25292, cit.; in termini analoghi Cass., Sez. 5, 26.10.2020, n. 23426, nella quale si indicano alcuni modi esemplificativi della corretta proposizione del disconoscimento “il disconoscimento deve quindi ad es. contenere l’indicazione delle parti la cui copia sia materialmente contraffatta rispetto all’originale; oppure le parti mancanti e il loro contenuto; oppure, in alternativa, le parti aggiunte; a seconda dei casi, poi, la parte che disconosce deve anche offrire elementi, almeno indiziari, sul diverso contenuto che il documento presenta nella versione originale”; Cass. n. 21338 del 2022);

3.9. per completezza espositiva va poi osservato che, secondo questa Corte (cfr. Cass. 13.5.2014, n. 10326), non sussiste peraltro alcun onere probatorio dell’Agente per la riscossione avente ad oggetto l’esibizione in giudizio della copia delle cartelle nel loro contenuto integrale, nemmeno ai sensi dell’art. 26, comma 4, del D.P.R. n. 602 del 1973 – che, peraltro, ne prevede la conservazione in alternativa alla “matrice” (la quale è l’unico documento che resta nella disponibilità dell’Agente nel caso in cui opti per la notificazione della cartella di pagamento nelle forme ordinarie o comunque con messo notificatore, anziché con raccomandata con avviso di ricevimento)- alcuna norma prevedendo tale obbligo, né ricollegando alla sua omissione la sanzione di nullità della stessa e della relativa notificazione;

3.10. deve conseguentemente rilevarsi l’inammissibilità, per genericità, del disconoscimento operato dal contribuente della conformità agli originali della documentazione prodotta in copia fotostatica dalla Concessionaria afferente alla notificazione delle presupposte cartelle esattoriali, non avendo, peraltro, il contribuente dimostrato di avere indicato specificamente, negli atti difensivi del giudizio di merito, gli elementi o gli aspetti in contestazione o di dubbio sulla corrispondenza tra le copie e quanto riportato negli originali degli avvisi di spedizione o ricezione della raccomandata relativa alla notifica delle cartelle esattoriali, essendosi limitato a lamentare che si trattava di “deposito, da parte di Equitalia, di atti in copia fotostatica o meri fogli A4 con delle stampe prive di qualsiasi riconducibilità a documenti di leggi” (cfr. pag. 7 ricorso in cassazione);

3.11. la Commissione tributaria regionale ha quindi correttamente rilevato l’effetto interruttivo della prescrizione dei debiti sottesi ai provvedimenti impugnati in relazione alla dimostrata notifica delle cartelle esattoriali;

3.12. una volta accertata la regolare notifica della cartella prodromica, il contribuente, invero, non può più impugnare l’atto successivo – vale a dire il preavviso di fermo ed il Giurisprudenza fermo – lamentando vizi dell’atto divenuto definitivo, formulando l’eccezione di prescrizione e decadenza per mancata notifica nei termini di legge delle relative cartelle di pagamento, dovendo essa proporsi entro il termine di impugnazione di quest’ultime, decorso il quale, divengono definitive (Cass. n. 19010 del 16/07/2019);

3.13. il principio è stato successivamente ribadito da questa Corte affermando che “risulta evidente che qualsivoglia eccezione relativa ad atto impositivo divenuto definitivo, come quella di prescrizione del credito fiscale maturato precedentemente a tale notifica (nella specie, quale conseguenza della dedotta irregolarità della notifica al ricorrente della cartella di pagamento a questo diretta, come tale inidonea, secondo l’assunto del contribuente, ad interrompere il termine prescrizionale del tributo recato da detta cartella), è assolutamente preclusa, secondo il fermo principio della non impugnabilità se non per vizi propri di un atto successivo ad altro divenuto definitivo perché rimasto incontestato” (cfr. Cass. n. 3005/2020, in motiv.);

3.14. il preavviso di fermo che faccia seguito a un atto impositivo divenuto definitivo per mancata impugnazione, non integra dunque un nuovo e autonomo atto impositivo, con la conseguenza che, in base al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, esso resta sindacabile in giudizio solo per vizi propri e non per questioni attinenti all’atto da cui è sorto il debito, e tali ultimi vizi, dunque, non possono essere fatti valere con l’impugnazione del preavviso di fermo, salvo che il contribuente non sia venuto a conoscenza della pretesa impositiva solo con la notificazione dell’atto predetto (cfr. Cassazione, sentenze n. 16641 del 2011 e Cass. n. 8704 del 2013);

3.15. la scadenza del termine per proporre opposizione a cartella di pagamento determina, pertanto, la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione e produce l’effetto sostanziale dell’irretrattabilità del credito sotteso, pur senza determinare anche la cd. conversione dell’eventuale termine di prescrizione breve in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 cod. civ. (cfr. S.U. n. 23397/2016; Cass. n. 5060 del 2016), né peraltro il contribuente ha formulato alcuna specifica doglianza sul decorso del termine di prescrizione breve successivamente alla notifica delle suddette cartelle;

4.1. da ultimo, va parimenti disatteso il quarto motivo di ricorso;

4.2. questa Corte, in materia di fermo amministrativo, ha affermato che è irrilevante la notevole sproporzione tra il valore della sanzione ed il valore del bene sottoposto a fermo, dato che l’art. 86 del D.P.R. n. 602 del 1973 non prevede alcun limite di proporzionalità o di valore del credito tra i presupposti di applicabilità della misura (cfr. Cass. n. 22018 del 21/09/2017);

4.3. il Collegio ritiene, tuttavia, di non aderire a queste conclusioni ponendo in rilievo il profilo che riguarda la necessaria proporzionalità tra lo strumento di tutela offerto dall’ordinamento al creditore e l’ interesse del debitore che viene conseguentemente sacrificato;

4.4. è d’uopo invero evidenziare che sono immanenti nel diritto costituzionale italiano (cfr. Corte Costituzionale n. 467 del 19 dicembre 1991), così come nel diritto comunitario (art. 5 Trattato dell’Unione Europea), i principi di ragionevolezza e proporzionalità, che devono soprassedere l’esercizio dell’azione amministrativa (e dunque anche di quella rivolta alla riscossione dei crediti tributari), ed è peraltro degno di nota che per la giurisprudenza della Corte di Giustizia trattasi di principi generali del diritto Ue fondati sulle tradizioni giuridiche degli stessi Stati membri (cfr. Corte Ue, sentenza 8 marzo 2022, C-205/20); Giurisprudenza;

4.5. in particolare, il giudizio di ragionevolezza, lungi dal comportare il ricorso a criteri di valutazione assoluti e astrattamente prefissati, deve svolgersi attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi prescelti dall’Amministrazione rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti;

4.6. tali principi valgono, quindi, sia come criteri di interpretazione delle norme, sia come canoni di legittimità dell’azione del legislatore e dell’Amministrazione, e da ultimo hanno trovato espressa codificazione nel diritto tributario con l’art. 10 ter dello Statuto del Contribuente, introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera m) del D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 219 (“1. Il procedimento tributario bilancia la protezione dell’interesse erariale alla percezione del tributo con la tutela dei diritti fondamentali del contribuente, nel rispetto del principio di proporzionalità. 2. In conformità al principio di proporzionalità, l’azione amministrativa deve essere necessaria per l’attuazione del tributo, non eccedente rispetto ai fini perseguiti e non limitare i diritti dei contribuenti oltre quanto strettamente necessario al raggiungimento del proprio obiettivo. 3. Il principio di proporzionalità di cui ai commi 1 e 2 si applica anche alle misure di contrasto dell’elusione e dell’evasione fiscale e alle sanzioni tributarie”);

4.7. occorre, inoltre, evidenziare che in base all’art. 1 dello Statuto dei contribuenti, le disposizioni in esso contenute, “in attuazione delle norme della Costituzione, dei principi dell’ordinamento dell’Unione europea e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario, criteri di interpretazione della legislazione tributaria e si applicano a tutti i soggetti del rapporto tributario”;

4.8. anche la scelta da parte dell’agente della riscossione circa l’adozione di misure quali il fermo dei beni mobili registrati (art. 86, D.P.R. n. 602/1973) deve rispettare, dunque, tale parametro, dovendo essere ponderato il sacrificio imposto al contribuente con le esigenze della riscossione;

4.9. tali canoni devono ritenersi oggettivamente violati, con la ragionevolezza che abbia a sconfinare in arbitrio, quando, ad esempio, emergano significativi disequilibri nel sottoporre a fermo autoveicoli di consistente valore per assicurare la riscossione di crediti di limitatissimo importo;

4.10. nel caso in esame, non si versa, tuttavia, in siffatta ipotesi avendo lo stesso contribuente indicato che, a fronte di un credito di circa Euro 4.000,00, era stata sottoposta a fermo un’autovettura del valore di circa Euro 30.000,00, non sussistendo quindi un’evidente sproporzione tra l’importo del credito non assolto e il valore del bene minacciato dalla misura stessa;

5.1. da ultimo va dichiarato inammissibile la richiesta, avanzata dal ricorrente nella memoria difensiva da ultimo depositata, con la quale si chiede a questa Corte di “valutare l’applicabilità e l’impatto dell’art. 4 del Decreto Legge n.119/2018 convertito con legge n.136/2018 sopravvenuto in corso di causa”;

5.2. trattasi invero di istanza formulata in modo del tutto generico e priva dei necessari riferimenti agli specifici importi dei debiti sottesi all’atto impugnato nella presente sede, in violazione dunque del principio di specificità imposto dall’art. 366 cod. proc. civ.;

6. sulla scorta di quanto sin qui illustrato, il ricorso va integralmente respinto;

7. le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

dichiara inammissibile la costituzione in giudizio dell’Agenzia delle entrate riscossione a mezzo di difensore del libero foro;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio in favore dell’Agenzia delle entrate riscossione che liquida in Euro 1.500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, tenutasi in modalità da remoto, della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, in data 25 settembre 2024

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