CASSAZIONE IVA

Fatture inesistenti e buona fede del contribuente

Tributi – Imposta sul Valore Aggiunto (IVA) – Azienda agricola – Obblighi dei contribuenti – Fatturazione delle operazioni – In genere – Diritto alla detrazione – Cessione di impianti meccanizzati e successivo riacquisto nel medesimo periodo d’imposta – Operazioni inesistenti sotto il profilo soggettivo e oggettivo – Addebito imposta e irrogazione sanzioni

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14614 del 29 maggio 2019 è intervenuta in un caso di operazioni oggettivamente inesistenti, finalizzate al conseguimento di agevolazioni creditizie e contributive, per confermare che se viene emessa fattura per operazioni inesistenti l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura.

E’ noto che nell’ambito generale della frode fiscale, attuata mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti è rilevante, sotto il profilo sanzionatorio, indicare le eventuali responsabilità dell’acquirente e se lo stesso cessionario risulti o meno di essere consapevole di prendere parte al sistema evasivo.

Si può dire che il nucleo della frode sta nel fatto che solitamente le merci non si muovono realmente, ma solo “sulla carta”: una prima società vende (fittiziamente) a una seconda, che ha il compito vero e proprio di innescare il “carosello”. Infatti questa società – detta “cartiera” perché produce vendite solo cartacee – generalmente non esiste, possiede solo una partita IVA ma è priva di una sede e il suo rappresentante legale è un soggetto pagato per farsi intestare i recapiti societari. Da qui l’identificazione del reato come “frode carosello”.

L’ordinamento giuridico di contrasto a questi reati contiene particolari previsioni che puniscono penalmente chi acquista beni o servizi, ad esempio, da società denominate ”cartiere”, identificabili come quei soggetti economici che non hanno dipendenti, non hanno una reale struttura operativa, non versano le imposte dovute e operano come meri interposti nella transazione economica, al solo scopo di creare un credito IVA inesistente nei confronti dell’acquirente finale.

Sempre muovendoci in un ambito generale del reato, rammentiamo che  l’articolo 2, D.lgs. 74/2000, sanziona ai fini penali–tributari con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti indica, in una delle dichiarazioni relative a dette imposte, elementi passivi fittizi con lo scopo di erodere la base imponibile ai fini delle imposte sui redditi e, simmetricamente, conseguire un credito IVA inesistente.

Ci riferiamo anche al tema  relativo alla deducibilità dei costi da reato, che con  l’articolo 8 del D.L. 16/2012, recante ”Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento”, ha inserito notevoli dispositivi in tema di indeducibilità dei costi e delle spese dei beni o delle prestazioni di servizi direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo, nonché in materia di sanzionabilità dell’utilizzo di componenti reddituali negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, modificando contestualmente l’articolo 14, comma 4-bis, L. 537/1993.

La distinzione tra fatture oggettivamente e soggettivamente inesistenti assume un carattere dirimente, in quanto può comportare un differente trattamento fiscale ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto, come peraltro confermato dall’Agenzia delle entrate con la circolare 32/E/2012.

Quindi, i costi relativi all’acquisizione di beni o servizi che, sebbene documentati da fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, non siano stati utilizzati per il compimento di alcun reato, risulteranno deducibili dal reddito d’impresa, qualora ovviamente ricorrano i requisiti generali di deducibilità dei costi previsti dall’articolo 109, TUIR (competenza, inerenza, certezza e obiettiva determinabilità delle spese sostenute).

Infatti, come chiarito dalla circolare 32/E/2012, anche in presenza del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (di cui all’articolo 2, D.lgs. 74/2000), il costo esposto nella fattura c.d. “soggettivamente inesistente” non rappresenta, solo per tale motivo, quello dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per la commissione del reato stesso. Tali concetti sono stati confermati anche dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 53637/18 del 29/11/2018 la quale, tuttavia, ha affermato un importante principio: la consapevolezza dell’acquirente di prendere parte a una frode, anche in tema di fatture soggettivamente inesistenti, può comportare l’indeducibilità dei costi sostenuti.

Tanto premesso, e tornando al caso in questione che presenta alcune particolarità interessanti, l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale che aveva disposto l’annullamento di un avviso di accertamento su un’azienda agricola, con cui era stata recuperata l’IVA asseritamente non versata e  relativa alla cessione di impianti meccanizzati, affermando l’apparenza della motivazione nella parte in cui ha ritenuto insussistente l’obbligo del versamento dell’IVA da parte di colui che appare cedente di un’operazione oggettivamente inesistente e sopratutto la contraddittorietà della stessa, nella parte in cui ha escluso la frode della società contribuente.

La stessa Avvocatura erariale poneva l’accento di censura su questo ultimo punto, stigmatizzando la sentenza dei giudici tributari per aver ritenuto insussistente la pretesa erariale nonostante l’evidente presenza di operazioni oggettivamente inesistenti.

Corte di Cassazione – Sentenza 29 maggio 2019, n. 14614

Sul ricorso iscritto al n. 8730/2014R.G. proposto da

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12

– ricorrente-

contro Azienda Agricola C. s.s., in persona del legale rappresentante pro tempore

– intimato –

avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Puglia, n. 47/15/13, depositata iI27 settembre 2013.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 16 aprile 2019da1 Consigliere Paolo Catallozzi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Stanislao De Matteis, che ha concluso chiedendo li l’accoglimento del ricorso; udito l’avv. Cinzia Melillo, per la ricorrente 

Fatti di causa

1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Puglia, depositata il 27 settembre 2013, di reiezione dell’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto dall’Azienda Agricola C. s.s. per l’annullamento di un avviso di accertamento con cui era stata recuperata l’I.V.A. asseritamente non versata per l’anno 2005, relativamente alla cessione di impianti meccanizzati, considerato indetraibile, con riferimento al medesimo periodo di imposta, l’I.V.A. assolta in relazione all’acquisto dei medesimi beni, e irrogate le relative sanzioni.

2. Dall’esame della sentenza impugnata si evince che con l’atto impositivo impugnato l’Ufficio ha contestato l’inesistenza, sotto il profilo soggettivo e oggettivo, delle menzionate operazioni.

2.1. In essa si dà atto che il giudice di primo grado ha ritenuto che le operazioni rappresentate nelle fatture in oggetto fossero inesistenti, ma ha escluso la riferibilità del comportamento elusivo alla contribuente, la quale avrebbe operato in buona fede, nella convinzione che per ottenere il finanziamento pubblico previsto dalla L. 28 novembre 1965, n. 1329, fosse necessario procedere alla vendita ed al successivo acquisto di beni strumentali.

2.2. Il giudice di appello ha confermato la decisione di primo grado evidenziando che la contribuente era, al tempo stesso, cedente e cessionario del medesimo bene, per cui l’importo dell’I.V.A. dovuto in relazione alle due operazioni era neutralizzato per effetto dell’operatività del sistema delle rivalse e delle detrazioni; con la conseguenza che l’accoglimento della tesi dell’Amministrazione finanziaria avrebbe comportato la duplicazione del versamento dell’I.V.A., in violazione del principio di neutralità dell’imposta.

Ha aggiunto che non ricorreva una condotta fraudolenta della contribuente, non emergendo la finalità di evadere o di realizzare un credito d’imposta inesistente, quanto quello di conseguire agevolazioni creditizie e contributive.

3. Il ricorso è affidato ad un unico motivo.

4. L’azienda Agricola C. s.s. non spiega alcuna attività difensiva.

Ragioni della decisione

1. Con l’unico motivo di ricorso proposto l’Agenzia deduce la violazione degli artt. 19 e 21, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, 2700 c.c., e 36, secondo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché l’omessa conservazione di un fatto decisivo, ai sensi dell’articolo 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, c.p.c.

Evidenzia, da un lato, l’apparenza della motivazione nella parte in cui ha ritenuto insussistente l’obbligo del versamento dell’Iva da parte di colui che appare cedente di un’operazione oggettivamente inesistente e la contraddittorietà della stessa nella parte in cui ha escluso la frode della società contribuente. Dall’altro lato, censura la sentenza per aver ritenuto insussistente la pretesa erariale pur in presenza di operazioni oggettivamente inesistenti.

1.1. Il motivo è fondato.

Ai sensi degli artt. 10, par. 2, e 17, paragrafo 1, della sesta direttiva 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, applicabile alle operazioni in esame ratione temporis, il diritto alla detrazione nasce quando l’imposta detraibile diventa esigibile, ossia all’atto della cessione di beni o della prestazione di servizi.

Da ciò consegue che il diritto a detrazione è legato alla realizzazione effettiva della cessione di beni o della prestazione di servizi di cui trattasi, per cui in difetto della cessione effettiva dei beni o della prestazione dei servizi un siffatto diritto non può sorgere, non essendo sufficiente la sua indicazione della relativa fattura.

Ne consegue che il diritto alla detrazione è subordinato alla condizione che le operazioni corrispondenti siano state effettivamente realizzate, non ostandovi il principio della neutralità fiscale, il quale, costituendo la traduzione del principio generale della parità di trattamento, consente un trattamento differenziato degli operatori economici per l’assenza di operazioni imponibili rispetto a quelli che hanno posto in essere un’operazione imponibile effettivamente realizzata (cfr. Corte UE, 27 giugno 2018, SGI).

Può aggiungersi, inoltre, che il principio della neutralità fiscale non osta al diniego di detrarre l’IVA a monte opposto al destinatario di una fattura, a causa dell’assenza di un’operazione imponibile, anche se, nell’avviso di accertamento in rettifica indirizzato all’emittente della fattura, l’IVA dichiarata da quest’ultimo non è stata rettificata (Corte UE, 31 gennaio 2013, LVK).

Il diritto alla detrazione dell’I.V.A. richiede, dunque, quale sua condizione sostanziale, che l’operazione imponibile sia effettivamente realizzata, indipendentemente dagli scopi e dai risultati della stessa, per cui l’amministrazione tributaria non è obbligata a procedere ad indagini per accertare la volontà del soggetto passivo, o a tener conto dell’intenzione di un operatore, diverso da tale soggetto passivo, che intervenga nella stessa catena di cessioni (cfr. Corte UE, 27 giugno 2018, SGI; Corte UE, 21 novembre 2013, Dixons Retail).

La buona o la malafede del soggetto passivo che chiede la detrazione dell’IVA non incide, infatti, sulla questione se la cessione sia effettuata, ai sensi dell’articolo 10, par. 2, della sesta direttiva.

Sotto altro aspetto può osservarsi che, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede dell’operatore, che sa certamente se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo (così, Cass., ord., 14 settembre 2016, n. 18118).

1.2. Con riferimento alla pretesa erariale concernente il versamento dell’I.V.A. esposta nella fattura di vendita, si rileva che l’art. 21, settimo comma, d.P.R. n. 633 del 1972, stabilisce che «Se viene emessa fattura per operazioni inesistenti l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura».

Infatti, la semplice emissione del documento contabile, completo in tutti i suoi elementi formali, in quanto suscettibile di essere utilizzato a fini fiscali – o ad altri fini giuridicamente rilevanti – ove non sia stato tempestivamente eliminato e sottratto al commercio giuridico determina l’insorgenza del rapporto impositivo (cfr. Cass., ord., 14 febbraio 2019, n. 4344; Cass. 27 maggio 2015, n. 10939).

Ciò non si pone in contrasto con il principio di neutralità dell’IVA in quanto l’art. 21, n. 1, lett. c), della sesta direttiva, laddove prevede che l’IVA esposta nella fattura sia dovuta indipendentemente da qualsiasi obbligo di versarla in ragione di un’operazione soggetta ad IVA, mira ad eliminare il rischio di perdita di gettito fiscale che può derivare dal diritto a detrazione previsto all’art. 17 della sesta direttiva, prevalendo, dunque, la funzione ripristinatoria conseguente all’eliminazione dell’anomalia creata in difetto di rettifica od annullamento della fattura concernente dati difformi dalla realtà dell’operazione economica (cfr. Corte UE, 31 gennaio 2013, Stroy Trans; Corte UE, 18 giugno 2009, Stadeco).

Pertanto, l’emittente della fattura è tenuto, quale soggetto passivo, a versare l’IVA ivi liquidata nel caso in cui non abbia tempestivamente provveduto ad avvalersi della specifica disciplina predisposta per emendare gli errori concernenti la emissione o la indicazione dei dati riportati nella fattura, a meno che risulti che sia stato in tempo utile definitivamente eliminato qualsiasi rischio di perdita del gettito fiscale, derivante dall’esercizio del diritto alla detrazione (o al rimborso).

2. La sentenza impugnata va, dunque, cassata e rinviata, anche per le spese alla Commissione tributaria regionale della Puglia.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Puglia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 16 aprile 2019.

La tesi del Fisco è stata confermata dagli Ermellini, che nel richiamare anche la giurisprudenza comunitaria in materia hanno stabilito che “Ai sensi degli artt. 10, par. 2, e 17, paragrafo 1, della sesta direttiva 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, applicabile alle operazioni in esame ratione temporis, il diritto alla detrazione nasce quando l’imposta detraibile diventa esigibile, ossia all’atto della cessione di beni o della prestazione di servizi. Da ciò consegue che il diritto a detrazione è legato alla realizzazione effettiva della cessione di beni o della prestazione di servizi di cui trattasi, per cui in difetto della cessione effettiva dei beni o della prestazione dei servizi un siffatto diritto non può sorgere, non essendo sufficiente la sua indicazione della relativa fattura. Ne consegue che il diritto alla detrazione è subordinato alla condizione che le operazioni corrispondenti siano state effettivamente realizzate, non ostandovi il principio della neutralità fiscale, il quale, costituendo la traduzione del principio generale della parità di trattamento, consente un trattamento differenziato degli operatori economici per l’assenza di operazioni imponibili rispetto a quelli che hanno posto in essere un’operazione imponibile effettivamente realizzata (cfr. Corte UE, 27 giugno 2018, SGI). Può aggiungersi, inoltre, che il principio della neutralità fiscale non osta al diniego di detrarre l’IVA a monte opposto al destinatario di una fattura, a causa dell’assenza di un’operazione imponibile, anche se, nell’avviso di accertamento in rettifica indirizzato all’emittente della fattura, l’IVA dichiarata da quest’ultimo non è stata rettificata (Corte UE, 31 gennaio 2013, LVK). Il diritto alla detrazione dell’I.V.A. richiede, dunque, quale sua condizione sostanziale, che l’operazione imponibile sia effettivamente realizzata, indipendentemente dagli scopi e dai risultati della stessa, per cui l’amministrazione tributaria non è obbligata a procedere ad indagini per accertare la volontà del soggetto passivo, o a tener conto dell’intenzione di un operatore, diverso da tale soggetto passivo, che intervenga nella stessa catena di cessioni (cfr. Corte UE, 27 giugno 2018, SGI; Corte UE, 21 novembre 2013, Dixons Retail). La buona o la malafede del soggetto passivo che chiede la detrazione dell’IVA non incide, infatti, sulla questione se la cessione sia effettuata, ai sensi dell’articolo 10, par. 2, della sesta direttiva. Sotto altro aspetto può osservarsi che, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede dell’operatore, che sa certamente se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo (così, Cass., ord., 14 settembre 2016, n. 18118). 1.2. Con riferimento alla pretesa erariale concernente il versamento dell’I.V.A. esposta nella fattura di vendita, si rileva che l’art. 21, settimo comma, d.P.R. n. 633 del 1972, stabilisce che «Se viene emessa fattura per operazioni inesistenti l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura». Infatti, la semplice emissione del documento contabile, completo in tutti i suoi elementi formali, in quanto suscettibile di essere utilizzato a fini fiscali – o ad altri fini giuridicamente rilevanti – ove non sia stato tempestivamente eliminato e sottratto al commercio giuridico determina l’insorgenza del rapporto impositivo (cfr. Cass., ord., 14 febbraio 2019, n. 4344; Cass. 27 maggio 2015, n. 10939). Ciò non si pone in contrasto con il principio di neutralità dell’IVA in quanto l’art. 21, n. 1, lett. c), della sesta direttiva, laddove prevede che l’IVA esposta nella fattura sia dovuta indipendentemente da qualsiasi obbligo di versarla in ragione di un’operazione soggetta ad IVA, mira ad eliminare il rischio di perdita di gettito fiscale che può derivare dal diritto a detrazione previsto all’art. 17 della sesta direttiva, prevalendo, dunque, la funzione ripristinatoria conseguente all’eliminazione dell’anomalia creata in difetto di rettifica od annullamento della fattura concernente dati difformi dalla realtà dell’operazione economica (cfr. Corte UE, 31 gennaio 2013, Stroy Trans; Corte UE, 18 giugno 2009, Stadeco). Pertanto, l’emittente della fattura è tenuto, quale soggetto passivo, a versare l’IVA ivi liquidata nel caso in cui non abbia tempestivamente provveduto ad avvalersi della specifica disciplina predisposta per emendare gli errori concernenti la emissione o la indicazione dei dati riportati nella fattura, a meno che risulti che sia stato in tempo utile definitivamente eliminato qualsiasi rischio di perdita del gettito fiscale, derivante dall’esercizio del diritto alla detrazione (o al rimborso)”.

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