CASSAZIONE

Evasione fiscale: a volte non scatta il penale

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20897 del 3 maggio 2017, intervenendo in tema di omessa dichiarazione fiscale ha affermato che ai fini della verifica del superamento della soglia di rilevanza penale – fissata dall’art. 5, D.Lgs. n. 74/2000 – non può ritenersi sufficiente il limitarsi al riferimento dell’accertamento svolto dalla Guardia di finanza, peraltro elaborato con metodo analitico-induttivo.

Ricordiamo in proposito che l’art. 5, come modificato dalla normativa introdotta con il D.Lgs. 158/2015, prevede che il reato di omessa dichiarazione si compia ogni qualvolta un contribuente, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenti una delle dichiarazioni relative a dette imposte e l’imposta evasa sia superiore a € 50.000 (in precedenza € 30.000), con riferimento a ogni singolo tributo. La sanzione si applica anche al modello 770, per ritenute non versate superiori a € 50.000, con reclusione da 1 anno e 6 mesi a 4 anni.

Inoltre, nei casi in cui l’evasione fiscale diventa reato quando supera tali soglie – quindi nel caso trattato dagli Ermellini che riguarda il reato di omessa dichiarazione – dovrebbe essere presente anche il dolo specifico di evasione: in altre parole, non è sufficiente solo l’effettiva evasione superiore al quantum previsto dalla norma, ma bisogna avere la prova che l’omessa dichiarazione fosse preordinata proprio all’evasione dell’imposta e per le quantità superiori alla soglia di cui al citato art. 5, D.Lgs. 74/2000. Ricordiamo peraltro la vasta giurisprudenza prodotta dalla stessa Cassazione in merito alla tematica ricorrente della natura delle soglie di punibilità nel contesto della struttura dei reati tributari.

In particolare, si è riproposta l’alternativa qualificatoria tra elemento costitutivo e condizione obiettiva di punibilità del reato. Rilevanti sono le conseguenze dell’opzione prescelta, anzitutto per la diversa portata del dolo e per l’incidenza sul trattamento sanzionatorio.

Nelle pronunce riferite alla questione di interesse, la Corte regolatrice si è schierata, in termini unanimi, a favore della qualificazione delle soglie di punibilità “quantitative” nei termini di elementi costitutivi dei reati tributari che le prevedono (in tal senso, tra le altre, cfr. Cass. Pen., Sez. 3, n. 3098 del 05/11/2015 Ud., dep. 25/01/2016, Rv. 265938, est. Di Nicola, per il reato ex art. 10-bis d.lgs. n. 74/2000; Cass. Pen., Sez. 3, Sentenza n. 9936 del 19/01/2016 Ud., dep. 10/03/2016, Rv. 266631, est. Scarcella, per il reato ex art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000; Cass. Pen., Sez. 3, Sentenza n. 891 del 11/11/2015 Ud., dep. 13/01/2016, est. Mengoni).

La Cassazione ha ritenuto di dare continuità al diverso orientamento che individua nella soglia di punibilità un elemento costitutivo del reato pervenendo, ad esempio, alla conclusione che la sua mancata integrazione nel delitto di cui all’art. 10-ter, D.Lgs. 74/2000 comporta l’assoluzione con la formula “il fatto non sussiste” (Sez. 3, n. 36859 del 26/06/2014, Bottaro, Rv. 260187), esigendo altresì la prova che il soggetto attivo del reato abbia consapevolezza che il tributo evaso supera la soglia di punibilità individuata dalla disposizione incriminatrice (Sez. 3, n. 12248 del 22/01/2014, Faotto, Rv. 259806).

Anche le Sezioni Unite avevano affermato, invero, che, “per la commissione del reato ex art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, è sufficiente la coscienza e volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato e tale coscienza e volontà deve investire anche la soglia di punibilità, che è un elemento costitutivo del fatto, contribuendo a definirne il disvalore (Sez. U, n. 37424 del 28/03/2013, Romano, non mass. sul punto, in motiv. § 6) (così Cass. Pen., n. 3089/2016, cit., in motivazione)”.

Si tratta di opzione interpretativa che la Cassazione, dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 158/2015, ha ribadito senza incertezze per le fattispecie tributarie con soglie di punibilità, completando queste ultime la realizzazione della condotta punibile e dunque partecipando pienamente all’integrazione giuridica della fattispecie penale.

Nel riprendere il caso di specie, ricordiamo che la vicenda riguarda un contribuente accusato del reato di omessa dichiarazione, che condannato dal Tribunale aveva subito la confisca per equivalente, ai sensi dell’art. 322-ter cod. pen. Condanna, peraltro, confermata in sede di ricorso, perché i Giudici avevano ritenuto non necessaria una perizia contabile per determinare la base di reddito imponibile, reputando già soddisfacente l’accertamento svolto dalla Guardia di Finanza.

Gli Ermellini, investiti dalla questione, hanno ritenuto invece fondato il ricorso proposto dal contribuente, e in particolare hanno voluto sottolineare il mancato espletamento, nel giudizio di merito, di una perizia contabile per determinare la base imponibile da considerare ai fini del reato in contestazione: perizia oltremodo necessaria per accertare i costi legati all’espletamento dell’attività professionale dell’imputato. Inoltre, doveva essere rilevata la negligenza del professionista incaricato di compilare e trasmettere le dichiarazioni in contestazione, circostanza da valutare alla luce dell’emissione di tutte le fatture, anche nei confronti di soggetti tenuti al pagamento della ritenuta d’acconto e alla presentazione del Mod. 770. Inoltre, i giudici di legittimità avevano ritenuto che i costi non erano stati per nulla considerarti in sede di determinazione del reddito con metodo analitico-induttivo.

Ad avviso della Suprema Corte, quindi, sussiste il vizio di motivazione denunciato dal ricorrente, osservando inoltre che “… la Corte territoriale si è limitata a rilevare la sufficienza dell’accertamento eseguito dalla Guardia di Finanza, senza dare conto del suo contenuto e dei criteri adottati per addivenire alla determinazione della base imponibile, né della considerazione della incidenza sulla stessa dei costi connessi alla attività professionale svolta dall’imputato, omettendo, anzi, di dedurre da essa le anticipazioni di diritti, imposte e tasse perché gravanti sui clienti, senza altro specificare a proposito della natura di tali costi (in particolare delle imposte e delle tasse) e della certezza del loro recupero, mentre per determinare l’ammontare dell’imposta evasa avrebbe dovuto contrapporre ricavi e costi di esercizio detraibili (cfr. Sez. 3, n. 15899 del 02/03/2016, Colletta, Rv. 266817). Considerazioni in parte analoghe possono essere svolte per quanto riguarda la adeguatezza della motivazione della sentenza impugnata a proposito dell’elemento soggettivo del residuo reato ascritto all’imputato, giacché anche a questo proposito la Corte territoriale, nonostante la prospettazione di un elemento logicamente incompatibile con il dolo specifico di evasione (e cioè l’emissione da parte del ricorrente di tutte le fatture relative alla propria attività professionale, anche nei confronti di soggetti tenuti al pagamento della ritenuta d’acconto e alla presentazione del modello 770 in qualità di sostituti di imposta), e dell’affidamento a un terzo dell’incarico di predisporre e presentare la dichiarazione dei redditi, non ha considerato affatto il primo aspetto e si è limitata ad affermare l’irrilevanza dell’affidamento di detto incarico, omettendo tuttavia di considerare la necessità dell’accertamento della ricorrenza di elementi fattuali dimostrativi che il soggetto obbligato ha consapevolmente preordinato l’omessa dichiarazione all’evasione dell’imposta per quantità superiori alla soglia di rilevanza penale (Sez. 3, n. 37856 del 18/06/2015, Porzio, Rv. 265087; Sez. 3, n. 18936 del 19/01/2016, Vece, Rv. 267022, secondo cui occorre, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 5 d.lgs. 74/2000, la piena consapevolezza, da parte del soggetto obbligato, dell’esatto ammontare dell’imposta dovuta).

Ne consegue, anche sotto tale profilo, l’insufficienza della motivazione riguardo alla sussistenza sia del dolo specifico di evasione, sia della consapevolezza dell’ammontare dell’imposta evasa e del superamento della soglia di rilevanza penale. La fondatezza di tali censure, rimanendo assorbite quelle relative al trattamento sanzionatorio e alla confisca, determinerebbe la necessità di un nuovo esame su tali punti da parte del giudice di merito, precluso, tuttavia, dal compimento del termine massimo di prescrizione, verificatosi, tenendo conto della sospensione del corso di tale termine per tre mesi e 23 giorni, il 24 luglio 2016: la sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata senza rinvio, per essere anche il residuo reato di cui al capo 4) della rubrica estinto per prescrizione. Ciò determina anche l’inefficacia della disposta confisca, travolta anch’essa dall’annullamento senza rinvio, stante il suo carattere afflittivo e sanzionatorio (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264435)”.

 

CORTE DI CASSAZIONE Sentenza n. 20897 del 03 maggio 2017

Ritenuto in fatto

  1. Con sentenza del 19 novembre 2013 il Tribunale di Roma condannò S.P. alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione, in relazione al reato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000, per avere omesso, pur essendovi obbligato, di presentare la dichiarazione annuale dei redditi relativa agli anni di imposta 2005, 2006 e 2007, disponendo anche la confisca per equivalente, ai sensi dell’art. 322 ter cod. pen., di un immobile di proprietà dell’imputato posto in Comune di Roma.

La Corte d’appello di Roma, provvedendo con la sentenza indicata in epigrafe sulla impugnazione dell’imputato, ha dichiarato non doversi procedere in relazione ai fatti relativi agli anni d’imposta 2005 e 2006, perché estinti per prescrizione, rideterminando la pena per il residuo reato di cui al capo 4), e cioè l’omessa presentazione della dichiarazione annuale relativa all’anno d’imposta 2007 (con evasione di imposta Irpef di euro 268.306,46 e Iva di euro 249.858,59, a fronte di un volume d’affari non dichiarato di euro 1.224.797,00), in anni uno di reclusione, confermando la confisca dell’immobile di proprietà dell’imputato.

La Corte territoriale, nel disattendere l’impugnazione dell’imputato, ha ritenuto non necessario l’espletamento di una perizia contabile per determinare la base di reddito imponibile da considerare, reputando sufficiente l’accertamento svolto al riguardo dalla Guardia di Finanza con metodo analitico – induttivo, in contraddittorio con l’imputato e sulla base delle fatture dallo stesso emesse per i compensi professionali ricevuti dai clienti, nonché delle ritenute d’imposta effettuate nei casi di soggetti obbligati, dei modelli 770 dei clienti e delle certificazioni delle ritenute sui compensi esibite dall’imputato.

E’ stata, poi, ritenuta irrilevante la prospettata negligenza del commercialista al quale l’imputato aveva affidato l’incarico di compilare la sua dichiarazione dei redditi, e adeguato alle imposte complessivamente evase, pari a oltre euro 500.000, oltre a sanzioni e accessori, il sequestro dell’immobile, del valore catastale di euro 221.249,70.

  1. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’imputato, affidato a quattro motivi, così enunciati nei limiti strettamente necessari ai fini della motivazione.

2.1. Con un primo motivo ha lamentato l’illogicità della motivazione a proposito del diniego della rinnovazione dell’istruttoria, non essendo stati adeguatamente accertati i costi connessi alla attività professionale di avvocato svolta dal ricorrente, notoriamente elevati, e non potendo ritenersi sufficienti al riguardo le indagini compiute con il metodo analitico – induttivo da parte della Guardia di Finanza, anche al fine della verifica del superamento della soglia di rilevanza penale, pari a un ammontare annuo di imposte evase di euro 50.000.

2.2. Con un secondo motivo ha prospettato violazione di legge penale e vizio della motivazione riguardo alla sussistenza in capo al ricorrente dell’elemento soggettivo del residuo reato ascrittogli, caratterizzato dal dolo specifico di evasione, non essendo stati adeguatamente considerati i dati della regolare emissione da parte del ricorrente di tutte le fatture relative alla propria attività professionale, anche nei confronti di soggetti tenuti al pagamento della ritenuta d’acconto e alla presentazione del modello 770 in qualità di sostituti di imposta, e dell’affidamento a un professionista dell’incarico di predisporre e presentare la dichiarazione annuale dei redditi, rilevante anche a proposito della consapevolezza da parte dell’imputato del superamento della soglia di rilevanza penale.

2.3. Con un terzo motivo ha lamentato l’insufficienza della motivazione riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche, non essendo stata adeguatamente valutata la risalenza nel tempo dell’unico precedente da cui risultava gravato e l’intervenuta riabilitazione, nonché il ravvedimento operoso posto in essere.

2.4. Con un quarto motivo ha prospettato violazione dell’art. 1, comma 143, I. 244 del 2007 riguardo alla disposizione della confisca per equivalente dell’immobile di sua proprietà in Roma, il cui valore era erroneamente stato determinato sulla base del valore catastale, assai inferiore a quello di mercato.

2.5. Infine ha evidenziato il decorso del termine massimo di prescrizione in data 16 settembre 2016, pur tenendo conto della sospensione dello stesso nel corso del giudizio di secondo grado, con la conseguente estinzione anche del residuo reato di cui al capo 4) della rubrica.

Considerato in diritto

  1. Il primo e il secondo motivo di ricorso non sono manifestamente infondati e, consentendo la costituzione di un valido rapporto di impugnazione, impongono il rilievo della prescrizione anche del residuo reato di cui capo 4) della rubrica, e cioè della omessa presentazione della dichiarazione annuale dei redditi relativa all’anno di imposta 2007 (art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000).
  2. La Corte territoriale, pur in presenza di specifiche doglianze formulate dall’imputato con i motivi d’appello, in ordine alla inadeguatezza dell’accertamento della base imponibile, per la cui determinazione avrebbero dovuto essere considerati anche gli elementi negativi di reddito, e cioè i costi sostenuti dall’imputato nello svolgimento della sua attività professionale (di cui era anche stato prodotto un prospetto analitico), si è limitata ad affermare la sufficienza sul punto dell’accertamento eseguito dalla Guardia di Finanza con il metodo analitico – induttivo, omettendo, tuttavia, di considerare quanto prospettato dall’imputato in ordine ai costi sostenuti per la produzione di tale reddito, non risultando che gli stessi siano stati contemplati, neppure in via presuntiva, nel corso dell’accertamento svolto dalla Guardia di Finanza: ne consegue la sussistenza sul punto del vizio di motivazione denunciato dal ricorrente con il primo motivo, in quanto, a fronte della prospettazione dell’esistenza di costi, incidenti sulla base imponibile considerata al fine della determinazione della evasione d’imposta, la Corte territoriale si è limitata a rilevare la sufficienza dell’accertamento eseguito dalla Guardia di Finanza, senza dare conto del suo contenuto e dei criteri adottati per addivenire alla determinazione della base imponibile, né della considerazione della incidenza sulla stessa dei costi connessi alla attività professionale svolta dall’imputato, omettendo, anzi, di dedurre da essa le anticipazioni di diritti, imposte e tasse perché gravanti sui clienti, senza altro specificare a proposito della natura di tali costi (in particolare delle imposte e delle tasse) e della certezza del loro recupero, mentre per determinare l’ammontare dell’imposta evasa avrebbe dovuto contrapporre ricavi e costi di esercizio detraibili (cfr. Sez. 3, n. 15899 del 02/03/2016, Colletta, Rv. 266817).
  3. Considerazioni in parte analoghe possono essere svolte per quanto riguarda la adeguatezza della motivazione della sentenza impugnata a proposito dell’elemento soggettivo del residuo reato ascritto all’imputato, giacché anche a questo proposito la Corte territoriale, nonostante la prospettazione di un elemento logicamente incompatibile con il dolo specifico di evasione (e cioè l’emissione da parte del ricorrente di tutte le fatture relative alla propria attività professionale, anche nei confronti di soggetti tenuti al pagamento della ritenuta d’acconto e alla presentazione del modello 770 in qualità di sostituti di imposta), e dell’affidamento a un terzo dell’incarico di predisporre e presentare la dichiarazione dei redditi, non ha considerato affatto il primo aspetto e si è limitata ad affermare l’irrilevanza dell’affidamento di detto incarico, omettendo tuttavia di considerare la necessità dell’accertamento della ricorrenza di elementi fattuali dimostrativi che il soggetto obbligato ha consapevolmente preordinato l’omessa dichiarazione all’evasione dell’imposta per quantità superiori alla soglia di rilevanza penale (Sez. 3, n. 37856 del 18/06/2015, Porzio, Rv. 265087; Sez. 3, n. 18936 del 19/01/2016, Vece, Rv. 267022, secondo cui occorre, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 5 d.lgs. 74/2000, la piena consapevolezza, da parte del soggetto obbligato, dell’esatto ammontare dell’imposta dovuta).

Ne consegue, anche sotto tale profilo, l’insufficienza della motivazione riguardo alla sussistenza sia del dolo specifico di evasione, sia della consapevolezza dell’ammontare dell’imposta evasa e del superamento della soglia di rilevanza penale.

  1. La fondatezza di tali censure, rimanendo assorbite quelle relative al trattamento sanzionatorio e alla confisca, determinerebbe la necessità di un nuovo esame su tali punti da parte del giudice di merito, precluso, tuttavia, dal compimento del termine massimo di prescrizione, verificatosi, tenendo conto della sospensione del corso di tale termine per tre mesi e 23 giorni, il 24 luglio 2016: la sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata senza rinvio, per essere anche il residuo reato di cui al capo 4) della rubrica estinto per prescrizione.

Ciò determina anche l’inefficacia della disposta confisca, travolta anch’essa dall’annullamento senza rinvio, stante il suo carattere afflittivo e sanzionatorio (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264435).

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il residuo reato di cui al capo 4) estinto per prescrizione.

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