CASSAZIONE

E’ nulla la notifica dell’accertamento in un luogo diverso dal domicilio fiscale del destinatario

Tributi – IRPEF – Accertamento – Cartella esattoriale – Iscrizione al ruolo – Recupero redditi in qualità di socio –  – Presunzione di utili occulti – Notifica – Domicilio fiscale sulla dichiarazione – Residenza anagrafica -Vizio – Annullamento

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 18979 del 13 giugno 2022 si è occupata nuovamente  di un argomento di particolare interesse attinente alla notificazione degli atti tributari al contribuente, affermando che la notifica al familiare, diverso dal destinatario dell’accertamento, presso domicilio eletto per l’attività d’impresa individuale ma diverso dalla residenza anagrafica, comporta la nullità della notifica per vizio, risultando quindi illegittima la notifica del presupposto avviso di accertamento per il recupero dei redditi da partecipazione del socio, se indirizzata presso la sede della ditta di cui il contribuente è titolare.

A tale proposito si ricorda che le notificazioni degli atti tributari debbono essere eseguite nel domicilio fiscale del destinatario, a eccezione della consegna dell’atto o dell’avviso nelle mani del soggetto interessato (articolo 60, comma 3, DPR 600/1973), che per le persone fisiche è identificato con quello del Comune nella cui anagrafe sono iscritte, e per i soggetti giuridici è identificato nel Comune in cui si trova la sede legale o, in mancanza, la sede amministrativa: se anche questa manca, essi hanno il domicilio fiscale nel Comune ove è stabilita una sede secondaria o una stabile organizzazione e, in mancanza, nel Comune in cui esercitano prevalentemente la loro attività (articolo 58, DPR 600/1973). Inoltre, a norma dell’art. 58 del citato decreto, le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato hanno il domicilio fiscale nel Comune nella cui anagrafe sono iscritte e, inoltre, e in tutti gli atti, contratti, denunzie e dichiarazioni che vengono presentati agli uffici finanziari deve essere indicato il Comune di domicilio fiscale delle parti con la precisazione dell’indirizzo, mentre l’art. 60 prevede che è facoltà del contribuente eleggere domicilio presso una persona o un ufficio nel Comune del proprio domicilio fiscale per la notificazione degli atti o degli avvisi che lo riguardano e che, in tal caso, l’elezione di domicilio deve risultare espressamente dalla dichiarazione annuale o da altro atto comunicato successivamente al competente ufficio a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento. La norma citata, peraltro, non fissa particolari requisiti formali per tale elezione di domicilio e al riguardo, e in giurisprudenza, risulta come consolidato il principio che in tema di notificazione degli avvisi di accertamento e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente, al dovere del contribuente di dichiarare un determinato domicilio non corrisponde l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di verificare e controllare l’attualità e l’esattezza del domicilio eletto, sicché in caso di originaria difformità, non importa se per errore o per malizia, tra residenza anagrafica e domicilio indicato nella dichiarazione dei redditi, la notificazione dell’avviso di accertamento perfezionata presso quest’ultimo indirizzo (anche mediante compiuta giacenza) si deve ritenere valida.

Una diversa interpretazione renderebbe del tutto priva di scopo l’indicazione della residenza nella dichiarazione dei redditi e urterebbe contro il consolidato indirizzo della Corte di Cassazione, secondo cui l’indicazione, nella dichiarazione dei redditi, della propria residenza (o di un proprio domicilio in un indirizzo diverso da quello di residenza, ma nell’ambito del medesimo Comune ove il contribuente è fiscalmente domiciliato) va effettuata in buona fede, nel rispetto del principio dell’affidamento che deve conformare la condotta di entrambi i soggetti del rapporto tributario.

Per questi motivi la Corte di Cassazione, con la precedente ordinanza n. 13843/2021, richiamando le antecedenti sentenze n. 15258/2015 e n. 25680/2016, ebbe a precisare sull’argomento che “… il disposto del primo periodo del terzo comma dell’articolo 60 del D.P.R. n. 600 del 1973 (a norma del quale le variazioni e le modificazioni dell’indirizzo risultanti dai registri anagrafici «hanno effetto» ai fini delle notificazioni, ancorché soltanto dal trentesimo giorno successivo) – come pure, come si deve analogamente ritenere, il disposto del quinto comma dell’articolo 58 dello stesso D.P.R. n. 600 del 1973 (a norma del quale le variazioni del domicilio fiscale «hanno effetto» con decorrenza dal sessantesimo giorno successivo a quello in cui si sono verificate) – non autorizzano la conclusione che l’indicazione della residenza contenuta nella dichiarazione dei redditi sia priva di effetti ai fini della notificazione degli atti dell’amministrazione finanziaria, giacché questa, prima di notificare un atto al contribuente, dovrebbe in ogni caso controllare, mediante una verifica sui registri anagrafici, l’attualità dell’indicazione della residenza contenuta nella dichiarazione dei redditi”.

Alla luce di ciò è lecito quindi ritenere che la cartella notificata presso la ditta individuale del contribuente, se il suo domicilio coincide con la residenza anagrafica e se nelle dichiarazioni dei redditi non è stato specificato un domicilio alternativo, è da considerarsi nulla.

Comunque, è bene rammentarlo, anche per l’impresa individuale la notificazione degli avvisi essere fatta nel domicilio fiscale della persona fisica dell’imprenditore anziché nel domicilio fiscale dell’impresa di cui sia titolare (v. Cass. 20650/2021), anche se non risultasse l’avvenuta indicazione, nella dichiarazione dei redditi, da parte del contribuente, di un domicilio fiscale diverso da quello anagrafico.

Tanto premesso e tornando alla questione esaminata, essa prende le mosse da un accertamento IRPEF effettuato dall’ufficio fiscale e poi notificato, a cui la parte contribuente si oppone. La CTR ha ritenuto rituale la notifica dell’atto impositivo.

Il contribuente ricorre quindi in Cassazione lamentando essenzialmente la violazione e falsa applicazione degli artt. 58 e 60, comma 1, lett. c) del DPR 600/73, per avere la CTR ritenuto rituale la notifica del presupposto atto impositivo presso la sede della ditta della quale era titolare il contribuente, quale “dimora abituale”, sebbene il domicilio fiscale coincidesse con la residenza anagrafica. I Supremi Giudici hanno ritenuto che il ricorso del contribuente fosse fondato, affermando quindi che “…occorre evidenziare che, a norma dell’art. 58 d.p.r. n. 600 del 1973, le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato hanno il domicilio fiscale nel Comune nella cui anagrafe sono iscritte ed inoltre che “in tutti gli atti, contratti, denunzie e dichiarazioni che vengono presentati agli uffici finanziari deve essere indicato il Comune di domicilio fiscale delle parti, con la precisazione dell’indirizzo, mentre l’art. 60 d.p.r. n. 600 del d.p.r. citato prevede che “è in facoltà del contribuente di eleggere domicilio presso una persona o un ufficio nel Comune del proprio domicilio fiscale per la notificazione degli atti o degli avvisi che lo riguardano” e che “in tal caso l’elezione di domicilio deve risultare espressamente dalla dichiarazione annuale ovvero da altro atto comunicato successivamente al competente ufficio imposte a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento”; ma non precisa particolari requisiti formali per tale elezione di domicilio; -tanto rilevato, nella giurisprudenza di questa Corte è consolidato il principio che, in tema di notificazione degli avvisi di accertamento e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente, a norma dell’art. 58 del d.P.R. n. 600 del 1973, al dovere del contribuente di dichiarare un determinato domicilio, non corrisponde l’obbligo dell’amministrazione finanziaria di verificare e controllare l’attualità e l’esattezza del domicilio eletto, sicché, in caso di originaria difformità, non importa se per errore o per malizia, tra residenza anagrafica e domicilio indicato nella dichiarazione dei redditi, la notificazione dell’avviso di accertamento perfezionata presso quest’ultimo indirizzo (anche mediante compiuta giacenza) si deve ritenere valida (Cass., 20/05/2021, n. 13843; in senso analogo, Cass., 14/12/2016, n. 25680); una diversa interpretazione renderebbe del tutto priva di scopo l’indicazione della residenza nella dichiarazione dei redditi, prescritta nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58, comma 4, e urterebbe contro il consolidato indirizzo di questa Corte secondo cui l’indicazione, nella dichiarazione dei redditi, della propria residenza (o di un proprio domicilio in un indirizzo diverso da quello di residenza, ma nell’ambito del medesimo comune ove il contribuente è fiscalmente domiciliato) va effettuata in buona fede, nel rispetto del principio dell’affidamento che deve conformare la condotta di entrambi i soggetti del rapporto tributario (cfr. Cass. n. 15258 del 2015; Cass. nn. 5358/06, 11170/13, 26715/139); -nella specie, la CTR non si è attenuta ai suddetti principi, avendo ritenuto legittima la cartella in quanto correttamente effettuata la notifica del presupposto avviso di accertamento- che scaturiva dall’imputazione, pro quota, in capo al contribuente di maggiori redditi occulti di una società di capitali – presso il domicilio fiscale di quest’ultimo asseritamente coincidente con la sede della ditta individuale (in Roma, Via della Magliana 256) della quale lo stesso era titolare, definita “quale dimora abituale” e “residenza effettiva”, ancorché, da un lato, l’avviso non afferisse alla ditta individuale della quale era titolare il contribuente (dovendo, comunque, anche nel caso di impresa individuale, la notificazione degli avvisi essere fatta nel domicilio fiscale della persona fisica dell’imprenditore anziché nel domicilio fiscale dell’impresa di cui essa sia titolare, Cass. 20650/2021) e, dall’altro, dalla sentenza impugnata non risultasse l’avvenuta indicazione da parte del contribuente, nella dichiarazione dei redditi, di un domicilio fiscale diverso da quello anagrafico (nella specie, fin dal 2008, in Roma Via Canazei 23); – con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 43 del d.P.R. n. 600/73 per avere la CTR erroneamente dichiarato inammissibile l’eccezione di decadenza dal potere impositivo dell’Amministrazione in quanto proposta per la prima volta in sede di gravame; – con il terzo motivo si denuncia l’erroneo rigetto da parte della CTR della eccezione di passaggio in giudicato della sentenza di primo grado nei confronti dell’Agente della riscossione non sussistendo, ad avviso del giudice di appello, violazione del litisconsorzio necessario, sebbene il concessionario non avesse impugnato la sentenza di prime cure di annullamento della cartella, consolidandone gli effetti; – in conclusione, va accolto il primo motivo nei termini di cui in motivazione, assorbiti i restanti; con cassazione della sentenza impugnata e, decidendo nel merito, con accoglimento del ricorso originario del contribuente avverso la cartella di pagamento; – sussistono giusti motivi per compensare le spese dei gradi di merito mentre quelle di legittimità nei rapporti con l’Agenzia delle entrate seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 13 giugno 2022, n. 18979

Sul ricorso iscritto al numero 30430 del ruolo generale dell’anno 2020, proposto da:

L. S., rappresentato e difeso, giusta procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv.to Graziano Brugnoli, elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore in Roma Viale Liegi n. 14;

-ricorrente –

Contro Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente-

Nonché Agenzia delle entrate- Riscossione, in persona del legale rappresentante p.t.

-intimata-

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 976/15/2020, depositata in data 19 febbraio 2020.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’il_ maggio 2022 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati Viscido di Nocera.

RILEVATO CHE

– L. S. propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale del Lazio aveva accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore p.t., avverso la sentenza n. 26633/52/2017 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma di accoglimento del ricorso proposto dal contribuente avverso la cartella di pagamento relativa ad Irpef, oltre interessi e sanzioni, per l’anno 2006;

– la CTR, per quanto di interesse, ha affermato che:

1) la notifica in data 22.11.2013 del presupposto atto impositivo (scaturito dall’ accertamento di maggior reddito in capo alla LLS F. S. s.r.l. imputato pro quota a L. S., quale socio al 98%) era stata correttamente effettuata presso il domicilio fiscale del contribuente coincidente con il luogo di esercizio della ditta della quale quest’ultimo era titolare (Roma, Via della Magliana n. 26), da intendersi sua “dimora abituale” e quindi “residenza effettiva”, ancorché difforme dalla residenza anagrafica (Roma, Via Canazei n. 23);

2) l’eccezione di decadenza dall’attività di accertamento per violazione dell’art. 43 del d.P.R. n. 600/73 era inammissibile essendo stata dedotta per la prima volta in sede di appello;

3) non si era verificato alcun passaggio in giudicato della sentenza di primo grado nei confronti dell’Agente della riscossione non ravvisandosi alcun litisconsorzio necessario con quest’ultimo essendo stata contestata la irregolarità della notifica dell’atto presupposto alla cartella;

 – l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso;

l’Agenzia delle entrate-riscossione è rimasta intimata;

– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio;

CONSIDERATO CHE

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 58 e 60, comma 1 lett. c) del d.P.R. n. 600/73, per avere la CTR ritenuto rituale la notifica del presupposto atto impositivo (derivante dalla imputazione, pro quota, di utili occulti accertati in capo a LLS F. S. s.r.l.) presso la sede della ditta della quale era titolare il contribuente, quale “dimora abituale” (Roma Via della Magliana 256), ancorché il domicilio fiscale coincidesse con la residenza anagrafica (Via Canazei 23), non avendo quest’ultimo provveduto a comunicare all’Amministrazione un domicilio fiscale alternativo o sostitutivo; peraltro, ad avviso del ricorrente, la notifica effettuata in Via della Magliana 256 nelle mani della madre del contribuente avrebbe dovuto essere seguita dalla raccomandata informativa ex art. 60, comma 1, lett. b-bis del d.P.R. n. 600/73;

 – il primo profilo del motivo è fondato, con assorbimento della seconda sub censura;

– salvo il caso di consegna in mani proprie, la notificazione degli avvisi di accertamento e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente «deve essere fatta nel domicilio fiscale del destinatario» (art. 60, primo comma, lett. c, del d.P.R. n. 600 del 1973);

– tanto premesso, occorre evidenziare che, a norma dell’art. 58 d.p.r. n. 600 del 1973, le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato hanno il domicilio fiscale nel Comune nella cui anagrafe sono iscritte ed inoltre che “in tutti gli atti, contratti, denunzie e dichiarazioni che vengono presentati agli uffici finanziari deve essere indicato il Comune di domicilio fiscale delle parti, con la precisazione dell’indirizzo, mentre l’art. 60 d.p.r. n. 600 del d.p.r. citato prevede che “è in facoltà del contribuente di eleggere domicilio presso una persona o un ufficio nel Comune del proprio domicilio fiscale per la notificazione degli atti o degli avvisi che lo riguardano” e che “in tal caso l’elezione di domicilio deve risultare espressamente dalla dichiarazione annuale ovvero da altro atto comunicato successivamente al competente ufficio imposte a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento”; ma non precisa particolari requisiti formali per tale elezione di domicilio;

– tanto rilevato, nella giurisprudenza di questa Corte è consolidato il principio che, in tema di notificazione degli avvisi di accertamento e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente, a norma dell’art. 58 del d.P.R. n. 600 del 1973, al dovere del contribuente di dichiarare un determinato domicilio, non corrisponde l’obbligo dell’amministrazione finanziaria di verificare e controllare l’attualità e l’esattezza del domicilio eletto, sicché, in caso di originaria difformità, non importa se per errore o per malizia, tra residenza anagrafica e domicilio indicato nella dichiarazione dei redditi, la notificazione dell’avviso di accertamento perfezionata presso quest’ultimo indirizzo (anche mediante compiuta giacenza) si deve ritenere valida (Cass., 20/05/2021, n. 13843; in senso analogo, Cass., 14/12/2016, n. 25680); una diversa interpretazione renderebbe del tutto priva di scopo l’indicazione della residenza nella dichiarazione dei redditi, prescritta nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58, comma 4, e urterebbe contro il consolidato indirizzo di questa Corte secondo cui l’indicazione, nella dichiarazione dei redditi, della propria residenza (o di un proprio domicilio in un indirizzo diverso da quello di residenza, ma nell’ambito del medesimo comune ove il contribuente è fiscalmente domiciliato) va effettuata in buona fede, nel rispetto del principio dell’affidamento che deve conformare la condotta di entrambi i soggetti del rapporto tributario (cfr. Cass. n. 15258 del 2015; Cass. nn. 5358/06, 11170/13, 26715/139);

– nella specie, la CTR non si è attenuta ai suddetti principi, avendo ritenuto legittima la cartella in quanto correttamente effettuata la notifica del presupposto avviso di accertamento- che scaturiva dall’imputazione, pro quota, in capo al contribuente di maggiori redditi occulti di una società di capitali – presso il domicilio fiscale di quest’ultimo asseritamente coincidente con la sede della ditta individuale (in Roma, Via della Magliana 256) della quale lo stesso era titolare, definita “quale dimora abituale” e “residenza effettiva”, ancorché, da un lato, l’avviso non afferisse alla ditta individuale della quale era titolare il contribuente (dovendo, comunque, anche nel caso di impresa individuale, la notificazione degli avvisi essere fatta nel domicilio fiscale della persona fisica dell’imprenditore anziché nel domicilio fiscale dell’impresa di cui essa sia titolare, Cass. 20650/2021) e, dall’altro, dalla sentenza impugnata non risultasse l’avvenuta indicazione da parte del contribuente, nella dichiarazione dei redditi, di un domicilio fiscale diverso da quello anagrafico (nella specie, fin dal 2008, in Roma Via Canazei 23);

– con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 43 del d.P.R. n. 600/73 per avere la CTR erroneamente dichiarato inammissibile l’eccezione di decadenza dal potere impositivo dell’Amministrazione in quanto proposta per la prima volta in sede di gravame;

– con il terzo motivo si denuncia l’erroneo rigetto da parte della CTR della eccezione di passaggio in giudicato della sentenza di primo grado nei confronti dell’Agente della riscossione non sussistendo, ad avviso del giudice di appello, violazione del litisconsorzio necessario, sebbene il concessionario non avesse impugnato la sentenza di prime cure di annullamento della cartella, consolidandone gli effetti;

– in conclusione, va accolto il primo motivo nei termini di cui in motivazione, assorbiti i restanti; con cassazione della sentenza impugnata e, decidendo nel merito, con accoglimento del ricorso originario del contribuente avverso la cartella di pagamento;

– sussistono giusti motivi per compensare le spese dei gradi di merito mentre quelle di legittimità nei rapporti con l’Agenzia delle entrate seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo; nulla sulle spese nei confronti dell’Agenzia delle entrate-riscossione essendo rimasta intimata nel giudizio di legittimità;

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo nei termini di cui in motivazione;

assorbiti i restanti;

cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario del contribuente avverso la cartella di pagamento; compensa le spese dei gradi di merito e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 4.100, euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.

Cosi deciso in Roma in data 11 maggio 2022.

Desidero ricevere in abbonamento gratuito il vostro periodico FiscotoDay