FISCALITA

E’ nulla la cartella di pagamento priva di contenuti espliciti e chiari

La cartella di pagamento – il documento contenente la richiesta di pagare una determinata somma a beneficio di un ente che ha il potere di esigere imposte

Schermata-del-2015-06-23-135811– costituisce l’ultimo atto di un procedimento amministrativo con il quale viene accertato il debito del contribuente e che generalmente si è concluso con un avviso di accertamento.
Se l’avviso di accertamento è rimasto privo di effetti – ossia, se il contribuente non provvede al pagamento ricorrendo a strumenti deflativi del contenzioso quali, ad esempio, l’acquiescenza e l’accertamento con adesione – il nominativo del debitore viene inserito nel ruolo, l’elenco di debitori periodicamente formato dall’Amministrazione.

 I riferimenti devono essere certi

In materia di cartelle esattoriali un aspetto fondamentale è quello che riguarda i riferimenti in essa contenuti, che devono essere chiari ed espliciti in relazione alla natura del credito e all’atto presupposto.

Non può certo essere compito o competenza del contribuente risalire all’operato dell’ente impositore o del concessionario della riscossione che ha emesso l’iscrizione a ruolo, compito che si rivelerebbe comunque molto arduo – se non impossibile – e reso tale dalla complicata serie di passaggi interpretativi di serie numeriche o codici astrusi. Ecco spiegata, dunque, la ragione per cui la cartella di pagamento deve contenere un riferimento chiaro all’atto presupposto e alla natura del credito iscritto a ruolo.

Ed è proprio in applicazione di questo principio che la sentenza di una Commissione Tributaria Regionale ha confermato la decisione di annullamento di una cartella di pagamento contenente l’errata indicazione del titolo in base al quale era stata effettuata l’iscrizione a ruolo.

 Il ricorso e l’opposizione delle Entrate

Il caso specifico sottoposto all’esame dei giudici vede protagonista una contribuente che riceve la notifica di una cartella di pagamento contenente nella causale la seguente dicitura: “RT N. 838812 94 SENT. CTP N. 118/04/02”.

La contribuente presenta il ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale, sostenendo che la formula riportata nella cartella non le permette di individuare il motivo dell’iscrizione a ruolo e che se anche poteva immaginare che il titolo fosse costituito dalla sentenza di una Commissione Tributaria, la cartella non conteneva alcuna informazione utile per individuare quale fosse la Commissione che aveva pronunciato la sentenza n. 118/04/02 riportata nella causale.

L’Agenzia delle Entrate ribatteva opponendo la legittimità dell’iscrizione a ruolo “in base a quanto statuito dalla Sez. 4^ di codesta Commissione, con sentenza n. 118/04/01, depositata il 04/04/01 e passata in giudicato”.

A tale opposizione la contribuente obiettava facendo notare che la sentenza riportata nella cartella di pagamento notificatale, distinta dal n. 118/04/02, era anche differente da quella cui faceva riferimento l’ufficio dell’Agenzia, che citava la n. 118/04/01.

 Violazione del diritto di difesa

commissione-tributariaLa Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della signora, ma l’ufficio finanziario proseguiva l’iter del contenzioso proponendo appello, seppure riconoscendo l’errore di trascrizione dell’ultima cifra della sentenza indicata nella cartella di pagamento e sostenendo, inoltre, che la contribuente non poteva non ricordare di aver proposto un’opposizione innanzi alla CTP competente, procedimento che si era concluso con la pronuncia della sentenza n. 118/04/02 con la quale veniva rigettato il ricorso.

La Commissione Tributaria Regionale si è espressa confermando la decisione emessa in primo grado. Secondo la CTR, infatti, per decidere in ordine alla legittimità della cartella di pagamento impugnata bisognava accertare se la causale dell’iscrizione a ruolo riportata nella cartella stessa – costituita soltanto dalla scarna formula “RT N. 838812 94 SENT. CTP N. 118/04/02” – potesse essere considerata quale motivazione sufficiente a illustrare i presupposti di fatto e di diritto della pretesa erariale: ovvero, se fosse stata offerta alla contribuente la facoltà di porre in essere il corretto esercizio del diritto di difesa contro la pretesa dell’ente impositore.

gavelI giudici hanno stabilito che dalla sequenza di cifre e lettere riportati nella cartella di pagamento, “si poteva evincere con una certa facilità solo che veniva richiamata una sentenza della Commissione tributaria provinciale, ancorché non vi fosse alcuna indicazione della sede della stessa”. Peraltro, sottolineava il Collegio, il numero della sentenza indicato nella cartella era risultato anche errato.

Le indicazioni contenute nell’atto impugnato, dunque, non avevano permesso alla contribuente di esercitare in maniera compiuta il proprio diritto di difesa, non risultando – le indicazioni stesse – oggettivamente sufficienti per risalire al titolo che aveva originato l’iscrizione a ruolo.

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