LAVORO LEGGE

Docenti e ricercatori, tassazione agevolata per chi viene in Italia

Il decreto legge 34/2019 (decreto crescita), convertito dalla 58/2019, ha introdotto nuove misure sul regime fiscale applicabile ai lavoratori impatriati (art. 16, D.lgs. 147/2015), tra le quali l’estensione da 4 a 6 anni della durata temporale degli

incentivi fiscali per docenti e ricercatori che si trasferiscono in Italia e la tassazione del 30% dei redditi da lavoro autonomo o dipendente (prima era il 50%). Inoltre, l’iscrizione all’Aire non è un requisito fondamentale per attestare la residenza all’estero dell’impatriato, essendo invece necessaria la reale esistenza della residenza all’estero determinata in virtù anche delle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni.

Con una serie di Risposte pubblicate nel sito istituzionale nello scorso mese di giugno, l’Agenzia delle Entrate ha spiegato e chiarito alcuni aspetti riguardanti i regimi speciali per i lavoratori impatriati e per i docenti e i ricercatori che trasferiscono la residenza fiscale in Italia.

L’attività di ricerca in Italia

Un contribuente nato e residente in Norvegia afferma di essere professore associato presso l’università, titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Nello stesso periodo è stato, inoltre, presso una università in Italia, presso la quale ha svolto attività di ricerca, sempre restando dipendente della università norvegese che gli ha corrisposto lo stipendio durante tutto il periodo trascorso in Italia, durante il quale – precisa il professore – non ha fruito dell’agevolazione prevista dalla legge 232/2016 (art. 1, comma 149 della Legge di bilancio 2017) per i docenti e ricercatori che trasferiscono la residenza fiscale in Italia, poiché percepiva redditi esenti da imposta nel nostro Paese, ai sensi dell’art. 20 della Convenzione Italia-Norvegia contro le doppie imposizioni.

Durante il periodo dell’attività di ricerca ha anche assunto la residenza anagrafica in Italia, dopo di che l’ha di nuovo trasferita in Norvegia, dove al momento risiede.

A seguito di una chiamata diretta dall’estero (art. 1, comma 9, legge 230/2005), il professore è candidato per essere assunto nella posizione di associato presso una libera università italiana, assunzione che determinerebbe la cessazione del contratto di lavoro attualmente attivo con l’istituto norvegese.

Riguardo all’ambito di applicazione del citato art. 1, comma 149, della legge 232/2016, che ha reso permanenti gli incentivi fiscali per il rientro in Italia di docenti e ricercatori residenti all’estero (stabiliti dall’art. 44 del decreto legge 78/2010), l’istante precisa che:

– è in possesso di titolo di studio universitario;

– è stato stabilmente residente all’estero per periodi pluriennali;

– può svolgere in futuro, in caso di esito positivo della procedura di assunzione, attività di docenza e ricerca in Italia;

– ha già svolto attività di docenza e ricerca presso un altro istituto in Italia.

Infine, il professore comunica che intende acquisire la residenza fiscale nel Belpaese perché ha deciso di svolgere in Italia un’attività lavorativa.

Il dubbio

Il chiarimento richiesto verte sulla circostanza che il signore ha già avuto, in passato, la residenza anagrafica in Italia, nel periodo in cui erano in vigore le agevolazioni previste dalla legge 232/2016, delle quali però non ha potuto beneficiare avendo percepito, durante periodo in questione, redditi esenti da imposizione fiscale in Italia.

E chiede se, nonostante abbia avuto la residenza anagrafica in Italia, può essere ammesso all’agevolazione disposta dall’art. 1, comma 149, della Legge di bilancio 2017, ritenendo di averne diritto poiché dalla norma non viene dichiarata alcuna limitazione in merito a precedenti periodi di residenza in Italia.

La precisazione

Inizialmente il regime di favore escludeva dalla formazione del reddito di lavoro dipendente o autonomo, ai fini delle imposte sui redditi, il 90% degli emolumenti percepiti da docenti e ricercatori che, “in possesso di titolo di studio universitario o equiparato e non occasionalmente residenti all’estero, abbiano svolto documentata attività di ricerca o docenza all’estero presso centri di ricerca pubblici o privati o università per almeno due anni continuativi e che vengono a svolgere la loro attività in Italia, acquisendo conseguentemente la residenza fiscale nel territorio dello Stato” (art. 44, DL 78/2010, modificato dall’art. 1, comma 149, legge 232/2016).

Il beneficio si applica a partire dal periodo d’imposta in cui il docente o il ricercatore diventa fiscalmente residente nel territorio dello Stato e nei tre periodi di imposta successivi, a condizione che permanga la residenza fiscale in Italia, come si legge nella circolare 17/E del 2017, che ha inoltre specificato che: “In base a quanto disposto dall’articolo 44 del decreto legge n. 78 del 2010, i docenti e ricercatori possono beneficiare della tassazione agevolata, al verificarsi delle seguenti condizioni:

a) essere in possesso di un titolo di studio universitario o equiparato;

b) essere stati non occasionalmente residenti all’estero;

c) aver svolto all’estero documentata attività di ricerca o docenza per almeno due anni continuativi, presso centri di ricerca pubblici o privati o università;

d) svolgere l’attività di docenza e ricerca in Italia;

e) acquisire la residenza fiscale nel territorio dello Stato”.

In merito al requisito c), la circolare ha chiarito che l’attività di docenza e ricerca non deve necessariamente essere stata svolta nei due anni immediatamente precedenti il rientro, essendo sufficiente che l’interessato, prima di rientrare in Italia, abbia svolto l’attività all’estero per un periodo minimo e ininterrotto di almeno 24 mesi: per la docenza tale periodo si ritiene compiuto se l’attività è stata svolta per due anni accademici continuativi.

In relazione all’acquisizione della residenza fiscale nel territorio dello Stato, nel documento di prassi si precisa che ciò avvenga in conseguenza dello svolgimento dell’attività lavorativa in Italia.

Nel caso prospettato dal professore norvegese, tenuto conto della normativa e dei requisiti dei quali è in possesso, l’Agenzia evidenzia che la disposizione agevolativa mira a favorire il rientro dei docenti e ricercatori che vengano a svolgere l’attività in Italia, acquistando, conseguentemente, la residenza nel territorio dello Stato e, pertanto, ritiene che l’istante non possa accedere al beneficio avendo lo stesso già acquisito la residenza fiscale in Italia senza che risulti rispettato, prima del suo rientro in patria, il requisito dello svolgimento dell’attività all’estero per un periodo minimo e ininterrotto di almeno due anni accademici consecutivi.

Tale circostanza esclude la possibilità di accesso al regime fiscale di favore, mentre non ha alcuna rilevanza il fatto che durante il periodo di lavoro in Italia non abbia fruito dell’agevolazione in esame.

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