Diritto al rimborso: attenzione ai termini di decadenza
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4150 del 21 febbraio 2018, intervenendo sull’annosa questione del mancato riconoscimento della detrazione IVA in capo ai soggetti che effettuano operazioni esenti, ha respinto il ricorso di una importante società automobilistica a cui era stato negato il rimborso nei due gradi di giudizio tributario, ha stabilito che in mancanza di disciplina comunitaria di domande di rimborso delle imposte indebitamente prelevate, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire i requisiti al ricorrere dei quali tali domande possano essere presentate, purché i requisiti in questione rispettino i principi di equivalenza e di effettività. Va specificato, preliminarmente, che nell’ambito del “sistema IVA” (c.d. operazioni incluse nel campo IVA), il legislatore italiano ha distinto tre tipi di operazioni (sono state individuate altre tipologie come le operazioni soggette a IVA in regime speciale o le operazioni “senza pagamento dell’imposta”, ma si ritiene che tali classificazioni siano più descrittive che di ordine sistematico). Sono le operazioni rientranti nel “campo dell’IVA” che devono essere formalizzate mediante fatturazione, registrazione ed esposizione in dichiarazione, ma che si distinguono in ragione di un proprio regime normativo. Si tratta di operazioni imponibili, operazioni non imponibili e, infine, di operazioni esenti. In particolare, le operazioni esenti “sono tali per ragioni di politica sociale, in quanto tendono ad agevolare l’acquirente finale; le singole esenzioni hanno carattere eccezionale e non è consentito all’interprete ampliarne l’estensione senza invadere il terreno delle scelte che competono al legislatore” (Cass. n.7501 del 04/06/2001).
Il problema che si è posto è se la disciplina di cui all’art. 19 del DPR 633/1972 fosse o meno compatibile con la normativa comunitaria. In particolare, l’art. 13 della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, dopo aver previsto un regime di esenzioni per alcune attività di interesse pubblico – quali, ad esempio, l’ospedalizzazione, le cure mediche, le prestazioni mediche, il trasporto di malati o feriti – nella parte B, lett. c), dispone: “fatte salve altre disposizioni comunitarie, gli Stati membri esonerano, alle condizioni da essi stabilite per assicurare la corretta e semplice applicazione delle esenzioni sottoelencate e per prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso, le forniture di beni destinati esclusivamente ad un’attività esentata a norma del presente articolo o a norma dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera b), ove questi beni non abbiano formato oggetto d’un diritto a deduzione, e le forniture di beni il cui acquisto o la cui destinazione erano stati esclusi dal diritto alla deduzione conformemente alle disposizioni dell’articolo 17, paragrafo 6”. Ciò premesso, è bene evidenziare che nel tempo i giudici italiani avevano dato due possibili interpretazioni a questa tematica: una, compatibile con la normativa comunitaria, secondo cui l’IVA sugli acquisti e sulle prestazioni pagata dal soggetto la cui attività fosse esentata, non era detraibile e, conseguentemente, non poteva essere oggetto di istanza di rimborso, e l’altra, incompatibile con la normativa comunitaria, secondo cui l’IVA sugli acquisti era detraibile proprio in virtù del diritto comunitario sostenendo, infatti, che la mancata detrazione da parte del soggetto che a valle effettuava operazioni esenti sarebbe ricaduta sul consumatore finale. In definitiva l’operatore economico avrebbe riversato l’IVA non detraibile sul consumatore, che avrebbe sopportato un maggiore costo: si sarebbe così vanificata la stessa ratio legis delle operazioni esenti.
In questo quadro la Corte di Cassazione, quasi a sgomberare il campo da ogni equivoco con una storica sentenza, la n. 7501 del 4/6/2001, (ex multis anche 16763/17; le n. 27185 e 23552 del 2014; Cass., S.U, n. 13676 del 2014), dopo aver chiarito l’ambito del “sistema IVA” e aver analizzato tutta la normativa in tema di detrazioni, aveva statuito che “la detraibilità dell’IVA assolta sugli acquisti andava ridotta del 100% (rapporto tra ammontare delle operazioni esenti e volume di affari), vale a dire che non era consentita alcuna detrazione e, quindi, non poteva emergere alcun credito di imposta come conseguenza di detrazioni sugli acquisti”. Pertanto, tale sentenza ribadisce il concetto dell’inderogabilità dell’IVA sugli acquisti relativa alle operazioni esenti.
Tanto premesso, ricordiamo che nello specifico l’art.19-bis, comma 1, del citato DPR 633, contiene l’esclusione della detrazione IVA per tutti gli autoveicoli e costi accessori, spese rappresentanza, fabbricati, in vigore dal 7/9/2015, specifica che: “… l’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di veicoli stradali a motore, diversi da quelli di cui alla lettera f) dell’allegata tabella B ( motocicli per uso privato con motore di cilindrata superiore a 350 centimetri cubici), e dei relativi componenti e ricambi e’ ammessa in detrazione nella misura del 40 per cento se tali veicoli non sono utilizzati esclusivamente nell’esercizio dell’impresa, dell’arte o della professione. La disposizione non si applica, in ogni caso, quando i predetti veicoli formano oggetto dell’attività propria dell’impresa nonché per gli agenti e rappresentanti di commercio”.
Nel caso in esame residua, quale oggetto del contendere, l’IVA sugli acquisti versata da una società contribuente, in epoca precedente all’1 gennaio 2003 e, conseguentemente, esclusa dal recupero generalizzato di cui al citato provvedimento. L’istanza di rimborso fondata, però, sulla non conformità della norma interna con la sesta direttiva, è stata presentata il 12 maggio 2005, ossia in epoca anteriore al 14/9/2006, data della pronuncia comunitaria che, intervenuta in corso di causa, ha solo confermato il sostrato giuridico della tesi della non conformità, costituente già la causa petendi della richiesta di rimborso e del ricorso al giudice tributario.
Ricordiamo allora che nella citata giurisprudenza della C.S. emerge fra le altre la recente ordinanza 16763/2017, nella quale testualmente si legge che: “ …la domanda di rimborso dell’Iva indebitamente pagata è soggetta all’art. 21 del d. Igs. 546 del 1992: «la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere proposta dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, da giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione». che, a questi fini, i tributi dichiarati in contrasto con il diritto comunitario sono equiparati ai tributi pagati in base a norma dichiarata incostituzionale, che è eliminata con effetto retroattivo dall’ordinamento: i pagamenti assumono ex post la qualifica di pagamenti non dovuti, tuttavia il rimborso è escluso quando il pagamento si collega a un rapporto esaurito; che, con questa espressione ci si riferisce al caso in cui il pagamento è stato effettuato in base a un atto impositivo divenuto definitivo (avviso di accertamento non impugnato, o divenuto definitivo per effetto di sentenza passata in giudicato) o al caso in cui sia scaduto il termine (di decadenza o di prescrizione) entro cui il rimborso deve essere chiesto; che in pratica le situazioni che consolidano i pagamenti fatti in base a norma dichiarata incostituzionale (i c.d. rapporti esauriti) valgono anche per l’indebito comunitario, che rimane quindi impedito se è scaduto il termine per chiedere il rimborso, che decorre anche in questo caso dal pagamento; che ai sensi dell’art. 2935 c.c la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cu il diritto può essere fatto valere: secondo una tradizionale e consolidata interpretazione giurisprudenziale l’impossibilità che impedisce l’esercizio del diritto è solo l’impossibilità giuridica di far valere il diritto, riscontrabile esclusivamente in presenza di impedimenti giuridici, mentre nessuna rilevanza hanno invece gli impedimenti di fatto, per cui la prescrizione decorre anche se il titolare del diritto è nella impossibilità di esercitarlo per cause non giuridiche; che fra gli impedimenti di fatto la giurisprudenza annovera anche la preclusione posta da una norma costituzionalmente illegittima e, a maggior ragione, nella presenza di una norma nazionale incompatibile con le norme comunitarie: «Mentre l’accertamento della illegittimità costituzionale di una norma è riservato ad organo diverso dall’autorità giurisdizionale, con la conseguenza che, quando la questione sia sollevata nel corso di un giudizio esso deve essere sospeso fino a tte,4X quando la questione non sia 23, I. 11 marzo 1953, n. 87), il contrasto tra norma di diritto interno e quella comunitaria può essere rilevato direttamente dal giudice che, sulla base di tale premessa, è tenuto a non darle applicazione, anche quando sia emanata in epoca successiva a quella comunitaria decisa norma» (Cass. S.U., n. 13676 del 2014, dove la precisazione che i rilievi proposti sulla decorrenza del termine valgono anche nel caso, in cui l’esercizio del diritto sia soggetto a un termine di decadenza); che in applicazione di tali principi questa Suprema corte, proprio in relazione al rimborso dell’Iva sugli acquisti dei veicoli, ha chiarito che relativamente agli acquisti effettuati prima del 1 ° gennaio 2003 (quelli successivi hanno beneficiato del d.l. n.258 del 2006), il termine di decadenza ex art. 21 del d.lgs. 546 del 1992 decorre dalla data del pagamento (Cass. n. 8373/2015; n. 9034/2015)”.
Alla luce di tale orientamento gli Ermellini, respingendo il ricorso della società contribuente, dichiarano oggi che: “…Nell’ordinamento tributario vige, per la ripetizione del pagamento indebito, un regime speciale basato sull’istanza di parte, da presentare, a pena di decadenza, nel termine previsto dalle singole leggi di imposta o, comunque in difetto dalle norme sul contenzioso tributario (art.16, comma sesto, del d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636 e, ora, artt. 19, comma 1, lett.g. e 21, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, secondo il quale “la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto della restituzione”). Ed al riguardo va osservato, che, in ipotesi, quale quella in esame, in cui “in mancanza di disciplina comunitaria di domande di rimborso delle imposte indebitamente prelevate, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire i requisiti al ricorrere dei quali tali domande possano essere presentate, purché i requisiti in questione rispettino i principi di equivalenza e di effettività” (Corte di Giustizia, sentenza 15 marzo 2007, causa C-35/05 Reemtsma Cigarettenfabriken) e che “la previsione di un termine di decadenza di due anni entro il quale il soggetto passivo può reclamare il rimborso dell’IVA versata a torto nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, mentre il termine di prescrizione per le azioni di ripetizione dell’indebito oggettivo tra privati è decennale” è compatibile con il diritto dell’Unione in quanto “non è di per sè contraria al principio di effettività” (cfr.Corte di Giustizia, 15 dicembre 2011, C- 427/10, p-27 che richiama la sentenza 17 novembre 1998, causa C-228/96 Aprile, punto 19, sent. 30 giugno 2011, causa C-262/09 Meilicke e a., punto 56 e la sentenza 8 settembre 2011, cause riunite C-89/10 e C-96/10. Q-Beef e Bosschaert, punto 42), essendo idoneo a consentire a qualsiasi soggetto passivo normalmente diligente di far validamente valere di diritti attribuitigli dall’ordinamento giuridico dell’Unione (Corte di Giustizia 15 dicembre 2011, C-427/10, che richiama la sentenza 21 gennaio 2010, causa C-472/08, Alstrom Power Hydro, punti 20 e 21)”.
CORTE DI CASSAZIONE Sentenza 21 febbraio 2018, n. 4150
Sul ricorso iscritto proposto da: V.G.I. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa per procura a margine del ricorso, dall’Avv. Giovanni Paolo Ballariano e dall’ Avv. Stefano Fiorentini ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Nizza n.45.
-ricorrente-
contro AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore generale pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n.12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende.
-controricorrente-
avverso la sentenza n.72/15/2010 della Commissione Tributaria Regionale del Veneto -sez. distaccata di Mestre, depositata il 15.04.2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 6.12.2017 dal Consigliere Roberta Crucitti;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Umberto De Augustinis che ha concluso chiedendo, in via preliminare, rimettere gli atti alle SS.UU. per nuova valutazione, e in subordine rigettarsi nel merito il ricorso;
udito per la ricorrente l’Avv. Giovanni Ballarano;
udito per la controricorrente l’Avv. Paolo Gentili.
Fatti di causa
V.G.I. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, propose ricorso avverso il silenzio rifiuto opposto ad istanze di rimborso (presentate nel maggio 2005) dell’IVA, non detratta sui veicoli aziendali per gli anni dal 2000 al 2004 e rimasta a proprio carico in virtù del regime di indetraibilità previsto dall’art.19 bis, co.1, lett c, d.p.r. n. 633/72, ritenendo tale disposizione in contrasto con la Direttiva CEE n. 77/388.
La Commissione Tributaria Provinciale, a seguito della rinuncia della Società (che si era avvalsa della procedura telematica di rimborso prevista dall’art. 1 del d.l. n.258/2006 emesso a seguito della sentenza della Corte di Giustizia europea), dichiarò cessata la materia del contendere in ordine alle annualità 2003 e 2004, e rigettò la domanda, per gli altri anni, ritenendola tardiva.
La decisione, appellata dalla Società, è stata integralmente confermata, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla Commissione Tributaria Regionale del Veneto la quale, dato atto che era intervenuta sentenza della Corte di Giustizia europea (che aveva dichiarato l’illegittimità per contrasto con la VI Direttiva del Consiglio dell’Unione dell’art. 19 bis citato), rilevava che l’istanza di rimborso doveva considerarsi tardiva essendo la parte decaduta, ai sensi dell’art. 21, comma 2, d.l. n. 546/92, essendo il rapporto già esaurito alla data della pubblicazione della decisione della Corte di Giustizia.
Avverso la sentenza la Società ha proposto ricorso per la cassazione, su tre motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
La Società ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
- Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 57, comma primo e secondo, d.lgvo n. 546/1992 laddove la Commissione Tributaria Regionale Veneta (d’ora in poi C.T.R.) aveva ritenuto che la questione relativa ai diversi termini (rispetto a quelli stabiliti dall’art. 21, comma 2, d.lgs. 546/1992) previsti dagli artt. 19 e 57 del d.p.r. n. 633/72 fosse stata tardivamente proposta perché sollevata nella memoria difensiva di primo grado e nell’atto di appello.
1.1. La censura va dichiarata inammissibile per difetto di interesse, C.T.R. non si è limitata a statuire l’inammissibilità della questione, siccome tardiva, ma ha, anche, deciso, nel merito, laddove, con diversa ed autonoma ratio decidendi ha ritenuto che i diversi termini previsti dalle norme invocate dalla contribuente non erano applicabili alla fattispecie.
- Detta motivazione, nel merito, viene censurata con il secondo motivo di ricorso con il quale si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 19, co.1, d.p.r. n. 633/72 e 21 d.lvo n. 546/92.
In particolare, secondo la prospettazione difensiva, la C.T.R. avrebbe errato a ritenere applicabile l’art. 21 citato e non l’art. 19 d.p.r. n. 633/72, essendo evidente che il diritto al rimborso non potesse sorgere immediatamente con l’insorgenza della posizione creditoria a seguito della registrazione della fattura passiva ma, solo in un momento successivo, ovvero con la scadenza del termine per il computo dell’imposta in detrazione ossia con la scadenza, prevista dall’invocato art.19, del termine per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui è sorto il diritto alla detrazione.
- Con il terzo motivo, infine, si deduce la violazione dell’art. 57 d.p.r. 633 del 1972, dovendosi ritenere, secondo la prospettazione difensiva, che il termine di quattro anni previsto a favore dell’Amministrazione finanziaria per la rettifica della dichiarazione del contribuente debba essere riconosciuto anche a quest’ultimo per rettificare la stessa dichiarazione consentendogli di recuperare il tributo indebitamente versato .
- I motivi, da trattarsi congiuntamente siccome connessi, sono infondati non riscontrandosi le dedotte violazioni di legge laddove, al contrario, il Giudice di appello ha deciso la controversia applicando correttamente la normativa di riferimento come interpretata da questa Corte (cfr.Cass. n. 7229 del 10.4.2015; n. 5174 del 2016, i cui principi sono stati, di recente, ribaditi con ordinanze n.ri 16763/2017; 19548/2017).
4.1. L’art. 19-bis D.P.R. 633/1972, nel testo vigente sino all’11 agosto 2006, stabiliva: «In deroga alle disposizioni di cui all’art. 19: … e) l’imposta relativa all’acquisto o alla importazione di ciclomotori, di motocicli e di autovetture ed autoveicoli indicati nell’art. 54, lettere a) e c.), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, non compresi nell’allegata tabella B e non adibiti ad uso pubblico, che non formano oggetto dell’attività propria dell’impresa e dei relativi componenti e ricambi, nonché alle prestazioni di servizi di cui al terzo comma dell’art. 16 ed a quelle di impiego, custodia, manutenzione e riparazione relative ai beni stessi, non è ammessa a detrazione salvo che per gli agenti o rappresentanti di commercio;..»
4.2. La Corte di Giustizia UE, interpellata sulla compatibilità comunitaria dell’art. 19-bisl D.P.R. 633/1972 limitativo del diritto di detrazione, con la sentenza relativa alla causa C-228/05, Stradasfalti, ha stabilito che i limiti posti dalla legislazione italiana alla detrazione Iva per le autovetture erano contrari alle disposizioni del diritto comunitario; pertanto, i contribuenti ai quali la normativa italiana non aveva consentito di detrarre l’Iva assolta sull’acquisto di autovetture e le relative spese di impiego avrebbero potuto recuperare tale imposta conformemente alle disposizioni contenute nell’art.17 della sesta direttiva comunitaria (“nella misura in cui i beni e i servizi sono stati impiegati ai fini di operazioni soggette ad imposta”) a partire dal 15 settembre 2006 anche per le annualità pregresse.
4.3. Con il d.l. 15 settembre 2006 n.258, emanato all’indomani della predetta sentenza, è stato vietato ai contribuenti di portare in detrazione secondo le ordinarie regole l’Iva pagata dal 1 gennaio 2003 al 13 settembre 2006 e con il provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate del 22 febbraio 2007 sono state individuate due procedure alternative per il recupero dell’imposta: una basata sulla determinazione forfetaria del rimborso, da chiedere attraverso l’utilizzo di un apposito modello approvato con il successivo provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate 22 febbraio 2007, da inviare telematicamente entro il 22 ottobre 2007 (utilizzata dall’attuale ricorrente per le annualità 2003 e 2004), e l’altra sulla determinazione analitica degli importi da chiedere in restituzione. I contribuenti che non avevano inteso aderire al rimborso nella percentuale forfetaria stabilita dall’Agenzia, ovvero che per un motivo qualsiasi non avevano presentato istanza entro il 22 ottobre 2007, avevano la possibilità di dimostrare il diritto ad una detrazione in misura superiore presentando apposita istanza ai sensi del d.lgs. n. 546 del 1992, art. 21, da presentarsi entro il 15 novembre 2008 (due anni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 258 del 2006).
4.4. Pertanto, gli effetti della sentenza resa dalla Corte di Giustizia sono stati immediati per tutti gli acquisti effettuati dal 14 settembre 2006, mentre, per quelli precedenti il decreto legge, è stata recuperata a favore dei contribuenti, pregiudicati dalla norma dichiarata incompatibile con la norma comunitaria, la detraibilità dell’Iva sugli acquisti di beni e servizi inerenti all’esercizio dell’impresa a partire “dall’ I gennaio 2003 e fino al 13 settembre 2006” (cfr.provvedimento Direttore Agenzia delle Entrate del 22 febbraio 2007).
4.5. Questa Corte — premesso che la sentenza della Corte di giustizia richiedeva una disciplina amministrativa di attuazione adottata con il D.L. 258 e dettante modalità di esercizio e cadenze temporali con decorrenza dalla sua data di entrata in vigore (Cass. n. 5411 del 2012 e n. 27185 del 2014; conf. nn. 3008, 3024, 3259, 3260 del 2013) – ha chiarito che tale disciplina non interferisce, però, coi giudizi in corso su istanze di rimborso avanzate e disattese prima della ridetta sentenza comunitaria del 14 settembre 2006 (Cass. n. 11943 del 2012). Infatti, la circostanza che sia la richiesta di rimborso IVA sia il ricorso al giudice tributario siano stati presentati anteriormente all’entrata in vigore del D.L. n.258/2006, porta ad escludere l’applicabilità della normativa sopravvenuta riguardo alle formalità prescritte per l’ammissibilità della domanda. Le previsioni sopravvenute sono estranee alla fattispecie perché regolano – in sede di prima applicazione ovverosia allorché la statuizione comunitaria sia invocata per la prima volta dal contribuente – unicamente la procedura amministrativa delle istanze fondate sulla sentenza della Corte di giustizia del 14 settembre 2006 (C-228/05), alla cui attuazione sono espressamente destinate, quindi, le istanze di rimborso presentate all’amministrazione finanziaria successivamente a detta sentenza (cfr. Cass. n. 5174 del 2016 che richiama Cass. n. 14064 del 2012). In altri termini, la normativa attuativa, per evidente coerenza logica e costituzionale, è applicabile ai giudizi pendenti alla data del 14 settembre 2006 unicamente laddove essa è diretta a considerare, per gli acquisti effettuati dal primo gennaio 2003 al 13 settembre 2006, in ogni caso ampliati i termini di decadenza per la presentazione dell’istanza, ossia estesi sino alla scadenza del biennio dal 15 novembre 2006, come precisato nel provvedimento direttoriale, ovvero, in base a una diversa tesi, dal 23 febbraio 2007 data di pubblicazione in G.U. del provvedimento direttoriale che fissa alcuni contenuti dell’istanza (così Cass. n.5176 del 2016 citata; Cass. n.8373, n.14789 e n.14790 del 2015; v. anche Cass. n.27185 e n.23552 del 2014).
4.6. Nel caso in esame, residua, quale oggetto del contendere, l’Iva sugli acquisti versata in epoca precedente all’1 gennaio 2003 e, conseguentemente, esclusa dal recupero generalizzato di cui al citato provvedimento. L’istanza di rimborso – fondata sulla non conformità della norma interna con la sesta direttiva – è stata presentata il 12 maggio 2005, ossia in epoca anteriore alla data (14 settembre 2006) della pronuncia comunitaria. Essa, intervenuta in corso di causa, ha solo confermato il sostrato giuridico della tesi della non conformità, costituente già la causa petendi della richiesta di rimborso e del ricorso al giudice tributario (conf. Cass. ult. cit.).
4.7. Ne deriva, alla luce dei principi sopra illustrati, che, vertendosi su rimborsi per gli anni dal 2000 al 2002, la sentenza impugnata che ha ritenuto tardive le domande di restituzione del 12 maggio 2015 riguardo a tutte le somme pagate dalla contribuente per IVA assolta prima del 12 maggio 2003, è esente da censura, non operando i termini ampliati di cui al D.L. n.258/2006, né gli art.19 e 57 d.P.R. 633 del 1972, invocati dalla ricorrente, e operando, invece, l’ordinario termine di decadenza previsto dall’art. 21 proc. trib. per qualsivoglia rimborso atipico anche di derivazione comunitaria (conf. nello stesso senso Cass., Sez.U, n.13676 del 2014).
4.8. Costituisce, invero, ius receptum il principio secondo cui, i tributi dichiarati in contrasto con il diritto comunitario sono equiparati ai tributi pagati in base a norma dichiarata incostituzionale, che è eliminata con effetto retroattivo dall’ordinamento con la conseguenza che i pagamenti assumono ex post la qualifica di pagamenti non dovuti, con il limite per cui il rimborso non è dovuto quando il pagamento si collega a un rapporto esaurito (intendendosi con tale espressione anche il caso in cui sia scaduto il termine per chiedere il rimborso, che decorre in questo caso dal pagamento: cfr. Cass. Sez. U. n.13676/2016 cit. e, di recente, tra le molte, nella specifica materia Cass.n.16763/2017).
Nell’ordinamento tributario vige, per la ripetizione del pagamento indebito, un regime speciale basato sull’istanza di parte, da presentare, a pena di decadenza, nel termine previsto dalle singole leggi di imposta o, comunque in difetto dalle norme sul contenzioso tributario (art.16, comma sesto, del d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636 e, ora, artt. 19, comma 1, lett. g. e 21, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, secondo il quale <<la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto della restituzione>>). Ed al riguardo va osservato, che, in ipotesi, quale quella in esame, in cui <<in mancanza di disciplina comunitaria di domande di rimborso delle imposte indebitamente prelevate, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire i requisiti al ricorrere dei quali tali domande possano essere presentate, purché i requisiti in questione rispettino i principi di equivalenza e di effettività>> (Corte di Giustizia, sentenza 15 marzo 2007, causa C-35/05 Reemtsma Cigarettenfabriken) e che << la previsione di un termine di decadenza di due anni entro il quale il soggetto passivo può reclamare il rimborso dell’IVA versata a torto nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, mentre il termine di prescrizione per le azioni di ripetizione dell’indebito oggettivo tra privati è decennale>> è compatibile con il diritto dell’Unione in quanto << non è di per sè contraria al principio di effettività>> (cfr.Corte di Giustizia, 15 dicembre 2011, C- 427/10, p-27 che richiama la sentenza 17 novembre 1998, causa C-228/96 Aprile, punto 19, sent. 30 giugno 2011, causa C-262/09 Meilicke e a., punto 56 e la sentenza 8 settembre 2011, cause riunite C-89/10 e C-96/10. Q-Beef e Bosschaert, punto 42), essendo idoneo a consentire a qualsiasi soggetto passivo normalmente diligente di far validamente valere di diritti attribuitigli dall’ordinamento giuridico dell’Unione (Corte di Giustizia 15 dicembre 2011, C-427/10, che richiama la sentenza 21 gennaio 2010, causa C-472/08, Alstrom Power Hydro, punti 20 e 21).
Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, il ricorso va, pertanto, rigettato.
La novità delle soluzioni giurisprudenziali (rispetto alla data di proposizione del ricorso) induce a compensare integralmente tra le parti le spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.