DIRITTO

Dichiarazione di successione e diritto di abitazione

La legge 76/2016 (cosiddetta legge Cirinnà) in materia di regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze, in vigore dal 5 giugno 2016al comma 37 dell’art. 1 prevede

che ai fini dell’accertamento della stabile convivenza il riferimento è la dichiarazione anagrafica, come indicata dal DPR 223/1989 all’art. 4 e alla lettera b), comma 1, dell’articolo13. In proposito nella circolare n. 7 del 2018, riguardo alle detrazioni per interventi di ristrutturazione edilizia, è stato precisato che “poiché ai fini dell’accertamento della stabile convivenza la legge n. 76 del 2016 richiama il concetto di famiglia anagrafica previsto dal regolamento anagrafico di cui al DPR n. 223 del 1989 (Risoluzione n. 64/2016), tale status può risultare dai registri anagrafici o essere oggetto di autocertificazione resa ai sensi dell’art. 47 del DPR n . 445 del 2000”.

La richiesta di chiarimenti

Un caso presentato con istanza di interpello è quello di un contribuente che è erede insieme alla sorella del fratello, deceduto in assenza di testamento, che non aveva figli e aveva coabitato dal 2008 con la compagna nell’appartamento intestato a lui per intero. La convivente ha sempre avuto la residenza anagrafica in un Comune limitrofo fino al 2008, da quando la sua residenza effettiva è stata trasferita presso il compagno in maniera ininterrotta.

L’interpellante chiede:

– se ai fini del riconoscimento del diritto di abitazione, previsto dall’art. 1, comma 42, della legge 76/2016 a favore del convivente more uxorio, è necessaria la residenza anagrafica oppure se la coabitazione può essere provata in altro modo;

– se è possibile inserire nella dichiarazione di successione del fratello defunto anche la convivente superstite in qualità di titolare del diritto di abitazione pur in assenza, al momento dell’apertura della successione, della residenza anagrafica presso la casa del de cuius.

Secondo l’istante il requisito della residenza anagrafica richiesto dalla legge ai fini del diritto di abitazione ha solo un effetto probatorio e non costitutivo del diritto, citando al riguardo il Tribunale di Milano che ha accolto questa soluzione con la pronuncia del 31 maggio 2016, nella quale ha affermato che “… avendo la convivenza una natura ‘fattuale’ e, cioè, traducendosi in una formazione sociale non esternata dai partners a mezzo di un vincolo civile formale, la dichiarazione anagrafica è strumento privilegiato di prova e non anche elemento costitutivo e ciò si ricava, oggi, dall’art. 1 comma 36 della L. n. 76 del 2016, in materia di regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”.

Sempre a parere dell’interpellante:

a) le bollette delle utenze intestate alla convivente ed a lei recapitate nell’abitazione del defunto costituiscono una idonea documentazione attestante la convivenza;

b) mancando le bollette la convivenza potrà essere provata anche con la dichiarazione degli eredi in forma di scrittura privata autenticata recante il riconoscimento della convivenza ultraquinquennale tra i due;

c) la soluzione prospettata avrebbe il vantaggio di ottenere uno sgravio fiscale per gli eredi, visto che inserendo il diritto di abitazione nella dichiarazione di successione del defunto, le imposte relative alla successione saranno imputabili anche alla compagna superstite;

d) inoltre, si eviterebbe la doppia trascrizione nei pubblici registri immobiliari per la denuncia di successione, prima, e per la costituzione del diritto di abitazione la seconda volta.

La legge 76/2016

In relazione al caso oggetto di interpello, con la risposta n. 463 l’Agenzia delle entrate afferma che lo status di convivente possa essere riconosciuto a mezzo di una autocertificazione ai sensi del citato art. 47, DPR 445/2000, malgrado la convivenza con il de cuius non risulti da alcun registro anagrafico e la convivente superstite non abbia la residenza anagrafica nella casa di proprietà dello stesso.

Inoltre, riguardo al diritto di abitazione riconosciuto alla convivente, si deve far riferimento al comma 42 della citata legge 76/2016, secondo il quale, fatto salvo quanto previsto dall’art. 337-sexies del codice civile, in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitarvi per due anni o per un periodo pari alla convivenza, se superiore a due anni, comunque non oltre i cinque anni.

L’intervento della Cassazione

Sul punto è intervenuta la Suprema Corte con la sentenza n. 10377 del 2017, nella quale ha chiarito che la convivenza more uxorio come formazione sociale che origina “un autentico consorzio familiare” determina, sulla casa di abitazione in cui si svolge e si realizza la vita in comune, “un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità, tale da assumere i connotati tipici di una detenzione qualificata che ha titolo in un negozio giuridico di tipo familiare, con la conseguenza che l’estromissione violenta o clandestina dall’unità abitativa, compiuta da terzi e finanche dal convivente proprietario in danno del convivente non proprietario, legittima quest’ultimo alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l’azione di spoglio” (Corte Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7214 del 21/3/2013 e Sentenza n. 7 del

2014).

Il regime legale della detenzione dell’immobile è riconducibile a un diritto personale di godimento acquisito dal convivente in virtù del titolo giuridico individuato dalla legge nello svolgersi della vita in comune, anche attraverso la coabitazione, ovvero tramite la destinazione della casa all’uso abitativo dei conviventi.

Il riconoscimento del diritto di continuare a vivere e abitare nella casa comune, come previsto dal citato art. 1, comma 42, della legge Cirinnà, è diretto a garantire la tutela del diritto all’abitazione dalle eventuali pretese restitutorie dei successori del defunto per un periodo di tempo ritenuto ragionevolmente adeguato a permettere al convivente superstite di risolvere in un altro modo la faccenda della situazione abitativa.

No al diritto di abitazione in successione

Nel caso in questione il convivente non assume la qualifica di legatario dell’immobile, vista l’assenza di una disposizione testamentaria atta a istituirlo come tale ai sensi dell’art. 588 del codice civile.

E’ quindi possibile, per la signora, continuare a vivere nella casa del compagno defunto anche se mancano precise disposizioni testamentarie, ma contrariamente a quanto ritenuto dall’erede la convivente non diventa anche parte attiva nella successione, con annessa indicazione nella dichiarazione; è infatti da escludersi che il diritto di abitazione (art. 1, comma 42, della legge 76/2016) debba essere indicato nella dichiarazione di successione, trattandosi di un diritto personale di godimento attribuito a una persona che non è erede o legataria.

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