FISCALITA

Deposito IVA, obbligo di garanzia e reverse charge

Una società dichiara di essere titolare di autorizzazione alla gestione di un deposito doganale pubblico rilasciata dall’Ufficio delle Dogane competente e utilizzato anche come deposito IVA.

Il decreto legge 193/2016, convertito nella legge 225/2016, ha introdotto, a decorrere dal 1° aprile 2017, importanti novità nella disciplina dei depositi IVA – art. 50-bis, Dl 331/1993 – nella parte che regola l’introduzione e l’estrazione dei beni dal deposito IVA. Le modifiche riguardano la modalità di pagamento dell’imposta, coinvolgendo in qualità di sostituto di imposta il gestore del deposito stesso. Successivamente, il Dm 23 febbraio 2017 ha definito i contenuti, le modalità e i casi di prestazione della garanzia prevista dall’art. 50-bis, comma 6, secondo periodo, del citato decreto 331/1993, da parte dei soggetti che procedono all’estrazione di beni introdotti in deposito IVA, ai sensi del comma 4, lettera b), del medesimo articolo.

In particolare, l’art. 4 del decreto ministeriale disciplina i cosiddetti “Casi di esclusione” di prestazione della garanzia, inserendo (nella lettera a) i soggetti che hanno effettuato l’immissione in libera pratica con introduzione nel deposito IVA e che procedono anche all’estrazione delle stesse merci dal deposito.

Alla luce delle norme sopra elencate la società chiede se in base all’art. 4, lett. a) del Dm 23/2/2017, nel caso in cui il soggetto che procede all’estrazione dei beni dal deposito IVA coincide con quello che ha effettuato l’immissione in libera pratica con introduzione dei beni nello stesso deposito, si configuri o meno l’obbligo di prestare la garanzia prevista secondo le modalità previste dall’art. 38-bis, comma 5, del DPR 633/1972.

Nello specifico l’istante ritiene, in base al tenore letterale dell’art. 4 del citato Decreto del 2017, che per le merci provenienti da Paesi terzi e immesse in libera pratica in Italia, dopo l’introduzione nel deposito IVA da parte dello stesso soggetto che poi procede alla loro estrazione, non esista alcun obbligo di prestare la garanzia prevista all’uscita delle merci dal deposito IVA.

 

L’Agenzia delle Entrate

Nella risoluzione n. 5/E del 16 gennaio 2018, l’Amministrazione finanziaria ricorda di aver già chiarito, nella risoluzione 55/E del 2017, che le modifiche introdotte dal Dl 193/2016 implicano, da una parte, l’estensione dell’utilizzo del deposito IVA a tutti i beni, senza distinzioni in base alla provenienza e, dall’altro parte, una diversa modalità di estrazione dei beni stessi sulla base della predetta provenienza.

Per quanto riguarda le modalità di estrazione dei beni dal deposito IVA, momento che coincide con l’esigibilità del tributo, l’art. 50-bis, comma 6, prevede che, fatta eccezione per i beni introdotti a seguito di un acquisto intracomunitario (art. 50-bis,comma 4, lett. a, Dl 331/93) e dei beni immessi in libera pratica (medesimo comma, lett. b), per le altre operazioni agevolate l’imposta è dovuta dal soggetto che procede all’estrazione ed è versata in suo nome e per suo conto dal gestore del deposito.

Per i beni immessi in libera pratica la norma, in particolare, richiede che per poter assolvere l’imposta ai sensi dell’art. 17, comma 2, del DPR 633/1972, ovvero mediante l’inversione contabile (reverse charge), il soggetto che procede all’estrazione del bene deve prestare idonea garanzia secondo le modalità e nei casi definiti dal Dm 23 febbraio 2017: quest’ultimo, da un lato stabilisce un elenco di requisiti soggettivi di affidabilità che l’operatore che procede a estrarre i beni dal deposito IVA deve possedere per poter adempiere mediante il reverse charge, senza dover presentare la garanzia di cui all’art. 38-bis, comma 5, del DPR n. 633 del 1972 (art. 2); dall’altro lato, specifica i casi in cui tali requisiti di affidabilità sono presunti e, dunque, il soggetto che estrae non è obbligato a contrarre la garanzia per poter utilizzare l’inversione contabile quando estrae i beni dal Deposito (art. 4).

In pratica la prestazione della garanzia (art. 38-bis, comma 5, DPR 633) è residuale in quanto necessaria solo per i soggetti che intendano avvalersi del reverse charge anche se non possiedono i requisiti di affidabilità previsti dall’art. 2 del Dm (che, peraltro, possono essere autocertificati) né rientrano, comunque, nelle ipotesi del successivo art. 4, il quale al comma 1 stabilisce che “i requisiti di cui all’art. 2, comma 1, si considerano sussistenti in capo ai soggetti che procedono all’estrazione qualora ricorra una delle seguenti condizioni:

  1. a) il soggetto che procede all’estrazione dei beni dal deposito IVA coincide con quello che ha effettuato l’immissione in libera pratica con introduzione dei beni nel deposito IVA;
  2. b) il soggetto che procede all’estrazione dei beni dal deposito IVA è un soggetto autorizzato ai sensi degli articoli 38 e seguenti del regolamento (UE) n.952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 ottobre 2013, oppure è esonerato ai sensi dell’art. 90 del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43”.

Il comma 2 del citato art. 4 sancisce esplicitamente che “Nei casi elencati al comma 1, per l’estrazione dei beni introdotti nel deposito IVA l’imposta è dovuta dal soggetto che procede all’estrazione a norma dell’art. 17, secondo comma, del DPR n. 633 del 1972”.

In base al tenore letterale dell’art. 4 del Dm 23/2/2017, chi si trova nelle condizioni indicate alla lettera a) o b) è esonerato dal prestare la garanzia al fine di estrarre i beni mediante il reverse charge, ritenendo l’operatore affidabile ai sensi del decreto e, dunque, esente dal dover presentare una ulteriore garanzia “in uscita”: per questo soggetto restano ferme le modalità di svincolo della garanzia “in entrata”, al momento dell’introduzione dei beni nel deposito, in base al citato art. 50-bis, comma 4, lettera b), del Dl 331/1993 (secondo quanto indicato nella risoluzione 35/E del 2017).

In proposito l’Agenzia evidenzia, infatti, che la garanzia che sostiene le operazioni di immissione in libera pratica di beni destinati a essere introdotti in depositi IVA è diversa da quella che sostiene le operazioni di estrazione degli stessi e che le due garanzie, inoltre, sono tra loro indipendenti.

Tale indipendenza è confermata, tra l’altro, dal fatto che in linea generale le due garanzie sono prestate da due soggetti diversi – la garanzia “in entrata” dal soggetto che immette i beni, quella “in uscita” dal soggetto che procede all’estrazione – e che hanno anche una diversa durata temporale; la garanzia che condiziona l’estrazione deve avere una durata di 6 mesi a partire dal momento in cui si perfeziona tale adempimento, mentre quella relativa all’introduzione dura fino alla comunicazione, da parte del soggetto che procede all’estrazione dal deposito, dei dati relativi alla liquidazione dell’imposta.

Viene inoltre sottolineato che in alcuni casi, per l’immissione di beni in libera pratica mediante introduzione nel deposito IVA, non esiste l’obbligo di prestare la garanzia “in entrata”: si tratta dei casi in cui l’immissione è effettuata da alcune categorie di soggetti, ritenuti affidabili ai sensi della normativa doganale, come il caso dell’operatore economico autorizzato (AEO, art. 38, Reg. UE 952/2013, Codice doganale dell’Unione) o dei soggetti esonerati dal prestare idonea garanzia ai sensi dell’art. 90 del TULD (Testo unico disposizioni legislative in materia doganale).

La risoluzione 5/E si conclude affermando che nel caso di immissione in libera pratica con introduzione del bene nel Deposito, il soggetto che estrae i beni può applicare l’inversione contabile senza aver prestato la garanzia “in uscita” nei seguenti casi:

1) il soggetto che estrae possiede i requisiti di affidabilità indicati nell’art. 2, comma 1, del Dm 23/2/2017;

2) il soggetto che estrae rientra tra i soggetti contemplati dall’art. 4, comma 1, lettere a) e b).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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