CASSAZIONE

Definizione agevolata delle controversie sugli atti impositivi

Tributi – Imposta di registro – Impugnazione della cartella di pagamento – Art. 36-bis del DPR n. 600/1973 – Controversia suscettibile di definizione agevolata – Atto impositivo – Definizione – Art. 6 del Dl 119/2018 – Falsa applicazione – Avviso di liquidazione di maggior imposta di registro relativa a contratto di compravendita – Accoglimento

La Corte di cassazione, con l’Ordinanza n. 37401 del 21 dicembre 2022, intervenendo in tema di impugnazione di cartella esattoriale relativa all’imposta di registro, ha affermato che la cartella di pagamento emessa a seguito dell’avviso di liquidazione divenuto definitivo non può essere definita ai sensi dell’art. 6 del Dl 119/2018, in quanto non è il primo e unico atto con cui la pretesa fiscale è stata comunicata al contribuente. Da ciò potrebbe scaturire che la cartella non è un atto impositivo, bensì un atto di mera riscossione e, in quanto tale, non soggetto a definizione. Inoltre, continuano i Giudici, facendo riferimento agli avvisi di liquidazione dell’imposta di registro, il costante indirizzo di legittimità ritiene che la definizione dell’atto come avviso di liquidazione … “non vale ad escludere la sua natura di atto impositivo, quando esso sia destinato ad esprimere, per la prima volta, nei confronti del contribuente, una pretesa fiscale maggiore di quella applicata, essendo sufficiente che la sua contestazione da parte del contribuente sia idonea ad integrare una controversia effettiva, e non apparente, sui presupposti e sui contenuto dell’obbligazione tributaria”.

Dunque, il tema oggetto della controversia ruota attorno alla corretta individuazione dell’espressione “atto impositivo” ai fini dell’applicazione della sanatoria. A parere della Corte di Cassazione l’atto impositivo è il provvedimento che “impone” per la prima volta al contribuente una prestazione determinata nell’an e nel quantum. Ma in questi termini anche una cartella di pagamento dà origine a una controversia suscettibile di definizione ai sensi dell’art. 6, Dl 119/2018 qualora la predetta cartella costituisca il primo e unico atto col quale la pretesa fiscale è stata comunicata al contribuente. Difatti, l’art. 6 del Dl 119/2018 prevede espressamente che le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l’Agenzia delle entrate, aventi a oggetto atti impositivi pendenti in ogni stato e grado del giudizio, possono essere definite su istanza di parte con il pagamento di un importo pari al valore della controversia.

In sostanza, e sempre in tema di definizione agevolata, anche il giudizio avente a oggetto l’impugnazione della cartella emessa in sede di controllo automatizzato ex art. 36-bis, DPR 600/1973, con la quale l’Amministrazione finanziaria liquida le imposte calcolate sui dati forniti dallo stesso contribuente e la definizione dell’atto come “avviso di liquidazione”, non vale a escludere la sua natura di atto impositivo, quando esso sia destinato a esprimere per la prima volta, nei confronti del contribuente, una pretesa fiscale maggiore di quella applicata. Entrambi gli atti, dunque, possono essere oggetto della definizione ai sensi del citato art. 6, D. 119/2018.

Gli Ermellini, quindi, hanno rammentato le importanti puntualizzazioni rese dalle Sezioni Unite civili sull’interpretazione dell’espressione “atto impositivo” contenuta nella citata norma: l’atto impositivo è quello che impone per la prima volta al contribuente una prestazione determinata nell’an e nel quantum e, quindi, se dovessimo chiederci “A quali condizioni è suscettibile di definizione agevolata la lite sulla cartella emessa in sede di controllo automatizzato”?, potremmo far riferimento ai chiarimenti offerti dalla pronunzia delle SS.UU. n 18298/2021, nella quale gli Ermellini hanno affermato l’applicabilità della definizione agevolata di cui all’art. 6, Dl 119/2018 alle liti aventi a oggetto l’impugnazione della cartella di pagamento emessa in sede di controllo automatizzato ex art. 36-bis, DPR 600/1973.

La pronuncia conferma che la ratio deflattiva delle discipline condonistiche richiede una nozione ampia di “atto impositivo”. In assenza di una norma definitoria, i confini di tale presupposto possono essere individuati tenendo conto dei caratteri che, pur diversamente modulati, ne scandiscono il regime giuridico sotto il profilo dell’esercizio di un potere autoritativo, dell’emanazione all’esito di un procedimento amministrativo il cui svolgimento si manifesta nella motivazione dell’atto, e della garanzia di tutela giurisdizionale.

Affermano al riguardo i Supremi Giudici: “… È dunque opportuno ricordare come l’art. 6, comma 1, del d.l. 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 136/2018 – laddove stabilisce che “[l]e controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l’Agenzia delle entrate, aventi ad oggetto atti impositivi, pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in Cassazione e anche a seguito di rinvio, possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio o di chi vi è subentrato o ne ha la legittimazione, con il pagamento di un importo pari al valore della controversia», stabilito ai sensi dell’art. 12, comma 2, del d. Igs. 31 dicembre 1992, n. 546 – si ponga, in termini di sostanziale continuità con le precedenti disposizioni di cui: all’art. 2 – quinquies del d.l. 30 settembre 1994, n. 564, convertito, con modificazioni, dalla I. 30 novembre 1994, n. 656; all’art. 16 della I. 27 dicembre 2002, n. 289; all’art. 39, comma 12, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla I. 15 luglio 2011, n. 111. Rispetto a dette disposizioni si pone invece in maniera eccentrica il disposto dell’art. 11, comma 1, del d.l. 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla I. 21 giugno 2017, n. 96, ove la possibilità di definizione agevolata delle controversie in presenza delle condizioni ivi stabilite è riferita alle controversie attribuite alla giurisdizione tributaria, riguardanti, in generale, l’atto impugnato, in Ric. 2013 n. 26292 sez. SU – ud. 11-05-2021 -7- Corte di Cassazione – copia non ufficiale cui è parte l’Agenzia delle entrate pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in cassazione ed anche a seguito di rinvio. Tra le precedenti disposizioni, in particolare, pare utile ricordare il contenuto dell’art. 16, terzo comma, della I. n. 289/2002, al quale il c.d. minicondono del 2011 per le liti di valore fino a ventimila euro ha, salvo alcune specificazioni, fatto rinvio, trattandosi della norma in relazione alla quale si è, per lo più, affermato l’indirizzo in esame. L’art. 16 della I. n. 289/2002, per quanto qui d’interesse, stabilisce, al terzo comma, che per lite fiscale pendente, in relazione al disposto del primo comma della stessa norma, s’intende quella in cui è parte l’amministrazione finanziaria dello Stato avente ad oggetto avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione, per i quali, alla data di entrata in vigore di detta legge, è stato proposto l’atto introduttivo del giudizio. 3.2. Nella vigenza del condono previsto dalla I. n. 289/2002, si è andato affermando l’indirizzo secondo cui «in tema di condono fiscale, l’art. 16 della I. n. 289/2002, consentendo la definizione agevolata delle sole liti aventi ad oggetto un atto impositivo comunque denominato, non si applica alle controversie riguardanti la cartella, emessa ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, con cui l’Amministrazione richiede il pagamento di versamenti omessi e delle conseguenti sanzioni, derivando, per quanto attiene ai versamenti, da una mera liquidazione dei tributi già esposti dal contribuente e, con riferimento alle sanzioni, da un riscontro puramente formale dell’omissione, senza alcuna autonomia e discrezionalità da parte dell’Amministrazione» (cfr, tra le molte, Cass., sez. 5, 21 aprile 2011, n. 9194; Cass., sez. 5, ord. 24 maggio 2012, n. 9894; Cass., sez. 5, 11 aprile 2014, n. 8529; Cass., sez. 5, 28 gennaio 2015, n. 1571; Cass., sez. 6-5, ord. 2 novembre 2018, n. 28064, nonché Cass., sez. 5, 12 luglio 2013, n. 17252; Cass. sez. 5, 13 aprile 2016, n. 7279; Cass. sez. 6-5, ord. 8 giugno 2017, n. Ric. 2013 n. 26292 sez. SU – ud. 11-05-2021 -8- Corte di Cassazione – copia non ufficiale 14344; Cass. sez. 5, ord. 21 gennaio 2021, n. 1231, queste ultime in fattispecie relative all’art. 39, comma 12, del d.l. n. 98/2011). 3.2.1. Detto orientamento ha, inoltre, costituito la base su cui si è essenzialmente ritenuto non suscettibile di definizione agevolata l’avviso di liquidazione, laddove sia assente la discrezionalità dell’Amministrazione, affinché possa parlarsi di importo realmente contestato (cfr., tra le altre, Cass. sez. 5, 21 aprile 2011, n. 9178, sui limiti entro i quali possa essere oggetto di definizione agevolata della lite, ex art. 16 della L. n. 289/2002, controversia riguardante l’impugnazione di avviso di liquidazione emesso sulla base della volontà del contribuente di avvalersi del sistema automatico di valutazione catastale di cui all’art. 12 del d.l. 14 marzo 1988, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla I. 13 maggio 1988, n. 154). 3.2.2. Ancora, di detto orientamento si è fatta applicazione in tema di accertamento con adesione per sostenere che la sospensione del termine d’impugnazione previsto dall’art. 6, comma 3 del d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218, sia applicabile solo qualora l’istanza di accertamento con adesione sia presentata nei confronti di un atto accertativo e non anche a seguito di cartella seguita a liquidazione ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973, non essendo questa fondata su una ricostruzione dei dati esposti dal contribuente nella dichiarazione, ma su mero controllo formale effettuato con procedure automatizzate (cfr. Cass., sez. 5, ord. 4 settembre 2020, n. 18397). 3.3. Tra le pronunce più recenti, con specifico riferimento alla definizione agevolata ex art. 6, comma 1, del d.l. n. 119/2018, ha ribadito detto orientamento Cass., sez. 5, ord. 24 dicembre 2020, n. 29552, in motivato dissenso rispetto all’indirizzo di cui al paragrafo successivo, rilevando che, a differenza di altre ipotesi contemplate dagli articoli 36 bis del d.P.R. n. 600/1973 e 54 bis del d.P.R. n. 633/1972, come quelle relative all’esclusione o riduzione delle detrazioni o deduzioni ritenute in tutto o in parte non spettanti, di cui a1 Ric. 2013 n. 26292 sez. SU – ud. 11-05-2021 -9- Corte di Cassazione – copia non ufficiale alle lettere c) e d) del secondo comma del citato art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973, «nei casi (riconducibili alla liquidazione/controllo a norma della lett. f del comma 2 dell’art. 36-bis o a norma della lett. c del comma 2 dell’art. 54-bis) di imposte dichiarate e non versate, o versate tardivamente, l’iscrizione a ruolo delle stesse imposte e/o degli interessi non presuppone alcuna rettifica dei dati e degli elementi indicati nelle dichiarazioni, ma opera il mero recupero dell’imposta dichiarata dal contribuente e da lui non versata (con i relativi interessi) o dei soli interessi sulla stessa imposta non versata»; da ciò discendendo la conseguenza – prosegue la citata Cass. ord. n. 29552/20 – «che tali ruoli e le pedisseque cartelle di pagamento costituiscono atti di mera riscossione, privi di natura anche impositiva, con la conseguenza che gli stessi ruoli, così come le cartelle che li recano, non possono ritenersi suscettibili di definizione agevolata ai sensi […] dell’art. 6 del d.l. n. 119 del 2018». La conclusione a cui approda la pronuncia in esame è che «della natura non impositiva dell’atto (ruolo e cartella di pagamento) partecipano anche le sanzioni per l’omesso o il ritardato versamento delle imposte dichiarate, atteso che l’iscrizione a ruolo di tali sanzioni, previste dall’art. 13 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, consegue automaticamente al suddetto omesso o ritardato versamento.”

Alla luce di quanto esposto è allora possibile confermare che secondo gli Ermellini per atto impositivo si intende il primo provvedimento che comunica la pretesa al contribuente e come tale impugnabile anche per motivi di merito.  

Tanto premesso e tornando alla questione in esame, la vicenda ha inizio quando un contribuente riceve una cartella di pagamento su avviso di liquidazione di maggior imposta di registro relativa a contratto di compravendita. Rivoltosi alla giustizia tributaria il contribuente si vedeva negata l’istanza di definizione ex art. 6, Dl 119/2018 dalla CTP. La CTR, invece, ha ritenuto che la controversia in oggetto fosse soggetta alla definizione agevolata e dichiarava il procedimento estinto.  L’Amministrazione, di contrario avviso, si era rivolta alla Suprema Corte, lamentando falsa applicazione della disposizione appena richiamata.

La  Corte di Cassazione ha giudicato fondata tale doglianza,  e ha affermato che : “ … E’ costante indirizzo di legittimità – formatosi su altra disposizione condonistica, ma analogamente strutturata – quello secondo cui “in tema di condono fiscale ciò che rileva ai fini della qualificazione dell’atto come impositivo e della conseguente inclusione della relativa controversia nell’ambito applicativo della L. n. 289 del 2002, art. 16, è la sua effettiva funzione, a prescindere dalla qualificazione formale dell’atto stesso. Pertanto, con specifico riferimento agli avvisi di liquidazione dell’imposta di registro, la definizione dell’atto come “avviso di liquidazione” non vale ad escludere la sua natura di atto impositivo, quando esso sia destinato ad esprimere, per la prima volta, nei confronti del contribuente, una pretesa fiscale maggiore di quella applicata, essendo sufficiente che la sua contestazione da parte del contribuente sia idonea ad integrare una controversia effettiva, e non apparente, sui presupposti e sui contenuti dell’obbligazione tributaria” (Cass. nn. 5158/14; 20731/10; 13136/16 ed altre). Questa impostazione, incentrata su un criterio di effettività, è stata successivamente recepita anche dalla stessa Amministrazione finanziaria con la menzionata Circolare 6/E del 1^ aprile 2019, dove si osserva (§ 2.3.4): “con riferimento agli avvisi di liquidazione dell’imposta di registro, delle imposte ipotecarie e catastali e dell’imposta di successione, si osserva che tali atti non presuppongono, di norma, operazioni di rettifica delle dichiarazioni presentate dai contribuenti. Occorre tuttavia evidenziare che, ai fini della definizione, rileva la natura sostanziale dell’atto impugnato, che prescinde dal “nomen iuris” utilizzato nella specie. In tal senso si è espressa la Corte di cassazione con riferimento all’avviso di liquidazione dell’imposta di registro, volto a far valere “per la prima volta nei confronti del contribuente una pretesa fiscale maggiore di quella applicata al momento della richiesta di registrazione” (Cass. 20 luglio 2021, n. 20683). 2.4. Nel caso di specie, la CTR ha errato nel ritenere che la controversia fosse suscettiva di definizione ai sensi dell’art. 6 del d.l. n. 119 del 2018, conv. dalla L. n. 136 del 2018 dato che la cartella in questione non costituiva il primo ed unico atto col quale la pretesa fiscale è comunicata al contribuente (Cass. SU, 18298/2021), non era dunque un atto impositivo ed era invece un atto di mera riscossione; 3. il secondo motivo di ricorso – con cui viene lamentata la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la CTR dichiarato il giudizio integralmente estinto e così anche per la parte, per cui non vi era specifica domanda, in cui la cartella di riferiva a sanzioni e interessi- resta assorbito; 4. in conclusione, il primo motivo di ricorso deve essere accolto, il secondo resta assorbito, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa deve essere rinviata alla corte territoriale, in diversa composizione, per esame dell’appello dei contribuenti oltre che per la liquidazione delle spese del processo”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 21 dicembre 2022, n. 37401

sul ricorso 23709-2021 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. 06363391001), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro C. L., DE L. R., domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato ELEFANTE TULLIO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3045/2/2021 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA SEZIONE DISTACCATA di SALERNO, depositata 1’08/04/2021;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 23/11/2022 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO MONDINI.

Premesso che:

1. in causa relativa a cartella di pagamento su avviso di liquidazione di maggior imposta di registro relativa a contratto di compravendita notificato a C.L. e De L.R. – avviso impugnato da quest’ultimo e divenuto definitivo a seguito di decisione di questa Corte n.26978/2014- la Ctp di Salerno, trascurando l’istanza di definizione ex art.6 d.l. 119/2018, presentata dai contribuenti, ne rigettava il ricorso.

I contribuenti impugnavano la sentenza.

Nel giudizio davanti alla CTR della Campania emergeva che l’amministrazione aveva negato la definizione agevolata e che questo diniego era stato separatamente impugnato. La CTR riuniva il ricorso in appello e il ricorso contro il diniego e, ritenuto il diniego illegittimo, in accoglimento del secondo ricorso, dichiarava estinto il giudizio;

2. l’amministrazione ricorre con due motivi per la cassazione della sentenza della CTR;

3. i contribuenti resistono con controricorso ed hanno depositato memoria;

considerato che:

1. con il primo motivo di ricorso viene lamentata la falsa applicazione dell’art. 6 del d.l. 119/2018 per avere la CTR ritenuto la controversia suscettiva di definizione ai sensi dell’articolo citato;

2. il motivo è fondato e va accolto.

2.1. L’art.6, co. 1, d.l. 119/18 stabilisce che: “Le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui e’ parte l’Agenzia delle entrate, aventi ad oggetto atti impositivi, pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in Cassazione e anche a seguito di rinvio, possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio o di chi vi e’ subentrato o ne ha la legittimazione, con il pagamento di un importo pari al valore della controversia”.

2.2. E’ stato precisato che l’interpretazione dell’espressione “atto impositivo” – i.e. l’individuazione dell’atto impositivo- deve essere centrata (non sulla sussistenza o insussistenza di un margine di discrezionalità da parte dell’Amministrazione nella determinazione della pretesa impositiva, bensì) su ciò che si tratti o non di atto con il quale il contribuente è reso edotto della pretesa fatta valere dall’Amministrazione nei suoi confronti (Cass. Sez. UU. n.18298 del 25 giugno 2021).

In altri termini, l’atto impositivo è quello che “impone” per la prima volta al contribuente una prestazione determinata nell’an e nel quantum” (Sez. U sentenza citata, in particolare punto 6.1. della motivazione).

E’ stato quindi concluso: “In tema di definizione agevolata, anche il giudizio avente ad oggetto l’impugnazione della cartella emessa in sede di controllo automatizzato ex art. 36 bis del d.P.R. n.600 del 1973, con la quale l’Amministrazione finanziaria liquida le imposte calcolate sui dati forniti dallo stesso contribuente, dà origine a una controversia suscettibile di definizione ai sensi dell’art. 6 del d.l. n. 119 del 2018, conv. dalla L. n. 136 del 2018, qualora la predetta cartella costituisca il primo ed unico atto col quale la pretesa fiscale è comunicata al contribuente, essendo come tale impugnabile, ex art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, non solo per vizi propri, ma anche per motivi attinenti al merito della pretesa impositiva.” (Cass. Sez. U, n. 18298/2021);

2.3. E’ costante indirizzo di legittimità – formatosi su altra disposizione condonistica, ma analogamente strutturata – quello secondo cui “in tema di condono fiscale ciò che rileva ai fini della qualificazione dell’atto come impositivo e della conseguente inclusione della relativa controversia nell’ambito applicativo della L. n. 289 del 2002, art. 16, è la sua effettiva funzione, a prescindere dalla qualificazione formale dell’atto stesso. Pertanto, con specifico riferimento agli avvisi di liquidazione dell’imposta di registro, la definizione dell’atto come “avviso di liquidazione” non vale ad escludere la sua natura di atto impositivo, quando esso sia destinato ad esprimere, per la prima volta, nei confronti del contribuente, una pretesa fiscale maggiore di quella applicata, essendo sufficiente che la sua contestazione da parte del contribuente sia idonea ad integrare una controversia effettiva, e non apparente, sui presupposti e sui contenuti dell’obbligazione tributaria” (Cass. nn. 5158/14; 20731/10; 13136/16 ed altre). Questa impostazione, incentrata su un criterio di effettività, è stata successivamente recepita anche dalla stessa Amministrazione finanziaria con la menzionata Circolare 6/E del 1^ aprile 2019, dove si osserva (§ 2.3.4): “con riferimento agli avvisi di liquidazione dell’imposta di registro, delle imposte ipotecarie e catastali e dell’imposta di successione, si osserva che tali atti non presuppongono, di norma, operazioni di rettifica delle dichiarazioni presentate dai contribuenti.

Occorre tuttavia evidenziare che, ai fini della definizione, rileva la natura sostanziale dell’atto impugnato, che prescinde dal “nomen iuris” utilizzato nella specie. In tal senso si è espressa la Corte di cassazione con riferimento all’avviso di liquidazione dell’imposta di registro, volto a far valere “per la prima volta nei confronti del contribuente una pretesa fiscale maggiore di quella applicata al momento della richiesta di registrazione” (Cass. 20 luglio 2021, n. 20683).

2.4. Nel caso di specie, la CTR ha errato nel ritenere che la controversia fosse suscettiva di definizione ai sensi dell’art. 6 del d.l. n. 119 del 2018, conv. dalla L. n. 136 del 2018 dato che la cartella in questione non costituiva il primo ed unico atto col quale la pretesa fiscale è comunicata al contribuente (Cass. SU, 18298/2021), non era dunque un atto impositivo ed era invece un atto di mera riscossione;

3. il secondo motivo di ricorso – con cui viene lamentata la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la CTR dichiarato il giudizio integralmente estinto e così anche per la parte, per cui non vi era specifica domanda, in cui la cartella di riferiva a sanzioni e interessi- resta assorbito;

4. in conclusione, il primo motivo di ricorso deve essere accolto, il secondo resta assorbito, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa deve essere rinviata alla corte territoriale, in diversa composizione, per esame dell’appello dei contribuenti oltre che per la liquidazione delle spese del processo;

PQM

la Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara il secondo assorbito, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, anche per le spese. Così deciso in Roma il 23 novembre 2022, mediante modalità da remoto

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