Dall’Unione europea nuove regole per le libere professioni
La Direttiva (UE) 2018/958 “del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 giugno 2018, relativa a un test della proporzionalità prima dell’adozione di una nuova regolamentazione delle professioni” (pubblicata sulla GU L 173 del 9/7/2018), introduce l’obbligatorietà della valutazione preliminare di ciascuna regolamentazione riguardante la libera professione. Diventa quindi obbligatorio, per tutti gli Stati dell’Unione europea – con l’intento dichiarato di garantire il corretto funzionamento del mercato interno – effettuare un test preventivo prima di emanare qualsiasi nuova direttiva che riguardi le libere professioni, o prima della modifica di quelle esistenti, garantendo un elevato livello di tutela dei consumatori: il test si propone di introdurre una valutazione della proporzionalità che assicuri l’assenza di limitazioni all’accesso alle professioni regolamentate in relazione a nuove disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che limitano l’accesso alle professioni regolamentate.
Per quanto concerne il recepimento, gli Stati membri dovranno effettuarlo entro il 30 luglio 2020.
Nella direttiva Ue si evidenzia che per ogni Paese che modifica la normativa relativa a una professione, è basilare tener conto della natura dei rischi inerenti agli obiettivi di interesse pubblico anche per quanto riguarda i destinatari di servizi, compresi i consumatori, i professionisti o terzi.
In sostanza, le nuove disposizioni fissate da uno Stato membro che limitano l’accesso alle professioni regolamentate, anche se la professione risulta già disciplinata attraverso un Ordine professionale, dovranno essere precedute dal test di proporzionalità.
Il principio di proporzionalità e l’onere della prova
Nella Direttiva si legge che in assenza, nel diritto dell’Unione, di specifiche disposizioni di armonizzazione dei requisiti per l’accesso a una professione regolamentata o per il suo esercizio, è competenza di uno Stato membro decidere se e come regolamentare una professione nel rispetto dei principi di non discriminazione e di proporzionalità.
Il principio di proporzionalità rientra tra i principi generali del diritto dell’Unione: come risulta dalla giurisprudenza, i provvedimenti nazionali che possono ostacolare o scoraggiare l’esercizio delle libertà fondamentali garantite dovrebbero soddisfare quattro condizioni, vale a dire: applicarsi in modo non discriminatorio, essere giustificati da motivi di interesse generale, essere idonei a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di tale obiettivo. La precedente Direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio contiene l’obbligo per gli Stati membri di valutare la proporzionalità dei requisiti che limitano l’accesso alle professioni regolamentate, o il loro esercizio, e di comunicare alla Commissione i risultati di tale valutazione, dando il via al “processo di valutazione reciproca”. Nell’ambito di tale processo, gli Stati membri erano tenuti a sottoporre ad analisi l’insieme della loro legislazione per tutte le professioni regolamentate nel loro territorio e i risultati di tale processo hanno evidenziato la mancanza di chiarezza per quanto riguarda i criteri che gli Stati membri devono utilizzare nella valutazione della proporzionalità dei requisiti che limitano l’accesso alle professioni regolamentate o il loro esercizio, e una disomogeneità dell’esame di tali requisiti a tutti i livelli di regolamentazione. Per impedire la frammentazione del mercato interno ed eliminare gli ostacoli all’accesso e all’esercizio di alcune attività di lavoro subordinato o autonomo, dovrebbe esserci un approccio comune a livello europeo per evitare l’adozione di provvedimenti sproporzionati.
La Direttiva 2018/958 mira a stabilire le norme per le valutazioni della proporzionalità che gli Stati membri devono effettuare prima dell’introduzione di nuove regolamentazioni delle professioni, o per la modifica di regolamentazioni esistenti, per garantire il corretto funzionamento del mercato interno, garantendo allo stesso tempo la trasparenza e un elevato livello di tutela dei consumatori.
Prima di introdurre nuove disposizioni o di modificare quelle esistenti, spetta agli Stati membri far sì che sia rispettato il principio di proporzionalità dei requisiti specifici relativi alla prestazione temporanea o occasionale di servizi, compresi:
- a) la registrazione temporanea e automatica o un’affiliazione pro forma presso un’organizzazione o un ordine professionale (art. 6, comma 1, lettera a, Direttiva 2005/36/CE);
- b) una dichiarazione preventiva conforme all’art. 7, paragrafo 1, Direttiva 2005/36, documenti, richiesti a norma del paragrafo 2 dello stesso articolo o altro requisito equivalente;
- c) il pagamento di una tassa o di qualsiasi onere, necessario per le procedure amministrative concernenti l’accesso alle professioni regolamentate o il loro esercizio, sostenuti da chi eroga il servizio.
L’onere della prova della motivazione e della proporzionalità ricade sugli Stati membri. Le motivazioni a supporto di una regolamentazione che possono essere presentate da uno Stato membro dovrebbero essere corredate di un’analisi dell’idoneità e della proporzionalità del provvedimento adottato da tale Stato membro e di precisi elementi comprovanti le argomentazioni: Nonostante uno Stato membro non debba necessariamente eseguire uno studio specifico o precisi elementi o materiali a sostegno della proporzionalità di tale provvedimento prima della sua adozione, lo stesso dovrebbe condurre un’analisi oggettiva attestante l’esistenza di rischi reali per il conseguimento degli obiettivi di interesse pubblico.
La Direttiva
Nell’art. 1 del documento si legge che la presente Direttiva non pregiudica la competenza, in assenza di armonizzazione, e il margine di discrezionalità degli Stati membri nel decidere se e come regolamentare una professione entro i limiti dei principi di non discriminazione e proporzionalità.
L’ambito di applicazione sono le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative degli Stati membri che limitano l’accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio, o a una delle sue modalità di esercizio, compreso l’uso di titoli professionali e comprese le attività professionali autorizzate in base al titolo. Nei casi in cui i requisiti specifici riguardanti la regolamentazione di una certa professione siano stabiliti in altri atti dell’Unione, che non lasciano agli Stati membri la scelta dell’esatta modalità di recepimento, non si applicano le analoghe disposizioni della Direttiva 2018/958.
Come confermato da costante giurisprudenza, è vietata qualunque restrizione ingiustificata derivante dal diritto nazionale che limiti la libertà di stabilimento o la libera prestazione dei servizi, compresa qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità o la residenza.
E’ compito degli Stati membri provvedere affinché le disposizioni che limitano l’accesso alle professioni regolamentate o il loro esercizio che gli stessi vogliono introdurre, e le modifiche che intendono apportare alle disposizioni vigenti, siano giustificate da motivi di interesse generale, come possono essere, tra gli altri, motivi di ordine pubblico, di sicurezza pubblica o di sanità pubblica, tutela dei consumatori, salvaguardia della giustizia, lotta contro la frode e prevenzione di evasione ed elusione fiscale, sicurezza dei trasporti, tutela dell’ambiente, ecc.
Prima di introdurre nuove disposizioni che limitano l’accesso alle professioni regolamentate o il loro esercizio o prima di modificare quelle esistenti gli Stati membri, con mezzi appropriati, mettono informazioni a disposizione dei cittadini, dei destinatari di servizi e altri portatori di interessi, anche di chi non esercita la professione interessata.