FISCALITA IVA

Credito IVA inesistente: utilizzo in compensazione e sanzioni

Con la risoluzione n. 36 dell’8 maggio 2018 l’Agenzia delle Entrate risponde a un quesito riguardante il trattamento sanzionatorio da adottare a seguito dell’utilizzo in compensazione di un credito IVA inesistente, già recuperato in ambito accertativo e sanzionato per infedele dichiarazione e illegittima detrazione, ai sensi degli articoli 6, comma 6, e 5, comma 4, del D.lgs. 471/1997.

Nello specifico, il quesito è stato formulato all’Ufficio Consulenza di una Direzione Regionale dall’Ufficio Accertamento della stessa struttura, il quale, in caso di operazioni inesistenti e di recupero e sanzione dell’illegittima detrazione dell’IVA addebitata in fattura, ha manifestato dubbi in merito alla possibilità di punire, oltre all’infedeltà dichiarativa, anche il successivo utilizzo del credito inesistente in compensazione.

 

La data di effettuazione dell’illecito

Per contrastare il fenomeno dell’evasione da riscossione attraverso indebite compensazioni, l’art. 27, commi da 16 a 20, del decreto legge 185/2008, convertito dalla legge 2/2009, aveva introdotto misure ad hoc in materia di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti, modificando il regime sanzionatorio e anche le modalità e i termini applicabili sia per il controllo che per l’azione di recupero.

Nella relazione illustrativa al citato decreto 185 era stato infatti chiarito che le misure in questione erano volte a colpire le ipotesi in cui “dai riscontri sui dati contenuti nei modelli di pagamento unificato relativi alle compensazioni esposte” vi fossero “crediti d’imposta non esposti, come obbligatoriamente previsto, nelle dichiarazioni presentate, nonché relativi a periodi di formazione per i quali le dichiarazioni risultano omesse, o nei quali l’attività economica esercitata dai contribuenti risulta essere cessata”. La sanzione prevista in questi casi era compresa tra il 100 e il 200% dell’importo dei crediti utilizzati, con applicazione del 200% in caso di credito inesistente utilizzato per un importo superiore a 50.000 euro per anno solare.

Nella citata relazione illustrativa veniva inoltre precisato che le condotte sanzionate erano quelle contraddistinte da aspetti fraudolenti in quanto, nella maggior parte dei casi, l’inesistenza dei crediti non è riscontrabile partendo dal controllo delle dichiarazioni fiscali, ma viene appurata solo a seguito di specifici riscontri di coerenza contabile tra quanto indicato nei modelli F24 rispetto ai crediti utilizzati in compensazione e le dichiarazioni, in molti casi omesse, in cui risulterebbe essersi formata la cosiddetta “provvista”. La sanzione introdotta all’art. 27 del decreto n. 185 mirava dunque a colpire condotte fraudolente, intese come quelle atte a indurre in errore l’Amministrazione finanziaria perchè rilevabili solo a seguito di un controllo del modello di versamento. L’insidiosità di questi comportamenti, non emergenti dalle dichiarazioni presentate o dal raffronto con i relativi modelli di versamento, ha condotto a prevedere:

– un più ampio termine per il controllo;

– una decorrenza del termine stesso collegata, non alla data di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui il credito inesistente è sorto o da quella in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata, in caso di dichiarazione omessa, ma alla data di effettuazione dell’illegittima compensazione, considerando che è da tale momento che l’illecito può dirsi configurato.

 

La definizione di credito inesistente

Con il D.lgs. 158/2015, di riforma del sistema sanzionatorio amministrativo, è stata introdotta una definizione normativa di credito inesistente all’art. 13 del D.lgs. 471/1997, dalla quale far derivare la definizione di credito non spettante e uno regime sanzionatorio “dedicato” nell’ambito della disposizione riservata agli omessi versamenti, definendo inesistente il credito rispetto al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante i controlli previsti dagli artt. 36-bis e 36-ter del DPR 600/1973 e dall’art. 54-bis del DPR 633/1972.

Ciò permette, tra l’altro, di tener conto della molteplicità dei crediti agevolativi esistenti in ambito fiscale, “così diversamente configurati dalle singole leggi istitutive”, evitando che si possa applicare al contribuente una sanzione particolarmente grave in presenza dei requisiti sostanziali previsti dalla norma istitutiva del credito, ma quando non siano stati effettuati unicamente gli adempimenti di natura formale, e sempreché l’effettuazione di tali adempimenti non sia considerata elemento costitutivo di maturazione del credito dalle stesse leggi.

Il riferimento al riscontro dell’esistenza del credito da utilizzare in compensazione mediante procedure automatizzate rappresenta, tuttavia, una condizione ulteriore rispetto a quella dell’esistenza sostanziale del credito, mirata a evitare che si applichino le sanzioni più gravi quando il credito fruito indebitamente in compensazione possa comunque essere rilevato tramite controlli automatizzati, il che “priva la condotta del contribuente di quella lesività idonea a giustificare la più grave misura sanzionatoria”.

 

La volontà legislativa

Dal quadro normativo delineato, si legge nella risoluzione 36/2018, si desume chiaramente l’intenzione di adottare, nel Dl 185/2008 prima, e modificando poi, nel 2015, il D.lgs. 471/1997, una norma speciale per sanzionare e recuperare il credito creato artificiosamente e utilizzato in compensazione nei modelli F24.

In tal caso, visto che l’inesistenza del credito non è riscontrabile partendo dal controllo delle dichiarazioni fiscali, le modalità di recupero non possono che essere quelle della notifica di apposito atto di recupero, previste dall’art. 1, comma 421, della legge 311/2004. Invece, se il credito inesistente da eccedenze d’imposta è stato indicato in dichiarazione e successivamente utilizzato, si deve procedere esclusivamente con l’emissione degli atti di accertamento in rettifica della dichiarazione, da notificarsi entro i termini ordinari di decadenza, applicando la sanzione prevista per infedele dichiarazione.

Quest’ultima, in seguito alle modifiche introdotte dal D.lgs. 15872015, è stata anche inasprita nei casi in cui la violazione venga realizzata utilizzando fatture o altra documentazione falsa o per operazioni inesistenti, mediante artifici o raggiri, condotte simulatorie o fraudolente; inoltre, ingloba sia la sanzione dell’omesso versamento del tributo sia quella per la compensazione di crediti inesistenti.

 

La risposta dell’Agenzia

In considerazione delle analisi esposte, le Entrate sostengono che nel caso prospettato dall’Ufficio Consulenza della Direzione Regionale non debba essere sanzionato, in aggiunta al recupero effettuato in ambito accertativo e già sanzionato per infedele dichiarazione e illegittima detrazione, anche il successivo utilizzo in compensazione del credito inesistente.

Una soluzione diversa da questa, peraltro, avrebbe l’effetto di punire la stessa violazione:

– una prima volta, sanzionando la contabilizzazione delle fatture inesistenti e la riduzione del debito d’imposta o l’indicazione di un maggior credito (articoli 5, comma 4, e 6, comma 6, D.lgs. 471/1997), sanzioni tra loro cumulabili in progressione, oltre al recupero del minor credito spettante;

– una seconda volta, contestando le indebite compensazioni effettuate negli anni successivi, applicando la sanzione prevista dall’art. 13, comma 5, del medesimo decreto n. 471, e recuperando il credito utilizzato in compensazione.

Fermo restando, dunque, il recupero del minor credito nell’ambito della contestazione per infedele dichiarazione, le compensazioni effettuate negli anni successivi sono da considerare legittime e non possono essere più contestate, come previsto dell’art. 13 del citato D.lgs. 471/1997, e nemmeno recuperate.

 

 

 

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