CASSAZIONE

Crediti esattoriali da cartelle non impugnate: termini da valutare per ogni singolo anno di imposta

Tributi – Imposta di registro – Cartelle esattoriali – Intimazione di pagamento – Rateizzazione istanza – Art. 2944, cod. civ. – Art. 24, c. 5, del D.lgs. n. 46/1999 – IRPEF, IRES, IRAP e IVA – Termini decennali – Distinzione tra tributi erariali e tributi locali – Prescrizione – Separata individuazione del termine prescrizionale

La Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 32679 del 16 dicembre 2024, affrontando nuovamente la materia piuttosto controversa della prescrizione dei crediti esattoriali derivanti da cartelle non impugnate, ha confermato quei concetti già definiti dalle Sezioni Unite nella Sentenza n. 23397/2016; tuttavia, ha premesso che il principio di carattere generale, secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non anche la c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 cod. civ. in merito agli effetti del giudicato sulle prescrizioni brevi, dispone che “… I diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni, quando riguardo ad essi è intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, si prescrivono con il decorso di dieci anni”. Bisogna aggiungere che su un caso di cartella esattoriale non opposta, la Cassazione, VI sezione, con ordinanza interlocutoria n. 1799/2016, trasmetteva gli atti al Primo Presidente affinché valutasse l’opportunità di ricorso alle Sezioni Unite, la quale si pronunciò scegliendo una soluzione intermedia nella quale statuiva che il termine prescrizionale dipenderà dalla natura del credito azionato (v. Cass. Sent. n. 23397/2016): tale termine, di conseguenza, generalmente per i tributi erariali sarà di 10 anni, mentre per i tributi locali di 5 anni, come per quelli contributivi (INAIL e INPS).

Gli Ermellini hanno oggi anche affermato, riferendosi direttamente alla richiesta di rateizzazione intesa come atto interruttivo della prescrizione, che nell’ambito delle obbligazioni tributarie non può riconoscersi alcuna efficacia novativa e di doversi configurare, più semplicemente, come una modalità di estinzione dell’obbligazione che lascia inalterato il titolo e l’oggetto della stessa, assegnando al contribuente il mero vantaggio del pagamento frazionato.

Orbene, sulla prescrizione delle somme richieste tramite cartella esattoriale dal Concessionario della Riscossione esiste, come noto, un acceso dibattito giurisprudenziale in merito all’applicabilità del summenzionato art. 2953 c.c. risultando abbastanza evidente che la questione affrontata abbia una notevole rilevanza pratica, perché impatta direttamente sulla possibilità, per i contribuenti, di opporsi all’esecuzione forzata e, per l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, di procedere alla riscossione di crediti iscritti a ruolo dopo lunghi periodi di inattività.

Comunque, è possibile affermare che attualmente la controversia relativa alla prescrizione dei crediti esattoriali derivanti da cartelle di pagamento non impugnate si concentra principalmente su due questioni, che riguardano essenzialmente il termine di prescrizione applicabile e l’effetto della mancata impugnazione della cartella. Limitatamente al primo punto, la disputa riguarda se il termine di prescrizione del credito sia quello originario del credito sottostante (ad esempio, 5 anni per contributi previdenziali o 10 anni per debiti tributari come l’IRPEF, salvo interruzioni), oppure quello ordinario decennale, che alcuni ritengono applicabile perché la cartella non impugnata potrebbe costituire un titolo esecutivo definitivo. La mancata impugnazione della cartella di pagamento entro i termini previsti (generalmente 60 giorni dalla notifica) rende definitivo l’atto, precludendo al contribuente di contestarne la legittimità. Tuttavia, non è ancora sufficientemente chiaro se la definitività dell’atto comporti anche l’applicazione automatica della prescrizione ordinaria decennale o se si debba comunque considerare il termine di prescrizione legato alla natura del credito originario.

Esistono al riguardo posizioni giurisprudenziali ancora divergenti, a partire proprio dalla citata sentenza delle SS.UU. n. 23397/2016, nella quale veniva affermato che le pretese della Pubblica amministrazione (Agenzia delle entrate, INPS, INAIL, Comuni, Regioni, ecc.) si prescrivono nel termine “breve” di cinque anni, eccetto nei casi in cui la sussistenza del credito non sia stata accertata con sentenza passata in giudicato o a mezzo di decreto ingiuntivo.

La decisione della Suprema Corte verteva sull’interpretazione dell’art. 2953 c.c. “con riguardo specifico all’operatività o meno della […]conversione del termine prescrizionale breve in quello ordinario decennale”, nelle fattispecie originate dalla notifica, nei confronti del cittadino, di “atti di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva” afferenti crediti statali sia di natura tributaria (Agenzia delle entrate), che extratributaria (INPS, INAIL, Comuni). In particolare, dall’ordinanza di rimessione della Sesta Sezione civile n. 1799/16, era primario valutare se la prescrizione breve (5 anni) “… sia applicabile anche nelle ipotesi in cui la definitività dell’accertamento del credito derivi da atti diversi rispetto ad una sentenza passata in giudicato”. In realtà la Corte di Cassazione, in passato, aveva mantenuto un orientamento tendenzialmente compatto sul punto, ossia è ammissibile la conversione della prescrizione breve a decennale “…soltanto per effetto di sentenza passata in giudicato, oppure di decreto ingiuntivo che abbia acquisito efficacia di giudicato formale e sostanziale”. Conseguentemente la prescrizione quinquennale, “per la riscossione coattiva dei crediti”, è da intendersi ammissibile “esclusivamente quando il titolo sulla base del quale viene intrapresa la riscossione non è più l’atto amministrativo, ma un provvedimento giurisdizionale divenuto definitivo”. 

Di fatto, la sentenza ha spiegato che la omessa impugnazione di un provvedimento accertativo o esattoriale non può concedere, all’atto in oggetto, di acquistare “efficacia di giudicato”, dato che tali atti sono espressione del potere di autoaccertamento e di autotutela della P.A. Già con la ordinanza n. 20213/2015 i giudici di Piazza Cavour avevano peraltro ampliato l’area di applicazione della prescrizione breve; infatti, era stato affermato che la prescrizione quinquennale operava laddove il titolo esecutivo fosse costituito dalla sola cartella esattoriale dell’ente della Riscossione. Dunque, nelle altre ipotesi di sussistenza del credito erariale (ad esempio, notifica dell’avviso di accertamento delle Entrate) avrebbe dovuto essere introdotta la prescrizione decennale.

Il nuovo orientamento ha quindi esteso i margini difensivi del cittadino, che potrà chiedere al giudice l’estinzione del credito statale per intervenuta prescrizione breve non soltanto nei casi di notifica di cartella esattiva (art. 36-bis e/o ter, DPR 600/1973), bensì anche nelle fattispecie riguardanti qualsiasi atto amministrativo di natura accertativa (avvisi di accertamento, avvisi di addebito, ecc.). Si rammenta poi che la Corte, in successive pronunce, ha ribadito che in tema di riscossione mediante ruolo la scadenza del termine perentorio per proporre opposizione alla cartella di pagamento di cui all’art. 24, comma 5, D.lgs. 46/1999, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, non produce la c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 cod. civ. (Cass. Sez. 6-5, 3 maggio 2019, n. 11760).

Con ordinanza n. 3827/2024 la Cassazione ha affermato che i diversi tributi soggiacciono al termine decennale di prescrizione se la legge non prevede termini diversi. I crediti IRPE, IRES, IRAP e IVA si prescrivono in dieci anni e non costituiscono prestazioni periodiche: la sussistenza dei relativi presupposti deve valutarsi in relazione a ciascun anno di imposta.

Nondimeno, i diversi tributi soggiacciono al termine ordinario decennale di prescrizione, se la legge non prevede termini prescrizionali differenti. In particolare, con riferimento a IRPEF, IRES, IRAP e IVA, il diritto alla riscossione dei tributi erariali, in mancanza di un’espressa disposizione di legge in senso contrario, si prescrive nel termine ordinario di dieci anni (art. 2946 cod. civ.) e non nel più breve termine quinquennale, non costituendo detti crediti erariali prestazioni periodiche, ma dovendo la sussistenza dei relativi presupposti valutarsi in relazione a ciascun anno d’imposta (tra le tante: Cass. Sez. 6-5, 11 maggio 2018, n. 11555; Cass., Sez. 6-5, 11 dicembre 2019, n. 32308; Cass., Sez. 6-5, 15 aprile 2019, n. 10547; Cass., Sez. 6- 5, 26 giugno 2020, n. 12740; Cass., Sez. Un., 25 marzo 2021, n. 8500; Cass., Sez. 6-5, 25 maggio 2021, n. 14346; Cass., Sez. 6-5, 6 luglio 2021, n. 19106; Cass., Sez. 5, 19 luglio 2021, n. 20638; Cass., Sez. 65, 20 maggio 2022, n. 16395; Cass., Sez. 5, 29 novembre 2023, n. 33213). Ricapitolando, nonostante nella giurisprudenza permanga una certa incertezza su questo punto, l’orientamento prevalente sostiene che il termine di prescrizione rimane quello originario del credito sottostante, nonostante la mancata impugnazione della cartella: un credito INPS rimane soggetto al termine quinquennale anche dopo la notifica della cartella, mentre altre decisioni hanno ritenuto applicabile il termine decennale, trattando la cartella non impugnata come un titolo esecutivo definitivo. Nel caso odierno la Corte ha censurato la sentenza della CTR che aveva ritenuto applicabile la regola dell’art. 2948, codice civile. Sulla lettura che, per quanto si tratti di tributi che certamente debbono “pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”, richiedono una “valutazione del presupposto” in relazione a ciascun anno.

Corte di Cassazione – Ordinanza 16 dicembre 2024, n. 32679

sul ricorso iscritto al n. 19207/2017 R.G., proposto da:

Agenzia delle Entrate – Riscossione, con sede in Roma, in persona del responsabile pro tempore del contenzioso regionale per l’Abruzzo, nella qualità di successore a titolo universale di “Equitalia Servizi di Riscossione S.p.A.”, ai sensi dell’art. 1, comma 3, del d.l. 22 ottobre 2016, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 1 dicembre 2016,n. 225, rappresentata e difesa dall’Avv. Prof. Pieremilio Sammarco, con studio in Roma, ove elettivamente domiciliata, giusta procura in calce al ricorso introduttivo del presente procedimento;

– ricorrrente –

contro

G.P., rappresentato e difeso dall’Avv . Gabriella Di Cesare, con studio in Teramo, elettivamente domiciliato presso l’Avv. Alessandro Di Sanbonifacio, con studio in Roma, giusta procura in calce al controricorso di costituzione nel presente procedimento;

– controricorrente –

avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo – sezione staccata di Pescara il 24 gennaio 2017, n. 46/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 25settembre 2024 dal Dott. Giuseppe Lo Sardo.

Svolgimento del processo

1. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dal Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo – sezione staccata di Pescara – il 24 gennaio 2017, n. 46/06/2017, che, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di intimazione di pagamento n. (Omissis) notificata il 17 agosto 2015, in dipendenza di cinque cartelle di pagamento nn. 83200000206071740000, 83200000229076545000, 8320040005985579000, 8320060000973350000 e 8320070001935778000, notificate tra l’anno 2000 e l’anno 2007, ha accolto l’appello proposto da P.G. nei confronti della medesima avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Pescara il 9 marzo 2016, n. 140/01/2016, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali;

2. La Commissione tributaria regionale ha riformato la decisione di prime cure – che aveva rigettato il ricorso originario – sul rilievo:

a) che l’istanza presentata dal contribuente il 12 novembre 2015 per la rateizzazione delle somme contestate era stata rigettata e, comunque, non poteva comportare la stipulazione di un accordo novativo con l’agente della riscossione;

b) che una successiva intimazione di pagamento era stata notificata al contribuente nell’anno 2016 in relazione ad una sola cartella di pagamento notificata nell’anno 2001, comportando tale condotta una tacita rinunzia da parte dell’agente della riscossione a far valere le altre pretese;

c) che tale intimazione di pagamento, peraltro, si riferiva a cartella di pagamento per la quale vi era stata la maturazione della prescrizione decennale;

d) che, in ogni caso, si doveva computare la prescrizione quinquennale, non essendo fondati i crediti tributari su sentenze irrevocabili;

3. P.G. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1. il ricorso è affidato a sei motivi;

1.1 con il primo motivo, si denuncia difetto di giurisdizione del giudice tributario con riferimento alle cartelle di pagamento per contributi previdenziali, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 1, cod. proc. civ., per non essere stata declinata dal giudice di secondo grado la cognizione dell’impugnazione di queste ultime a favore del giudice ordinario (in funzione di giudice del lavoro);

1.2 con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2937 cod. civ., in combinazione con l’art, 2944, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per non essere stato ritenuto dal giudice di secondo grado che la presentazione dell’istanza di rateizzazione del debito tributario rilevasse alla stregua di rinuncia a far valere la prescrizione ordinaria da parte del contribuente e ai fini dell’interruzione della stessa;

1.3 con il terzo motivo, si denuncia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato omesso dal giudice di secondo grado di tener conto del fallimento del contribuente anche ai fini dell’interruzione della prescrizione;

1.4 con il quarto motivo, si denuncia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per non essere stato tenuto in conto dal giudice di secondo grado, con travisamento della prova, il contenuto dell’intimazione di pagamento in disamina;

1.5 con il quinto motivo, si denuncia violazione degli artt. 111 Cost., 132, secondo comma n. 4, cod., proc. civ., e 36 del D.Lgs. 31 dicembre 1994, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per essere stato deciso l’appello dal giudice di secondo grado con motivazione carente, apparente, contraddittoria, perplessa o incomprensibile con riguardo alla presunta “abdicazione” dell’agente della riscossione alle cartelle di pagamento diverse da quella prodromica all’intimazione di pagamento;

1.6 con il sesto motivo, si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2946 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per non essere stato applicato dal giudice di secondo grado il termine decennale di prescrizione ordinaria, trattandosi di crediti iscritti a ruolo per tributi erariali (addizionale comunale IRPEF) e connessi a cartelle di pagamento notificate e non impugnate dal contribuente.

2. Il primo motivo è infondato;

2.1 il secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel processo tributario, qualora il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito, affermando, anche implicitamente, la propria giurisdizione, la parte che intenda contestare tale riconoscimento è tenuta a proporre appello sul punto, trattandosi di parte vittoriosa, eventualmente in via incidentale condizionata ex art. 54 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, pur senza ricorrere a formule sacramentali, essendo sufficiente che dal complesso delle deduzioni e delle conclusioni formulate dall’appellato in sede di costituzione risulti chiaramente la volontà di ottenere la riforma della decisione (Cass., Sez. 5, 23 dicembre 2012, n. 2752; Cass., Sez. 5, 11 settembre 2019, n. 22652; Cass., Sez. 5, 28 ottobre 2020, n. 23677; Cass., Sez. 6-5, 25 novembre 2022, n. 34711); per cui, in difetto di devoluzione della questione di giurisdizione ad opera della parte vittoriosa nel merito all’esito del giudizio di primo grado, il giudice del gravame non avrebbe potuto rilevare il proprio difetto di giurisdizione, venendo, così, in rilievo questione sulla quale si era formato il giudicato interno (Cass., Sez. 5, 28 ottobre 2020, n. 23677);

2.2 va rilevato che, in sede di formulazione della censura, l’agente della riscossione ha dedotto di aver eccepito il difetto di giurisdizione del giudice tributario con le proprie controdeduzioni nel giudizio di primo grado, che sono state allegate al fascicolo di parte nel presente procedimento per soddisfare il canone di autosufficienza, il cui tradizionale rigore è stato recentemente rivisitato da questa Corte, anche alla luce di un doveroso coordinamento con i principi sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (ed in particolare col principio del “diritto all’equo processo” di cui all’art. 6, par. 1), affermandosi che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ. – quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza depositata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo il 28 ottobre 2021 (ric. nn. 55064/11, 37781/13 e 26049/14 – Succi e altri c. Italia) – non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può, pertanto, tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia Giurisprudenza specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (in particolare: Cass., Sez. 1, 1 marzo 2022, n. 6769; Cass., Sez. 3, 4 marzo 2022, n. 7186; Cass., Sez. Un., 18 marzo 2022, n. 8950; Cass., Sez. 3, 6 giugno 2023, n. 15846; Cass., Sez. 3, 20 giugno 2022, n. 19822);

2.3 tuttavia, nulla è stato dedotto in ordine alla riproposizione dell’eccezione di difetto di giurisdizione, sub specie di appello incidentale condizionato, nel giudizio di secondo grado, venendo così a mancare l’unica manifestazione di volontà idonea ad impedire la formazione del giudicato interno sulla questione di giurisdizione; peraltro, un’eventuale omissione di pronuncia del giudice di secondo grado sull’appello incidentale condizionato in tema di giurisdizione avrebbe dovuto essere censurata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.;

3. il secondo motivo è fondato, derivandone l’assorbimento del quarto motivo;

3.1 la questione è stata recentemente affrontata e decisa da questa Corte (Cass., Sez. 5, 6 febbraio 2024, n. 3414) con l’affermazione di principi condivisi dal collegio, che non intende discostarsene in questa sede;

3.2 premesso: – di non disconoscere l’orientamento secondo cui costituisce principio generale nel diritto tributario che non si possa attribuire al puro e semplice riconoscimento, esplicito o implicito, fatto dal contribuente d’essere tenuto al pagamento di un tributo e contenuto in atti della procedura di accertamento e di riscossione (denunce, adesioni, pagamenti, domande di rateizzazione o di altri benefici), l’effetto di precludere ogni contestazione in ordine all’an debeatur, salvo che non siano scaduti i termini di impugnazione e non possa considerarsi estinto il rapporto tributario, giacché siffatto riconoscimento esula da tale procedura, regolata rigidamente e inderogabilmente dalla legge, la quale non ammette che l’obbligazione tributaria trovi la sua base nella volontà del contribuente, per cui le manifestazioni di volontà del contribuente, quando non esprimano una chiara rinunzia al diritto di contestare l’an debeatur, debbono ritenersi giuridicamente rilevanti solo per ciò che concerne il quantum debeatur, nel senso di vincolare il contribuente ai dati a tal fine forniti o accettati” (Cass., Sez. 1, 19 giugno 1975, n. 2463);

– né di disconoscere il principio per cui, in materia tributaria, non costituisce acquiescenza, da parte del contribuente, l’aver chiesto ed ottenuto, senza alcuna riserva, la rateizzazione degli importi indicati nella cartella di pagamento, atteso che non può attribuirsi al puro e semplice riconoscimento d’essere tenuto al pagamento di un tributo, contenuto in atti della procedura di accertamento e di riscossione (denunce, adesioni, pagamenti, domande di rateizzazione o di altri benefici), l’effetto di precludere ogni contestazione in ordine all’an debeatur, salvo che non siano scaduti i termini di impugnazione e non possa considerarsi estinto il rapporto tributario (Cass., Sez. 5, 8 febbraio 2017, n. 3347);

– di aver affermato, con riferimento al riconoscimento dell’altrui diritto al quale l’art. 2944 cod. civ. ricollega l’effetto interruttivo della prescrizione, che lo stesso non ha natura negoziale, ma costituisce un atto giuridico in senso stretto, di carattere non recettizio, il quale non richiede, in chi lo compie, una specifica intenzione ricognitiva, occorrendo solo che contenga, anche implicitamente, la manifestazione della consapevolezza dell’esistenza del debito e riveli i caratteri della volontarietà (Cass., Sez. Lav., 7 settembre 2007, n. 18904); questa Corte ha ritenuto che il riconoscimento del diritto può, quindi, anche essere tacito e concretarsi in un comportamento obiettivamente incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa del creditore;

3.3 per cui, con specifico riferimento all’istanza di rateazione del debito contributivo, si è affermato che la domanda di rateizzazione del debito contributivo proposta dal debitore, anche se corredata dalla formula di salvezza dei diritti connessi all’esito di accertamenti giudiziali in corso unitamente ai pagamenti trimestrali effettuati secondo le previsioni dell’art. 1, comma 2-ter, del D.L. 8 aprile 1988, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 giugno 1998, n. 176, la quale ha previsto solo modalità agevolate di estinzione di quel debito, configura un riconoscimento di quest’ultimo, con conseguente interruzione della prescrizione quinquennale, il cui nuovo termine decorrerà dalla scadenza delle singole rate (Cass., Sez. 6-Lav., 29 dicembre 2015, n. 26013; Cass., Sez. Lav., 26 aprile 2017, n. 10327; Cass., Sez. Lav., 15 luglio 2021, n. 20260);

3.4. con specifico riferimento all’istanza di rateizzazione del debito tributario portato da cartelle esattoriali, questa Corte ha ulteriormente ribadito e chiarito (Cass., Sez. 5, 3 dicembre 2020, n. 27672; Cass., Sez. 5, 2 maggio 2023, n. 11338) che, pur essendo vero che la relativa domanda non costituisce acquiescenza da parte del contribuente in ordine all’an della pretesa, tuttavia, la stessa richiesta integra un riconoscimento del debito tale da interrompere la prescrizione ex art. 2944 cod. civ., ed è totalmente incompatibile con l’allegazione del contribuente di non avere ricevuto la notificazione delle cartelle di pagamento;

3.5 del resto, come pure è stato recentemente evidenziato (Cass., Sez. 6-5, 16 giugno 2022, n. 19401), una simile tesi ermeneutica non si pone in contrasto con i precedenti arresti (Cass., Sez. 6-5, 26 giugno 2020, n. 12735; Cass., Sez. Lav., 1 marzo 2021, n. 5549), in quanto, a ben vedere, la prima (Cass., Sez. 6-5, 26 giugno 2020, n. 12735) – secondo quanto è dato desumere dal tenore complessivo della motivazione – conferma semplicemente che la presentazione di istanza di rateizzazione non costituisce acquiescenza, non escludendo che essa implichi riconoscimento di debito (con conseguente effetto interruttivo della prescrizione), mentre la seconda (Cass., Sez. Lav., 1 marzo 2021, n. 5549), in parte motiva, si limita ad osservare che il riconoscimento di debito, quale atto interruttivo della prescrizione, pur non avendo natura negoziale, né carattere recettizio e costituendo un atto giuridico in senso stretto, non solo deve provenire da un soggetto che abbia poteri dispositivi del diritto, ma richiede, altresì, in chi lo compie una specifica intenzione ricognitiva, occorrendo a tal fine la consapevolezza del riconoscimento desunta da una dichiarazione univoca, tale da escludere che la dichiarazione possa avere finalità diverse o che lo stesso riconoscimento resti condizionato da elementi estranei alla volontà del debitore, dunque può anche essere tacito e concretarsi in un comportamento obiettivamente incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa del creditore ulteriormente precisando che l’indagine diretta a stabilire se una dichiarazione costituisca riconoscimento, ai sensi dell’art. 2944 cod. civ., rientra nei poteri del giudice di merito, il cui accertamento non è sindacabile in cassazione se sorretto da corretta motivazione;

3.6 deve, invero, convenirsi con l’affermazione secondo cui la richiesta di rateizzazione fa ritenere conosciute le cartelle di pagamento cui si riferiscono le somme di cui si è chiesta la rateizzazione (Cass., Sez. 6-5, 18 giugno 2018, n. 16098), in quanto il contribuente formula la sua richiesta di pagamento rateale proprio in relazione ad atti impositivi presupposti, di cui prende cognizione, che non può quindi negare di conoscere; si è, invero, riaffermato, in tale ultima pronuncia, che, se è vero che di per sé, in materia Giurisprudenza tributaria, – come sopra già sottolineato – non può costituire acquiescenza da parte del contribuente l’avere chiesto ed ottenuto, senza riserva alcuna, la rateizzazione degli importi indicati nelle cartelle di pagamento, nondimeno il riconoscimento della sussistenza del debito comporta, in ogni caso, l’interruzione del decorso del termine di prescrizione e si pone, quindi, in maniera totalmente incompatibile con l’allegazione del contribuente di non avere ricevuto gli atti impositivi (Cass., Sez. 5, 6 febbraio 2024, n. 3414); da qui, l’enunciazione del principio di diritto, secondo cui la richiesta di rateizzazione fa ritenere conosciute le cartelle di pagamento cui si riferiscono le somme di cui si è chiesta la rateizzazione e vale, di norma, quale atto interruttivo della prescrizione, mentre il contribuente non può più, di regola, utilmente eccepire la mancata conoscenza delle cartelle e degli atti impositivi presupposti (Cass., Sez. 5, 6 febbraio 2024, n. 3414);

3.7 tale principio è stato ribadito da un successivo arresto, secondo cui la domanda di rateazione e di definizione agevolata dei tributi, benché corredata dalla formula di salvezza dei diritti connessi all’esito di accertamenti giudiziali in corso, configura un riconoscimento di debito, al quale l’art. 2944 cod. civ. ricollega l’effetto interruttivo della prescrizione, in quanto atto giuridico in senso stretto, di carattere non recettizio, che non richiede in chi lo compie una specifica intenzione ricognitiva, ma soltanto la volontarietà e la consapevolezza dell’esistenza del debito (Cass., Sez. 1, 8 aprile 2024, n. 9221);

3.8 il che non comporta, comunque, che la mera istanza di rateizzazione possa valere, di per sé, come novazione (art. 1230 cod. civ.) delle obbligazioni tributarie;

3.9 in coerenza con la previsione dell’art. 1231 cod. civ., sul piano civilistico, è pacifico che l’atto con il quale le parti convengono la modificazione quantitativa della prestazione o il differimento della scadenza per l’adempimento di un’obbligazione, non costituisce una novazione e non comporta, dunque, l’estinzione dell’obbligazione originaria, restando assoggettato, per la sua natura contrattuale, alle ordinarie regole sulla validità; la novazione oggettiva esige, invero, l’animus novandi, cioè l’inequivoca, comune, intenzione di entrambe le parti di estinguere l’originaria obbligazione, sostituendola con una nuova, e l’aliquid novi, inteso come mutamento sostanziale dell’oggetto della prestazione o del titolo del rapporto (Cass., Sez. 1, 21 gennaio 2008, n. 1218; Cass., Sez. 3, 9 marzo 2010, n. 5665; Cass., Sez. 1, 6 luglio 2010, n. 15980; Cass., Sez. Lav., 29 ottobre 2018, n. 27390; Cass., Sez. Un., 24 dicembre 2018, n. 33367; Cass., Sez. 2, 14 settembre 2022, n. 27028; Cass., Sez. , 23 marzo 2023, n. 8347; Cass., Sez. 5, 25 maggio 2023, n. 14670);

là dove, invece, l’art. 1231 cod. civ. ha precisato che l’apposizione o l’eliminazione di un termine e ogni altra modificazione accessoria dell’obbligazione non producono novazione, per cui l’accordo sulla dilazione di pagamento costituisce una modifica meramente accessoria del rapporto obbligatorio, destinata a rilevare solo nel momento attuativo dello stesso ed incapace di mutarne il titolo o l’oggetto;

3.10 si ritiene, pertanto, che alla rateizzazione, anche nell’ambito delle obbligazioni tributarie, non può riconoscersi alcuna efficacia novativa, dovendosi configurare, più semplicemente, come una modalità di estinzione dell’obbligazione che lascia inalterato il titolo e l’oggetto della stessa, assegnando al contribuente il mero vantaggio del pagamento frazionato (Cass., Sez. 6-5, 9 settembre 2022, n. 26515);

3.11 ne consegue che la sentenza impugnata non si è pienamente conformata a tali principi, avendo ritenuto in motivazione che: “… Il non accoglimento dell’istanza di rateizzazione… impedisce di poter ritener perfezionato alcun accordo novativo, sicché non può concludersi per la rinnovazione del termine di pagamento e di prescrizione. L’istanza di rateizzazione, oltre a contenere l’espressa esclusione di qualsivoglia volontà abdicativa, è stata altresì formulata in questi termini dopo l’instaurazione del giudizio, sicché deve intendersi condizionata alla sconfitta in sede giurisdizionale”;

4. il terzo motivo è infondato;

4.1 secondo il tenore della censura, il giudice di appello non avrebbe tenuto conto del fallimento del contribuente come “fatto” interruttivo della prescrizione dei crediti tributari, la cui decisività sarebbe insita nell’inibizione del decorso del termine estintivo nel periodo compreso dalla dichiarazione (nell’anno 1995) fino alla chiusura del fallimento (nell’anno 2011);

4.2 di contro, si deve escludere a monte la rilevanza decisoria della dichiarazione di fallimento (in relazione all’interruzione della prescrizione), essendo pacifico che la dichiarazione di fallimento non sospende né interrompe il termine per l’esercizio delle azioni creditorie (da ultima: Cass., Sez. Lav., 11 dicembre 2023, n. 34532); soltanto la presentazione dell’istanza di ammissione del credito al passivo fallimentare, equiparabile all’atto con cui si inizia un giudizio, determina l’interruzione della prescrizione del credito medesimo, con effetti permanenti fino alla chiusura della procedura concorsuale, in applicazione del principio fissato dall’art. 2945, secondo comma, cod. civ. (da ultima: Cass., Sez. 5, 9 giugno 2023, n. 16415);

5. il quinto motivo è fondato;

5.1 l’art. 36, comma 2, n. 4, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, sulla falsariga dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. (nel testo modificato dall’art. 45, comma 17, della legge 18 giugno 2009, n. 69), dispone che la sentenza: “… deve contenere:… 4) la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione;…”; per costante giurisprudenza, invero, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza impugnata, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili (tra le tante: Cass., Sez. 5, 30 aprile 2020, n. 8427; Cass., Sez. 6-5, 15 aprile 2021, n. 9975; Cass., Sez. 5, 20 dicembre 2022, n. 37344; Cass., Sez. 5, 18 aprile 2023, n. 10354; Cass., Sez. 5, 22 maggio 2024, n. 14337); peraltro, si è in presenza di una tipica fattispecie di “motivazione apparente”, allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (tra le tante: Cass., Sez. 1, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5, 13 aprile 2021, n. 9627; Cass., Sez. 6-5, 24 febbraio 2022, n. 6184; Cass., Sez. 5, 18 aprile 2023, n. 10354; Cass., Sez. 5, 22 maggio 2024, n. 14337);

5.2 in particolare, poi, il vizio di motivazione contraddittoria è rinvenibile soltanto in presenza di un contrasto insanabile ed inconciliabile tra le argomentazioni addotte nella sentenza impugnata, che non consenta la identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione (tra le tante: Cass., Sez. Lav., 17 agosto 2020, n. 17196; Cass., Sez. 6-5, 14 aprile 2021, n. 9761; Cass., Sez. 5, 26 novembre 2021, n. 36831; Cass., Sez. 6-5, 14 dicembre 2021, n. 39885; Cass., Sez. 5, 27 aprile 2022, nn. 13214, 13215 e 13220); Giurisprudenza

5.3 nella specie, a ben vedere, si può ritenere che la motivazione non sia sufficiente né coerente sul piano della logica giuridica, giacché essa contiene un’oscura ed incomprensibile giustificazione delle ragioni sottese alla valutata sussistenza di una manifestazione tacita di volontà abdicativa in ordine ai crediti portati dalle cartelle di pagamento che non sarebbero state comprese in una successiva intimazione di pagamento notificata nell’anno 2016 (estranea al presente procedimento), avendo laconicamente affermato, senza alcun altra argomentazione in punto di diritto, che: “La circostanza che Equitalia abbia ritenuto di notificare un’intimazione di pagamento riferita solo alla cartella notificata nel 2001 appare… chiaramente abdicativa delle altre pretese”;

6. da ultimo, il sesto motivo è fondato;

6.1 il principio, di carattere generale, secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non anche la c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 cod. civ., si applica con riguardo a tutti gli atti – in ogni modo denominati – di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali, ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonché di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri enti locali, nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via; pertanto, ove per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione, non consente di fare applicazione dell’art. 2953 cod. civ., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo (Cass., Sez. Un., 17 novembre 2016, n. 23397);

in successive pronunce, questa Corte ha ribadito che, in tema di riscossione mediante ruolo, la scadenza del termine perentorio per proporre opposizione alla cartella di pagamento di cui all’art. 24, comma 5, del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, non produce la c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 cod. civ. (Cass., Sez. 6-5, 3 maggio 2019, n. 11760);

tuttavia, deve rilevarsi che i diversi tributi soggiacciono al termine ordinario decennale di prescrizione, se la legge non prevede termini prescrizionali differenti;

con riferimento ad IRPEF, IRES, IRAP ed IVA, il diritto alla riscossione dei tributi erariali, in mancanza di un’espressa disposizione di legge in senso contrario, si prescrive nel termine ordinario di dieci anni (art. 2946 cod. civ.) e non nel più breve termine quinquennale (art. 2948, n. 4, cod. civ.), non costituendo detti crediti erariali prestazioni periodiche, ma dovendo la sussistenza dei relativi presupposti valutarsi in relazione a ciascun anno d’imposta (tra le tante: Cass. Sez. 6-5, 11 maggio 2018, n. 11555; Cass., Sez. 6-5, 11 dicembre 2019, n. 32308; Cass., Sez. 6-5, 15 aprile 2019, n. 10547; Cass., Sez. 6- 5, 26 giugno 2020, n. 12740; Cass., Sez. Un., 25 marzo 2021, n. 8500; Cass., Sez. 6-5, 25 maggio 2021, n. 14346; Cass., Sez. 6-5, 6 luglio 2021, n. 19106; Cass., Sez. 5, 19 luglio 2021, n. 20638; Cass., Sez. 65, 20 maggio 2022, n. 16395; Cass., Sez. 5, 29 novembre 2023, n. 33213);

6.2 nella specie, quindi, il giudice di appello ha contravvenuto al principio enunciato, avendo erroneamente ritenuto l’indistinta e generalizzata applicabilità della prescrizione quinquennale ai crediti tributari (salvo il caso dell’accertamento definitivo mediante sentenza irrevocabile), con l’incondizionata affermazione che “non può applicarsi il termine di prescrizione di 10 anni, poiché l’art. 2953 c.c., in quanto norma di carattere Giurisprudenza eccezionale, di deroga al criterio ordinario del computo della prescrizione, non può estendersi per analogia a casi in cui la definitività del credito non deriva da un provvedimento giurisdizionale irrevocabile...”, senza tener conto della distinzione tra tributi erariali e tributi locali ai fini della separata individuazione del termine prescrizionale.

7. pertanto, alla stregua delle suesposte argomentazioni, valutandosi la fondatezza del secondo motivo, del quinto motivo e del sesto motivo, l’infondatezza del primo motivo e del terzo motivo, nonché l’assorbimento del quarto motivo, il ricorso può trovare accoglimento entro tali limiti e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado di Abruzzo (ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a, della legge 31 agosto 2022, n. 130), in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo, il quinto motivo ed il sesto motivo, rigetta il primo motivo ed il terzo motivo, dichiara l’assorbimento del quarto motivo;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado di Abruzzo, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 25 settembre

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