CASSAZIONE

Contenzioso: l’omessa esibizione dei documenti non determina la loro inutilizzabilità

Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Omessa esibizione da parte del contribuente dei documenti in sede amministrativa – Utilizzabilità della successiva produzione in sede contenziosa – Condizioni – Prova a carico dell’Amministrazione – Ottemperanza – Art. 32, commi 4 e 5, del d.P.R. n. 600/1973

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6792 del 9 marzo 2019, facendo riferimento anche alle passate sentenze in materia (cfr. Cass. n. 453 del 2013; Cass. n. 27069 del 2016; Cass. n. 7011 del 2018; Cass. n. 16548 del 2018) – peraltro non sempre univoche – è nuovamente intervenuta sulla questione della utilizzabilità della documentazione non prodotta su richiesta dell’Amministrazione finanziaria, chiarendo definitivamente quali sono gli oneri, ma anche i diritti, a carico del contribuente, considerando in particolare che l’omessa esibizione da parte del contribuente dei documenti in sede amministrativa, non determina la loro inutilizzabilità in sede contenziosa.

Da premettere che in tema di accertamento fiscale l’invito da parte dell’Amministrazione finanziaria, previsto dall’art. 32, quarto comma, DPR 29 settembre 1973, n. 600, a fornire dati, notizie e chiarimenti, assolve alla funzione di assicurare – in rispondenza ai canoni di lealtà, correttezza e collaborazione propri degli obblighi di solidarietà della materia tributaria – un dialogo preventivo tra fisco e contribuente per favorire la definizione delle reciproche posizioni, sì da evitare l’instaurazione del contenzioso giudiziario, rimanendo legittimamente sanzionata l’omessa o intempestiva risposta con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa.

Tale inutilizzabilità consegue automaticamente all’inottemperanza all’invito, non è soggetta alla eccezione di parte e può essere rilevata d’ufficio in ogni stato e grado di giudizio. Il contribuente può conseguire una deroga all’inutilizzabilità solo ove ricorrano le condizioni di cui all’art.32, quinto comma, del DPR n. 600/1973.

La Suprema Corte aveva per contro statuito, con la sentenza 23 marzo 2016, n. 5734, che “… Il tenore letterale della norma (l’art. 32, co. 4 e 5, D.p.r. n. 600/1973) consente di enucleare una efficacia automatica della sanzione di inutilizzabilità della documentazione prodotta tardivamente, in presenza dei presupposti ivi previsti, in quanto la comminatoria è direttamente ed oggettivamente riferita agli stessi e non è stabilito alcun ulteriore meccanismo di attivazione di parte, al contrario di quanto avviene per la deroga all’inutilizzabilità che deve essere fatta valere dal contribuente, con le modalità ivi previste, entro il termine per il deposito dell’atto introduttivo di primo grado”.

La sanzione della preclusione amministrativa e contenziosa di cui all’art. 32, co. 4, DPR n. 600/1973 opera, pertanto, in conseguenza dell’omissione o della tardiva produzione documentale in risposta agli inviti dell’ufficio, non trovando invece applicazione – spiega ancora la Corte – l’art. 58, D.lgs. n. 546/1992, che pure dispone la possibilità del deposito di nuovi atti e documenti nel corso del processo tributario.

Al contrario, occorre notare come la deroga all’applicazione della sanzione de qua, disposta dal successivo comma 5 dello stesso art. 32, trova spazio nell’unica ipotesi in cui il contribuente depositi, contestualmente all’atto introduttivo del giudizio, le notizie, i documenti e i registri non trasmessi dichiarando di non aver potuto adempiere alle richieste dell’ufficio per causa a lui non imputabile.

Ci permettiamo infine  di suggerire, a chi sia interessato, la lettura di una sentenza della S.C. di taglio molto più ricco e articolato nelle argomentazioni. Si tratta della Sentenza n. 9974 del 15 maggio 2015, nella quale la Corte affermava che “… La giurisprudenza di legittimità afferma che tale meccanismo conoscitivo e preclusivo mira al dialogo tra fisco e contribuente per favorire la definizione delle reciproche posizioni (Sez. 5, Sentenza n. 453 del 10/01/2013, Rv. 624728), sì da prevenire l’instaurazione del contenzioso giudiziario (Sez. 5, Sentenza n. 28049 del 30/12/2009, in motiv.), attesi quei canoni di lealtà, correttezza e collaborazione, da ritenersi doverosi … quando siano in gioco obblighi di solidarietà come quello in materia tributaria” (Corte cost. 351/2000)”.

Perciò, da una parte il legislatore sanziona l’omissione del contribuente che si sottrae alla dialettica documentale con l’Amministrazione, comminando il divieto di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa con un divieto ritenuto dalla Corte costituzionale tale da non menomare il principio di capacità contributiva (ordinanza 181/2007), con la “ratio” della preclusione scaturente dall’ostacolo frapposto dalla condotta omissiva del contribuente all’immediata esecuzione di un accertamento analitico (Sez. 5, Sentenza n. 20461 del 06/10/2011).

Dall’altra parte, occorre sottolineare che il meccanismo preclusivo, per la grave conseguenza dell’inutilizzabilità amministrativa e processuale di dati e documenti tardivamente prodotti, comporta che non sia soltanto la parte privata a dover collaborare, dovendo anche quella pubblica adeguare la propria condotta a quel canone di lealtà che, richiamato dalla giurisprudenza costituzionale, è codificato nel caso in esame dall’obbligo di avvertimento riguardo alle conseguenze dell’inottemperanza, fissato dal nucleo normativo dell’art. 32 citato.

Si tratta del medesimo principio di lealtà, poi sfociato negli articoli 6 e 10 dello Statuto dei diritti del contribuente (“I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede”, ivi compreso l’obbligo dell’amministrazione “… di informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l’irrogazione di una sanzione, che sono idonei a fornire un decisivo indicatore ermeneutico”). 

Nel caso in esame il Fisco lamentava, ex art. 32, comma 4, DPR n. 600/1973, che alcuni dei documenti presentati dal contribuente fossero stati ammessi nei gradi precedenti di giudizio, anche se durante la fase amministrativa l’uomo si era rifiutato di consegnarli e con  questo comportamento avrebbe reso inutilizzabili i documenti in sede di contenzioso.

Tesi però ritenuta non convincente dai Giudici di Piazza Cavour, che hanno giudicato come “… La norma preclusiva di cui all’art. 32 comma 4 del d.P.R. n. 600 del 1967, invocata dall’Agenzia, è di natura eccezionale e come tale non applicabile oltre ai casi e tempi da essa considerati.

Essa va applicata in coerenza ed alla luce dei principi affermati dagli artt. 24 e 53 della Costituzione, in modo quindi da non comprimere il diritto alla difesa dei contribuenti e da non obbligare gli stessi ad effettuare pagamenti non dovuti (cfr. Cass. n. 453 del 2013; Cass. n. 27069 del 2016; Cass. n. 7011 del 2018).

Il contribuente pertanto, per essere sanzionato con la perdita della facoltà di produrre i libri e le altre scritture contabili, deve aver tenuto un comportamento volutamente inteso a sottrarsi alla prova e tale da far fondatamente dubitare della genuinità di documenti prodotti solo in seguito, nel corso del giudizio. L’Agenzia avrebbe dovuto pertanto allegare che, nella specie, vi era stata una specifica richiesta dell’ufficio in ordine alla documentazione de qua e che il contribuente ne avesse rifiutato l’esibizione, dichiarando di non possederla o comunque sottraendola al controllo, con uno specifico comportamento elusivo, chiaramente indirizzato a sottrarsi alla prova. Invero il divieto di utilizzazione in sede contenziosa dei documenti non prodotti in via amministrativa va letto alla luce dei principi di collaborazione e buona fede in senso oggettivo, espressamente enunciati dall’art. 10 della legge n. 212 del 2000 (c.d. statuto dei diritti del contribuente), ai quali devono conformarsi sia i contribuenti che l’amministrazione finanziaria; pertanto non è solo il contribuente che deve collaborare, ma anche l’ufficio è tenuto ad ispirare la propria condotta agli anzidetti canoni della lealtà e della collaborazione. Va pertanto ritenuto che l’omessa esibizione da parte del contribuente dei documenti in sede amministrativa non determina l’inutilizzabilità della successiva produzione in sede contenziosa per il mero verificarsi di detta omessa esibizione, ma in presenza del peculiare presupposto, la cui prova incombe sull’Agenzia, costituito dall’invito specifico e puntuale all’esibizione, accompagnato dall’avvertimento circa le conseguenze della sua mancata ottemperanza (cfr. art. 32 comma quarto del citato d.P.R. n. 600 del 1973); il che nella specie non risulta essere avvenuto

Corte di Cassazione – Ordinanza 9 marzo 2019, n. 6792

Sul ricorso 6053-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE 06363391001, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro D.F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato OLINDO DI FRANCESCO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2646/9/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA SICILIA depositata il 10/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 20/12/2018 dal Consigliere Dott. RAFFAELE CAPOZZI 

Rilevato che

1.Con la sentenza in epigrafe la CTR di Palermo, ha accolto l’appello proposto da D.F.A. avverso la sentenza della CTP di Agrigento, che aveva rigettato il suo ricorso proposto avverso un avviso di accertamento IVA, IRPEF ed IRAP 2005.

2.Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, al quale D.F.A. ha replicato con controricorso.

3.Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio. Considerato che:

1.Con un unico motivo di ricorso la ricorrente Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1973, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., in quanto la sanzione di inutilizzabilità degli atti, documenti, libri e registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio, di cui all’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, conseguiva automaticamente all’inottemperanza all’invito dell’ufficio; ed il contribuente poteva beneficiare della deroga a detta inutilizzabilità solo nelle ipotesi di cui all’art. 32 comma 5 del citato d.P.R. e cioè solo depositando in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado le notizie, i dati, i documenti, i libri ed i registri non trasmessi in precedenza e dichiarando contestualmente di non avere potuto adempiere alla richiesta dell’ufficio per causa a lui non imputabile; e nella specie le circostanze di fatto allegate dal contribuente non integravano sul piano giuridico la causa non imputabile, di cui parlava la legge.

2.L’unico motivo di ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate è infondato.

3. La norma preclusiva di cui all’art. 32 comma 4 del d.P.R. n. 600 del 1967, invocata dall’Agenzia, è di natura eccezionale e come tale non applicabile oltre ai casi e tempi da essa considerati.

Essa va applicata in coerenza ed alla luce dei principi affermati dagli artt. 24 e 53 della Costituzione, in modo quindi da non comprimere il diritto alla difesa dei contribuenti e da non obbligare gli stessi ad effettuare pagamenti non dovuti (cfr. Cass. n. 453 del 2013; Cass. n. 27069 del 2016; Cass. n. 7011 del 2018).

Il contribuente pertanto, per essere sanzionato con la perdita della facoltà di produrre i libri e le altre scritture contabili, deve aver tenuto un comportamento volutamente inteso a sottrarsi alla prova e tale da far fondatamente dubitare della genuinità di documenti prodotti solo in seguito, nel corso del giudizio.

L’Agenzia avrebbe dovuto pertanto allegare che, nella specie, vi era stata una specifica richiesta dell’ufficio in ordine alla documentazione de qua e che il contribuente ne avesse rifiutato l’esibizione, dichiarando di non possederla o comunque sottraendola al controllo, con uno specifico comportamento elusivo, chiaramente indirizzato a sottrarsi alla prova. Invero il divieto di utilizzazione in sede contenziosa dei documenti non prodotti in via amministrativa va letto alla luce dei principi di collaborazione e buona fede in senso oggettivo, espressamente enunciati dall’art. 10 della legge n. 212 del 2000 (c.d. statuto dei diritti del contribuente), ai quali devono conformarsi sia i contribuenti che l’amministrazione finanziaria; pertanto non è solo il contribuente che deve collaborare, ma anche l’ufficio è tenuto ad ispirare la propria condotta agli anzidetti canoni della lealtà e della collaborazione.

Va pertanto ritenuto che l’omessa esibizione da parte del contribuente dei documenti in sede amministrativa non determina l’inutilizzabilità della successiva produzione in sede contenziosa per il mero verificarsi di detta omessa esibizione, ma in presenza del peculiare presupposto, la cui prova incombe sull’Agenzia, costituito dall’invito specifico e puntuale all’esibizione, accompagnato dall’avvertimento circa le conseguenze della sua mancata ottemperanza (cfr. art. 32 comma quarto del citato d.P.R. n. 600 del 1973); il che nella specie non risulta essere avvenuto.

4.Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso in esame, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore di D.F.A. controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 2.100,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15 per cento dei compensi ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma il 20 dicembre 2018.

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