CASSAZIONE

Coniugi separati: è indeducibile l’assegno una tantum

Tributi – IRPEF – Assegno una tantum a titolo transattivo in una causa di separazione giudiziale tra coniugi – Onere deducibile ex art. 10, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 917 del 1986 – Esclusione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 29178 del 12 novembre 2019, tornando a occuparsi delle condizioni economiche e fiscali conseguenti al divorzio, ha affermato che gli assegni divorzili corrisposti in unica soluzione (una tantum) non sono deducibili ai fini IRPEF in quanto non possono essere assimilati a quelli periodici, per i quali è prevista invece la deducibilità.

In effetti, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. c), DPR 917/1986, è deducibile dal reddito ai fini IRPEF il solo assegno periodico corrisposto al coniuge in conseguenza di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, nella misura in cui risulta da un provvedimento dell’autorità giudiziaria. Tale disposizione non consente, però, la deducibilità dal reddito dell’assegno corrisposto all’ex coniuge in un’unica soluzione, ai sensi dell’art. 5, comma 8, della legge 898/1970, come affermato dalla Corte Costituzionale nelle Ordinanze n. 383 del 2001 e n. 113 del 2007: non solo perché si tratta di norma agevolativa, non suscettibile di estensione, ma anche perché l’assegno periodico e l’attribuzione una tantum, pur se rateizzata, costituiscono forme di adempimento dell’obbligo a carico del divorziato differenti per natura giuridica, struttura e finalità (cfr. Cass. Ord. n. 11183/2016).

Inoltre, sulla base della formulazione letterale della norma anche l’Amministrazione finanziaria ricorre al dettato normativo specifico, secondo cui l’art. 5, comma 6, della legge 898/1970, recante la disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, così come modificata dalla legge 74/1987, prevede che “con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed  economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del  patrimonio di  ciascuno  o  di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo  per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque  non  può  procurarseli per ragioni oggettive”. Il medesimo articolo, al successivo comma 8, prevede che “su accordo delle parti la corresponsione dell’assegno può avvenire in  unica  soluzione ove questa sia ritenuta equa dal tribunale. In tal caso non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico”.

Ulteriormente, anche il consolidato orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte non ammette da tempo la deducibilità dell’assegno versato una tantum. Come evidenziato dalla risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 153/E  dell’11 giugno 2009, gli assegni una tantum “rappresentano sostanzialmente una transazione in ordine alle pregresse posizioni patrimoniali dei coniugi”.

Dunque, non ha rilevanza reddituale l’assegno corrisposto in unica soluzione.

Secondo la nutrita giurisprudenza sull’argomento della Suprema Corte (ex multis Cass. sent. n. 16462/2002; sent. n. 23659/2006), l’assegno versato in un’unica soluzione non può essere considerato come un reddito assimilato a quelli di lavoro dipendente, in quanto non rientrante nella definizione contenuta nella predetta lettera c) dell’articolo 10. Infatti, la somma erogata una tantum a titolo di capitale, a seguito di divorzio, non integra gli estremi dell’onere continuativo che ricade direttamente sul reddito poiché, ripetiamo, non assolve a quel mantenimento periodico che è l’unica forma ammessa alla deducibilità fiscale.

Di conseguenza, l’assegno in unica soluzione avrebbe natura prevalentemente risarcitoria e perciò non imponibile per chi lo riceve e non deducibile per chi lo corrisponde.

È altrettanto importante rilevare che nemmeno gli assegni o le quote di assegno destinati specificatamente al mantenimento dei figli possono essere dedotti dalla parte erogante, e di conseguenza non devono essere dichiarati come reddito percepito. In particolare, nel caso in cui la somma derivante dal provvedimento giudiziale sia comprensiva anche della quota per il mantenimento dei figli (quindi, in pratica, quando c’è un unico assegno destinato sia al coniuge che ai figli), dovrà essere considerato destinato al mantenimento di questi ultimi – non deducibile né da dichiarare – il 50% della somma complessiva, indipendentemente dal numero dei figli.

Tornando al caso in esame, un contribuente si opponeva all’avviso con il quale l’ufficio aveva accertato, ai fini IRPEF 2001, il maggior reddito imponibile derivante dal recupero a tassazione dell’onere relativo al versamento una tantum versato alla moglie, di euro 67.000, in ottemperanza ad atto di transazione stipulato tra le parti nel corso della causa di separazione giudiziale tra coniugi. Dopo alterne sentenze dei giudici tributari il ricorso approdava in Cassazione.

Gli Ermellini, seguendo la corrente interpretazione giurisprudenziale sin qui tenuta, hanno riconosciuto valide le ragione dell’Avvocatura erariale, in quanto “Deve infatti escludersi che la qualificazione dell’assegno in questione «come assegno ‘assistenziale’ o ‘alimentare’ deducibile ex art. 10 ridetto» non sia stata contestata dall’Agenzia e sia quindi «divenuta definitiva», così come invece affermato nella motivazione della sentenza impugnata (alla pag.4), come unico motivo di rigetto dell’appello erariale. Infatti, la contestazione sul punto dell’Ufficio, nei giudizi di merito, emerge dalla stessa sentenza impugnata (pag. 2, paragrafo 2, primo e secondo capoverso), oltre che dalle relative porzioni delle controdeduzioni dell’Agenzia di fronte alla CTP e dell’appello erariale, trascritte dalla ricorrente nell’atto introduttivo di questo giudizio, senza contestazioni della controparte circa la corrispondenza delle citazioni al contenuto delle difese dalle quali sono tratte.  Deve poi darsi atto che è pacifico, per averlo più volte affermato espressamente il contribuente nel controricorso (ad. es. a pag. 4 dell’atto) che l’assegno de quo è stato corrisposto una tantum, «a titolo di liquidazione e capitalizzazione dell’assegno di mantenimento» dal medesimo controricorrente alla moglie, a seguito di un accordo raggiunto tra i coniugi nell’ambito della causa di separazione giudiziale.

Tanto premesso, questa Corte ha già chiarito che in tema di oneri deducibili dal reddito delle persone fisiche, l’art. 10, primo comma, lettera g), del d.P.R. n. 597 del 1973 (al pari dell’art. 10, primo comma, lett. c), d.P.R. n. 917 del 1986) limita la deducibilità, ai fini dell’applicazione dell’IRPEF, solo all’assegno periodico – e non anche a quello corrisposto in unica soluzione – al coniuge, in conseguenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nella misura in cui risulta da provvedimento dell’autorità giudiziaria. Tale differente trattamento – come affermato dalla Corte costituzionale nella ordinanza n. 383 del 2001 – è riconducibile alla discrezionalità legislativa la quale, riguardando due forme di adempimento tra loro diverse, una soggetta alle variazioni temporali e alla successione delle leggi, l’altra capace di definire ogni rapporto senza ulteriori vincoli per il debitore, non risulta né irragionevole, né in contrasto con il principio di capacità contributiva (Cass., 22/11/2002, n. 16462. Nello stesso senso Cass., 06/11/2006, n. 23659; Corte Cost., 29/3/2007, n. 113). Ed è stato, successivamente, ulteriormente precisato che, in tema d’IRPEF ed ILOR, l’art. 10 del d.P.R. n. 597 del 1973 (oggi confluito nell’art. 10 del d.P.R. n. 917 del 1986) non consente la deducibilità dal reddito dell’assegno corrisposto in un’unica soluzione, ai sensi dell’art. 5, comma 8, della legge n. 898 del 1970, all’ex coniuge, come affermato dalla Corte costituzionale nelle ordinanze n. 383 del 2001 e n. 113 del 2007, non solo perché si tratta di norma agevolativa, non suscettibile di estensione, ma anche perché l’assegno periodico e l’attribuzione “una tantum” (pure se rateizzata) costituiscono forme di adempimento dell’obbligo a carico del divorziato differenti per natura giuridica, struttura e finalità (Cass., 30/05/2016, n. 11183. Cfr. altresì, riguardo all’ontologica diversità funzionale dell’assegno divorzile corrisposto in unica soluzione, ai fini della del riconoscimento della pensione di reversibilità in favore del coniuge nei cui confronti è stato dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, Cass., S.U., 24/09/2018, n. 22434)”.

Corte di Cassazione – Sentenza 12 novembre 2019, n. 29178

Sul ricorso iscritto al n. 23955/2012 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio eletto presso quest’ultima in Roma, via dei Portoghesi 12;

– ricorrente –

contro BARESANI VARINI GIULIO, rappresentato e difeso, come da procura speciale in atti, dall’Avv. Enrico Allegro, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Massimo Coccia in Roma, Piazza Adriana, n. 5;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 77/34/11, depositata il 18 luglio 2011.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 17 settembre 2019 dal Consigliere dott. MICHELE CATALDI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. Tommaso Basile, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito l’ Avv. dello Stato Alessia Urbani Neri per la ricorrente;

Fatti di causa

1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 77/34/11, depositata il 18 luglio 2011, che ha rigettato il suo appello avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano, che aveva accolto il ricorso di G.B.V. contro l’avviso con il quale l’Ufficio aveva accertato, ai fini IRPEF, per l’anno d’imposta 2001, il maggior reddito imponibile derivante dal recupero a tassazione dell’onere relativo al versamento, una tantum, effettuato dal contribuente alla moglie, di euro 67.000,00, in ottemperanza ad atto di transazione stipulato tra le parti nel corso della loro causa di separazione giudiziale tra coniugi.

L’Agenzia, infatti, assumeva l’indeducibilità, ex art. 10, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 917 del 1986, del predetto componente positivo dal reddito imponibile del contribuente erogante, per difetto del carattere della periodicità dell’attribuzione patrimoniale, oltre che per la mancata previsione del relativo titolo in un provvedimento dell’autorità giudiziaria.

2. Il contribuente si è costituito con controricorso.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo, l’Ufficio ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, num. 5, cod. proc. civ., l’omessa motivazione circa il fatto controverso e decisivo, individuato nell’affermata sussistenza di un giudicato interno relativo alla qualificazione dell’assegno in questione come assistenziale ed alimentare, che non sarebbe stata contestata dall’Agenzia nel giudizio di merito.

2. Con il secondo motivo, l’Ufficio ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, num. 3, cod. proc. civ., la violazione sia dell’art. 2909 cod. civ., per avere il giudice a quo erroneamente affermato la sussistenza di un giudicato interno relativo alla qualificazione dell’assegno in questione come assistenziale ed alimentare, che non sarebbe stata contestata dall’Agenzia nel giudizio di merito; sia dell’art. 10, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 917 del 1986, per avere la CTR erroneamente ritenuto che l’assegno in questione, non erogato periodicamente, ma pagato una tantum, fosse comunque deducibile ai sensi di tale disposizione, la quale prevede che: «1. Dal reddito complessivo si deducono, se non sono deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formarlo, i seguenti oneri sostenuti dal contribuente: […] c) gli assegni periodici corrisposti al coniuge, ad esclusione di quelli destinati al mantenimento dei figli, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell’autorità giudiziaria;».

3.1 due motivi, per la loro parziale coincidenza di contenuti, e comunque per la loro stretta connessione, vanno trattati congiuntamente e, essendo fondati, vanno accolti.

3.1. Deve infatti escludersi che la qualificazione dell’assegno in questione «come assegno “assistenziale” o “alimentare” deducibile ex art. 10 ridetto» non sia stata contestata dall’Agenzia e sia quindi «divenuta definitiva», così come invece affermato nella motivazione della sentenza impugnata (alla pag.4), come unico motivo di rigetto dell’appello erariale.

Infatti, la contestazione sul punto dell’Ufficio, nei giudizi di merito, emerge dalla stessa sentenza impugnata (pag. 2, paragrafo 2, primo e secondo capoverso), oltre che dalle relative porzioni delle controdeduzioni dell’Agenzia di fronte alla CTP e dell’appello erariale, trascritte dalla ricorrente nell’atto introduttivo di questo giudizio, senza contestazioni della controparte circa la corrispondenza delle citazioni al contenuto delle difese dalle quali sono tratte.

3.2. Deve poi darsi atto che è pacifico, per averlo più volte affermato espressamente il contribuente nel controricorso (ad. es. a pag. 4 dell’atto) che l’assegno de quo è stato corrisposto una tantum, «a titolo di liquidazione e capitalizzazione dell’assegno di mantenimento» dal medesimo controricorrente alla moglie, a seguito di un accordo raggiunto tra i coniugi nell’ambito della causa di separazione giudiziale.

Tanto premesso, questa Corte ha già chiarito che in tema di oneri deducibili dal reddito delle persone fisiche, l’art. 10, primo comma, lettera g), del d.P.R. n. 597 del 1973 (al pari dell’art. 10, primo comma, lett. c), d.P.R. n. 917 del 1986) limita la deducibilità, ai fini dell’applicazione dell’IRPEF, solo all’assegno periodico – e non anche a quello corrisposto in unica soluzione – al coniuge, in conseguenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nella misura in cui risulta da provvedimento dell’autorità giudiziaria. Tale differente trattamento – come affermato dalla Corte costituzionale nella ordinanza n. 383 del 2001 – è riconducibile alla discrezionalità legislativa la quale, riguardando due forme di adempimento tra loro diverse, una soggetta alle variazioni temporali e alla successione delle leggi, l’altra capace di definire ogni rapporto senza ulteriori vincoli per il debitore, non risulta né irragionevole, né in contrasto con il principio di capacità contributiva (Cass., 22/11/2002, n. 16462. Nello stesso senso Cass., 06/11/2006, n. 23659; Corte Cost., 29/3/2007, n. 113). Ed è stato, successivamente, ulteriormente precisato che, in tema d’IRPEF ed ILOR, l’art. 10 del d.P.R. n. 597 del 1973 (oggi confluito nell’art. 10 del d.P.R. n. 917 del 1986) non consente la deducibilità dal reddito dell’assegno corrisposto in un’unica soluzione, ai sensi dell’art. 5, comma 8, della legge n. 898 del 1970, all’ex coniuge, come affermato dalla Corte costituzionale nelle ordinanze n. 383 del 2001 e n. 113 del 2007, non solo perché si tratta di norma agevolativa, non suscettibile di estensione, ma anche perché l’assegno periodico e l’attribuzione “una tantum” (pure se rateizzata) costituiscono forme di adempimento dell’obbligo a carico del divorziato differenti per natura giuridica, struttura e finalità (Cass., 30/05/2016, n. 11183. Cfr. altresì, riguardo all’ontologica diversità funzionale dell’assegno divorzile corrisposto in unica soluzione, ai fini della del riconoscimento della pensione di reversibilità in favore del coniuge nei cui confronti è stato dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, Cass., S.U., 24/09/2018, n. 22434).

3.3. La decisione impugnata va quindi cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, si può provvedere anche nel merito, rigettando il ricorso introduttivo del contribuente.

4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente;

condanna il controricorrente al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.900,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito .

Così deciso in Roma il 17 settembre 2019.

Desidero ricevere in abbonamento gratuito il vostro periodico FiscotoDay