Confermata la natura compensativa degli interessi sui rimborsi d’imposta, che decorrono dalla data del versamento dell’imposta non dovuta
Tributi – IRES – Riscossione – Principi generali – Imposta non dovuta – Rimborso – Accertamento con adesione – Maggiore reddito imponibile – Contenzioso – Doppia imposizione – Decorrenza e calcolo degli interessi – Termini – Natura compensativa – Art. 44, DPR 602/1973
La Corte di Cassazione, nell’ordinanza 30402 del 2 novembre 2023, intervenendo sulla disciplina dell’istanza di rimborso in un caso di doppia imposizione generata da una contestazione in materia di imputazione temporale di elementi reddituali, definita in sede di accertamento con adesione, ha non solo ribadito che il computo degli interessi si calcola a partire dal pagamento delle imposte, ma anche ricordando il principio di diritto che affermava: “… Gli interessi maturati sui crediti di imposta che i contribuenti hanno nei confronti dell’Amministrazione finanziaria non sono dovuti a titolo moratorio (non essendovi mora dell’Amministrazione) né derivano dall’impiego di capitale, ma servono a compensare i contribuenti dell’esborso pecuniario che essi hanno in precedenza effettuato versando al Fisco una somma di denaro che deve essere loro restituita. L’interesse su tale somma serve a reintegrare la diminuzione patrimoniale subita dal contribuente, che viene così compensato del mancato godimento del denaro in precedenza versato (…). Chiara è perciò la “natura compensativa” degli interessi maturati sui crediti di imposta, idonea ad escluderli dai redditi di capitale elencati nel citato art. 41” (Cass. 05/07/1990, n. 7091; Cass. 06/04/1995, n. 4037; Cass. 28/11/1995, n. 12318; Cass. 15/04/1996, n. 3525; Cass. 10/06/1996, n. 5352; Cass. 15/02/1999, n. 1255; Cass. 17/07/1999, n. 7575; Cass.08/09/1999, n. 9510; Cass. 17/05/2000, n. 6397; Cass.20/09/2004, n. 18864; Cass. 04/09/2012, n. 31820; Cass. n. 9852 del 2016; Cass. 13/12/2017, n. 29879; Cass. 17/04/2019, n. 10705; Cass. 04/11/ 2021, n. 31820, in motivazione).
In sostanza, il diritto dei contribuenti a “recuperare” dal fisco delle somme versate in eccesso rispetto a quanto dovuto, discende dalla necessità di rispettare il principio di capacità contributiva, ossia del diritto ad avere la restituzione di ciò che si è pagato. Il generale principio della ripetizione dell’indebito, ossia del diritto ad avere la restituzione di ciò che si è pagato in assenza di un dovere giuridico di pagare, deve seguire in materia tributaria delle disposizioni specifiche che prevedono la presentazione di un’istanza di parte.
Come precisato dalla Cassazione nella sentenza dell’8 aprile 2015, n. 7069, il pagamento dell’indebito è l’esecuzione di una prestazione non dovuta. L’indebito è oggettivo quando l’adempiente esegue una prestazione in base a un titolo inesistente (articolo 2033 del codice civile), soggettivo quando si esegue un debito altrui nell’erronea credenza di essere il debitore.
La nozione di indebito tributario configura una situazione che trova la propria causa nel pagamento di un tributo in misura superiore rispetto a quella dovuta o inesistente.
Nell’ordinamento tributario italiano la presenza di un regime speciale – che prevede la presentazione di un’istanza di parte, da presentare a pena di decadenza nel termine normativamente previsto – preclude in linea di principio l’applicazione della disciplina prevista per l’indebito di diritto comune (Cassazione, sentenza n. 11456/2011). Comunque, il rimborso costituisce di fatto una funzione essenziale nella disciplina di attuazione dei tributi, attraverso la quale è possibile eliminare o riequilibrare gli effetti di una riscossione che risulti, per ragioni originarie o sopravvenute, indebita. In un sistema in cui strutturalmente gli obblighi di pagamento precedono la definitiva determinazione del dovuto, e nel quale la riscossione non segue l’accertamento, è agevole comprendere cosa accadrebbe, quanto a rispetto della capacità contributiva, ove non fosse riconosciuto il diritto al rimborso di quanto provvisoriamente dovuto e pagato, nel caso in cui le vicende attuative successive dimostrino insussistenti i presupposti per il pagamento.
La genesi del rimborso può essere valutata riferendosi in definitiva a tre gruppi di situazioni: nel primo, il pagamento del tributo è ab origine non dovuto, ovvero sopravviene una eliminazione ex tunc della norma che prevedeva il fatto imponibile o che lo quantificava secondo certi canoni, sicché il problema principale che si pone è quello di stabilire come debba essere fatto valere l’indebito; nel secondo gruppo, il tributo è inizialmente dovuto, ma successivamente sopravviene un fatto che vanifica il presupposto o riduce la base imponibile o l’aliquota; nel terzo gruppo di situazioni, l’obbligo di pagamento si genera o si modifica per effetto di vicende procedimentali (attengano queste alla fase della riscossione, ovvero a quella dell’accertamento) o processuali.
Per quanto qui rileva, secondo il consolidato e continuo orientamento in questione, gli Ermellini ricordano, in particolare, anche quanto asserito dalla Sentenza n. 11189/2022 dalla Sezione Tributaria, che aveva espresso il seguente principio di diritto: “… In tema di rimborso delle imposte sul reddito, gli interessi di cui all’art. 44 D.Lgs. n. 602 del 1973 non presuppongono la mora dell’Amministrazione, ma hanno la funzione di reintegrare la diminuzione patrimoniale subita dal contribuente che non ha goduto della somma di denaro che ha versato al Fisco e che deve essergli restituita. Tali interessi, indipendentemente dalla buona o mala fede dell’accipiens, maturano al compimento di ogni singolo semestre, escluso il primo, successivo alla data non della domanda, ma del versamento e fino a quella dell’ordinativo del pagamento”.
Rammentano gli Ermellini, altresì, che la stessa Corte aveva già ritenuto applicabile, ai rimborsi delle imposte pagate, l’art. 44 del DPR 602/1973 (per effetto del rinvio, contenuto nel comma 2, all’art. 38, comma 5, del medesimo DPR), facendone discendere che gli interessi decorrono non dalla data della domanda, ma dal secondo semestre successivo alla data del versamento (Cass. 03/09/2008, n. 22217).
La pronunzia appena riportata interpreta a fondo l’articolo 44 del citato DPR 602/1973 e sottolinea proprio la natura compensativa e non moratoria degli interessi sui crediti fiscali dei contribuenti, precisando altresì le modalità di calcolo degli stessi e ricordando quando si è trattato di individuare, al fine di verificarne l’imponibilità in base alle norme pro tempore vigenti, l’effettiva funzione degli accessori maturati sui crediti che i contribuenti hanno nei confronti dell’Amministrazione finanziaria.
Nella massima citata si legge, infatt,i che “… la circostanza che il termine di decadenza dal diritto al rimborso non decorra durante il periodo nel quale il contribuente neppure è consapevole di essere stato sicuramente assoggettato alla doppia imposizione, non esclude che, una volta che tale diritto sia stato esercitato tempestivamente, esso resti disciplinato dalle norme generali sul rimborso, compresa quella di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 44, comma 1, in materia di decorrenza (a prescindere dalla buona o mala fede e dalla mora dell’Amministrazione) degli interessi “compensativi” dal secondo semestre successivo al versamento delle somme da rimborsare”.
Tanto premesso e tornando alla vicenda in discussione, essa ha origine quando la giustizia tributaria adita riconosceva parzialmente le ragioni di una società assicurativa che si era opposta al calcolo degli interessi effettuato dall’Agenzia su un rimborso IRES. Il rimborso era volto ad eliminare la doppia imposizione generata da una contestazione sull’imputazione temporale degli elementi reddituali, conclusasi in sede di accertamento con adesione. In sostanza la società aveva lamentato che il rimborso doveva essere disciplinato dal DPR 602/1973, art. 44.
L’Agenzia delle Entrate si costituiva chiedendo il rigetto dell’appello e proponeva appello incidentale sul capo di sentenza di primo grado nel quale era risultata soccombente.
La Sentenza della CTR respingeva l’appello.
Di conseguenza, la contribuente proponeva ricorso in Cassazione affidato a un unico motivo, in cui essenzialmente evidenziava la violazione e falsa applicazione del DPR 602/1973, art. 44, anche in correlazione al DPR 917/1986, artt. 76 e 109, al DPR 602/1973, artt. 20 e 38 e al D.lgs. 549/1992, art. 21 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
L’Agenzia depositava controricorso per resistere all’impugnativa. La Corte ricordava la sentenza n. 25684/2016, che spiegava: “ … La giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che gli interessi dovuti per il ritardo nel rimborso delle imposte dirette, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 44, a differenza degli ordinari interessi che, in quanto frutti civili, si acquistano di giorno in giorno, maturano, per ogni semestre intero, escluso il primo, con decorrenza dalla data del versamento e fino a quella dell’ordinativo di pagamento”, ha anche affermato che: “… Ad avviso della ricorrente, dovendo determinare il corretto ammontare degli interessi dovuti su un rimborso, la CTR avrebbe invece erroneamente applicato la norma in materia di decadenza dalla proposizione dell’istanza di rimborso (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21) anziché quella che disciplina il calcolo degli interessi sul rimborso (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 44). La dicotomia tra norme sulla decadenza dall’istanza di rimborso e norme sul calcolo degli interessi sarebbe una costante nel nostro ordinamento: ad esempio, in materia di imposte dirette la decadenza è disciplinata dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 e gli interessi sul rimborso vanno determinati ai sensi dell’art. 44 dello stesso decreto; in materia di IVA, in mancanza di specifica disposizione, la decadenza è soggetta al termine biennale D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 21 e il calcolo degli interessi è disciplinato dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 38-bis; ancora, in materia di imposta di registro la decadenza del contribuente è disciplinata dal D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 77 e il calcolo degli interessi è regolato dalle leggi L. 26 gennaio 1961, n. 29, L. 28 marzo 1962, n. 147 e L. 18 aprile 1978, n. 130. E’ altresì del tutto ordinario che il presupposto per la restituzione possa sorgere in un momento successivo al pagamento, ma ciò rileva solo per il termine di decadenza e non incide sulla normativa in materia di calcolo degli interessi sul rimborso. Inoltre, la CTR adombrerebbe che il calcolo degli interessi sarebbe dovuto avvenire secondo quanto prospettato dalla Società (ossia ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 44) solo in “tutte quelle ipotesi ordinarie in cui il versamento effettuato in sede di autoliquidazione risulti in eccesso fin dall’origine”. L’imputazione temporale degli elementi reddituali, disciplinata in via generale dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109 (di seguito “TUIR”), è inderogabile per costante orientamento della Corte di Cassazione (Cass. 22 settembre 2022, n. 27818 e in precedenza Cass. Civ., Sez. VI -T, 17 dicembre 2013, n. 28159, rv. 629406). Posto che i componenti reddituali (ossia le riduzioni della riserva sinistri) oggetto dell’Avviso erano per legge di competenza del periodo d’imposta 2008 (come sostenuto dall’Agenzia delle Entrate e poi accettato dalla Società), è evidente che la loro tassazione nell’anno 2009 era errata ab origine in quanto fin dal principio i componenti reddituali in discussione andavano tassati nel 2008 e non nell’esercizio 2009. Ragionando diversamente si frustrerebbe sia il principio di inderogabilità della competenza degli elementi reddituali sia il principio di autonomia dei periodi d’imposta sancito dall’art. 76 del TUIR, secondo il quale a ogni periodo d’imposta corrisponde un’obbligazione tributaria autonoma. Del resto, anche qualora l’Agenzia delle Entrate non avesse emesso l’avviso, la società avrebbe avuto il diritto di chiedere (entro il termine di decadenza di legge) il rimborso delle imposte pagate in eccesso nel 2009 a causa della violazione del principio di competenza, fermo restando, ovviamente, il dovere di adempiere l’obbligazione tributaria nel corretto periodo d’imposta di competenza 2008 mediante ravvedimento. Quanto sopra dimostrerebbe che l’errore di competenza commesso dalla Società sussisteva fin dall’inizio e il fatto che lo stesso sia stato rilevato (e definitivamente accettato) in un secondo momento non incide sulla sua sussistenza originaria. La Sentenza della CTR è quindi errata laddove ha ritenuto che l’errore di competenza (e l’indebito pagamento d’imposte da rimborsare che ne è derivato) sia venuto ad esistenza solo con il perfezionamento dell’Atto di Adesione che avrebbe reso indebito il versamento del saldo per l’anno 2012 effettuato da R. M. il 17 giugno 2013: infatti, tale versamento era indebito (per Euro 510.476,00) fin dall’inizio poiché fin dall’inizio R. M. aveva commesso un errore di imputazione temporale di taluni componenti reddituali. Da ciò, anche in base tenore argomentativo della sentenza della CTR, discenderebbe l’applicabilità del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 44 in materia di calcolo degli interessi e la conseguente correttezza del calcolo effettuato dalla Società in base alla suddetta disposizione (ossia Euro 51.047,60 ancora da corrispondere per Euro 10.209,52). La sentenza della CTR poi sarebbe viziata da un ulteriore errore. A pagina 8 si legge che gli interessi “devono essere conteggiati in correlazione all’imposta di cui rappresentano accessori connessi sul piano genetico”. L’affermazione è giuridicamente condivisibile, ma sarebbero errate le conseguenze che la CTR ne ha fatto derivare. Infatti, poiché è pacifico che l’Agenzia delle Entrate non ha rimborsato alla Società le imposte versate il 9 aprile 2014 all’esito dell’Atto di Adesione relativo al periodo d’imposta 2008, bensì le imposte versate il 17 giugno 2013 in relazione al periodo d’imposta 2012, gli interessi accessori all’imposta rimborsata relativa all’anno 2012 dovrebbero essere conteggiati a partire dal 17 giugno 2013 (giorno in cui è stata versata l’imposta oggetto di restituzione), esattamente come previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 44. La specificazione della CTR circa la natura degli interessi, quale accessorio all’imposta oggetto di rimborso, avrebbe dovuto risolvere la questione a favore della tesi della Società. Di contro, la conclusione in senso opposto della CTR sarebbe posta in violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 44. Infine, la sentenza della CTR non si fonderebbe su alcuna disposizione di legge in quanto non menziona nemmeno quale norma abbia applicato con riguardo al calcolo degli interessi. In questo modo la CTR sarebbe incorsa nella ulteriore violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 44. Per orientamento consolidato “La giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che gli interessi dovuti per il ritardo nel rimborso delle imposte dirette, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 44, a differenza degli ordinari interessi che, in quanto frutti civili, si acquistano di giorno in giorno, maturano, per ogni semestre intero, escluso il primo, con decorrenza dalla data del versamento e fino a quella dell’ordinativo di pagamento” (Cass. Civ., Sez. Trib., 14 dicembre 2016, n. 25684). La CTR avrebbe ignorato i suddetti principi ed avrebbe erroneamente posto l’accento sulle norme in materia di decadenza per la presentazione dell’istanza di rimborso anziché su quella che fissa i termini iniziale e finale di decorrenza degli interessi sui rimborsi di imposta. 2. Il motivo è fondato. Invero la decorrenza degli interessi non può che essere individuata, nel caso di specie, che nel momento in cui venne effettuato l’esborso non dovuto, e non già in quello (successivo) dell’atto di adesione. Invero ciò discende dal chiaro disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 44, e dalla natura compensativa (e non moratoria) degli interessi stessi. Fattispecie del tutto simile è stata conformemente decisa da questa Corte, quando si è trattato di individuare, (al fine di verificarne l’imponibilità, in base alle norme pro tempore vigenti) l’effettiva funzione degli accessori maturati sui crediti che i contribuenti hanno nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, affermando che “… Gli interessi maturati sui crediti di imposta che i contribuenti hanno nei confronti dell’Amministrazione finanziaria non sono dovuti a titolo moratorio (non essendovi mora dell’Amministrazione) né derivano dall’impiego di capitale, ma servono a compensare i contribuenti dell’esborso pecuniario che essi hanno in precedenza effettuato versando al Fisco una somma di denaro che deve essere loro restituita. L’interesse su tale somma serve a reintegrare la diminuzione patrimoniale subita dal contribuente, che viene così compensato del mancato godimento del denaro in precedenza versato (…). Chiara è perciò la “natura compensativa” degli interessi maturati sui crediti di imposta, idonea ad escluderli dai redditi di capitale elencati nel citato art. 41″ (Cass. 05/07/1990, n. 7091, in motivazione; conformi, sulla natura compensativa degli interessi in questione, in materia di imposte dirette, Cass. 06/04/1995, n. 4037; Cass. 28/11/1995, n. 12318; Cass. 15/04/1996, n. 3525; Cass. 10/06/1996, n. 5352; Cass. 15/02/1999, n. 1255; Cass. 17/07/1999, n. 7575; Cass.08/09/1999, n. 9510; Cass. 17/05/2000, n. 6397; Cass.20/09/2004, n. 18864; Cass. 04/09/2012, n. 31820; Cass. n. 9852 del 2016; Cass. 13/12/2017, n. 29879; Cass. 17/04/2019, n. 10705; Cass. 04/11/ 2021, n. 31820, in motivazione). Per quanto qui rileva, il consolidato e continuo orientamento in questione (a prescindere da ogni interferenza delle norme applicabili ratione temporis in tema di imposizione dell’attribuzione patrimoniale rappresentata dagli interessi in questione) evidenzia dunque la funzione in senso lato “compensativa” (del mancato godimento, da parte del contribuente, del denaro in precedenza versato), che prescinde da un ritardo che sia colpevolmente imputabile all’Amministrazione (che, nel frattempo, ha ricevuto e posseduto la stessa somma) e legittimi la “mora” di quest’ultima, ai fini della decorrenza degli interessi di legge” (Cass.27/04/2023, n. 11189). Orbene ivi si legge altresì che “… la circostanza che il termine di decadenza dal diritto al rimborso non decorra durante il periodo nel quale il contribuente neppure è consapevole di essere stato sicuramente assoggettato alla doppia imposizione, non esclude che, una volta che tale diritto sia stato esercitato tempestivamente, esso resti disciplinato dalle norme generali sul rimborso, compresa quella di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 44, comma 1, in materia di decorrenza (a prescindere dalla buona o mala fede e dalla mora dell’Amministrazione) degli interessi “compensativi” dal secondo semestre successivo al versamento delle somme da rimborsare”, quindi nel nostro caso quelle versate in più nell’esercizio precedente, esattamente come deciso nel caso richiamato”.
Corte di Cassazione – Ordinanza2 novembre 2023, n. 30402
sul ricorso proposto da:
S. R.M. DI ASSICURAZIONI, con sede legale a Torino in Via Corte d’Appello n. 11 (10122), codice fiscale 00875360018, in persona della procuratrice speciale Dott.ssa Sara Lautieri, nata a Bologna il 16 novembre 1974, c,f. (omissis), rappresentata e difesa dall’Avv. Prof. Guglielmo Maisto del Foro di Milano (codice fiscale MSTGLL52P13D969S;
p.e.c. g.maisto@pec.maistoeassociati.it; fax 06.45441411), dall’Avv. Marco Cerrato del Foro di Milano (codice fiscale CRRMRC68E12A509U; p.e.c. m.cerrato@pec.maistoeassociati.it;
fax 06.45441411) e dall’Avv. Michele Toccaceli del Foro di Milano (codice fiscale TCCMHL78T04G478U;
p.e.c. m.toccaceli@pec.maistoeassociati.it; fax 06.45441411), elettivamente domiciliata presso lo studio Maisto e Associati a Roma in Piazza d’Aracoeli n. 1, come da procura notificata unitamente al ricorso;
– ricorrente –
contro AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato;
– controricorrente – Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte n. 410/2022, pronunciata il 22 febbraio 2022, depositata il 21 marzo 2022 e non notificata.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20 settembre 2023dal consigliere Alberto Crivelli.
Svolgimento del processo
1. La sentenza impugnata ha parzialmente accolto il ricorso della Società avverso l’atto di notifica rimborso documento n. (Omissis) il quale, pur riconoscendo il rimborso di Euro 510.476,00 per capitale ed Euro 20.419,04 per interessi, era assunto illegittimo con riguardo al calcolo di questi ultimi che avrebbero dovuto essere pari a Euro 51.047,60. Il rimborso era volto ad eliminare la doppia imposizione generata da una contestazione in materia di imputazione temporale di elementi reddituali definita in sede di accertamento con adesione. In particolare, nel 2011 l’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di R. M. l’avviso di accertamento n. (Omissis) in materia di IRES per il periodo d’imposta 2008.
L’Avviso contestava in sostanza l’esercizio di competenza nel quale R. M. avrebbe dovuto ridurre la riserva sinistri precedentemente stimata in relazione ad alcune procedure di risarcimento: secondo l ‘Agenzia delle Entrate la riduzione doveva essere effettuata nell’anno 2008, mentre la Società aveva operato detta riduzione nell’anno 2009. Pertanto, il rilievo dell’Agenzia delle Entrate generava per l’anno 2008 un maggiore reddito imponibile che la Società aveva tassato nell’anno 2009. L’Avviso veniva definito nell’ambito di una procedura di accertamento con adesione ai sensi del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, conclusasi con la sottoscrizione dell’atto di adesione n. (Omissis) del 6 maggio 2014 nel quale il maggiore imponibile da riduzione della riserva sinistri era quantificato in Euro 1.856.275,00. L’Atto di Adesione si perfezionava il 9 maggio 2014 mediante il pagamento del dovuto da parte di R. M.
A seguito di tale procedura di accertamento con adesione, le riduzioni della riserva sinistri per un importo complessivo pari a Euro 1.856.275,00 avevano concorso alla formazione del reddito imponibile della Società sia nell’anno 2008 (esercizio dell’Avviso) che nell’anno 2009 nel quale la riserva sinistri era stata ridotta dalla Società. La concorrenza del medesimo imponibile alla formazione del reddito imponibile relativo a due periodi d’imposta (una prima volta nel 2008 e una seconda volta 2009) determinava l’insorgenza di una doppia tassazione. Quest’ultima si materializzava nel periodo d’imposta 2012, ossia il primo anno dopo il 2009 in cui il consolidato fiscale a cui partecipava la Società aveva conseguito un utile tassabile.
In particolare, R. M. versava imposte in eccesso pari a Euro 510.476,00 (Euro 1.856.275,00 x 27,5%) in data 17 giugno 2013 all’atto del pagamento del saldo IRES per l’anno 2012.
Pertanto, in data 19 febbraio 2016 la Società presentava un’istanza di rimborso nella quale chiedeva l’importo complessivo pari a Euro 510.476,00, oltre interessi maturati e maturandi.
L’Agenzia delle Entrate notificava il 29 marzo 2019 l’atto di notifica rimborso documento n. (Omissis) dove riconosceva, tra l’altro, il rimborso pari a Euro 530.895,04 formato da Euro 510.476,00 per il capitale e da Euro 20.419,04 per gli interessi.
L’Agenzia delle Entrate notificava il 29 marzo 2019 l’atto di notifica rimborso documento n. (Omissis) dove riconosceva, tra l’altro, il rimborso pari a Euro 530.895,04 formato da Euro 510.476,00 per il capitale e da Euro 20.419,04 per gli interessi. L’Agenzia delle Entrate riteneva che i semestri interi su cui calcolare gli interessi fossero complessivamente quattro.
Il 28 maggio 2019 la Società proponeva ricorso avverso l’atto di notifica rimborso documento n. (Omissis) chiedendo il pagamento degli ulteriori interessi pari a Euro 30.628,56 (Euro 51.047,60-Euro 20.419,04).
L’Agenzia delle Entrate in sede di mediazione D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 17-bis riconosceva la parziale fondatezza del ricorso ammettendo la debenza di ulteriori interessi pari a Euro 15.314,28 e, dopo la costituzione in giudizio di Reale Mutua, accordava l’ulteriore importo di Euro 5.104,76 sempre a titolo di interessi.
In sostanza, l’Agenzia delle Entrate faceva decorrere gli interessi dal 9 maggio 2014 (giorno di perfezionamento dell’atto di adesione relativo all’anno 2008) fino al 31 dicembre 2018 (ultimo giorno dell’ultimo semestre intero precedente alla validazione della lista di, al momento della discussione della causa innanzi al collegio di prima istanza la materia del contendere rimborso).
Pertanto era ridotta a Euro 10.209,52 (Euro 51.047,60 – Euro 20.419,04 – Euro 15.314,28 – Euro 5.104,76). La Commissione Tributaria Provinciale di Torino emetteva la sentenza n. 88 – 4 – 2021, pronunciata il 26 ottobre 2020, depositata il 25 gennaio 2021 e non notificata, con la quale accoglieva parzialmente il ricorso statuendo quanto segue: il termine iniziale di decorrenza degli interessi veniva individuato nel giorno 9 maggio 2014 nel quale era stato corrisposto l’importo derivante dall’Atto di Adesione, di guisa che il ricorso della Società veniva rigettato in parte qua; il termine finale veniva individuato nel giorno dell’ordinativo di pagamento, di guisa che il ricorso della Società veniva accolto in parte qua. In data 30 giugno 2021 Reale Mutua appellava la pronuncia di primo grado lamentando la violazione di diverse disposizioni, tra cui del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, l’art. 44, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, l’art. 109 e del TUIR, l’art. 76.
L’Agenzia delle Entrate si costituiva chiedendo il rigetto dell’appello e proponeva appello incidentale sul capo di sentenza di primo grado nel quale era risultata soccombente. La Sentenza della CTR respingeva l’appello. Conseguentemente la contribuente propone ricorso in Cassazione affidato ad un unico motivo.
L’Agenzia ha depositato controricorso per resistere all’impugnativa. La contribuente ha altresì depositato memoria illustrativa in data 8 settembre 2023.
Motivi della decisione
1.Con l’unico motivo la contribuente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 44 anche in correlazione al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 76 e 109, al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 20 e 38 e al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Il rimborso concerne la restituzione del versamento diretto effettuato dalla Società il 17 giugno 2013 come saldo IRES per il periodo d’imposta 2012. Pertanto, si assume che l’ammontare degli interessi sul rimborso sia disciplinato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 44 (di seguito “D.P.R. n. 602 del 1973”) ai sensi del quale “… Il contribuente che abbia effettuato versamenti diretti … per un ammontare di imposta superiore a quello effettivamente dovuto per lo stesso periodo ha diritto, per la maggior somma effettivamente pagata, all’interesse del 1 per cento per ognuno dei semestri interi, escluso il primo, compresi tra la data del versamento … e la data dell’ordinativo”.
La Società, dunque, riteneva di aver diritto di percepire gli interessi sul rimborso con decorrenza dal 17 giugno 2013, per semestri interi, fino alla data dell’ordinativo per un ammontare complessivo di Euro 51.047,60.
La CTR ha richiamato del D.P.R. n. 602 del 1973, l’art. 38 secondo il quale l’istanza di rimborso deve essere presentata entro il termine di decadenza di 48 mesi dal versamento e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, l’art. 21 (di seguito “D.Lgs. n. 546 del 1992”) ai sensi del quale, in mancanza di disposizioni specifiche, l’istanza di rimborso deve essere presentata nel termine di decadenza di due anni dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.
Anche le sentenze di legittimità menzionate dalla CTR (ossia Cass. 32309/2019 e Cass. 2420/2021) concernono casi in cui si disquisisce della tempestività dell’istanza di rimborso e del calcolo degli interessi dovuti sul rimborso.
Ad avviso della ricorrente, dovendo determinare il corretto ammontare degli interessi dovuti su un rimborso, la CTR avrebbe invece erroneamente applicato la norma in materia di decadenza dalla proposizione dell’istanza di rimborso (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21) anziché quella che disciplina il calcolo degli interessi sul rimborso (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 44).
La dicotomia tra norme sulla decadenza dall’istanza di rimborso e norme sul calcolo degli interessi sarebbe una costante nel nostro ordinamento: ad esempio, in materia di imposte dirette la decadenza è disciplinata dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 e gli interessi sul rimborso vanno determinati ai sensi dell’art. 44 dello stesso decreto; in materia di IVA, in mancanza di specifica disposizione, la decadenza è soggetta al termine biennale D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 21 e il calcolo degli interessi è disciplinato dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 38-bis; ancora, in materia di imposta di registro la decadenza del contribuente è disciplinata dal D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 77 e il calcolo degli interessi è regolato dalle leggi L. 26 gennaio 1961, n. 29, L. 28 marzo 1962, n. 147 e L. 18 aprile 1978, n. 130.
E’ altresì del tutto ordinario che il presupposto per la restituzione possa sorgere in un momento successivo al pagamento, ma ciò rileva solo per il termine di decadenza e non incide sulla normativa in materia di calcolo degli interessi sul rimborso.
Inoltre, la CTR adombrerebbe che il calcolo degli interessi sarebbe dovuto avvenire secondo quanto prospettato dalla Società (ossia ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 44) solo in “tutte quelle ipotesi ordinarie in cui il versamento effettuato in sede di autoliquidazione risulti in eccesso fin dall’origine”.
L’imputazione temporale degli elementi reddituali, disciplinata in via generale dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109 (di seguito “TUIR”), è inderogabile per costante orientamento della Corte di Cassazione (Cass. 22 settembre 2022, n. 27818 e in precedenza Cass. Civ., Sez. VI -T, 17 dicembre 2013, n. 28159, rv. 629406). Posto che i componenti reddituali (ossia le riduzioni della riserva sinistri) oggetto dell’Avviso erano per legge di competenza del periodo d’imposta 2008 (come sostenuto dall’Agenzia delle Entrate e poi accettato dalla Società), è evidente che la loro tassazione nell’anno 2009 era errata ab origine in quanto fin dal principio i componenti reddituali in discussione andavano tassati nel 2008 e non nell’esercizio 2009.
Ragionando diversamente si frustrerebbe sia il principio di inderogabilità della competenza degli elementi reddituali sia il principio di autonomia dei periodi d’imposta sancito dall’art. 76 del TUIR, secondo il quale a ogni periodo d’imposta corrisponde un’obbligazione tributaria autonoma.
Del resto, anche qualora l’Agenzia delle Entrate non avesse emesso l’avviso, la società avrebbe avuto il diritto di chiedere (entro il termine di decadenza di legge) il rimborso delle imposte pagate in eccesso nel 2009 a causa della violazione del principio di competenza, fermo restando, ovviamente, il dovere di adempiere l’obbligazione tributaria nel corretto periodo d’imposta di competenza 2008 mediante ravvedimento.
Quanto sopra dimostrerebbe che l’errore di competenza commesso dalla Società sussisteva fin dall’inizio e il fatto che lo stesso sia stato rilevato (e definitivamente accettato) in un secondo momento non incide sulla sua sussistenza originaria.
La Sentenza della CTR è quindi errata laddove ha ritenuto che l’errore di competenza (e l’indebito pagamento d’imposte da rimborsare che ne è derivato) sia venuto ad esistenza solo con il perfezionamento dell’Atto di Adesione che avrebbe reso indebito il versamento del saldo per l’anno 2012 effettuato da R. M. il 17 giugno 2013: infatti, tale versamento era indebito (per Euro 510.476,00) fin dall’inizio poiché fin dall’inizio R. M. aveva commesso un errore di imputazione temporale di taluni componenti reddituali.
Da ciò, anche in base tenore argomentativo della sentenza della CTR, discenderebbe l’applicabilità del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 44 in materia di calcolo degli interessi e la conseguente correttezza del calcolo effettuato dalla Società in base alla suddetta disposizione (ossia Euro 51.047,60 ancora da corrispondere per Euro 10.209,52).
La sentenza della CTR poi sarebbe viziata da un ulteriore errore.
A pagina 8 si legge che gli interessi “devono essere conteggiati in correlazione all’imposta di cui rappresentano accessori connessi sul piano genetico”.
L’affermazione è giuridicamente condivisibile, ma sarebbero errate le conseguenze che la CTR ne ha fatto derivare. Infatti, poiché è pacifico che l’Agenzia delle Entrate non ha rimborsato alla Società le imposte versate il 9 aprile 2014 all’esito dell’Atto di Adesione relativo al periodo d’imposta 2008, bensì le imposte versate il 17 giugno 2013 in relazione al periodo d’imposta 2012, gli interessi accessori all’imposta rimborsata relativa all’anno 2012 dovrebbero essere conteggiati a partire dal 17 giugno 2013 (giorno in cui è stata versata l’imposta oggetto di restituzione), esattamente come previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 44.
La specificazione della CTR circa la natura degli interessi, quale accessorio all’imposta oggetto di rimborso, avrebbe dovuto risolvere la questione a favore della tesi della Società. Di contro, la conclusione in senso opposto della CTR sarebbe posta in violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 44. Infine, la sentenza della CTR non si fonderebbe su alcuna disposizione di legge in quanto non menziona nemmeno quale norma abbia applicato con riguardo al calcolo degli interessi. In questo modo la CTR sarebbe incorsa nella ulteriore violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 44.
Per orientamento consolidato “La giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che gli interessi dovuti per il ritardo nel rimborso delle imposte dirette, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 44, a differenza degli ordinari interessi che, in quanto frutti civili, si acquistano di giorno in giorno, maturano, per ogni semestre intero, escluso il primo, con decorrenza dalla data del versamento e fino a quella dell’ordinativo di pagamento” (Cass. Civ., Sez. Trib., 14 dicembre 2016, n. 25684).
La CTR avrebbe ignorato i suddetti principi ed avrebbe erroneamente posto l’accento sulle norme in materia di decadenza per la presentazione dell’istanza di rimborso anziché su quella che fissa i termini iniziale e finale di decorrenza degli interessi sui rimborsi di imposta.
2. Il motivo è fondato.
Invero la decorrenza degli interessi non può che essere individuata, nel caso di specie, che nel momento in cui venne effettuato l’esborso non dovuto, e non già in quello (successivo) dell’atto di adesione.
Invero ciò discende dal chiaro disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 44, e dalla natura compensativa (e non moratoria) degli interessi stessi.
Fattispecie del tutto simile è stata conformemente decisa da questa Corte, quando si è trattato di individuare, (al fine di verificarne l’imponibilità, in base alle norme pro tempore vigenti) l’effettiva funzione degli accessori maturati sui crediti che i contribuenti hanno nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, affermando che “… Gli interessi maturati sui crediti di imposta che i contribuenti hanno nei confronti dell’Amministrazione finanziaria non sono dovuti a titolo moratorio (non essendovi mora dell’Amministrazione) né derivano dall’impiego di capitale, ma servono a compensare i contribuenti dell’esborso pecuniario che essi hanno in precedenza effettuato versando al Fisco una somma di denaro che deve essere loro restituita. L’interesse su tale somma serve a reintegrare la diminuzione patrimoniale subita dal contribuente, che viene così compensato del mancato godimento del denaro in precedenza versato (…). Chiara è perciò la “natura compensativa” degli interessi maturati sui crediti di imposta, idonea ad escluderli dai redditi di capitale elencati nel citato art. 41″ (Cass. 05/07/1990, n. 7091, in motivazione; conformi, sulla natura compensativa degli interessi in questione, in materia di imposte dirette, Cass. 06/04/1995, n. 4037; Cass. 28/11/1995, n. 12318; Cass. 15/04/1996, n. 3525; Cass. 10/06/1996, n. 5352; Cass. 15/02/1999, n. 1255; Cass. 17/07/1999, n. 7575; Cass.08/09/1999, n. 9510; Cass. 17/05/2000, n. 6397; Cass.20/09/2004, n. 18864; Cass. 04/09/2012, n. 31820; Cass. n. 9852 del 2016; Cass. 13/12/2017, n. 29879; Cass. 17/04/2019, n. 10705; Cass. 04/11/ 2021, n. 31820, in motivazione).
Per quanto qui rileva, il consolidato e continuo orientamento in questione (a prescindere da ogni interferenza delle norme applicabili ratione temporis in tema di imposizione dell’attribuzione patrimoniale rappresentata dagli interessi in questione) evidenzia dunque la funzione in senso lato “compensativa” (del mancato godimento, da parte del contribuente, del denaro in precedenza versato), che prescinde da un ritardo che sia colpevolmente imputabile all’Amministrazione (che, nel frattempo, ha ricevuto e posseduto la stessa somma) e legittimi la “mora” di quest’ultima, ai fini della decorrenza degli interessi di legge” (Cass.27/04/2023, n. 11189).
Orbene ivi si legge altresì che “… la circostanza che il termine di decadenza dal diritto al rimborso non decorra durante il periodo nel quale il contribuente neppure è consapevole di essere stato sicuramente assoggettato alla doppia imposizione, non esclude che, una volta che tale diritto sia stato esercitato tempestivamente, esso resti disciplinato dalle norme generali sul rimborso, compresa quella di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 44, comma 1, in materia di decorrenza (a prescindere dalla buona o mala fede e dalla mora dell’Amministrazione) degli interessi “compensativi” dal secondo semestre successivo al versamento delle somme da rimborsare”, quindi nel nostro caso quelle versate in più nell’esercizio precedente, esattamente come deciso nel caso richiamato.
3. Da quanto precede discende l’accoglimento del ricorso, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, che provvederà anche alla determinazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte che, in diversa composizione, provvederà altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 20 settembre 2023