CASSAZIONE

Con la voluntary disclosure perfezionata non c’è più spazio per la confisca

Dichiarazione fraudolenta – Dl 167/1990 – Reati tributari – Evasione – Uso di fatture per operazioni inesistenti – Decreto di sequestro preventivo – Adesione all’istituto della collaborazione volontaria – Annullamento del sequestro preventivo

La Corte di Cassazione, con la sentenza n.10801 del 12 marzo 2019, intervenendo in tema di collaborazione volontaria (voluntary disclosure), dove il Gip  aveva disposto il sequestro preventivo

finalizzato alla confisca nei confronti dei rappresentanti legali di alcune società per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, ha sentenziato che il sequestro delle fatture false nei confronti del fornitore non costituiva causa ostativa per l’adesione alla voluntary disclosure del cliente, nonostante egli conoscesse la misura cautelare.

In altre parole, la Corte ha ricordato che il giudice deve revocare il provvedimento di sequestro preventivo con finalità di confisca disposto a carico del contribuente accusato di fronde fiscale, se questi ha formalizzato definitivamente l’adesione alla procedura.

Brevemente rammentiamo che l’adesione alla voluntary disclosure, introdotta dalla legge 186/2014, è lo strumento che il Fisco mette a disposizione dei contribuenti per regolarizzare la propria posizione fiscale e determina l’esclusione della punibilità per alcuni reati tributari previsti dal D.lgs. 74/2000, anche sul piano penale, pagando le imposte in maniera ridotta.

La procedura, inoltre, è suddivisa in più fasi che brevemente ricordiamo, come la richiesta di accesso che contempla due passaggi; i riscontri documentali degli uffici finanziari con quattro controlli, compreso l’eventuale contraddittorio; l’invito e la definizione agevolata, composta anch’essa da quattro passaggi temporali che si concludono con l’atto di contestazione violazioni in materia di monitoraggio fiscale e, infine, l’atto di adesione che in due passaggi porta alla conclusione e al pagamento del dovuto nei venti giorni successivi.

Tale procedura riguarda in particolare, oltre alla evidenziata fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2), anche i reati di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3) o quelli relativi alla dichiarazione infedele (art. 4), la dichiarazione omessa (art. 5) o, ancora, a quelle di omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis) e l’omesso versamento IVA (art. 10-ter).

Possono avvalersi di questa agevolazione anche i contribuenti non destinatari degli obblighi dichiarativi di monitoraggio fiscale, ovvero che vi abbiano adempiuto correttamente, per regolarizzare le violazioni degli obblighi dichiarativi commessi in materia di imposte sui redditi e relative addizionali, imposte sostitutive, IRAP e IVA, nonché le violazioni relative alla dichiarazione dei sostituti d’imposta, e inoltre i reati di cui agli artt. 648-bis e 648-ter C.p. (riciclaggio e impiego di denaro , beni o altra utilità di provenienza illecita), se commessi in relazione ai delitti tributari “coperti”.

Il perfezionamento definisce l’adesione e, in caso contrario, per il contribuente che ha presentato richiesta di accesso alla procedura di voluntary disclosure e non ha provveduto a versare regolarmente nei termini la somma definita, la procedura non si perfeziona. Ciò comporta, in primo luogo, l’impossibilità per il contribuente di ripresentare la richiesta; in secondo luogo l’ufficio, in deroga ai termini stabiliti dalla legge, può notificare al contribuente un nuovo avviso di accertamento e un nuovo atto di contestazione con la rideterminazione della sanzione. Perché possa considerarsi conclusa, la procedura di collaborazione volontaria necessita dell’integrale versamento di quanto dovuto.

Inoltre, è utile ricordare quanto precedentemente affermato dalla stessa Corte con la sentenza n. 272/2018, che peraltro confermava che la procedura di collaborazione volontaria può essere applicata limitatamente ai casi espressamente previsti dal legislatore, non ritenendo di poterla estendere “oggettivamente” a un reato diverso da quelli tassativamente previsti perché ciò presupporrebbe un apprezzamento di merito, che è incompatibile con la procedura indicata dall’art. 325 c.p.p..

Tali cause di non punibilità sono poi state sancite dal novellato art. 5-quinques del Dl 167/1990, in combinato disposto con l’art. 5–quater, comma 2, del citato decreto, specificatamente nella parte in cui avverte che la collaborazione volontaria non è ammessa se la richiesta è presentata dopo che l’autore della violazione abbia avuto una formale conoscenza di accessi o di qualunque attività di accertamento amministrativo o penale, relative all’ambito oggettivo di applicazione della voluntary disclosure.

Tornando al caso di specie, la sentenza prende le mosse da una vicenda che ha interessato talune persone fisiche alle quali sono stati contestati i reati di cui all’art. 2 del D.lgs. 74/2000 perché il primo, in qualità di rappresentante legale e amministratore unico della RM 81 S.p.A., al fine di evadere le imposte sui redditi e l’IVA per gli anni 2010-2011-2012 e 2013, faceva uso di fatture per operazioni inesistenti e la seconda, come rappresentante legale e amministratore unico di una S.r.l., per evadere le imposte sui redditi e l’IVA per gli anni 2012 e 2013 faceva uso di fatture per operazioni inesistenti indicandole nelle dichiarazioni annuali, esponendo così elementi passivi fittizi.

Il Pubblico Ministero ha richiesto allora il sequestro preventivo del profitto del reato, ma ciò non ha convinto gli Ermellini, che hanno invece ritenuto che “…Tali assunti non sono, tuttavia, condivisibili. Quanto al primo profilo, invero, va chiarito che alla stregua dell’art. 5 quater del d. I. n. 167/1990 introdotto dalla L. n. 186 del 2014, ciò che osta alla ammissibilità della richiesta di collaborazione volontaria è unicamente, come appena ricordato, la “formale conoscenza” in capo all’autore della violazione degli obblighi di dichiarazione, di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, per violazione di norme tributarie, relativi all’ambito oggettivo di applicazione della procedura di collaborazione volontaria”; e, nella specie, al di là in ogni caso \ della assenza di risultanze in ordine a tale formale conoscenza, l’ordinanza impugnata ha invece chiarito, in termini di resoconto processuale non sindacabile in questa sede, che il decreto di sequestro cui ha fatto riferimento il ricorrente sarebbe intervenuto nei confronti di soggetto terzo rispetto agli indagati (ovvero A. M., quale legale rappresentante della T.) per il reato di riciclaggio (diverso dunque da quelli contestati agli indagati), in tal modo esulandosi dal campo applicativo proprio della causa ostativa ricordata. Quanto poi al secondo, impostazione del P.M. ricorrente, assiomaticamente volta a ritenere che l’istituto della collaborazione non inciderebbe sulla operatività delle misure cautelari, appare non tenere conto degli effetti, sul piano penale, della disciplina della voluntary disclosure : sul punto è dirimente osservare che l’art, 5 quinquies della I. n. 167 del 1990 cit. ha previsto espressamente che nei confronti di colui che presta la collaborazione volontaria “è esclusa la punibilità per i delitti di cui agli articoli 2,3,4,5,10 bis e 10 ter del d.lgs. n. 74 del 2000. Di qui, dunque, la constatazione che, perfezionata la procedura e pagate le relative imposte, la causa di non punibilità farebbe venir meno, in capo alle somme derivate dalla utilizzazione delle fatture emesse per operazioni inesistenti, la natura di profitto del reato venendo dunque meno la confiscabilità di dette somme e, conseguentemente, divenendo illegittima la protrazione di un sequestro unicamente a detta confisca finalizzato. Sicché, del tutto correttamente, in applicazione della disciplina appena ricordata, il Tribunale ha disposto il dissequestro delle somme assoggettate a confisca. Al contrario, il ragionamento del P.M., che parrebbe ritenere il sequestro esente dagli effetti della disciplina sulla collaborazione volontaria sulla base di una diversità delle somme non dichiarate, oggetto della procedura, da quelle invece oggetto di sequestro, oltre a confutare su un piano meramente fattuale il diverso approdo sul punto della ordinanza impugnata, trascura di considerare che, essendo tra i reati inclusi nella voluntary disclosure anche, specificamente, quello di dichiarazione fraudolenta, le somme da “rimpatriare” altro non possono essere (posto che nessun altro senso avrebbe avuto l’inclusione anche del reato ex art. 2 cit.), che quelle stesse derivate dalla utilizzazione delle fatture relative alle operazioni inesistenti”.

Corte  di cassazione Sentenza 12 marzo 2019, n. 10801

Sul ricorso proposto da:

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE TRIBUNALE DI ROMA nei confronti di: S. M. nato a ROMA il 30/03/1957;

B. F. nata a ROMA il 16/05/1960

avverso l’ordinanza del 28/06/2018 del TRIB. LIBERTA’ di ROMA;

 udita la relazione svolta dal Consigliere GASTONE ANDREAZZA;

Udito il Proc. Gen. PAOLA FILIPPI che ha concluso per l’inammissibilità’;

Uditi i difensori di fiducia Avv. P. Severino e M. Pineschi, che hanno concluso per l’inammissibilità;

RITENUTO IN FATTO

1. Il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Roma ha proposto ricorso avverso l’ordinanza emessa in data 28/06/2018 dal Tribunale del riesame della medesima città di annullamento del decreto di sequestro preventivo emesso, in data 28/05/2018, dal G.i.p. del Tribunale di Roma nei confronti di S. M. e B. F. per i reati di cui all’ art. 2 del D. Lgs. n. 74 del 2000 perché il primo, in qualità di rappresentante legale e amministratore unico della RM 81 S.p.A., al fine di evadere le imposte sui redditi e l’imposta sul valore aggiunto per gli anni 2010 – 2011 – 2012 e 2013, faceva uso di fatture per operazioni inesistenti, indicandole nelle dichiarazioni annuali, così esponendo elementi passivi fittizi per un importo complessivo di euro 3.475.271,76 (capo sub a) e perché, in qualità di rappresentante legale e amministratore unico della USI DOPC s.r.I., al fine di evadere le imposte sui redditi e l’imposta sul valore aggiunto per gli anni 2012 e 2013, faceva uso di fatture per operazioni inesistenti indicandole nelle dichiarazioni annuali, così esponendo elementi passivi fittizi per un importo complessivo di euro 59.561,00 (capo sub b) e la seconda perché, in qualità di rappresentante legale e amministratore unico della BARBARA s.r.I., al fine di evadere le imposte sui redditi e l’imposta sul valore aggiunto per gli anni 2012 e 2013, faceva uso di fatture per operazioni inesistenti indicandole nelle dichiarazioni annuali, così esponendo elementi passivi fittizi per un importo complessivo di euro 357.000,00.

2. Con un unico motivo di ricorso, lamenta la violazione ed erronea applicazione della legge penale nonché carenza e manifesta illogicità della motivazione che è giunta ad annullare il provvedimento cautelare ritenendo pagato il profitto dei reati così come determinato in relazione alle fatture per operazioni inesistenti utilizzate.

Il Tribunale avrebbe errato nel valutare la fattispecie sottoposta al suo giudizio in quanto la I. n. 186 del 2014, recante misure per l’emersione ed il rientro di capitali detenuti all’estero nonché per il potenziamento della lotta all’evasione fiscale, ha introdotto, dopo l’art. 5 ter del D. L. n. 167 del 1990, l’art. 5 quater che prevede l’istituto della collaborazione volontaria con gli uffici finanziari.

Nella specie, è stato previsto che l’autore della violazione degli obblighi di cui all’art. 4, comma 1, del richiamato D.L. n. 167 del 1990 commessa fino al 30/09/2014, può avvalersi di tale procedura per l’emersione delle attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute fuori dal territorio dello Stato e per la definizione dell’accertamento, mediante adesione ai contenuti dell’invito al contraddittorio, per le violazioni in materia di imposte sui redditi e relative addizionali, di imposte sostitutive, di IRAP, di IVA ed eventuali violazioni relative alla dichiarazione dei sostituti di imposta.

Deduce, pertanto, che l’adesione alla collaborazione volontaria, i cui termini di scadenza erano fissati al 30/09/2015, prevedeva all’art. 5 quinquies, lett. a) l’esclusione della punibilità per i delitti di cui agli artt. 2, 3, 4, 5, 10 bis e 10 ter del D. Lgs. n. 74 del 2000.

Tuttavia il 2° comma dell’art. 5 quater prevedeva che la collaborazione volontaria non fosse ammessa se la richiesta fosse stata presentata dopo che l’autore della violazione degli obblighi di dichiarazione di cui all’art. 4 comma 1 del D.L. n. 167 del 1990 avesse avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, per violazioni di norme tributarie.

Nel caso di specie, lamenta che l’amministratore unico pro tempore della RM 81 S.p.A. sarebbe venuto a conoscenza delle attività di polizia giudiziaria nei confronti della società per violazioni di norme penal-tributarie in data 25/05/2015, quando sarebbe stata data esecuzione al provvedimento cautelare emesso dall’A.G. di Avezzano, con il sequestro delle fatture ricevute dalla T. s.r.I., escludendosi quindi il ricorso alla Voluntary Disclosure presentata telematicamente all’Agenzia delle Entrate di Roma in data 03/09/2015.

Ciò posto, deduce che le somme sottoposte a sequestro con il decreto del G.i.p. sarebbero state provento dei reati tributari contestati e, per tale ragione, sottoposti a cautela giudiziaria, e tale circostanza sarebbe del tutto diversa da quella che avrebbe originato la Voluntary Disclosure, per la quale l’Agenzia delle Entrate avrebbe determinato le somme da pagare.

Nella specie, infatti, la predetta procedura avrebbe riguardato il rientro delle somme non dichiarate che, contestualmente, troverebbero origine nelle attività illecite aventi ad oggetto l’emissione di numerose fatture per operazioni inesistenti.

Pertanto, se da un lato la procedura del rientro e del disvelamento delle somme sarebbero state oggetto di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate, da altro lato, questa per nulla inciderebbe sulla separata e autonoma procedura di sequestro penale delle somme provento di reato.

Deduce, altresì, che nei reati contestati si dovrebbe tener conto sia del prezzo del reato sia del profitto dello stesso; pertanto, il Tribunale avrebbe errato nel non ritenere separate le somme oggetto di imposte evase, per le quali sarebbe stata formalizzata la Voluntary Disclosure, dal provento di reato di emissioni di fatture per operazioni inesistenti che avrebbero giustificato il sequestro penale.

3. In data 20/11/2018 ha presentato memoria il Difensore dell’indagata B. chiedendo dichiararsi inammissibile o in subordine rigettarsi il ricorso del P.M..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è inammissibile.

L’ordinanza impugnata ha evidenziato che gli indagati hanno presentato, ai sensi della normativa di cui alla I. n. 186 del 2014, domanda di collaborazione volontaria (c.d. voluntary disclosure) in relazione ai reati loro contestati di cui all’art. 2 cit., successivamente avendo anche provveduto al pagamento delle somme relative dovute a titolo di imposte evase come calcolate dall’Agenzia delle Entrate, e di qui ha dedotto il  venir meno, in capo alle somme oggetto di sequestro, della natura di profitto dei reati appena ricordati.

A fronte di ciò il P.M. ricorrente ha, da un lato, contestato la operatività, nella specie, della disciplina appena ricordata posto che la richiesta di ammissione alla procedura, presentata il 03/09/2015, sarebbe intervenuta dopo che l’amministratore unico della RM 81 Spa aveva avuto conoscenza, in data 27/05/2015, della esecuzione del provvedimento di sequestro della fatture ricevute dalla Techprojects Srl, così realizzandosi l’evento ostativo espressamente configurato dalla legge all’art. 5 quater, comma 2, (che ha previsto, infatti, che la collaborazione volontaria non è ammessa se la richiesta è presentata dopo che l’autore della violazione degli obblighi di dichiarazione “abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, per violazione di norme tributarie, relativi all’ambito oggettivo di applicazione della procedura di collaborazione volontaria”) e, dall’altro, reclamato la insensibilità delle somme provento di reato sottoposte a sequestro alla procedura di rientro delle somme non dichiarate.

Tali assunti non sono, tuttavia, condivisibili.

Quanto al primo profilo, invero, va chiarito che alla stregua dell’art. 5 quater del d. I. n. 167/1990 introdotto dalla I. n. 186 del 2014, ciò che osta alla ammissibilità della richiesta di collaborazione volontaria è unicamente, come appena ricordato, la “formale conoscenza” in capo all’autore della violazione degli obblighi di dichiarazione, di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, per violazione di norme tributarie, relativi all’ambito oggettivo di applicazione della procedura di collaborazione volontaria”; e, nella specie, al di là in ogni caso \ della assenza di risultanze in ordine a tale formale conoscenza, l’ordinanza impugnata ha invece chiarito, in termini di resoconto processuale non sindacabile in questa sede, che il decreto di sequestro cui ha fatto riferimento il ricorrente sarebbe intervenuto nei confronti di soggetto terzo rispetto agli indagati (ovvero A. M., quale legale rappresentante della Techprojects) per il reato di riciclaggio (diverso dunque da quelli contestati agli indagati), in tal modo esulandosi dal campo applicativo proprio della causa ostativa ricordata.

Quanto poi al secondo, impostazione del P.M. ricorrente, assiomaticamente volta a ritenere che l’istituto della collaborazione non inciderebbe sulla operatività delle misure cautelari, appare non tenere conto degli effetti, sul piano penale, della disciplina della voluntaly disclosure : sul punto è dirimente osservare che l’art, 5 quinquies della I. n. 167 del 1990 cit. ha previsto espressamente che nei confronti di colui che presta la collaborazione volontaria “è esclusa la punibilità per i delitti di cui agli articoli 2,3,4,5,10 bis e 10 ter del d.lgs. n. 74 del 2000”.

Di qui, dunque, la constatazione che, perfezionata la procedura e pagate le relative imposte, la causa di non punibilità farebbe venir meno, in capo alle somme derivate dalla utilizzazione delle fatture emesse per operazioni inesistenti, la natura di profitto del reato venendo dunque meno la confiscabilità di dette somme e, conseguentemente, divenendo illegittima la protrazione di un sequestro unicamente a detta confisca finalizzato. Sicché, del tutto correttamente, in applicazione della disciplina appena ricordata, il Tribunale ha disposto il dissequestro delle somme assoggettate a confisca.

Al contrario, il ragionamento del P.M., che parrebbe ritenere il sequestro esente dagli effetti della disciplina sulla collaborazione volontaria sulla base di una diversità delle somme non dichiarate, oggetto della procedura, da quelle invece oggetto di sequestro, oltre a confutare su un piano meramente fattuale il diverso approdo sul punto della ordinanza impugnata, trascura di considerare che, essendo tra i reati inclusi nella voluntary disclosure anche, specificamente, quello di dichiarazione fraudolenta, le somme da “rimpatriare” altro non possono essere (posto che nessun altro senso avrebbe avuto l’inclusione anche del reato ex art. 2 cit.), che quelle stesse derivate dalla utilizzazione delle fatture relative alle operazioni inesistenti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso del P.    Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 23 novembre 2018

Desidero ricevere in abbonamento gratuito il vostro periodico FiscotoDay