Compravendita, risoluzione consensuale e imposta di registro
Un contribuente comunica di aver acquistato un immobile con atto regolarmente registrato presso l’ufficio territoriale competente dell’Agenzia delle entrate, nel quale le parti hanno convenuto che il saldo del prezzo sarebbe avvenuto all’erogazione del mutuo. Al fine di ottenere la
prestazione creditizia, come iscritto alla gestione dei dipendenti pubblici (ex INPDAP), ha presentato istanza di concessione di mutuo ipotecario edilizio all’INPS, che ha rigettato la domanda di mutuo perché l’atto era già stato stipulato. L’interpellante ha presentato ricorso sostenendo che è prassi la concessione di mutui “post rogito” e che in tal senso è previsto il regolamento INPS 2019 non prevede alcun divieto. Considerato che il ricorso è stato respinto, verificata l’impossibilità di adire il T.A.R. in tempi ragionevoli e l’imprevedibilità dei costi del ricorso giurisdizionale, le parti si sono accordate per la risoluzione del contratto tramite lo stesso notaio che aveva formato l’atto, per poter ricominciare la procedura prevista per la richiesta del mutuo all’INPS: le parti hanno stabilito che per la risoluzione del contratto non sarà previsto alcun corrispettivo, né la restituzione di quanto versato.
Tramite istanza di interpello si chiede quale sia il corretto trattamento tributario, ai fini della tassazione indiretta, da applicare all’atto di risoluzione della compravendita, prospettando come soluzione interpretativa l’applicazione delle imposte in misura fissa ai sensi dell’art. 28 del Testo unico dell’imposta di registro (DPR 131/1986, TUR). In proposito fa presente che alla risoluzione per mutuo consenso di un atto di compravendita immobiliare, in assenza di prestazioni corrispettive e movimentazione di denaro è possibile applicare le imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura fissa, richiamando quanto previsto dalla risoluzione 20/E del 2014 per la risoluzione per mutuo dissenso di un atto di donazione.
Lo scioglimento di comune accordo del rapporto contrattuale
Nella risoluzione n. 3 del 18 gennaio 2022 l’Agenzia delle entrate evidenzia che il codice civile stabilisce che il contratto ha forza di legge tra le parti, non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge e non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge.
Lo scioglimento di comune accordo del rapporto contrattuale, il cosiddetto “mutuo consenso”, rientra nella più vasta categoria degli eventi risolutivi del contratto e costituisce l’espressione dell’autonomia negoziale dei privati, che sono liberi di regolare gli effetti prodotti da un precedente negozio e, quindi, di sciogliere il vincolo contrattuale, anche indipendentemente da eventuali fatti o circostanze sopravvenute, impeditive o modificative. Con il “mutuo dissenso” le parti volontariamente concludono un nuovo contratto di natura solutoria e liberatoria, con contenuto uguale e contrario a quello del contratto originario (Corte di Cassazione, n. 17503 del 30 agosto 2005).
Il Testo unico e la risoluzione del contratto
L’Agenzia ricorda, inoltre, che in riferimento al trattamento tributario applicabile ai fini della tassazione indiretta, l’art. 28 del TUR prevede che “la risoluzione del contratto è soggetta all’imposta in misura fissa se dipende da clausola o da condizione risolutiva espressa contenuta nel contratto stesso ovvero stipulata mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata entro il secondo giorno non festivo successivo a quello in cui è stato concluso il contratto. Se è previsto un corrispettivo per la risoluzione, sul relativo ammontare si applica l’imposta proporzionale prevista dall’art. 6 o quella prevista dall’art. 9 della parte prima della tariffa. In ogni altro caso l’imposta è dovuta per le prestazioni derivanti dalla risoluzione, considerando comunque, ai fini della determinazione dell’imposta proporzionale, l’eventuale corrispettivo della risoluzione come maggiorazione delle prestazioni stesse”.
Due distinte ipotesi
Ai fini fiscali, si deve dunque distinguere l’ipotesi di una clausola risolutiva espressa, più o meno contestuale al contratto originario, da quella in cui le parti, con autonoma espressione negoziale, scelgono di risolvere lo stesso contratto originario.
Nel primo caso si applica l’imposta proporzionale solo se per la risoluzione è previsto un corrispettivo e solo sul suo ammontare, mentre in caso contrario si applica l’imposta in misura fissa.
Nella diversa ipotesi di risoluzione del contratto realizzata con apposito negozio, la norma citata prevede l’applicazione dell’imposta di registro in misura proporzionale alle prestazioni derivanti dalla risoluzione; la stessa tassazione proporzionale si applicherà, inoltre, all’eventuale corrispettivo della risoluzione.
A sostegno di tale tesi viene citato l’orientamento della Corte di Cassazione, che in diverse ordinanze (Cass. n. 5745/2018, n. 24506/2018; n. 4134/2015) ha sancito che per la tassazione della risoluzione della compravendita, ai fini dell’applicazione dell’imposta in misura fissa o proporzionale, rileva la presenza o meno della clausola risolutiva espressa nell’accordo originario.
Si applica l’aliquota proporzionale Quindi, poiché la retrocessione dell’atto non era prevista da una clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto, né stipulata subito dopo, l’Agenzia conclude che non sono applicabili i contenuti della risoluzione 20/E del 2014, relativa a un caso diverso da quella in questione, e che si rende invece applicabile il comma 2 del citato articolo 28: pertanto, la retrocessione stessa deve essere tassata autonomamente ai fini dell’imposta registro, applicando l’aliquota in misura proporzionale prevista per i trasferimenti immobiliari (art. 1 della Tariffa, Parte Prima allegata al DPR 131/1986).