IVA LAVORO

Compensi percepiti dopo la chiusura della partita IVA: quale trattamento fiscale

Un avvocato iscritto all’Aire da ottobre 2021, in seguito al proprio trasferimento all’estero avvenuto a dicembre 2021, ha chiuso la partita IVA. Successivamente, a gennaio 2022, un tribunale comunicava il deposito in cancelleria di un “decreto di liquidazione a difensore”, avvenuto a dicembre 2021 e relativo a una prestazione professionale conclusa nel 2014.

L’avvocato fa presente che al momento della prestazione era regolarmente in possesso di una posizione fiscale, quindi nella condizione di emettere regolare fattura e che, secondo quanto previsto all’articolo 7, comma 5, della legge 247/2012 (“Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”) “…gli avvocati italiani, che esercitano la professione all’estero e che ivi hanno la loro residenza, mantengono l’iscrizione nell’albo del circondario del tribunale ove avevano l’ultimo domicilio in Italia”. L’istante, che ritiene di avere tutte le prerogative per esercitare la professione forense in Italia, chiede: se per le attività professionali già eseguite, ma di cui non è ancora pervenuto il decreto di liquidazione, è possibile emettere fattura in regime prestazione occasionale (legge 92/2012); se per le attività future eventualmente eseguite in Italia è possibile emettere documento fiscale ai sensi della citata legge n. 92.

La cessazione dell’attività professionale

Nella risposta 218/2022 l’Agenzia delle entrate sottolinea che la cessazione dell’attività professionale, con conseguente cessazione della partita IVA, non può trascurare, tralasciandola, la conclusione di tutti gli adempimenti derivanti dalle operazioni attive e passive effettuate. Secondo quanto previsto dall’articolo 35, 3° e 4° comma, del DPR 633/1972, infatti, in caso di cessazione dell’attività, il contribuente deve farne dichiarazione all’ufficio entro 30 giorni e questa scadenza decorre dalla data di ultimazione delle operazioni relative alla liquidazione, fermo restando le disposizioni relative al versamento dell’imposta, fatturazione, registrazione, liquidazione e dichiarazione. Il professionista che non svolge più l’attività professionale, dunque, non può chiudere la partita IVA in presenza di corrispettivi per prestazioni ancora da fatturare ai propri clienti.

Al riguardo, nella circolare 11/E del 2007 è stato affermato che l’attività del professionista non si può considerare cessata fino all’esaurimento di tutte le operazioni, ulteriori rispetto all’interruzione delle prestazioni professionali, “dirette alla definizione dei rapporti giuridici pendenti” e, in particolare, di quelli aventi a oggetto crediti strettamente connessi alla fase di svolgimento dell’attività stessa.

La successiva risoluzione 232/E del 2009 ha inoltre specificato che la cessazione dell’attività per il professionista non coincide con il momento in cui si astiene dall’effettuare le prestazioni professionali, ma con quello successivo in cui chiude i rapporti professionali, fatturando tutte le prestazioni svolte e dismettendo i beni strumentali. Il professionista, quindi, deve avere la partita IVA per garantire la definizione dei rapporti ancora pendenti dopo la cessazione dell’attività.

Il lavoro autonomo

Da un punto di vista fiscale, il lavoro autonomo è qualificato in due modi diversi: prestazioni professionali in senso stretto (articolo 53, comma 1 del TUIR), oppure lavoro autonomo occasionale che si considera produttivo di redditi diversi (articolo 67 del TUIR) se non costituisce redditi di capitale o se i redditi non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da Snc e Sas, né come lavoratore dipendente. In tale contesto è configurabile l’esistenza di un lavoro autonomo occasionale in presenza di un elemento positivo (l’esercizio di un’attività artistica, intellettuale o di servizi senza vincolo di subordinazione e diversa da quella d’impresa) e di un elemento negativo, ossia l’assenza del requisito della professionalità e abitualità.

In linea generale, sostiene l’Agenzia, professionalità e abitualità si hanno ogni volta che un soggetto effettua “con regolarità, sistematicità e ripetitività una pluralità di atti economici coordinati e finalizzati al conseguimento di uno scopo; mentre non si realizzano solo nei casi in cui vengano posti in essere atti economici in via meramente occasionale”.

La procedura corretta

Riguardo al quesito sulla modalità di documentazione e dichiarazione di crediti maturati in un anno in cui il professionista era ancora fiscalmente residente in Italia e svolgeva in modo abituale attività di lavoro autonomo, ma liquidati/incassati dopo il suo espatrio e la chiusura della partita IVA, l’Agenzia afferma che la procedura corretta preveda, in alternativa:

a) l’imputazione dei compensi non incassati al momento della chiusura, ai redditi relativi al 2021, ultimo anno di attività professionale;

b) il mantenimento della posizione IVA fino alla fine di tutte le operazioni fiscalmente rilevanti (come previsto dalla prassi citata), il che permette l’emissione della fattura e la dichiarazione dei redditi nell’anno d’imposta in cui si realizza l’incasso del credito, secondo il principio di cassa. Presupponendo dunque, da quanto esposto nel quesito, che l’imputazione all’ultimo anno di attività dei crediti non ancora riscossi non sia stata effettuata, nella risposta 218 si legge che l’istante, avendo “impropriamente chiuso la propria partita IVA prima che fossero concluse tutte le attività ad essa connesse”, dovrà chiedere la riattivazione della propria posizione fiscale e, al momento dell’effettivo incasso dei singoli crediti, emettere una fattura per prestazione di lavoro autonomo e dichiararli come reddito professionale.

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