ECONOMIA FISCALITA

Come pagare meno tasse senza essere evasori, anzi…

Quella che presentiamo all’attenzione dei nostri lettori è una serie di consigli utili per risparmiare qualcosa nella veste di cittadini-contribuenti, utilizzando legalmente le opportunità offerte dalle norme fiscali vigenti. Non si parla, quindi, di evasione, né di sistemi paralleli come l’elusione fiscale: si parla, invece, di deduzioni e detrazioni, ovvero gli “sconti” concessi dal Fisco e le condizioni previste per avvalersene e ridurre le tasse da pagare.

E se il tema è questo, diventa conseguenziale parlare della dichiarazione dei redditi, un rendez-vous tanto fisso e inevitabile quanto poco gradito e “simpatico”. Ed è proprio per questa ragione, forse, a causa dell’ineludibile appuntamento annuale, che quasi a ridosso della data di scadenza siamo tutti più o meno abituati a cercare e tirar fuori da cassetti, cartelline e contenitori vari i documenti da consegnare al Caf, al commercialista o da utilizzare per chi fa da sé: in termini temporali, quindi, più o meno a marzo-aprile per lavoratori dipendenti e pensionati che presentano il mod. 730 al datore di lavoro o all’ente pensionistico, oppure a maggio-giugno per chi dichiara i propri redditi con il modello Unico.

Invece, è una volta terminato il periodo estivo ritualmente dedicato alle vacanze, a pochi mesi dalla fine dell’anno, che diventa possibile – e secondo noi anche conveniente – fare un po’ il punto della situazione, perché potrebbe tornarci utile fare qualcosa che, anche se in questo periodo ci farà sborsare del denaro, dopo qualche mese si tradurrà in un risparmio delle imposte da pagare per i redditi che abbiamo percepito nel 2017 e che saremo tenuti a dichiarare nel 2018 con il modello 730 o l’Unico. In pratica, il cittadino che entro il prossimo 31 dicembre pagherà fatture o ricevute per le spese che il Fisco riconosce come deducibili dal reddito complessivo o detraibili dall’imposta, nella prossima primavera, alla scadenza canonica della dichiarazione dei redditi, potrà ridurre l’importo da pagare o trovarsi, in alternativa, con un rimborso più consistente.

Questo perché alcune delle spese sostenute nel corso del 2017 sono considerate rilevanti ai fini della riduzione del carico fiscale: si va dalle spese caratterizzate da un evidente impatto sociale – come sono, ad esempio, gli interessi passivi pagati per il mutuo ipotecario sulla prima casa, i costi dell’istruzione secondaria e universitaria o dei contributi pensionistici volontari – a quelle che, al contrario, hanno un valore più personale, come possono essere le spese sanitarie o quelle funebri (ahimè).

 

La progressività dell’IRPEF

L’IRPEF è un’imposta progressiva per scaglioni: significa che non si applica in misura unica e fissa sui redditi percepiti, indipendentemente dal loro ammontare, ma che il reddito imponibile viene invece ripartito in diversi scaglioni, a ognuno dei quali corrisponde un’aliquota d’imposta mano a mano crescente.

La progressività dell’imposta è quella che costringe chi ha, ad esempio, un reddito di lavoro dipendente di 27.000 euro (aliquota del 27%) e uno di lavoro autonomo da 15.000 (aliquota del 23%), a pagare l’IRPEF sul totale di 42.000 euro, con il risultato che sull’ammontare complessivo l’aliquota da applicare è del 38%.

 

La differenza tra deducibilità e detraibilità

Alla quantificazione del reddito imponibile spesso si arriva già utilizzando una o più delle opportunità di risparmio consentite dalla normativa fiscale vigente: è il caso degli oneri deducibili che, se ci sono, vanno a diminuire il reddito complessivo e che consentono, così, di ridurre il reddito imponibile, che è poi quello su cui si va a calcolare l’imposta lorda.

Il calcolo dell’imposta lorda viene effettuato applicando le aliquote progressive dell’IRPEF indicate nella tabella ai corrispondenti scaglioni di reddito: e mentre gli oneri deducibili permettono di abbattere il reddito imponibile, l’imposta lorda può essere ridotta per effetto delle detrazioni.

Spesso, quando si parla di spese rimborsabili dal Fisco (anche in televisione), si fa riferimento genericamente a quelle deducibili, senza fare alcuna distinzione di merito.

In realtà, le cose non stanno proprio così:

– alcune spese sostenute dai contribuenti sono deducibili dal reddito complessivo e permettono, si è detto, di ridurre il reddito imponibile, su cui si calcola l’imposta lorda (è il caso, ad esempio, degli alimenti versati all’ex coniuge a seguito di una sentenza di separazione o di divorzio);

– le altre, che sono quelle più diffuse (come i mutui e le spese sanitarie), permettono invece di detrarre dall’imposta il 19% dell’importo pagato.

Da queste considerazioni si può capire, anche senza essere degli addetti ai lavori, che la differenza fra le due definizioni è sostanziale e che produce conseguenze più o meno rilevanti nei portafogli dei contribuenti.

Come i benefici si sono ridotti negli anni

Questo ragionamento ci permette, facendo un salto indietro nel tempo, di illustrare come in poco meno di 10 anni – un periodo relativamente breve – il risparmio prima fornito da spese mediche, mutui ipotecari, assicurazioni e spese scolastiche, sia stato gradualmente ma significativamente ridotto.

Fino all’anno d’imposta 1991 (quindi, per le dichiarazioni dei redditi presentate nel 1992), tutte le spese erano considerate deducibili dal reddito complessivo: di conseguenza, per i titolari di redditi assoggettati all’aliquota del 41% che pagavano 1.000.000 delle “vecchie” lire (l’euro non c’era ancora) per il mutuo, il dentista o l’assegno divorzile, lo sconto fiscale in dichiarazione ammontava a 410.000 lire.

Dal 1992, per alcune tipologie di spese, tra cui proprio i mutui e le spese mediche, è stata prevista la detraibilità dall’imposta in misura fissa, con la percentuale del 27%; lo stesso milione di lire dell’anno precedente, quindi, pagato ad esempio per il mutuo, determinava un risparmio di 270.000 lire, invece che di 410.000 (con un minor risparmio di 140.000 lire).

Arriviamo al 1995, anno in cui la percentuale di detraibilità viene abbassata dal 27 al 22%: in soli 4 anni, a fronte dello stesso milione speso, il recupero del contribuente si riduce a 220.000 lire, venendo in pratica dimezzato.

Nel 1997, infine, viene introdotta la franchigia di 250.000 lire per le spese mediche: da 1.000.000 di lire pagate, ad esempio, per una protesi odontoiatrica, ferma restando la percentuale di detraibilità del 22%, si ricava un risparmio pari al 22% di 750.000, cioè 165.000 lire.

A partire dal 1° gennaio 1998 queste 165.000 lire diventano 142.000, perché si applica la percentuale di detraibilità del 19%, quella ancora oggi in vigore.

Passare da 410.000 a 165.000 lire, anche se convertito in euro, è un taglio del risparmio fiscale decisamente importante, no?

 

Come ridurre il peso delle tasse

Ed è proprio alla luce delle considerazioni fatte finora, che la fine dell’anno costituisce un appuntamento importante per quanti possono e vogliono diminuire le somme eventualmente da pagare nel 2018.

Anche perché per quanto ci interessa si applica rigorosamente il criterio di cassa e non quello di competenza, per cui la spesa che dà diritto al risparmio fiscale deve essere stata sostenuta nel periodo d’imposta oggetto della dichiarazione dei redditi, quindi nel 2018.

Ecco perché, se è vero che è in primavera che si mette mano alla documentazione per la denuncia dei redditi, non si deve trascurare il rapporto tra la data del 31 dicembre 2018 e il risparmio fiscale che si può attuare entro questa data, poiché nella prossima dichiarazione da presentare, si tratti di un 730 o di un modello Unico, i dati reddituali esposti saranno quelli relativi all’anno che volge al termine.

Anche se si effettua un esborso entro la fine dell’anno si potrà però avere un ritorno positivo nel momento in cui saremo chiamati a vestire gli abiti del contribuente, perché un sistema perfettamente lecito per risparmiare sulle imposte – che, ricordiamo, può consistere in una riduzione delle somme da pagare a saldo o in un rimborso come esito finale della dichiarazione – é quello rappresentato dagli oneri sostenuti nell’anno precedente e per i quali, come si è detto, il Fisco riconosce le deduzioni dal reddito complessivo o le detrazioni fisse pari al 19% della spesa affrontata.

Ci sembra utile ribadire che, sia per le deduzioni sia per le detrazioni, si fa riferimento al principio di cassa: lo sconto spetta, dunque, soltanto per quelle sostenute nel corso del 2018 dal dichiarante nel proprio interesse e, per quanto riguarda le spese mediche, le assicurazioni sulla vita e contro gli infortuni, le spese d’istruzione secondaria e universitarie e i contributi previdenziali volontari, anche nell’interesse delle persone che sono fiscalmente a suo carico (in possesso di un reddito complessivo non superiore a 2.840,51 euro).

 

Occhio alla data

Torniamo a noi. Per il nostro ragionamento è importante prestare molta attenzione alla scadenza, in particolare quando si tratta del pagamento di interessi passivi sui mutui ipotecari e di premi di assicurazione sulla vita e contro gli infortuni, ad esempio. Accade spesso, infatti, che la scadenza della rata di mutuo o del premio assicurativo coincida con l’inizio o la fine dell’anno solare, e che gli interessati paghino in anticipo o in ritardo: ma qualche volta l’anticipo o il ritardo fanno sì che l’anno di scadenza e quello di effettivo pagamento non coincidano.

Ecco perché assume importanza fare molta attenzione, in particolare quando si compila la dichiarazione dei redditi, per non rischiare di vedersi recuperare dagli uffici dell’Agenzia delle Entrate le spese dedotte o detratte nell’anno di competenza invece che in quello di effettivo pagamento. Una delle situazioni più frequenti vede come protagonista la rata del mutuo ipotecario che scade il 31 dicembre.

ATTENZIONE! Non pagatela i primi giorni di gennaio 2018, perché così sarebbe annullato il conseguente vantaggio della detrazione d’imposta spettante, che verrebbe posticipato alla dichiarazione da presentare nel 2019; lo stesso discorso vale anche per il pagamento della polizza di assicurazione sulla vita e/o infortuni. Anche se può risultare una contraddizione, rimandare una spesa che comunque deve essere sostenuta può rivelarsi ancora più dannoso per le nostre tasche: é il caso, ad esempio, della cura di un figlio/a in corso dal dentista o dell’acquisto degli occhiali da vista. Sempre a proposito di spese sanitarie, può accadere di trovarsi nel corso di una costosa cura odontoiatrica che si protrae per alcuni mesi, che a questo punto dell’anno sappiamo già che durerà ben oltre le festività natalizie: in questo caso é consigliabile premunirsi chiedendo in anticipo all’odontoiatra di emettere, entro la fine di dicembre, il rilascio di una fattura d’acconto sul totale concordato nel preventivo (o comunicato verbalmente). Questo ci permetterà di detrarre il 19% della somma eccedente il limite di 129,11 euro nella prossima dichiarazione (e anche di evitare il “doloroso” pagamento in unica tranche, alla fine della cura).

E non dimentichiamo, infine, che anche la generosità consente di pagare meno tasse: chi elargisce una donazione a un’organizzazione umanitaria o a un’istituzione religiosa, quindi, coniuga munificenza e convenienza.

 

 

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