Chi ha ricevuto solo parte del suo credito non perde il diritto al rimborso integrale
Tributi – Contenzioso tributario – Sentenza d’appello favorevole – Rimborso delle somme versate – Giudizio di ottemperanza – Presupposto – Passaggio in giudicato della sentenza
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17929 del 1° giugno 2022 è intervenuta su una questione ritenuta di massima di particolare importanza che attinge all’oggetto stesso del ricorso per cassazione per ottenere il rimborso dei tributi versati, affermando il seguente principio di diritto: “… Nel giudizio tributario di ottemperanza di cui all’art. 70 d.lgs. n. 546 del 1992, il giudice dell’ottemperanza, adito dal contribuente per l’esecuzione del giudicato scaturente da decisione ricognitiva del diritto al rimborso d’imposte per effetto di benefici fiscali accordati in conseguenza di eventi calamitosi, deve accertare la disponibilità degli appositi fondi stanziati ai sensi dell’art. 1, comma 665, legge n. 190 del 2014 – come modificato dall’art. 16-octies d.l. n. 91 del 2017 e dall’art. 29 d.l. n. 162 del 2019- e, in caso di verificata incapienza, deve attivare, con determinazioni specifiche anche tramite la nomina di un commissario ad acta, le procedure particolari previste dalla normativa di contabilità pubblica per dare completa esecuzione alla decisione del giudice di merito, compresa l’emissione dello speciale ordine di pagamento in conto sospeso, non essendo desumibile dalla normativa di riferimento, interpretata alla luce dei principi costituzionali e convenzionali, alcuna possibile falcidia di diritti patrimoniali del contribuente giudizialmente accertati.»
I rimborsi sono peraltro disciplinati dal comma 164 dell’art. 1 della legge 296/2006, che così dispone: “Il rimborso delle somme versate e non dovute deve essere richiesto dal contribuente entro il termine di 5 anni dal giorno del versamento, ovvero da quello in cui è stato accertato il diritto alla restituzione. L’ente locale provvede ad effettuare il rimborso entro centottanta giorni dalla data di presentazione dell’istanza”.
Il Legislatore ha elaborato anche una serie di istituti per garantire l’effettiva corresponsione del dovuto in favore del creditore, o del debitore nei casi di un controcredito: naturalmente questi, pur avendo lo stesso fine, sono elaborati in modo distinto per i tributi armonizzati, di matrice europea, e per quelli nazionali. Fra questi si annoverano, per la prima categoria, l’esecuzione dei rimborsi IVA, prevista dall’art. 38-bis del DPR 633/1972, in virtù della quale il contribuente, ricorrendo le previste condizioni, può chiedere la restituzione dell’imposta in sede di dichiarazione entro tre mesi dalla sua presentazione. Per i tributi non armonizzati l’Amministrazione finanziaria può ricorrere allo strumento cautelare di cui all’art. 23, D.lgs. 472/1997, quando l’autore della violazione o i soggetti obbligati in solido, pur vantando un credito verso il Fisco siano destinatari di un atto di contestazione o di irrogazione di sanzioni o provvedimento con il quale vengono accertati maggiori tributi, ancorché non definitivi: tale sospensione opera nei limiti di tutti gli importi dovuti in base all’atto o alla decisione della Commissione Tributaria ovvero della decisione di altro organo.
L’applicazione degli istituti volti a tutelare, da un lato le pretese creditorie e, dall’altro, i diritti del debitore, non è stato sempre limpido, soprattutto quando queste originano contemporaneamente da tributi armonizzati e non. In una prima fase, secondo un primo e datato orientamento (v. Cass. 10199/2003; Cass. 7952/2004; Cass. 15424/2009; Corte di Giustizia UE C-305/16; Corte di Giustizia Ue C-177/99 e C-181/99), la richiesta dei rimborsi IVA (art. 38-bis, DPR 633/1972), di fatto vieta l’attivazione di qualsiasi altra misura da parte dell’Amministrazione finanziaria, in quanto si tratta di uno strumento autosufficiente in un sistema più complesso di prestazioni di garanzie di varia natura a tutela dell’Erario, ponendolo a riparo dalle eventuali pretese infondate del contribuente.
Come chiarito dalla Suprema Corte con un primo arresto, relativo alla sentenza n. 7069 dell’8 aprile 2015, viene ricordato che nell’ordinamento giuridico italiano non è ammessa l’azione civilistica di ripetizione dell’indebito oggettivo per somme versate al Fisco in misura eccedente il dovuto. Il contribuente è infatti onerato dal presentare istanza di rimborso all’ente impositore nei termini fissati dalla singola legge d’imposta o, in mancanza di un termine ad hoc, nei tempi stabiliti dalle norme sul contenzioso tributario (due anni). Il rispetto dei termini è imposto, relativamente a tributi erariali e locali, a pena di decadenza per l’esercizio dell’azione giudiziale innanzi alle Commissioni Tributarie e queste regole sono compatibili con il diritto dell’Unione europea e con i principi comunitari.
Tale interpretazione fondava la principale argomentazione sul principio euro-unitario di neutralità, secondo il quale l’IVA a credito non può essere oggetto di accertamento da parte dell’Amministrazione, ma è un debito dello Stato nei confronti del contribuente derivante dall’eccedenza dell’imposta detraibile versata e, come tale, non può essere oggetto di alcuna limitazione. Da questo derivava che la sospensione del rimborso del credito venisse disposta a norma di legge e non discrezionalmente, come previsto dalla sospensione per i tributi non armonizzati (art. 23, D.lgs. 472/1997).
Tuttavia, questa interpretazione non è stata pacifica fin dalla sua adozione, in opposizione alla quale se n’è affiancata un’altra (ex multis Cass. 9246/2013; Cass. 7320/2014; Cass. 25893/2017). Secondo questa, gli istituti di cui sopra disciplinano situazioni diverse, perciò ognuna trova un’altrettanta autonoma applicazione; pertanto, la sospensione dei rimborsi IVA si attiva quando il rimborso è insussistente, mentre il fermo amministrativo (art. 69, RD 2440/1923) interviene quando la richiesta è fondata, ossia nelle ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria vanta dei controcrediti, anticipando così cronologicamente gli effetti della futura compensazione.
Ma dopo tanto impegno per i giudici di merito e per quelli di legittimità, alla fine è stata emanata una norma, l’articolo 16-octies del DL 91/2017, la quale, modificando l’articolo 1, comma 665, della legge 190/2014, se da un lato ha stabilito l’impossibilità del rimborso a favore dei soggetti che svolgono attività d’impresa (quelli che superano i limiti previsti dall’Unione Europea nel caso di contributi “de minimis”), dall’altro: ha previsto la possibilità del rimborso delle somme pagate anche nel caso di somme, più che versate, subite dai lavoratori dipendenti a titolo di ritenute operate dal proprio datore di lavoro; ha stabilito il termine ultimo per la presentazione dell’istanza di rimborso (1° marzo 2010); e, infine, ha previsto che ”… In relazione alle istanze di rimborso presentate, qualora l’ammontare delle stesse ecceda le complessive risorse stanziate dal presente comma, i rimborsi sono effettuati applicando la riduzione percentuale del 50 per cento sulle somme dovute; a seguito dell’esaurimento delle risorse stanziate dal presente comma non si procede all’effettuazione di ulteriori rimborsi. Con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, da emanare entro il 30 settembre 2017, sono stabilite le modalità e le procedure finalizzate ad assicurare il rispetto dei limiti di spesa stabiliti dal presente comma”.
Il relativo provvedimento dell’Agenzia delle entrate risulta essere il n. 195405 del 26 settembre 2017.
Ma anche questa volta le controversie non sono terminate. La norma, forse poco chiara, ha lasciato dei dubbi sull’entità del rimborso spettante. L’Agenzia delle entrate, infatti, sosteneva che in mancanza di fondi sufficienti il pagamento non poteva superare il 50% della somma alla quale si aveva diritto (ossia la metà del 90%); altri, invece, sostenevano che il pagamento del 50% era solo un acconto di quanto spettante, seppure subordinando il pagamento del saldo all’esistenza dei fondi stanziati per tale tipo di spesa erariale. Successivamente è stata nuovamente asserita l’autosufficienza del sistema normativo in materia di IVA, basando tale condizione sulla natura speciale della norma di riferimento (art. 38-bis, DPR 633/1972), che esclude l’applicazione di altri istituti.
La Cassazione, peraltro, non ha avuto sempre una linea chiara sull’argomento, seppure privilegiando talvolta la tesi “fiscale” dell’Agenzia delle entrate, altre volte quella più favorevole al contribuente. Un più recente orientamento (ex multis Cass. n. 4038/2019) ribadisce invece la necessità di tutelare le esigenze cautelari in via anticipata della futura compensazione tra i rispettivi controcrediti. In buona sostanza, l’applicazione degli istituti volti a tutelare da un lato le pretese creditorie e dall’altro i diritti del debitore non è sempre lineare, soprattutto quando queste originano contemporaneamente da tributi armonizzati e non. La giurisprudenza di legittimità, in materia di rimborso del credito IVA ha nel corso del tempo mutato più volte orientamento, al punto tale che la Corte di Cassazione con l’ordinanza di rimessione n. 16567/2019 ha invocato l’intervento delle Sezioni Unite per chiarire la questione, formulando il seguente quesito: “in occasione di una richiesta di rimborso del tributo armonizzato sia consentito applicare anche la sospensione dell’erogazione, oppure il fermo amministrativo”.
Le Sezioni Unite sono quindi intervenute (Cass. SS. UU. Sent. 2320/2020) nel tentativo di risolvere la tormentata questione della compatibilità della sospensione dei rimborsi di cui all’art. 23, D.lgs. 472/1997, con il sistema IVA e, a tal fine, hanno dettato una regola per certi versi non ultimativa, stabilendo che esisterebbe una “alternatività” tra la prestazione della garanzia di cui all’art. 38-bis, 1° comma, DPR 633/1972 e la possibilità di operare il fermo amministrativo del rimborso IVA a tutela di un controcredito del Fisco.
I Supremi giudici hanno anche confermato che la sospensione cessa di avere efficacia, in ogni caso, qualora intervenga una pronuncia ancorché non passata in giudicato che annulli il provvedimento che aveva legittimato la misura cautelare. In ciò rientra anche il fermo amministrativo previsto dall’art. 69, RD 2440/1923, a mezzo del quale la Pubblica amministrazione può disporre l’incameramento delle somme dovute dallo Stato a soggetti terzi, previa verifica dell’effettiva sussistenza di debiti nei confronti di questi a carico dell’Amministrazione, ottenendo così una compensazione legale.
Segnaliamo ancora, per il particolare rilievo, la recente sentenza n. 6395/21, nella quale per la prima volta la Cassazione ammette esplicitamente che nei rimborsi IVA l’Amministrazione finanziaria possa eccepire la compensazione direttamente in giudizio. Tuttavia la soluzione, che si ricollega al recente arresto delle Sezioni Unite (il cit. n. 2320/2020), prescinde sia dalla presenza dei requisiti della compensazione legale sia dalla struttura procedimentale degli artt. 69, RD 2440/1923 e 23, D.lgs. 472/1997. Si sottolinea, infine, che tale soluzione non appare pienamente compatibile con l’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente (L. 212/2000).
Tale orientamento riconduce, comunque, allo ius superveniens e non alla disciplina sostanziale del diritto al rimborso, ma a quella procedimentale della sua attuazione. Sul piano giudiziario tale interpretazione comporta che la relativa questione non appartiene al giudizio di cognizione, nel quale detto diritto viene accertato, ma necessariamente al giudizio d’ottemperanza, nel quale esso viene attuato.
Tanto premesso e tornando al caso portato oggi all’attenzione della Suprema Corte, vediamo l’Agenzia rivolgersi in Cassazione con un motivo, avverso alla sentenza della CTR che aveva accolto il ricorso di un contribuente per l’ottemperanza dell’Amministrazione finanziaria agli obblighi derivanti dalla sentenza n. 1158/2017, depositata il 31 marzo 2017 dal medesimo organo giudicante, che aveva riconosciuto allo stesso contribuente il rimborso pari al 90% dell’IRPEF versata in eccedenza in alcuni anni d’imposta, in applicazione dell’art. 9, comma 17, della legge 289/2002.
L’Amministrazione deduceva di aver adempiuto con il pagamento della metà dell’importo riconosciuto dalla predetta sentenza di cognizione, ovvero nei limiti di quanto disposto dall’art. 16-octies, Dl 91/2017, convertito con modificazioni dalla legge 123/2017, e che il rimborso non solo è stato erogato tenendo conto della misura del 50%, ma che è stato anche riscosso dal contribuente.
Invece il giudice dell’ottemperanza, accogliendo la tesi della parte contribuente, ha ritenuto che l’Agenzia non aveva adempiuto all’onere di provare “la circostanza dello sforamento delle stanze amministrative rispetto alla somma stanziata per il triennio 2015-2017, per cui difetta il presupposto normativo per l’applicazione del disposto di cui all’articolo 16 d.l. n. 91/17 convertito in l. n. 123 del 2017, e conseguenzialmente, ha nominato un commissario ad acta per i necessari provvedimenti attuativi”. In sostanza l’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 665, legge 190/2014, come modificato dall’art. 16-octies, Dl 91/201791, per avere il giudice a quo erroneamente ritenuto che l’Amministrazione finanziaria debba ottemperare al giudicato tributario con il pagamento dell’intera somma liquidata, a titolo di rimborso, dalla sentenza da ottemperare divenuta irrevocabile. La tesi della parte pubblica ha convinto la Suprema Corte, che comunque ricorda che non è ammessa nessuna possibile falcidia di diritti patrimoniali del contribuente giudizialmente accertati, statuendo che: “… L’errore che la ricorrente Amministrazione imputa al giudice dell’ottemperanza è non aver considerato che l’art. 16-octies del d.l. n. 91 del 2017 non riguarda le sole ipotesi in cui il diritto al rimborso venga accertato dall’Amministrazione finanziaria in sede amministrativa, ma anche quelle in cui – come nel caso di specie – il diritto al rimborso sia ancora pendente il giudizio per il loro riconoscimento. E ciò perché la norma in esame è stata introdotta quando era ormai decorso da anni il termine per proporre istanza di rimborso (e per impugnare l’eventuale diniego opposto dall’Amministrazione), ragion per cui, se si escludesse la sua applicazione ai giudizi pendenti, sarebbe del tutto annullato il suo ambito applicativo. Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso erariale, formulata dal controricorrente, considerato che secondo i consolidati principi di diritto espressi da questa Corte sul tema dell’interpretazione dell’art. 70, comma 10, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 «La disposizione di cui all’art. 70 del d.lgs. n.546/92 – a mente della quale il ricorso per cassazione contro la sentenza pronunciata in esito al giudizio di ottemperanza è ammesso per “violazione delle norme del procedimento” – va interpretata nel senso che è possibile denunciare alla Suprema Corte non soltanto la violazione delle norme disciplinanti il predetto giudizio, ma anche ogni altro “error in procedendo” in cui sia incorso il giudice dell’ottemperanza e, in particolare, il mancato o difettoso esercizio del potere – dovere di interpretare e eventualmente integrare il “dictum” costituito dal giudicato cui l’amministrazione non si sia adeguata o l’omesso esame di una pretesa che avrebbe dovuto trovare ingresso in quella sede.» (Cass. 01/12/2004, n. 22565; conformi, ex plurimis, Cass. 08/02/2008, n. 3057; Cass. 16/04/2014, n. 8830; Cass.28/09/2018, n. 23487). Nel caso di specie non v’è dubbio che l’oggetto del ricorso per cassazione attinge proprio il difettoso esercizio del potere-dovere di integrare il dictum della sentenza da ottemperare, con riferimento ad una questione, quella dei limiti del rimborso, che, per giurisprudenza altrettanto consolidata, come infra si dirà, doveva trovare ingresso proprio in sede di attuazione del comando giudiziale. Venendo all’esame del merito del ricorso erariale, esso è fondato per le ragioni di seguito esposte. Per costante giurisprudenza di questa Corte, lo ius superveniens introdotto dall’art. 16-octies d.l. 20 giugno 2017 n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2017 n. 123 ed attuato con il sopra citato provvedimento direttoriale – essendosi limitato a precisare che il rimborso di quanto indebitamente versato spetta ai soggetti specificamente individuati nei limiti delle risorse stanziate e, in caso di eccedenza, con la riduzione percentuale sulle somme dovute, oltre che, a seguito dell’esaurimento delle risorse, non si procede all’effettuazione di ulteriori rimborsi – non incide sulla questione del diritto al rimborso spettante ai soggetti colpiti dal sisma del 1990, operando i limiti delle risorse stanziate, e venendo in rilievo eventuali questioni sui consequenziali provvedimenti liquidatori emessi dall’Agenzia delle entrate, soltanto in fase esecutiva e/o di ottemperanza (ex multis Cass. 22/02/2018, n. 4291; Cass.25/03/2021, n. 8393; 22/04/ 2021, nn. 10714 e 10716; Cass.13/11/2020, n. 25818; Cass. 30/09/2020, n. 20790; Cass.22/02/2019, n. 5300). A supporto ulteriore di tale conclusione, oltre al tenore letterale dello stesso complesso normativo richiamato, questa Corte ha poi rilevato che costituisce ius receptum l’affermazione che, in mancanza di disposizioni transitorie, non incide sui giudizi in corso l’introduzione, con legge sopravvenuta, di un diverso procedimento amministrativo di rimborso (Cass. 22/02/2018, n. 4291, ex plurimis, che richiama ad esempio Cass. 24/04/2015, n. 8373, in tema di Iva). In tale contesto, giova rammentare, per la spiccata affinità con la fattispecie in esame, che questa Corte, a proposito della limitazione dell’erogazione dell’indennizzo agli aventi diritto in base alla c.d. legge Pinto, ha chiarito: «Affatto priva di rilevanza […] è l’eccezione d’illegittimità costituzionale formulata con riguardo all’articolo 3, comma 7, della citata legge 89/2001, che limita l’erogazione dell’indennizzo agli aventi diritto entro i limiti delle risorse di bilancio annualmente disponibili. […] [N]on sussiste, infatti, nel caso concreto, il diritto della parte a percepire un qualsiasi indennizzo, e ciò comporta comunque l’inoperatività di detta norma, la quale, del resto, non potrebbe mai trovare applicazione in sede di cognizione, ma solo, eventualmente, in fase di esecuzione della pronuncia di condanna dell’amministrazione a corrispondere una determinata somma a titolo di equa riparazione.» (Cass. 10/04/2003, n. 11715, in motivazione). Tale orientamento, al quale si intende dare ulteriore continuità, riconduce, dunque, lo ius superveniens non alla disciplina sostanziale del diritto al rimborso, ma a quella procedimentale della sua attuazione. Sul piano giudiziario, tale opzione ermeneutica comporta che la relativa questione non appartiene al giudizio di cognizione, nel quale detto diritto viene accertato, ma necessariamente a quella del giudizio d’ottemperanza, nel quale esso viene attuato. Pertanto, nelle ipotesi in cui l’Amministrazione ha eccepito la rilevanza dei limiti in questione nell’ambito del giudizio di cognizione diretto ad accertare il diritto al rimborso, questa Corte ha ritenuto il relativo motivo infondato, se non inammissibile, ribadendo che la sede nella quale avrebbe potuto essere dedotto era quella del giudizio sull’esecuzione e/o l’attuazione del diritto accertato (cfr. ex multis le citate Cass. 22/02/2018, n. 4291; Cass. 25/03/2021, n. 8393; 22/04/ 2021, nn. 10714 e 10716; Cass. 13/11/2020, n. 25818; Cass.30/09/2020, n. 20790; Cass. 22/02/2019, n. 5300). Non sfugga, peraltro, la necessità logica di tale conclusione, giacché quantificare limitazioni e riduzioni (percentuali o finanche integrali) dell’attuazione di un rimborso, in relazione ad un determinato stanziamento di pubbliche risorse ed alla concomitanza di domande di diversi aventi diritto, da un lato, presuppone che il singolo importo da limitare sia stato definitivamente determinato (e dunque irrevocabilmente accertato, ove sia stato controverso in giudizio); dall’altro, richiede la valutazione di circostanze (le risorse stanziate e la loro capienza in rapporto alle altre domande) “esterne” alla fattispecie di pertinenza di ciascun contribuente, che sono estranee al thema decidendum del giudizio sulla singola domanda di rimborso e che verranno necessariamente a definirsi solo quando il relativo diritto al rimborso sarà ormai accertato nell’ an e nel quantum ed entro quei limiti sarà attuabile. 4. Traendo le conseguenze di quanto sinora argomentato, questa Corte ha chiarito come la disciplina dei limiti di attuazione del diritto al rimborso, nella materia controversa, si applichi anche quando il relativo diritto sia stato accertato con sentenza definitiva, a seguito di contenzioso con l’Amministrazione. Ed invero, si è detto che «È peraltro consequenziale che, se la questione attiene alla fase esecutiva, qualunque sia il titolo del rimborso, compreso quello giudiziale, esso sarà sottoposto alle modalità regolamentate dal comma 665 dell’art. 1 della l. n. 190 del 2014, come modificato dall’art. 16-octies del d.l. n. 91 del 2017, convertito con l. n. 123 del 2017.» (Cass., Sez. 5, n. 7368 del 15.03.2019, in motivazione). In tal senso si è soggiunto che «In tema di rimborso IRPEF, i limiti quantitativi introdotti dall’art. 16-octies del d.l. n. 91 del 2017 si applicano ai giudizi esecutivi instaurati dopo la relativa entrata in vigore, essendo indifferente che il titolo esecutivo azionato derivi da un accertamento in via amministrativa compiuto dall’amministrazione fiscale o dal passaggio in giudicato della sentenza resa all’esito dell’instaurazione del giudizio di accertamento del diritto alla ripetizione della maggiore imposta versata.» (Cass. 14/10/2021, n. 28108). Anche in questo caso, si tratta di una conseguenza logica necessaria: se la questione non pertiene al giudizio di cognizione e, pertanto, l’Amministrazione non la può porre nella fase in cui il diritto al rimborso venga definitivamente accertato, la si potrà dedurre nel giudizio in cui lo stesso diritto venga attuato e debbano applicarsi, ratione temporis, le norme che disciplinano e limitano la sua attuazione. Diversamente opinando, infatti, l’art. 16-octies del d.l. n. 91 del 2017 diverrebbe sostanzialmente inapplicabile. Una volta premesso che la disciplina in questione trova la sua sede naturale nell’ambito dell’attuazione, e quindi nel giudizio d’ottemperanza, occorre individuarne gli effetti sul diritto al rimborso, nel caso di specie accertato con sentenza passato in giudicato. Invero, l’art. 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014 (come modificato dall’art. 16-octies del d.l. n. 91 del 2017 e poi dall’ art. 29 del d.l. n. 162 del 2019, ed integrato dal citato provvedimento direttoriale del 26 settembre 2017), allorquando dispone che, qualora l’ammontare delle istanze di rimborso ecceda le complessive risorse stanziate (in ultimo nell’importo di euro 160.000.000,00, senza ripartizione annuale) dalla medesima norma, «i rimborsi sono effettuati applicando la riduzione percentuale del 50 per cento sulle somme dovute» e che «a seguito dell’esaurimento delle risorse stanziate dal presente comma non si procede all’effettuazione di ulteriori rimborsi», non prevede una falcidia sostanziale del quantum del relativo credito del contribuente, nel caso di specie accertato con sentenza irrevocabile. Piuttosto, il complesso normativo in questione determina le modalità e le procedure di effettuazione del rimborso in sede amministrativa, regolando il relativo procedimento secondo criteri di ordinata contabilità dello Stato e, tenuto conto della limitatezza delle risorse stanziate e disponibili, ne disciplina l’impiego con l’intento di escludere, per quanto possibile, sperequazioni tra i singoli aventi diritto nel medesimo contesto cronologico e finanziario. Nella sostanza, quindi, l’avente diritto al rimborso che, per effetto della descritta disciplina di attuazione, sia stato soddisfatto solo per metà del suo credito, o addirittura non sia stato affatto soddisfatto, non perde comunque il diritto all’integrale adempimento del rimborso, così come accertato ormai irrevocabilmente. A tale conclusione conduce, innanzitutto, la stessa lettera delle norme in parola, che si riferiscono unicamente all’ “effettuazione dei rimborsi” e non al diritto sostanziale che ne è oggetto. D’altra parte anche il giudice delle leggi (con riferimento alla fattispecie, ante già richiamata, della c.d. “legge Pinto”, assimilabile a quella sub iudice), ha concluso nello stesso senso, chiarendo che «Il denunciato art. 3, comma 7, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile) – nel testo risultante dalla modifica da ultimo introdotta dall’art. 55, comma 1, lettera c), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 – stabilisce che “L’erogazione degli indennizzi [per irragionevole durata del processo] agli aventi diritto avviene nei limiti delle risorse disponibili” […] Tale disposizione, ovviamente, non comporta che l’esaurimento dei fondi destinati (in bilancio dell’amministrazione erogante) al pagamento degli indennizzi in questione, escluda in via definitiva l’adempimento dei giudicati di condanna ex lege n. 89 del 2001, con riguardo ai quali non vi siano al momento risorse disponibili. Comporta bensì unicamente che, in conseguenza di quella attuale indisponibilità, il pagamento degli indennizzi di che trattasi sia differito al momento in cui sia ripristinata la disponibilità delle correlative risorse, ed avvenga, quindi, in ritardo rispetto alla data di intervenuta definitività del titolo.» (Corte cost., sent. n. 157 del 2015, punto n. 2 della motivazione). E, con riferimento ai limiti introdotti dalla medesima “legge Pinto”, anche la giurisprudenza della Corte EDU ha affermato il principio secondo il quale la mancanza di risorse finanziarie non può costituire di per sé sola la ragione per non adempiere un debito riconosciuto giudizialmente (Corte EDU, 29.3.2006, Cocchiarella c. Italia, § 90; cfr. anche Corte EDU, 21.12.2010, Gaglione c. Italia, § 35. 17) Infine, il contenimento della rilevanza dei limiti di stanziamento alla sola fase procedimentale di attuazione del rimborso corrisponde anche ad un’ interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014, per evitare la possibile disparità di trattamento, contrastante con l’art. 3 Cost., che verrebbe altrimenti a crearsi tra i contribuenti i quali, per effetto dell’art. 9, comma 17, della n. 289 del 2002, non hanno versato il 90% dell’IRPEF di cui agli anni d’imposta 1990, 1991 e 1992, godendo integralmente della relativa agevolazione, ed i contribuenti che, avendo a loro volta diritto allo stesso beneficio, hanno invece integralmente versato l’IRPEF relativa ai medesimi periodi, e debbono pertanto anch’essi poter recuperare interamente il 90% dell’imposta, pagato in eccedenza. Infatti questa Corte, con orientamento consolidato, ha già affermato che: «In tema di condono fiscale e con riferimento alla definizione automatica della posizione fiscale relativa agli anni 1990, 1991 e 1992, prevista dall’art. 9, comma diciassettesimo, legge n. 289 del 2002, a favore dei soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990 che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, la definizione può avvenire in due simmetriche possibilità: in favore di chi non ha ancora pagato, mediante il pagamento solo del 10 per cento del dovuto da effettuarsi entro il 16 marzo 2003; in favore di chi ha già pagato, attraverso il rimborso del 90 per cento di quanto versato al medesimo titolo. Ciò per effetto dell’intervento normativo citato, cui va riconosciuto il carattere di “ius superveniens” favorevole al contribuente, tale da rendere quanto già versato non dovuto “ex post”.» (Cass. 01/10/2007, n. 20641), sottolineando che «diversamente opinando, si realizzerebbe una ingiustificata disparità di trattamento – peraltro, assolutamente iniqua, in quanto (assurdamente) a tutto danno del contribuente più diligentemente osservante della legge – tra soggetti passivi della medesima fattispecie tributaria: in modo specifico, tra chi non ha pagato e chi ha pagato. Invece, in maniera più coerente anche con gli immanenti principi di ragionevolezza, deve ritenersi che spetti a tutti il beneficio della riduzione del carico fiscale de quo ad un decimo.». Deve escludersi che, per effetto della sopravvenienza e dell’applicazione (con gli effetti di cui al paragrafo che precede) dell’art. 16-octies del d.l. n. 91 del 2017 e del conseguente provvedimento di attuazione del direttore dell’Agenzia delle entrate, sia configurabile una lesione dei diritti del contribuente che evidenzi profili di illegittimità costituzionale. Innanzitutto, per le ragioni già chiarite, il complesso normativo in questione non incide sull’ an e sul quantum del diritto sostanziale del contribuente al rimborso, come accertato dalla sentenza passata in giudicato, e non si determina, pertanto, una violazione degli artt. 24 e (per comparazione con i contribuenti che non avevano versato ab origine il 90% dell’imposta) 3 Cost. Inoltre, come questa Corte ha già chiarito, il legittimo affidamento del contribuente, nel caso di specie all’attuazione integrale del rimborso attraverso il procedimento in questione, non si traduce nell’aspettativa di intangibilità della relativa normativa, tanto meno in settori (quale quello fiscale) in cui è necessario – e di conseguenza ragionevolmente prevedibile – che le norme in vigore vengano continuamente adeguate alle variazioni della congiuntura economica (cfr. Cass. 24/02/2020, n. 4848; Cass. 20/02/2020, n. 4411 e giurisprudenza comunitaria ivi citata in motivazione). Infine, attraverso il complesso della normativa di attuazione de qua, il legislatore, preso atto della limitatezza delle risorse finanziarie erariali in un dato contesto temporale e considerate le superiori finalità pubbliche cui esse sono destinate, ha realizzato un legittimo bilanciamento tra queste ultime ed i diritti del singolo contribuente. Bilanciamento raggiunto peraltro approntando un sistema procedimentale che, operando l’“effettuazione” dei rimborsi in considerazione non solo delle risorse disponibili, ma anche del complesso delle domande proposte in un determinato periodo di tempo, incide proporzionalmente su ciascuna di queste ultime ed esclude, pertanto, sperequazioni tra i singoli aventi diritto nel medesimo contesto procedimentale, cronologico e finanziario. Fermo restando che, come si è detto, la limitazione dello specifico stanziamento non comprime il diritto sostanziale al rimborso già accertato e, come si dirà, neppure ne preclude definitivamente l’attuazione.. Rimane, in fundo, da chiarire quali siano i criteri con i quali il giudice dell’ottemperanza deve provvedere ad attuare la disciplina sinora illustrata. Invero il Collegio è consapevole che, con precedenti arresti, è stato ritenuto che l’applicazione dei limiti al rimborso, nella fase esecutiva e quale concreta modalità di attuazione della medesima sentenza di ottemperanza, presuppone che sia «allegato dall’Amministrazione quali e quante domande di rimborso siano state presentate o integrate» (cfr., Cass. 15/03/2019, n. 7368, decisione sulla quale i giudici dell’ottemperanza hanno basato la loro decisione) e che il giudice dell’ottemperanza «avrebbe dovuto verificare se era stata provato dall’Agenzia delle entrate che l’ammontare delle istanze di rimborso presentate eccedesse le complessive risorse stanziate dall’art. 16- octies citato e, quindi, provvedere di conseguenza.» (Cass.23/03/2021, n. 8380, in motivazione). Tuttavia, tali conclusioni vanno coniugate in relazione alla peculiarità della fattispecie controversa e dello stesso giudizio di ottemperanza. Per tutto quanto sinora argomentato, innanzitutto, deve considerarsi che, (i) i limiti al rimborso di cui si discute non sono elementi costitutivi, e neppure impeditivi, modificativi o estintivi, del diritto sostanziale al rimborso accertato nel giudizio di cognizione, integrando piuttosto delle modalità attuative e procedimentali di tale diritto, dettate direttamente dalla legge. Pertanto, la verifica dei presupposti e delle modalità con i quali essi devono operare appartiene piuttosto al procedimento di attuazione del comando giudiziale, e non è riducibile alla rigorosa applicazione degli oneri di allegazione e di prova rimessi alle parti. Deve considerarsi, altresì, (ii) la peculiare natura “attuativa” del giudizio di ottemperanza, ed in particolare di quello tributario, nel senso che (Cass. 20/06/2019, n. 16569, in motivazione): «Tale giudizio presenta, quindi, connotati del tutto diversi rispetto al corrispondente giudizio esecutivo civile, dal quale si differenzia, perché́ il suo scopo non è quello di ottenere l’esecuzione coattiva del comando contenuto nella decisione passata in giudicato, quanto piuttosto quello di dare concreta attuazione a quel comando, anche se questo non contenga un precetto dotato dei caratteri propri del titolo esecutivo (Cass., 18/1/2012, n. 646; Cass., 1/3/2004, n. 4126; Cass., 24/9/2010, n. 20202), compiendo gli accertamenti indispensabili a delimitare l’effettiva portata precettiva della sentenza. Ciò comporta che, se da un lato, il potere del giudice dell’ottemperanza sul comando definitivo inevaso non può̀ che essere esercitato entro i confini invalicabili posti dall’oggetto della controversia definita con il giudicato, non potendo essere attribuiti alle parti diritti nuovi ed ulteriori rispetto a quelli riconosciuti con la sentenza da eseguire (cd. «carattere chiuso del giudizio di ottemperanza»), dall’altro lato, può – e deve – essere enucleato e precisato da quel giudice il contenuto degli obblighi scaturenti dalla sentenza da eseguire, chiarendosene il reale significato (Cass. n. 22188 del 24/11/2004; Cass. n. 28944 del 10/12/2008; Cass. n. 11450 del 25/5/2011; Cass. n. 15827 del 29/7/2016). La sentenza e gli obblighi che da essa scaturiscono segnano, dunque, il limite dell’oggetto del giudizio in questione, potendo il ricorso per ottemperanza essere proposto solo per far valere le statuizioni che sono contenute nel giudicato o, comunque, per conseguire posizioni giuridiche che dallo stesso discendono come autonoma conseguenza di legge, ma non per trattare questioni nuove o indipendenti rispetto al giudizio conclusosi con la sentenza di cui si chiede la esecuzione; il giudice dell’ottemperanza, tuttavia, al fine di assicurare la piena attuazione del giudicato, può enucleare e precisare il contenuto degli obblighi nascenti dalla sentenza passata in giudicato (come, ad esempio, può avvenire con riguardo agli accessori del credito consacrato nel decisum che, per loro natura, devono essere considerati ricompresi nella pronuncia da eseguire). In sostanza, anche quando il comando non risulta ben definito, il giudice dell’ottemperanza compiere un’attività̀ cognitiva e ricostruttiva degli obblighi sanciti dalla sentenza ormai definitiva, che non è, invece, consentita nel giudizio esecutivo civile.». E’ dunque in tale contesto dell’attività̀ cognitiva e ricostruttiva degli obblighi sanciti dalla sentenza ormai definitiva che il giudice dell’ottemperanza ha in ogni caso il potere ed il dovere di compiere gli accertamenti indispensabili a delimitare l’effettiva portata precettiva della decisione da attuare che, nel caso di specie, si estendono alla verifica di tutti i presupposti e di tutte le condizioni che determinano, nel senso sinora precisato, il rimborso da erogare, in considerazione delle risorse disponibili, ai sensi dell’art. 16-octies d.l. n. 91 del 2017, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 123 del 2017, e del conseguente provvedimento direttoriale. Si tratta del resto, della medesima verifica che dovrebbe inderogabilmente compiere ex lege l’Amministrazione in sede di effettuazione del rimborso accertato dalla sentenza de qua, nella quale si sostituisce quindi il giudice dell’ottemperanza, servendosi, se necessario, del commissario ad acta. .L’ eventuale verificata incapienza, con riferimento al momento dell’ effettiva attuazione, delle risorse stanziate sugli ordinari capitoli di spesa utilizzati per il rimborso delle imposte sui redditi e dei relativi interessi, nel limite di cui all’ art. 1, comma 665, legge n. 190 del 2014, n. 190 (come, da ultimo, modificato dal d.l. n. 162 del 2019) e di eventuali successivi ulteriori stanziamenti, se preclude, in tutto o in parte, l’ ”effettuazione” del rimborso ai sensi della medesima norma e del relativo provvedimento direttoriale che l’ha integrata, non determina, per quanto già argomentato, l’estinzione, parziale o integrale, del relativo diritto sostanziale del contribuente, e non preclude quindi definitivamente la sua attuazione, secondo gli strumenti a disposizione dell’Amministrazione e, dunque, del commissario ad acta nominato dal giudice dell’ottemperanza. Peraltro, secondo la stessa prassi amministrativa (nota n. 32882 del 25 marzo 2002 del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato del Ministero dell’Economia e delle Finanze; nota n. 2002/81152 del 11 aprile 2002 della Direzione Centrale Amministrativa dell’Agenzia delle Entrate; circolare dell’Agenzia delle entrate 4 febbraio 2003, n. 5/E, § 4; circolare della Ragioneria generale dello Stato n. 24/2014, § 6 e 7, con specifico riferimento alle Agenzie fiscali ed al giudizio di ottemperanza tributario; cfr. altresì circolare della Ragioneria generale dello Stato n. 24/2015, con riferimento alla dematerializzazione dello speciale ordine di pagamento), l’Agenzia delle entrate, ed in sostituzione di quest’ultima il commissario ad acta, allo scopo di consentire che il giudicato trovi attuazione, sono eventualmente legittimati anche all’emanazione dello speciale ordine di pagamento in conto sospeso di cui all’art. 14, comma 2, d.l. 31 dicembre 1996, n. 669 convertito nella legge 28 dicembre 1997, n. 30 ( ed integrato dai d.m. 1 ottobre 2002 e 24 giugno 2015, relativamente alle modalità ed alle caratteristiche dell’ordine di pagamento), con il quale l’Amministrazione dello Stato può disporre il pagamento mediante emissione di uno speciale ordine rivolto all’istituto tesoriere (Banca d’Italia), al quale chiede di effettuare il pagamento registrandolo in conto sospeso, in attesa della regolarizzazione contabile, che avverrà non appena saranno rese disponibili le necessarie risorse sul pertinente capitolo. L’ordine può essere emesso in presenza di due presupposti: la sussistenza di provvedimenti giurisdizionali o lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva, e l’assenza di disponibilità finanziaria nel pertinente capitolo di spesa. La ratio del relativo procedimento contabile è quella di evitare gli aggravi di spesa, inerenti la procedura esecutiva, e di consentire alla P.A. di provvedere al pagamento spontaneo per limitare il più possibile i danni al pubblico erario, derivanti dall’effettivo azionamento della procedura esecutiva; in altri termini, si vuole concedere alla P.A. il differimento dell’esecuzione, per l’approntamento dei mezzi finanziari, occorrenti al pagamento dei crediti azionati, e si vuole evitare il blocco dell’attività’ amministrativa imputabile ai ripetuti pignoramenti di fondi, contemperando in tal modo l’interesse del singolo alla realizzazione del suo diritto con quello generale ad un’ordinata gestione delle risorse finanziarie pubbliche. La procedura in parola può quindi essere esperita nell’ipotesi di concreta impossibilità, nei termini consentiti di effettuare i pagamenti a carico dei pertinenti capitoli ordinari di spesa, compreso dunque quello utilizzato per il rimborso delle imposte sui redditi e dei relativi interessi. Può quindi concludersi rilevando che la soluzione interpretativa prospettata, escludendo la falcidia del credito accertato, cosi come la sua incerta dilazione, non solo è costituzionalmente orientata, ma è pure conforme ai precetti della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, rispetto alla quale il largo margine di apprezzamento pur riconosciuto agli Stati nel regolare la materia fiscale (art.1, comma 2, Protocollo n.1) va letto alla luce del principio del “giusto equilibrio” (comma 1), in termini di giustificazione e proporzione (conf. CEDU, in casi Arnaud vs Francia e Buffalo S.r.l. vs. Italia), non diversamente dalle fattispecie espropriative (C. Eur. Dir. Uomo in caso Di Belmonte vs. Italia). Va quindi formulato il seguente principio di diritto: «Nel giudizio tributario di ottemperanza di cui all’art. 70 d.lg. n. 546 del 1992, il giudice dell’ottemperanza, adito dal contribuente per l’esecuzione del giudicato scaturente da decisione ricognitiva del diritto al rimborso d’imposte per effetto di benefici fiscali accordati in conseguenza di eventi calamitosi, deve accertare la disponibilità degli appositi fondi stanziati ai sensi dell’art. 1, comma 665, legge n. 190 del 2014 – come modificato dall’art. 16-octies d.l. n. 91 del 2017 e dall’art. 29 d.l. n. 162 del 2019- e, in caso di verificata incapienza, deve attivare, con determinazioni specifiche anche tramite la nomina di un commissario ad acta, le procedure particolari previste dalla normativa di contabilità pubblica per dare completa esecuzione alla decisione del giudice di merito, compresa l’emissione dello speciale ordine di pagamento in conto sospeso, non essendo desumibile dalla normativa di riferimento, interpretata alla luce dei principi costituzionali e convenzionali, alcuna possibile falcidia di diritti patrimoniali del contribuente giudizialmente accertati.» (nello stesso senso e nella medesima udienza, v. Cass., Sez. 5, ud. 18/05/2022, dep. 19/05/2022, n. 16289 e n. 16290). Tanto premesso, nel caso di specie, la CTR non ha fatto buon governo dei principi sinora illustrati, avendo erroneamente negato l’applicabilità dell’art. 16-octies d.l. 20 giugno 2017, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2017, n. 123, mentre avrebbe dovuto ritenere la stessa disposizione applicabile in quanto vigente, dal 13 agosto 2017, nella fase di esecuzione ed attuazione del rimborso, che è diretta a disciplinare, e dunque nella pendenza del giudizio di ottemperanza (che, come risulta dalla sentenza impugnata, è stato introdotto dopo l’entrata in vigore della ridetta normativa). Il giudice dell’ottemperanza avrebbe dovuto verificare l’effetto – nel senso precisato – della disposizione in questione sulle modalità di attuazione del rimborso nel caso di specie, adottando di conseguenza i provvedimenti specifici indispensabili all’ottemperanza, ovvero determinando il quo modo dell’attuazione stessa, a seconda della capienza o meno delle risorse stanziate, applicando il principio appena illustrato. Il ricorso va, quindi, accolto nei termini sinora precisati e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al giudice a quo affinché provveda in conformità all’indicato principio di diritto”.
Corte di Cassazione – Sentenza 1° giugno 2022, n. 17929
sul ricorso iscritto al n. 28896/2020 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato.
– ricorrente –
contro C. G., rappresentato e difeso dall’Avv. Emilio C., elettivamente domiciliato in Ragusa, viale del Fante n. 8, con domicilio telematico all’indirizzo di posta elettronica certificata emilioC.@avvragusa.legalmail.it.
– controricorrente –
Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia – sezione staccata di Catania n. 1540/05/20, depositata il 16/04/2020. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 18 maggio 2022 ex art. 23, comma 8-bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, dal Consigliere Rosita D’Angiolella.
Dato atto che il Sostituto Procuratore Generale dott. G. Locatelli ha concluso chiedendo di accogliere il ricorso, cassare la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigettare l’originario ricorso per giudizio di ottemperanza.
FATTI DI CAUSA
1. L’ Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione distaccata di Catania di cui in epigrafe, che ha accolto il ricorso di G. C. per l’ottemperanza dell’Amministrazione finanziaria agli obblighi derivanti dalla sentenza n. 1158/05/17, depositata il 31 marzo 2017 dal medesimo organo giudicante, che aveva riconosciuto allo stesso contribuente il rimborso pari al 90% dell’IRPEF versata in eccedenza negli anni d’imposta 1990, 1991 e 1992, in applicazione dell’art. 9, comma 17, della legge 27 dicembre 2002, n. 289.
2. L’Amministrazione erariale, costituitasi nel giudizio d’ottemperanza proposto dal contribuente, ha dedotto di aver adempiuto con il pagamento della metà dell’importo riconosciuto dalla predetta sentenza di cognizione, ovvero nei limiti di quanto disposto dall’art. 16-octies d.l. 20 giugno 2017, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2017, n. 123 e che il rimborso non solo è stato erogato, tenendo conto della misura del 50%, ma che è stato anche riscosso, in tale misura, dal contribuente.
3. Il giudice dell’ottemperanza ha accolto il ricorso di G. C. ritenendo che l’Agenzia delle entrate non aveva adempiuto all’onere di provare «la circostanza dello sforamento delle stanze amministrative rispetto alla somma stanziata per il triennio 2015-2017, per cui difetta il presupposto normativo per l’applicazione del disposto di cui all’articolo 16 d.l. n. 91/17 convertito in l. n. 123 del 2017», e conseguenzialmente, ha nominato un commissario ad acta «per i necessari provvedimenti attuativi».
4. Il contribuente ha resistito con controricorso ed ha presentato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 665, legge 23 dicembre 2014 n. 190, come modificato dall’art. 16-octies d.l. 20 giugno 2017 n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2017 n. 123, per avere il giudice a quo erroneamente ritenuto che l’Amministrazione finanziaria debba ottemperare al giudicato tributario con il pagamento dell’intera somma liquidata, a titolo di rimborso, dalla sentenza da ottemperare, divenuta irrevocabile.
1.2. La norma che la ricorrente Amministrazione assume violata (art. 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014, come modificato dall’art. 16-octies del d.l. n. 91 del 2017) dispone che: «[…] In relazione alle istanze di rimborso presentate, qualora l’ammontare delle stesse ecceda le complessive risorse stanziate dal presente comma, i rimborsi sono effettuati applicando la riduzione percentuale del 50 per cento sulle somme dovute; a seguito dell’esaurimento delle risorse stanziate dal presente comma non si procede all’effettuazione di ulteriori rimborsi. Con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, da emanare entro il 30 settembre 2017, sono stabilite le modalità e le procedure finalizzate ad assicurare il rispetto dei limiti di spesa stabiliti dal presente comma. A tal fine è autorizzata la spesa di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015-2017 […]». In parte qua, tale disposizione non è stata modificata dal successivo art. 29 d.l. 30 dicembre 2019, n. 162, convertito nella legge 28 febbraio 2020, n. 8, che ha riguardato solo l’ottavo periodo dell’ art. 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014, relativo al quantum del limite delle risorse stanziate ed utilizzabili, elevando lo stanziamento da euro 90.000.000,00 ad euro 160.000.000,00, senza ripartizione annuale, ed ascrivendolo agli “ordinari capitoli di spesa utilizzati per il rimborso delle imposte sui redditi e dei relativi interessi”. Il Provvedimento n. 195405/2017, emanato il 26 settembre 2017 dal Direttore dell’Agenzia delle entrate, prevede che: «2.1 Tenuto conto dei limiti di spesa autorizzati dall’articolo 1, comma 665, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, nonché́ dell’importo riferibile alle istanze di rimborso presentate, l’Agenzia delle entrate effettua i rimborsi delle istanze validamente liquidate, ai sensi del punto 1.1, applicando la riduzione del 50 per cento sulle somme dovute. 2.2 L’Agenzia delle entrate provvede periodicamente ad erogare gli importi validamente liquidati, nella misura sopra indicata, a partire da quelli che si riferiscono alle istanze con data di presentazione pì remota, fino a concorrenza delle somme stanziate. 1.2 Al completamento dell’esame delle istanze di rimborso da parte degli uffici dell’Agenzia delle entrate territorialmente competenti e all’effettuazione dei rimborsi con la riduzione del 50 per cento degli importi risultanti dovuti, qualora eccedano risorse finanziarie rispetto ai limiti di spesa autorizzati, le somme residue sono erogate proporzionalmente al valore degli importi liquidati, ai sensi del punto 1.1.».
1.3. L’errore che la ricorrente Amministrazione imputa al giudice dell’ottemperanza è non aver considerato che l’art. 16-octies del d.l. n. 91 del 2017 non riguarda le sole ipotesi in cui il diritto al rimborso venga accertato dall’Amministrazione finanziaria in sede amministrativa, ma anche quelle in cui – come nel caso di specie – il diritto al rimborso sia ancora pendente il giudizio per il loro riconoscimento. E ciò perché la norma in esame è stata introdotta quando era ormai decorso da anni il termine per proporre istanza di rimborso (e per impugnare l’eventuale diniego opposto dall’Amministrazione), ragion per cui, se si escludesse la sua applicazione ai giudizi pendenti, sarebbe del tutto annullato il suo ambito applicativo.
2. Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso erariale, formulata dal controricorrente, considerato che secondo i consolidati principi di diritto espressi da questa Corte sul tema dell’interpretazione dell’art. 70, comma 10, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 «La disposizione di cui all’art. 70 del d.lgs. n.546/92 – a mente della quale il ricorso per cassazione contro la sentenza pronunciata in esito al giudizio di ottemperanza è ammesso per “violazione delle norme del procedimento” – va interpretata nel senso che è possibile denunciare alla Suprema Corte non soltanto la violazione delle norme disciplinanti il predetto giudizio, ma anche ogni altro “error in procedendo” in cui sia incorso il giudice dell’ottemperanza e, in particolare, il mancato o difettoso esercizio del potere – dovere di interpretare e eventualmente integrare il “dictum” costituito dal giudicato cui l’amministrazione non si sia adeguata o l’omesso esame di una pretesa che avrebbe dovuto trovare ingresso in quella sede.» (Cass. 01/12/2004, n. 22565; conformi, ex plurimis, Cass. 08/02/2008, n. 3057; Cass. 16/04/2014, n. 8830; Cass.28/09/2018, n. 23487). Nel caso di specie non v’è dubbio che l’oggetto del ricorso per cassazione attinge proprio il difettoso esercizio del potere-dovere di integrare il dictum della sentenza da ottemperare, con riferimento ad una questione, quella dei limiti del rimborso, che, per giurisprudenza altrettanto consolidata, come infra si dirà, doveva trovare ingresso proprio in sede di attuazione del comando giudiziale.
3. Venendo all’esame del merito del ricorso erariale, esso è fondato per le ragioni di seguito esposte.
3.1. Per costante giurisprudenza di questa Corte, lo ius superveniens introdotto dall’art. 16-octies d.l. 20 giugno 2017 n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2017 n. 123 ed attuato con il sopra citato provvedimento direttoriale – essendosi limitato a precisare che il rimborso di quanto indebitamente versato spetta ai soggetti specificamente individuati nei limiti delle risorse stanziate e, in caso di eccedenza, con la riduzione percentuale sulle somme dovute, oltre che, a seguito dell’esaurimento delle risorse, non si procede all’effettuazione di ulteriori rimborsi – non incide sulla questione del diritto al rimborso spettante ai soggetti colpiti dal sisma del 1990, operando i limiti delle risorse stanziate, e venendo in rilievo eventuali questioni sui consequenziali provvedimenti liquidatori emessi dall’Agenzia delle entrate, soltanto in fase esecutiva e/o di ottemperanza (ex multis Cass. 22/02/2018, n. 4291; Cass.25/03/2021, n. 8393; 22/04/ 2021, nn. 10714 e 10716; Cass.13/11/2020, n. 25818; Cass. 30/09/2020, n. 20790; Cass.22/02/2019, n. 5300). A supporto ulteriore di tale conclusione, oltre al tenore letterale dello stesso complesso normativo richiamato, questa Corte ha poi rilevato che costituisce ius receptum l’affermazione che, in mancanza di disposizioni transitorie, non incide sui giudizi in corso l’introduzione, con legge sopravvenuta, di un diverso procedimento amministrativo di rimborso (Cass. 22/02/2018, n. 4291, ex plurimis, che richiama ad esempio Cass. 24/04/2015, n. 8373, in tema di Iva). In tale contesto, giova rammentare, per la spiccata affinità con la fattispecie in esame, che questa Corte, a proposito della limitazione dell’erogazione dell’indennizzo agli aventi diritto in base alla c.d. legge Pinto, ha chiarito: «Affatto priva di rilevanza […] è l’eccezione d’illegittimità costituzionale formulata con riguardo all’articolo 3, comma 7, della citata legge 89/2001, che limita l’erogazione dell’indennizzo agli aventi diritto entro i limiti delle risorse di bilancio annualmente disponibili. […] [N]on sussiste, infatti, nel caso concreto, il diritto della parte a percepire un qualsiasi indennizzo, e ciò comporta comunque l’inoperatività di detta norma, la quale, del resto, non potrebbe mai trovare applicazione in sede di cognizione, ma solo, eventualmente, in fase di esecuzione della pronuncia di condanna dell’amministrazione a corrispondere una determinata somma a titolo di equa riparazione.» (Cass. 10/04/2003, n. 11715, in motivazione).
3.2. Tale orientamento, al quale si intende dare ulteriore continuità, riconduce, dunque, lo ius superveniens non alla disciplina sostanziale del diritto al rimborso, ma a quella procedimentale della sua attuazione.
Sul piano giudiziario, tale opzione ermeneutica comporta che la relativa questione non appartiene al giudizio di cognizione, nel quale detto diritto viene accertato, ma necessariamente a quella del giudizio d’ottemperanza, nel quale esso viene attuato. Pertanto, nelle ipotesi in cui l’Amministrazione ha eccepito la rilevanza dei limiti in questione nell’ambito del giudizio di cognizione diretto ad accertare il diritto al rimborso, questa Corte ha ritenuto il relativo motivo infondato, se non inammissibile, ribadendo che la sede nella quale avrebbe potuto essere dedotto era quella del giudizio sull’esecuzione e/o l’attuazione del diritto accertato (cfr. ex multis le citate Cass. 22/02/2018, n. 4291; Cass. 25/03/2021, n. 8393; 22/04/ 2021, nn. 10714 e 10716; Cass. 13/11/2020, n. 25818; Cass.30/09/2020, n. 20790; Cass. 22/02/2019, n. 5300). Non sfugga, peraltro, la necessità logica di tale conclusione, giacché quantificare limitazioni e riduzioni (percentuali o finanche integrali) dell’attuazione di un rimborso, in relazione ad un determinato stanziamento di pubbliche risorse ed alla concomitanza di domande di diversi aventi diritto, da un lato, presuppone che il singolo importo da limitare sia stato definitivamente determinato (e dunque irrevocabilmente accertato, ove sia stato controverso in giudizio); dall’altro, richiede la valutazione di circostanze (le risorse stanziate e la loro capienza in rapporto alle altre domande) “esterne” alla fattispecie di pertinenza di ciascun contribuente, che sono estranee al thema decidendum del giudizio sulla singola domanda di rimborso e che verranno necessariamente a definirsi solo quando il relativo diritto al rimborso sarà ormai accertato nell’ an e nel quantum ed entro quei limiti sarà attuabile.
4. Traendo le conseguenze di quanto sinora argomentato, questa Corte ha chiarito come la disciplina dei limiti di attuazione del diritto al rimborso, nella materia controversa, si applichi anche quando il relativo diritto sia stato accertato con sentenza definitiva, a seguito di contenzioso con l’Amministrazione. Ed invero, si è detto che «È peraltro consequenziale che, se la questione attiene alla fase esecutiva, qualunque sia il titolo del rimborso, compreso quello giudiziale, esso sarà sottoposto alle modalità regolamentate dal comma 665 dell’art. 1 della l. n. 190 del 2014, come modificato dall’art. 16-octies del d.l. n. 91 del 2017, convertito con l. n. 123 del 2017.» (Cass., Sez. 5, n. 7368 del 15.03.2019, in motivazione). In tal senso si è soggiunto che «In tema di rimborso IRPEF, i limiti quantitativi introdotti dall’art. 16-octies del d.l. n. 91 del 2017 si applicano ai giudizi esecutivi instaurati dopo la relativa entrata in vigore, essendo indifferente che il titolo esecutivo azionato derivi da un accertamento in via amministrativa compiuto dall’amministrazione fiscale o dal passaggio in giudicato della sentenza resa all’esito dell’instaurazione del giudizio di accertamento del diritto alla ripetizione della maggiore imposta versata.» (Cass. 14/10/2021, n. 28108). Anche in questo caso, si tratta di una conseguenza logica necessaria: se la questione non pertiene al giudizio di cognizione e, pertanto, l’Amministrazione non la può porre nella fase in cui il diritto al rimborso venga definitivamente accertato, la si potrà dedurre nel giudizio in cui lo stesso diritto venga attuato e debbano applicarsi, ratione temporis, le norme che disciplinano e limitano la sua attuazione. Diversamente opinando, infatti, l’art. 16-octies del d.l. n. 91 del 2017 diverrebbe sostanzialmente inapplicabile.
5. Una volta premesso che la disciplina in questione trova la sua sede naturale nell’ambito dell’attuazione, e quindi nel giudizio d’ottemperanza, occorre individuarne gli effetti sul diritto al rimborso, nel caso di specie accertato con sentenza passato in giudicato. Invero, l’art. 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014 (come modificato dall’art. 16-octies del d.l. n. 91 del 2017 e poi dall’ art. 29 del d.l. n. 162 del 2019, ed integrato dal citato provvedimento direttoriale del 26 settembre 2017), allorquando dispone che, qualora l’ammontare delle istanze di rimborso ecceda le complessive risorse stanziate (in ultimo nell’importo di euro 160.000.000,00, senza ripartizione annuale) dalla medesima norma, «i rimborsi sono effettuati applicando la riduzione percentuale del 50 per cento sulle somme dovute» e che «a seguito dell’esaurimento delle risorse stanziate dal presente comma non si procede all’effettuazione di ulteriori rimborsi», non prevede una falcidia sostanziale del quantum del relativo credito del contribuente, nel caso di specie accertato con sentenza irrevocabile.
Piuttosto, il complesso normativo in questione determina le modalità e le procedure di effettuazione del rimborso in sede amministrativa, regolando il relativo procedimento secondo criteri di ordinata contabilità dello Stato e, tenuto conto della limitatezza delle risorse stanziate e disponibili, ne disciplina l’impiego con l’intento di escludere, per quanto possibile, sperequazioni tra i singoli aventi diritto nel medesimo contesto cronologico e finanziario. Nella sostanza, quindi, l’avente diritto al rimborso che, per effetto della descritta disciplina di attuazione, sia stato soddisfatto solo per metà del suo credito, o addirittura non sia stato affatto soddisfatto, non perde comunque il diritto all’integrale adempimento del rimborso, così come accertato ormai irrevocabilmente. A tale conclusione conduce, innanzitutto, la stessa lettera delle norme in parola, che si riferiscono unicamente all’ “effettuazione dei rimborsi” e non al diritto sostanziale che ne è oggetto.
D’altra parte anche il giudice delle leggi (con riferimento alla fattispecie, ante già richiamata, della c.d. “legge Pinto”, assimilabile a quella sub iudice), ha concluso nello stesso senso, chiarendo che «Il denunciato art. 3, comma 7, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile) – nel testo risultante dalla modifica da ultimo introdotta dall’art. 55, comma 1, lettera c), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 – stabilisce che “L’erogazione degli indennizzi [per irragionevole durata del processo] agli aventi diritto avviene nei limiti delle risorse disponibili” […] Tale disposizione, ovviamente, non comporta che l’esaurimento dei fondi destinati (in bilancio dell’amministrazione erogante) al pagamento degli indennizzi in questione, escluda in via definitiva l’adempimento dei giudicati di condanna ex lege n. 89 del 2001, con riguardo ai quali non vi siano al momento risorse disponibili.
Comporta bensì unicamente che, in conseguenza di quella attuale indisponibilità, il pagamento degli indennizzi di che trattasi sia differito al momento in cui sia ripristinata la disponibilità delle correlative risorse, ed avvenga, quindi, in ritardo rispetto alla data di intervenuta definitività del titolo.» (Corte cost., sent. n. 157 del 2015, punto n. 2 della motivazione). E, con riferimento ai limiti introdotti dalla medesima “legge Pinto”, anche la giurisprudenza della Corte EDU ha affermato il principio secondo il quale la mancanza di risorse finanziarie non può costituire di per sé sola la ragione per non adempiere un debito riconosciuto giudizialmente (Corte EDU, 29.3.2006, Cocchiarella c. Italia, § 90; cfr. anche Corte EDU, 21.12.2010, Gaglione c. Italia, § 35. 17) Infine, il contenimento della rilevanza dei limiti di stanziamento alla sola fase procedimentale di attuazione del rimborso corrisponde anche ad un’ interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014, per evitare la possibile disparità di trattamento, contrastante con l’art. 3 Cost., che verrebbe altrimenti a crearsi tra i contribuenti i quali, per effetto dell’art. 9, comma 17, della n. 289 del 2002, non hanno versato il 90% dell’IRPEF di cui agli anni d’imposta 1990, 1991 e 1992, godendo integralmente della relativa agevolazione, ed i contribuenti che, avendo a loro volta diritto allo stesso beneficio, hanno invece integralmente versato l’IRPEF relativa ai medesimi periodi, e debbono pertanto anch’essi poter recuperare interamente il 90% dell’imposta, pagato in eccedenza.
Infatti questa Corte, con orientamento consolidato, ha già affermato che: «In tema di condono fiscale e con riferimento alla definizione automatica della posizione fiscale relativa agli anni 1990, 1991 e 1992, prevista dall’art. 9, comma diciassettesimo, legge n. 289 del 2002, a favore dei soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990 che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, la definizione può avvenire in due simmetriche possibilità: in favore di chi non ha ancora pagato, mediante il pagamento solo del 10 per cento del dovuto da effettuarsi entro il 16 marzo 2003; in favore di chi ha già pagato, attraverso il rimborso del 90 per cento di quanto versato al medesimo titolo. Ciò per effetto dell’intervento normativo citato, cui va riconosciuto il carattere di “ius superveniens” favorevole al contribuente, tale da rendere quanto già versato non dovuto “ex post”.» (Cass. 01/10/2007, n. 20641), sottolineando che «diversamente opinando, si realizzerebbe una ingiustificata disparità di trattamento – peraltro, assolutamente iniqua, in quanto (assurdamente) a tutto danno del contribuente più diligentemente osservante della legge – tra soggetti passivi della medesima fattispecie tributaria: in modo specifico, tra chi non ha pagato e chi ha pagato. Invece, in maniera più coerente anche con gli immanenti principi di ragionevolezza, deve ritenersi che spetti a tutti il beneficio della riduzione del carico fiscale de quo ad un decimo.».
6. Deve escludersi che, per effetto della sopravvenienza e dell’applicazione (con gli effetti di cui al paragrafo che precede) dell’art. 16-octies del d.l. n. 91 del 2017 e del conseguente provvedimento di attuazione del direttore dell’Agenzia delle entrate, sia configurabile una lesione dei diritti del contribuente che evidenzi profili di illegittimità costituzionale.
Innanzitutto, per le ragioni già chiarite, il complesso normativo in questione non incide sull’ an e sul quantum del diritto sostanziale del contribuente al rimborso, come accertato dalla sentenza passata in giudicato, e non si determina, pertanto, una violazione degli artt. 24 e (per comparazione con i contribuenti che non avevano versato ab origine il 90% dell’imposta) 3 Cost. Inoltre, come questa Corte ha già chiarito, il legittimo affidamento del contribuente, nel caso di specie all’attuazione integrale del rimborso attraverso il procedimento in questione, non si traduce nell’aspettativa di intangibilità della relativa normativa, tanto meno in settori (quale quello fiscale) in cui è necessario – e di conseguenza ragionevolmente prevedibile – che le norme in vigore vengano continuamente adeguate alle variazioni della congiuntura economica (cfr. Cass. 24/02/2020, n. 4848; Cass. 20/02/2020, n. 4411 e giurisprudenza comunitaria ivi citata in motivazione). Infine, attraverso il complesso della normativa di attuazione de qua, il legislatore, preso atto della limitatezza delle risorse finanziarie erariali in un dato contesto temporale e considerate le superiori finalità pubbliche cui esse sono destinate, ha realizzato un legittimo bilanciamento tra queste ultime ed i diritti del singolo contribuente. Bilanciamento raggiunto peraltro approntando un sistema procedimentale che, operando l’“effettuazione” dei rimborsi in considerazione non solo delle risorse disponibili, ma anche del complesso delle domande proposte in un determinato periodo di tempo, incide proporzionalmente su ciascuna di queste ultime ed esclude, pertanto, sperequazioni tra i singoli aventi diritto nel medesimo contesto procedimentale, cronologico e finanziario.
Fermo restando che, come si è detto, la limitazione dello specifico stanziamento non comprime il diritto sostanziale al rimborso già accertato e, come si dirà, neppure ne preclude definitivamente l’attuazione.
7. Rimane, in fundo, da chiarire quali siano i criteri con i quali il giudice dell’ottemperanza deve provvedere ad attuare la disciplina sinora illustrata. Invero il Collegio è consapevole che, con precedenti arresti, è stato ritenuto che l’applicazione dei limiti al rimborso, nella fase esecutiva e quale concreta modalità di attuazione della medesima sentenza di ottemperanza, presuppone che sia «allegato dall’Amministrazione quali e quante domande di rimborso siano state presentate o integrate» (cfr., Cass. 15/03/2019, n. 7368, decisione sulla quale i giudici dell’ottemperanza hanno basato la loro decisione) e che il giudice dell’ottemperanza «avrebbe dovuto verificare se era stata provato dall’Agenzia delle entrate che l’ammontare delle istanze di rimborso presentate eccedesse le complessive risorse stanziate dall’art. 16-octies citato e, quindi, provvedere di conseguenza.» (Cass.23/03/2021, n. 8380, in motivazione). Tuttavia, tali conclusioni vanno coniugate in relazione alla peculiarità della fattispecie controversa e dello stesso giudizio di ottemperanza. Per tutto quanto sinora argomentato, innanzitutto, deve considerarsi che, (i) i limiti al rimborso di cui si discute non sono elementi costitutivi, e neppure impeditivi, modificativi o estintivi, del diritto sostanziale al rimborso accertato nel giudizio di cognizione, integrando piuttosto delle modalità attuative e procedimentali di tale diritto, dettate direttamente dalla legge. Pertanto, la verifica dei presupposti e delle modalità con i quali essi devono operare appartiene piuttosto al procedimento di attuazione del comando giudiziale, e non è riducibile alla rigorosa applicazione degli oneri di allegazione e di prova rimessi alle parti. Deve considerarsi, altresì, (ii) la peculiare natura “attuativa” del giudizio di ottemperanza, ed in particolare di quello tributario, nel senso che (Cass. 20/06/2019, n. 16569, in motivazione): «Tale giudizio presenta, quindi, connotati del tutto diversi rispetto al corrispondente giudizio esecutivo civile, dal quale si differenzia, perché́ il suo scopo non è quello di ottenere l’esecuzione coattiva del comando contenuto nella decisione passata in giudicato, quanto piuttosto quello di dare concreta attuazione a quel comando, anche se questo non contenga un precetto dotato dei caratteri propri del titolo esecutivo (Cass., 18/1/2012, n. 646; Cass., 1/3/2004, n. 4126; Cass., 24/9/2010, n. 20202), compiendo gli accertamenti indispensabili a delimitare l’effettiva portata precettiva della sentenza. Ciò comporta che, se da un lato, il potere del giudice dell’ottemperanza sul comando definitivo inevaso non può̀ che essere esercitato entro i confini invalicabili posti dall’oggetto della controversia definita con il giudicato, non potendo essere attribuiti alle parti diritti nuovi ed ulteriori rispetto a quelli riconosciuti con la sentenza da eseguire (cd. «carattere chiuso del giudizio di ottemperanza»), dall’altro lato, può – e deve – essere enucleato e precisato da quel giudice il contenuto degli obblighi scaturenti dalla sentenza da eseguire, chiarendosene il reale significato (Cass. n. 22188 del 24/11/2004; Cass. n. 28944 del 10/12/2008; Cass. n. 11450 del 25/5/2011; Cass. n. 15827 del 29/7/2016).
La sentenza e gli obblighi che da essa scaturiscono segnano, dunque, il limite dell’oggetto del giudizio in questione, potendo il ricorso per ottemperanza essere proposto solo per far valere le statuizioni che sono contenute nel giudicato o, comunque, per conseguire posizioni giuridiche che dallo stesso discendono come autonoma conseguenza di legge, ma non per trattare questioni nuove o indipendenti rispetto al giudizio conclusosi con la sentenza di cui si chiede la esecuzione; il giudice dell’ottemperanza, tuttavia, al fine di assicurare la piena attuazione del giudicato, può enucleare e precisare il contenuto degli obblighi nascenti dalla sentenza passata in giudicato (come, ad esempio, può avvenire con riguardo agli accessori del credito consacrato nel decisum che, per loro natura, devono essere considerati ricompresi nella pronuncia da eseguire). In sostanza, anche quando il comando non risulta ben definito, il giudice dell’ottemperanza compiere un’attività̀ cognitiva e ricostruttiva degli obblighi sanciti dalla sentenza ormai definitiva, che non è, invece, consentita nel giudizio esecutivo civile.».
8. E’ dunque in tale contesto dell’attività̀ cognitiva e ricostruttiva degli obblighi sanciti dalla sentenza ormai definitiva che il giudice dell’ottemperanza ha in ogni caso il potere ed il dovere di compiere gli accertamenti indispensabili a delimitare l’effettiva portata precettiva della decisione da attuare che, nel caso di specie, si estendono alla verifica di tutti i presupposti e di tutte le condizioni che determinano, nel senso sinora precisato, il rimborso da erogare, in considerazione delle risorse disponibili, ai sensi dell’art. 16-octies d.l. n. 91 del 2017, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 123 del 2017, e del conseguente provvedimento direttoriale. Si tratta del resto, della medesima verifica che dovrebbe inderogabilmente compiere ex lege l’Amministrazione in sede di effettuazione del rimborso accertato dalla sentenza de qua, nella quale si sostituisce quindi il giudice dell’ottemperanza, servendosi, se necessario, del commissario ad acta.
9.L’ eventuale verificata incapienza, con riferimento al momento dell’ effettiva attuazione, delle risorse stanziate sugli ordinari capitoli di spesa utilizzati per il rimborso delle imposte sui redditi e dei relativi interessi, nel limite di cui all’ art. 1, comma 665, legge n. 190 del 2014, n. 190 (come, da ultimo, modificato dal d.l. n. 162 del 2019) e di eventuali successivi ulteriori stanziamenti, se preclude, in tutto o in parte, l’ ”effettuazione” del rimborso ai sensi della medesima norma e del relativo provvedimento direttoriale che l’ha integrata, non determina, per quanto già argomentato, l’estinzione, parziale o integrale, del relativo diritto sostanziale del contribuente, e non preclude quindi definitivamente la sua attuazione, secondo gli strumenti a disposizione dell’Amministrazione e, dunque, del commissario ad acta nominato dal giudice dell’ottemperanza.
10. Peraltro, secondo la stessa prassi amministrativa (nota n. 32882 del 25 marzo 2002 del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato del Ministero dell’Economia e delle Finanze; nota n. 2002/81152 del 11 aprile 2002 della Direzione Centrale Amministrativa dell’Agenzia delle Entrate; circolare dell’Agenzia delle entrate 4 febbraio 2003, n. 5/E, § 4; circolare della Ragioneria generale dello Stato n. 24/2014, § 6 e 7, con specifico riferimento alle Agenzie fiscali ed al giudizio di ottemperanza tributario; cfr. altresì circolare della Ragioneria generale dello Stato n. 24/2015, con riferimento alla dematerializzazione dello speciale ordine di pagamento), l’Agenzia delle entrate, ed in sostituzione di quest’ultima il commissario ad acta, allo scopo di consentire che il giudicato trovi attuazione, sono eventualmente legittimati anche all’emanazione dello speciale ordine di pagamento in conto sospeso di cui all’art. 14, comma 2, d.l. 31 dicembre 1996, n. 669 convertito nella legge 28 dicembre 1997, n. 30 ( ed integrato dai d.m. 1 ottobre 2002 e 24 giugno 2015, relativamente alle modalità ed alle caratteristiche dell’ordine di pagamento), con il quale l’Amministrazione dello Stato può disporre il pagamento mediante emissione di uno speciale ordine rivolto all’istituto tesoriere (Banca d’Italia), al quale chiede di effettuare il pagamento registrandolo in conto sospeso, in attesa della regolarizzazione contabile, che avverrà non appena saranno rese disponibili le necessarie risorse sul pertinente capitolo.
L’ordine può essere emesso in presenza di due presupposti: la sussistenza di provvedimenti giurisdizionali o lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva, e l’assenza di disponibilità finanziaria nel pertinente capitolo di spesa. La ratio del relativo procedimento contabile è quella di evitare gli aggravi di spesa, inerenti la procedura esecutiva, e di consentire alla P.A. di provvedere al pagamento spontaneo per limitare il più possibile i danni al pubblico erario, derivanti dall’effettivo azionamento della procedura esecutiva; in altri termini, si vuole concedere alla P.A. il differimento dell’esecuzione, per l’approntamento dei mezzi finanziari, occorrenti al pagamento dei crediti azionati, e si vuole evitare il blocco dell’attività’ amministrativa imputabile ai ripetuti pignoramenti di fondi, contemperando in tal modo l’interesse del singolo alla realizzazione del suo diritto con quello generale ad un’ordinata gestione delle risorse finanziarie pubbliche. La procedura in parola può quindi essere esperita nell’ipotesi di concreta impossibilità, nei termini consentiti di effettuare i pagamenti a carico dei pertinenti capitoli ordinari di spesa, compreso dunque quello utilizzato per il rimborso delle imposte sui redditi e dei relativi interessi.
11. Può quindi concludersi rilevando che la soluzione interpretativa prospettata, escludendo la falcidia del credito accertato, cosi come la sua incerta dilazione, non solo è costituzionalmente orientata, ma è pure conforme ai precetti della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, rispetto alla quale il largo margine di apprezzamento pur riconosciuto agli Stati nel regolare la materia fiscale (art.1, comma 2, Protocollo n.1) va letto alla luce del principio del “giusto equilibrio” (comma 1), in termini di giustificazione e proporzione (conf. CEDU, in casi Arnaud vs Francia e Buffalo S.r.l. vs. Italia), non diversamente dalle fattispecie espropriative (C. Eur. Dir. Uomo in caso Di Belmonte vs. Italia).
12. Va quindi formulato il seguente principio di diritto: «Nel giudizio tributario di ottemperanza di cui all’art. 70 d.lg. n. 546 del 1992, il giudice dell’ottemperanza, adito dal contribuente per l’esecuzione del giudicato scaturente da decisione ricognitiva del diritto al rimborso d’imposte per effetto di benefici fiscali accordati in conseguenza di eventi calamitosi, deve accertare la disponibilità degli appositi fondi stanziati ai sensi dell’art. 1, comma 665, legge n. 190 del 2014 – come modificato dall’art. 16-octies d.l. n. 91 del 2017 e dall’art. 29 d.l. n. 162 del 2019- e, in caso di verificata incapienza, deve attivare, con determinazioni specifiche anche tramite la nomina di un commissario ad acta, le procedure particolari previste dalla normativa di contabilità pubblica per dare completa esecuzione alla decisione del giudice di merito, compresa l’emissione dello speciale ordine di pagamento in conto sospeso, non essendo desumibile dalla normativa di riferimento, interpretata alla luce dei principi costituzionali e convenzionali, alcuna possibile falcidia di diritti patrimoniali del contribuente giudizialmente accertati.» (nello stesso senso e nella medesima udienza, v. Cass., Sez. 5, ud. 18/05/2022, dep. 19/05/2022, n. 16289 e n. 16290).
13. Tanto premesso, nel caso di specie, la CTR non ha fatto buon governo dei principi sinora illustrati, avendo erroneamente negato l’applicabilità dell’art. 16-octies d.l. 20 giugno 2017, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2017, n. 123, mentre avrebbe dovuto ritenere la stessa disposizione applicabile in quanto vigente, dal 13 agosto 2017, nella fase di esecuzione ed attuazione del rimborso, che è diretta a disciplinare, e dunque nella pendenza del giudizio di ottemperanza (che, come risulta dalla sentenza impugnata, è stato introdotto dopo l’entrata in vigore della ridetta normativa).
Il giudice dell’ottemperanza avrebbe dovuto verificare l’effetto – nel senso precisato – della disposizione in questione sulle modalità di attuazione del rimborso nel caso di specie, adottando di conseguenza i provvedimenti specifici indispensabili all’ottemperanza, ovvero determinando il quo modo dell’attuazione stessa, a seconda della capienza o meno delle risorse stanziate, applicando il principio appena illustrato.
14. Il ricorso va, quindi, accolto nei termini sinora precisati e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al giudice a quo affinché provveda in conformità all’indicato principio di diritto.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Sicilia sezione staccata di Catania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 18 maggio 2022.