CASSAZIONE

Cessione terreno edificabile: plusvalenza da accertare non soltanto tramite il valore

Tributi – Accertamento – Plusvalenza – Applicazione del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale – Illegittimità – Art. 5 del d.lgs, n. 147/2005 – Cessione di azienda – D.lgs. 31 ottobre 1990, n. 347 – Cessione di un terreno edificabile

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 17354 del 30 maggio 2022, intervenendo in merito alla plusvalenza realizzata a seguito della cessione di un terreno edificabile, ha ricordato che  dopo l’entrata in vigore dell’art. 5 del D.lgs. 147/2005, l’Amministrazione finanziaria non può più procedere a determinare, in via induttiva e senza altri elementi gravi, precisi e concordanti, la plusvalenza realizzata a seguito di cessione di immobile, terreno edificabile o di azienda, solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro.

Sotto il profilo squisitamente fiscale la plusvalenza immobiliare rappresenta il guadagno che il proprietario ottiene al momento della vendita di un bene immobile: la plusvalenza da cessione di immobili si determina, quindi, come la differenza tra il valore dell’immobile al momento dell’acquisto e quello al momento della vendita.  Da un punto di vista strettamente fiscale, la cosiddetta “plusvalenza” raffigura il guadagno che il proprietario (soggetto privato) ottiene al momento della vendita di un immobile con riferimento all’aumento di valore avvenuto tra l’acquisto e la rivendita dell’immobile medesimo. Per il soggetto che la realizza, la plusvalenza da cessione di immobili è soggetta a tassazione secondo quanto previsto dagli articoli 67 e 68 del TUIR (DPR n. 917/1986). In caso di cessione a titolo oneroso di immobili ricevuti per donazione, il periodo di cinque anni decorre dalla data di acquisto da parte del donante.

Nel nostro sistema tributario la tassazione della plusvalenza derivante dalla cessione di un bene immobile detenuto da persone fisiche (privati) riguarda soltanto le cessioni intervenute nei cinque anni dall’acquisto; in pratica, la tassazione è prevista solo per le operazioni speculative (quelle effettuate nei cinque anni dall’acquisto). Quindi, in tutti i casi in cui la cessione avvenga in un arco temporale più lungo dei cinque anni la tassazione non è mai soggetta a tassazione: con esempio pratico, quindi, un privato che cede un immobile dopo che è trascorso il periodo minimo di cinque anni non può essere assoggettato a tassazione.

Su tale questione ci sono per la verità circa venti anni di giurisprudenza di Cassazione (v. sent. n. 4117/2002) che hanno accettato, pur con gradazioni relative sulla prova contraria e/o sul valore probatorio della presunzione, che il valore definito ai fini del registro divenga la base per la determinazione della plusvalenza realizzata, che si tratti di immobili o di aziende. Conformi a questo orientamento si segnalano anche altri precedenti di Cassazione, come l’ordinanza n. 8711/2014 e le sentenze n. 8010/2013 e n. 17653/2014. Nell’ordinanza 21632/2014 si ammetteva l’accertamento basato sul predetto automatismo, ma al contempo ogni e più ampia prova di segno contrario da parte del contribuente. Sempre in quegli anni l’Agenzia, nella circolare 18/E/2010, precisava che lo scostamento dei corrispettivi dichiarati nelle cessioni d’azienda (avviamento) o dei beni immobili rispetto al valore normale costituisce “un elemento presuntivo semplice”, con la conseguenza che l’esistenza di questa differenza deve essere documentata con elementi dotati di gravità, precisione e concordanza insieme ad altri fattori quali, ad esempio, il valore del mutuo, i prezzi che emergono dalla ricostruzione dei ricavi in base alle indagini finanziarie o da precedenti atti di compravendita relativi al medesimo immobile.

Tuttavia la Cassazione, con la sentenza n. 24054/2014 indicava, invece, che l’Amministrazione finanziaria non può contestare una maggiore plusvalenza a una società che ha ceduto un immobile con valore di mercato superiore a quello di vendita. In particolare, in presenza di una contabilità corretta sono necessari altri indizi sintomatici di evasione, non potendosi applicare automaticamente il valore rilevante ai fini del registro alle imposte sui redditi, in quanto le due imposizioni seguono regole differenti. In tale pronuncia è stato evidenziato che nell’accertamento delle imposte sui redditi d’impresa la plusvalenza realizzata con la vendita di un immobile deve aver riguardo alla differenza tra il prezzo di acquisto e quello di cessione e non al valore di mercato (come per il registro): ciò in quanto i principi di determinazione del valore di un bene trasferito sono diversi a seconda del tributo da applicare.

Nelle imposte sui redditi i giudici ritengono “inequivoco” il significato del termine “corrispettivo” utilizzato dal legislatore che fa chiaramente comprendere la differenza rispetto al valore venale. Pertanto, in presenza di contabilità formalmente corretta, per una rettifica analitico induttiva l’ufficio non può limitarsi alle valutazioni dell’UTE solo perché superiori rispetto ai valori dichiarati dall’impresa: tali valutazioni, da sole, non sono però sufficienti a giustificare l’accertamento.

In pratica, la plusvalenza da cessione di immobili è tassata solo se derivante da un mero fine speculativo, per stabilire il quale il legislatore ha allora individuato alcuni parametri. Infatti, la plusvalenza è tassata solo se il fabbricato venduto è stato acquistato (o costruito) da meno di cinque anni; se non è pervenuto a seguito di successione o se non è l’abitazione in cui il proprietario ha avuto la propria residenza (o quella di un suo familiare) per la maggior parte del tempo che è passato tra l’acquisto (o la costruzione) e la rivendita. L’articolo 68 del TUIR specifica, inoltre, che la plusvalenza da cessione di immobili è costituita dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo d’imposta e il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo. In merito a tale ultimo aspetto, in considerazione del fatto che la norma parla di costo inerente all’immobile oggetto di cessione, andrà valutata caso per caso l’inerenza del costo al bene immobile.

Non vi sono dubbi sul fatto che comunque possono essere detratte le spese di acquisto (spese notarili, imposte pagate per l’acquisto, spese di mediazione), nonché le spese di costruzione, di ristrutturazione e di manutenzione straordinaria effettuate sull’immobile stesso. La Suprema Corte – va comunque ricordato – in diverse occasioni, nonostante l’asimmetria tra il concetto di prezzo convenuto tra le parti rilevante ai fini della determinazione della plusvalenza IRPEF, e quello di valore venale in comune commercio considerato nell’ambito dell’imposta di registro (art. 43, comma 1, lett. a, TUIR), ha stabilito che la presunzione di corrispondenza tra valore venale e prezzo di cessione è legittimamente utilizzabile dal Fisco, fatta salva la possibilità da parte del contribuente di fornire la prova contraria, superando la presunzione stessa. Secondo l’orientamento costante della Suprema Corte, l’Amministrazione finanziaria è legittimata a procedere in via induttiva all’accertamento del reddito da plusvalenza patrimoniale relativa al valore di avviamento realizzata a seguito di cessione di azienda o del terreno, sulla base dell’accertamento di valore effettuato in sede di applicazione del registro. Resta a carico del contribuente l’onere della prova contraria. Il contribuente, in tal senso, potrà superare bene (anche con ricorso ad elementi indiziari) la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato col valore di mercato accertato in via definitiva ai fini del registro, dimostrando di avere in concreto venduto a un prezzo inferiore (v. Cass. n. 9513/2018; inoltre, Cass. n. 19227/2017; Cass. n. 12265/2017; Cass. n. 6135/2016; Cass. n. 11543/2016).

Tanto premesso, la vicenda processuale esaminata prende le mosse dal ricorso presentato dalla parte contribuente, alla quale era stato notificato un avviso relativo al periodo d’imposta 2001 con il quale veniva accertata una plusvalenza di Lire 58.391.000 conseguente alla cessione, unitamente ad altri comproprietari, di un terreno edificabile.

Entrambi i gradi della giustizia tributaria accoglievano il ricorso della parte contribuente, che aveva lamentato che la plusvalenza accertata fosse stata calcolata non sulla base di un controllo effettivo, ma solo sulla base del valore attribuito ai fini della determinazione dell’imposta di registro. La controversia è però tornata alla CTR in diversa composizione che, accogliendo le rimostranze dell’Agenzia delle entrate, ha dichiarato che in tema di accertamento ai fini IRPEF delle plusvalenze realizzate a seguito di cessione di azienda, il valore dell’avviamento determinato in via definitiva ai fini dell’imposta di registro assume carattere vincolante per l’Amministrazione, spettando invece al contribuente la prova del diverso valore in applicazione di un minor coefficiente legale di calcolo, sempre che si tratti di dati rigorosamente dimostrativi e fondati su riscontri obiettivi.

Il contribuente riproponeva di nuovo ricorso in Cassazione avverso la decisione d’appello, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 3, del D.lgs. 147/2005, secondo cui “… per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 347”. Alla luce di tale norma, di natura interpretativa e dunque avente efficacia retroattiva, sarebbe ad avviso del ricorrente impossibile un accertamento fondato unicamente sulla differenza tra valore e corrispettivo, come invece ritenuto dalla CTR.

La Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il motivo di ricorso e ha cassato definitivamente la sentenza impugnata, affermando che “… L’Avvocatura dello Stato per conto della controricorrente Agenzia chiede il rigetto del ricorso, allegando anzitutto con riferimento al primo motivo che l’avviso di rettifica oggetto della notifica era entrato senz’altro nella sfera di conoscibilità dell’A. come dimostra il successivo atto di accertamento con adesione redatto a seguito di istanza della parte stessa. Con riguardo al secondo motivo allega ancora una volta la sufficienza del valore accertato ai fini dell’imposta di registro come ritenuto da “un consolidato orientamento di legittimità”, richiamando Cass. 31/07/2015, n.16254. Allega altresì l’Avvocatura come nei paralleli contenziosi instaurati da altri due venditori (M. e S.) i giudici si sarebbero espressi in un caso riducendo la plusvalenza proporzionalmente al valore definito per il terreno di 200.000 al mq, e nell’altro accogliendo l’appello proposto dall’Ufficio.  L’esame del secondo motivo è prioritario in quanto la sua definizione rende ultroneo quello degli altri in base al principio della ragione più liquida (con riferimento all’applicabilità di quest’ultimo al giudizio di legittimità da ultimo Cass. 21/05/2021 n.14039). Il motivo è fondato. Effettivamente con l’entrata in vigore del citato d.lgs. n. 147/15, ed in particolare dell’art.5, 30 comma, è stato stabilito che gli artt. 58, 68, 85 e 86 del testo unico delle imposte sui redditi, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro, ovvero ai fini delle imposte ipotecaria e catastale. Siffatta disposizione è di natura espressamente interpretativa e quindi applicabile anche alla presente fattispecie, essendo noto che la sentenza di rinvio ai sensi dell’art.383 cod. proc. civ. è vincolante quale enunciazione di una ratio di giudizio, per cui a differenza del sopraggiunto mutamento della giurisprudenza, sono rilevanti tanto le intervenute declaratorie d’illegittimità costituzionale che lo jus superveniens, come già affermato da questa Corte (Cass. 02/02/2015, n. 1995). Vanno a questo punto richiamati i precedenti di questa Corte, la quale nel senso della sopra indicata portata della disposizione in esame ha avuto occasione di affermare che “Sulla scia della novella legislativa, la cui norma appena richiamata vale come interpretazione autentica della previgente disciplina, con efficacia retroattiva, dunque, questa Corte ha mutato orientamento e ha statuito che, ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi, l’art. 5 cit. esclude che l’Amministrazione possa ancora procedere a determinare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro” (Cass. 08/05/2019, n. 12131; in precedenza Cass. 9513/2018; inoltre Cass. n.19227/2017; Cass. n. 12265/2017; Cass. n. 6135/2016; Cass. n.11543/2016). Tenuto conto di ciò, va osservato come la presente fattispecie sia sussumibile nella disposizione sopra richiamata, posto che l’art.68 del d. P.R. 22/12/1986, n. 917 fa riferimento alle plusvalenze di cui alle lett. a) e b), comma 1, del precedente art.67, e che tale ultima disposizione, alla citata lett. a) concerne proprio le plusvalenze realizzate mediante cessioni a titolo oneroso di beni immobili. Ne deriva che erroneamente l’Ufficio ha basato la presunzione circa l’esistenza di un maggior corrispettivo esclusivamente sull’elemento del valore dichiarato od accertato ai fini dell’imposta di registro. Né in alcuna guisa l’Ufficio stesso indica altri elementi gravi, precisi e concordanti che possano, unitamente al suddetto elemento, fondare la presunzione in parola. La decisione della CTR non si è quindi attenuta ai principi desumibili dalla norma richiamata ed enunciati da questa Corte e quindi va cassata. In definitiva, accolto il secondo motivo, assorbiti il primo e il terzo, la sentenza è cassata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto la sentenza può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384, 2° comma, cod. proc. civ., con l’accoglimento del ricorso introduttivo del contribuente.  In relazione alle spese processuali, quelle relative ai precedenti gradi vanno compensate fra le parti in relazione al fatto che la causa è decisa in base allo jus superveniens, mentre relativamente a quelle relative alla presente giudizio – introdotto quando ormai la norma era da tempo in vigore e nel frattempo l’orientamento della corte si è consolidato – vanno poste a carico della controricorrente soccombente”.

 Corte di Cassazione – Ordinanza 30 maggio 2022, n. 17354

sul ricorso iscritto al n. 22425/2016 R.G. proposto da:

A. N., rappresentato e difeso dall’Avvocato ACHILLE CIPULLO, elettivamente domiciliato in Roma, presso l’Avvocato Silvia Canali, alla via Montaione, 48, come da procura in calce alla comparsa di nuovo difensore del 6 settembre 2021

– ricorrente –

contro AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. 06363391001), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, e presso la stessa domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania – Napoli sez. 52, n. 2675-52-16, depositata in data 16 marzo 2016.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 marzo 2022 dal Consigliere Relatore

RILEVATO CHE

1. Al ricorrente N. A. veniva notificato il 4 maggio 2006 un avviso relativo al periodo di imposta 2001, con il quale veniva accertata una plusvalenza di Lire 58.391.000 conseguente alla cessione, unitamente ad altri comproprietari, di un terreno edificabile in agro di Recale, a favore della Cooperativa XXVI Aprile a r.l.

La prefata plusvalenza era assoggettata a tassazione separata con accertamento di maggior imposta per Lit. 20.904.000. Il contribuente, a seguito di accesso presso l’Ufficio, apprendeva che in effetti quest’ultimo aveva in precedenza emesso avviso di rettifica del valore di cessione da Lit. 443.200.000 a Lit. 978.400.000, atto notificato il 27/9/2001 a mani di D. A., nipote non convivente dell’A. ed allora neppur quattordicenne.

2. L’avviso di accertamento veniva dall’A. impugnato davanti alla CTP di Caserta per nullità dell’avviso di rettifica; errato calcolo della plusvalenza; difetto di motivazione in quanto la ridetta plusvalenza era stata calcolata non sulla base di un controllo effettivo ma solo sulla base del valore attribuito ai fini della determinazione dell’imposta di registro. A dimostrazione di tale ultimo motivo d’impugnazione veniva prodotto sia il verbale dell’assemblea dei soci della cooperativa acquirente, nel quale gli stessi conferivano mandato all’amministratore di stipulare l’acquisto ad un prezzo non superiore a Lit. 450.000.000; sia il bilancio della suddetta cooperativa per l’anno 2001, dal quale non emergeva alcun movimento finanziario per il presunto maggior esborso rispetto al prezzo risultante dal rogito d’acquisto stipulato il 26/1/2001. La CTP con sentenza n.4/1/2007 depositata il 16/1/2007 accoglieva il ricorso ritenendo che nel calcolo delle plusvalenze derivanti da vendita d’immobile non potesse tenersi conto di dati non omogenei quali, da un lato, il costo dell’immobile riportato in bilancio e dall’altro il prezzo di realizzo accertato mediante un elemento estraneo costituito dal valore concordato dagli acquirenti ai fini dell’imposta di registro.

3. La CTR della Campania, adita dall’Ufficio allegando il fatto che il valore del bene non era stato calcolato tramite una presunzione, ma sulla base di un accertamento con adesione del contribuente ai fini dell’imposta di registro, con sentenza in data 11/12/2008, n. 148/27/2008 dichiarava l’inammissibilità dell’appello con aggravio di spese, rilevando l’assenza di motivi specifici a sostegno del gravame, essendosi l’Ufficio limitato a ribadire i rilievi di cui all’avviso di accertamento ed alla costituzione in primo grado.

4. Avverso la prefata pronuncia l’Ufficio proponeva ricorso per cassazione evidenziando come l’indicazione dei motivi specifici di gravame non dovesse consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, richiedendosi invece solo un’esposizione chiara ed univoca della domanda rivolta al giudice d’appello e delle ragioni di doglianza.

Resisteva con controricorso l’A.

Con sentenza Cass. 10/10/2014, n. 21461 questa Corte accoglieva il ricorso per le ragioni addotte dall’Avvocatura erariale, osservando in particolare come nella specie “… a fronte della statuizione della CTP, secondo la quale l’Ufficio non poteva calcolare la plusvalenza in maniera automatica rispetto al prezzo concordato ai fini dell’imposta di registro, l’Agenzia, chiarendo le ragioni della domanda rivolta al Giudice del gravame (peraltro ben comprese da quest’ultimo, che infatti, sia pure ad abundantiam, si è espresso sulla domanda medesima) ed assolvendo in tal modo all’onere di specificazione dei motivi, ha dedotto che il prezzo preso a riferimento era quello derivante dall’accertamento con adesione e che sulla base di tale prezzo l’Amministrazione era legittimata a procedere in via presuntiva, restando a carico del contribuente l’onere di superare la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato rispetto al valore di mercato accertato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro”.

Veniva quindi cassata l’impugnata sentenza e rinviato per nuovo esame alla CTR Campania, in diversa composizione.

5. Con sentenza depositata il 31 marzo 2016, n. 2675-52-16, la CTR, valutando in sede di rinvio il motivo di gravame, ha ritenuto che l’Agenzia delle Entrate avesse legittimamente operato una presunzione di equivalenza tra valore venale concordato ai fini dell’imposta di registro e prezzo effettivamente incassato, peraltro non emergendo che il contribuente avesse offerto elementi tali da consentire di superare tale presunzione e dunque il fondamento dell’accertata plusvalenza.

In particolare la CTR richiamava la giurisprudenza di questa Corte, espressa da Cass. 01/10/2015 n.19622, a mente della quale “In tema di accertamento ai fini IRPEF delle plusvalenze realizzate a seguito di cessione di azienda, il valore dell’avviamento determinato in via definitiva ai fini dell’imposta di registro assume carattere vincolante per l’amministrazione. Ne segue che può legittimamente presumersi la corrispondenza di tale valore con il prezzo reale, spettando invece al contribuente la prova del diverso valore in applicazione di un minor coefficiente legale di calcolo, sempre che si tratti di dati rigorosamente dimostrativi e fondati su riscontri obiettivi”. Peraltro la CTR procedeva ad una riduzione della plusvalenza in relazione all’effettiva quota di comproprietà del terreno in capo al ricorrente (pari a 6/72).

6. L’A. proponeva ricorso per la cassazione dell’indicata sentenza della CTR, affidato a tre motivi. L’Agenzia ha depositato controricorso per resistere.

CONSIDERATO CHE

1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art.139, 2° comma, cod. proc. civ. e dell’art.148, 2° comma, cod. proc. civ., in riferimento all’art.360, 1° comma, nn. 1 e 3, cod. proc. civ.. In particolare si denuncia come la CTR avrebbe errato nel non rilevare la nullità della notifica dell’avviso di rettifica, essendo stata essa effettuata nei riguardi di un infra-quattordicenne, limitandosi il secondo giudice a rilevare l’efficacia della stessa fino a querela di falso.

Sotto tale ultimo aspetto l’attestazione contenuta nella relata e riferita al consegnatario di “persona atta a ricevere” non poteva ad avviso del ricorrente considerarsi munita di fede privilegiata attenendo essa al contenuto intrinseco della dichiarazione fatta all’ufficiale giudiziario, le cui risultanze sarebbero superabili con qualsiasi prova contraria (Cass. 12/03/2012, n.3906), e nella specie l’inidoneità del dichiarante (infra-quattordicenne e non convivente) era stata contestata e provata.

1.2. Con il secondo motivo del ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art.5, comma 3, del d.lgs 14/09/2005, n.147, sempre in riferimento all’art.360, num. 1 e 3, cod. proc. civ. In particolare si deduce come la disposizione richiamata dispone che “Gli articoli 58, 68, 85 e 86 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e gli articoli 5, 5-bis, 6 e 7 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non e’ presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347”.

Alla luce di tale norma, di natura interpretativa e dunque avente efficacia retroattiva, sarebbe ad avviso del ricorrente impossibile un accertamento fondato unicamente sulla differenza tra valore e corrispettivo, come invece ritenuto dalla CTR. Inoltre il giudice del rinvio avrebbe omesso l’esame di un fatto decisivo, non avendo tenuto conto dell’insussistenza di un accertamento con adesione relativamente all’imposta di registro, insussistenza espressamente eccepita dal ricorrente e rispetto alla quale alcun atto adesivo l’Ufficio aveva prodotto.

1.3. Con il terzo motivo del medesimo ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, 1° comma, nn. 1 e 5, cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo; ed inoltre violazione e falsa applicazione degli artt. 2729, cod. civ., in riferimento all’art.360, num.1 e 3, cod. proc. civ. Ritiene infatti il ricorrente che, a voler anche ammettere l’adesione all’accertamento del tributo indiretto, e laddove si volesse non tener conto dell’intervenuta vigenza del d.lgs n.147/2015, in ogni caso sarebbero stati forniti elementi atti a superare la presunzione affermata dall’Ufficio, e ciò tramite la produzione del bilancio della cooperativa acquirente, dal quale emergeva l’appostamento a riserva dell’incremento di valore accertato dall’Agenzia, con nota che evidenziava come la relativa differenza non era mai stata corrisposta, e su tale base asseriva parte ricorrente avere la CTR annullato l’analogo avviso di accertamento nei confronti di altro comproprietario del compendio ceduto, tale N. A. (del quondam M.),

2. L’Avvocatura dello Stato per conto della controricorrente Agenzia chiede il rigetto del ricorso, allegando anzitutto con riferimento al primo motivo che l’avviso di rettifica oggetto della notifica era entrato senz’altro nella sfera di conoscibilità dell’A. come dimostra il successivo atto di accertamento con adesione redatto a seguito di istanza della parte stessa. Con riguardo al secondo motivo allega ancora una volta la sufficienza del valore accertato ai fini dell’imposta di registro come ritenuto da “un consolidato orientamento di legittimità”, richiamando Cass. 31/07/2015, n.16254. Allega altresì l’Avvocatura come nei paralleli contenziosi instaurati da altri due venditori (M. e S.) i giudici si sarebbero espressi in un caso riducendo la plusvalenza proporzionalmente al valore definito per il terreno di 200.000 al mq, e nell’altro accogliendo l’appello proposto dall’Ufficio.

3. L’esame del secondo motivo è prioritario in quanto la sua definizione rende ultroneo quello degli altri in base al principio della ragione più liquida (con riferimento all’applicabilità di quest’ultimo al giudizio di legittimità da ultimo Cass. 21/05/2021 n.14039).

Il motivo è fondato.

Effettivamente con l’entrata in vigore del citato d. Igs. n. 147/15, ed in particolare dell’art.5, 30 comma, è stato stabilito che gli artt. 58, 68, 85 e 86 del testo unico delle imposte sui redditi, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro, ovvero ai fini delle imposte ipotecaria e catastale. Siffatta disposizione è di natura espressamente interpretativa e quindi applicabile anche alla presente fattispecie, essendo noto che la sentenza di rinvio ai sensi dell’art.383 cod. proc. civ. è vincolante quale enunciazione di una ratio di giudizio, per cui a differenza del sopraggiunto mutamento della giurisprudenza, sono rilevanti tanto le intervenute declaratorie d’illegittimità costituzionale che lo jus superveniens, come già affermato da questa Corte (Cass. 02/02/2015, n. 1995).

Vanno a questo punto richiamati i precedenti di questa Corte, la quale nel senso della sopra indicata portata della disposizione in esame ha avuto occasione di affermare che “Sulla scia della novella legislativa, la cui norma appena richiamata vale come interpretazione autentica della previgente disciplina, con efficacia retroattiva, dunque, questa Corte ha mutato orientamento e ha statuito che, ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi, l’art. 5 cit. esclude che l’Amministrazione possa ancora procedere a determinare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro” (Cass. 08/05/2019, n. 12131; in precedenza Cass. 9513/2018; inoltre Cass. n.19227/2017; Cass. n. 12265/2017; Cass. n. 6135/2016; Cass. n.11543/2016). Tenuto conto di ciò, va osservato come la presente fattispecie sia sussumibile nella disposizione sopra richiamata, posto che l’art.68 del d. P.R. 22/12/1986, n. 917 fa riferimento alle plusvalenze di cui alle lett. a) e b), comma 1, del precedente art.67, e che tale ultima disposizione, alla citata lett. a) concerne proprio le plusvalenze realizzate mediante cessioni a titolo oneroso di beni immobili. Ne deriva che erroneamente l’Ufficio ha basato la presunzione circa l’esistenza di un maggior corrispettivo esclusivamente sull’elemento del valore dichiarato od accertato ai fini dell’imposta di registro.

Né in alcuna guisa l’Ufficio stesso indica altri elementi gravi, precisi e concordanti che possano, unitamente al suddetto elemento, fondare la presunzione in parola. La decisione della CTR non si è quindi attenuta ai principi desumibili dalla norma richiamata ed enunciati da questa Corte e quindi va cassata.

4. In definitiva, accolto il secondo motivo, assorbiti il primo e il terzo, la sentenza è cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto la sentenza può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384, 2° comma, cod. proc. civ., con l’accoglimento del ricorso introduttivo del contribuente.

5. In relazione alle spese processuali, quelle relative ai precedenti gradi vanno compensate fra le parti in relazione al fatto che la causa è decisa in base allo jus superveniens, mentre relativamente a quelle relative alla presente giudizio – introdotto quando ormai la norma era da tempo in vigore e nel frattempo l’orientamento della corte si è consolidato – vanno poste a carico della controricorrente soccombente.

6. Nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, non sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non potendo tale norma trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass.n.1778 del 29/01/2016).

P. Q. M.

La Corte accoglie il ricorso per le ragioni di cui in motivazione e cassa la sentenza impugnata. Decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo del contribuente

Compensa le spese dei precedenti gradi di giudizio

Condanna la parte controricorrente a corrispondere al ricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in euro 6.000,00, a titolo di compenso, rimborso forfettario 15% ed esborsi per € 200,00. Così deciso in Roma, in data 23 marzo 2022.

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