CASSAZIONE LAVORO

Cessione d’azienda, il patto espresso esclude dai contratti la successione automatica del cessionario

Cessione di ramo d’azienda senza passaggio di crediti e debiti – Successione automatica nei contratti – Crediti relativi all’azienda ceduta

Saldo del corrispettivo relativo a contratto a prestazioni corrispettive concluso prima della cessione – Legittimazione attiva del cedente – Esclusione dell’art. 2558 c.c – Fatture

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15 del 3 gennaio 2020 torna a occuparsi della disciplina generale in tema di cessione d’azienda, per affermare in particolare che nel trasferimento di azienda sussiste anche l’ipotesi della regolazione con patto contrario alla successione universale nei debiti e crediti dell’azienda cedente, da parte della cessionaria.

Al fine di inquadrare la questione esaminata dalla Corte, occorre prendere le mosse dalla definizione codicistica di azienda quale “complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa” (art. 2555 c.c.). Limitandoci, per quanto qui interessa, alla sorte dei rapporti contrattuali inerenti l’azienda a seguito di vicende traslative della stessa, si deve innanzitutto richiamare l’art. 2558, primo comma c.c., ai sensi del quale “se non è diversamente pattuito, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale”. 

La norma intende evidentemente tutelare l’unità funzionale dell’azienda nelle sue vicende traslative, muovendo dalla constatazione che i soli beni aziendali cui si riferisce l’art. 2555 c.c. non sono di per sé sufficienti ad assicurare il funzionamento dell’azienda, che necessita anche di elementi ulteriori (quali ad es. i lavoratori, i fornitori, ecc.). Il legislatore si preoccupa, quindi, di prevedere che il trasferimento dell’azienda non ne pregiudichi la composizione, consentendo così all’acquirente di assicurarsi tutti gli elementi necessari all’esercizio dell’impresa.

Tale disciplina, anche in ragione delle finalità che la ispirano, si discosta da quella di diritto comune in materia di cessione del contratto sotto due diversi profili.

In primis, mentre, ai sensi dell’art. 1406 c.c., la cessione del contratto richiede il consenso della controparte, tutelandosi così l’interesse a non subire, senza il proprio consenso, la sostituzione della originaria controparte contrattuale; al contrario, in caso di trasferimento d’azienda, il consenso della controparte non è necessario e l’effetto del subentro dell’acquirente dell’azienda nel contratto si produce dal momento in cui il trasferimento dell’azienda è efficace.  A tutela del contraente ceduto l’art. 2558, secondo comma c.c. stabilisce che “il terzo può tuttavia recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità dell’alienante”.

In secondo luogo, la successione dell’acquirente nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda è un effetto automatico del trasferimento – come peraltro statuito dalla Cassazione con la pronunzia  n. 7652/2007 – che prescinde, quindi, da qualunque ulteriore manifestazione di volontà delle parti rispetto al consenso al trasferimento dell’azienda (nei modi e nelle forme richieste dalla legge), potendo la volontà delle parti rilevare solo al fine di escludere tale subentro. In altre parole, in caso di trasferimento di azienda non solo non è richiesto il consenso del contraente ceduto ai fini del subentro del cessionario nella posizione contrattuale del cedente, ma la successione si verifica automaticamente e ipso iure con riferimento a tutti i contratti inerenti l’esercizio dell’azienda, anche ove cedente e cessionario non abbiano espressamente convenuto il subentro e addirittura anche in relazione a quei contratti di cui il cessionario ignorasse l’esistenza. La diversità della disciplina in esame rispetto a quella della cessione del contratto ha indotto a ritenere che la cessione d’azienda, e il subentro nei rapporti contrattuali che ne consegue, siano fenomeno strutturalmente diverso da quello sotteso alla cessione del contratto (che è riconducibile a una precisa volontà delle parti), e assimilabile piuttosto a un’ipotesi di successione ex lege, con la conseguente inapplicabilità delle disposizioni in materia di cessione del contratto.

Quanto all’ambito di applicazione di tale disciplina è ormai opinione consolidata che la disposizione dell’art. 2558, primo comma c.c. si applichi solamente ai contratti a prestazioni corrispettive che non siano ancora interamente eseguite da nessuna delle due parti. Si osserva, infatti, che, ove una delle parti abbia già interamente dato esecuzione al contratto, e quindi solamente una delle due prestazioni resti ancora ineseguita, si sarebbe in presenza di un credito (nel caso in cui il cedente abbia già eseguito la propria prestazione e resti ancora da eseguire quella della controparte) o di un debito (nel caso in cui, invece, sia la controparte ad aver già eseguito la propria prestazione, rimanendo da eseguire solo la prestazione del cedente): in tali ipotesi trova applicazione la diversa disciplina di cui agli artt. 2559 e 2560 c.c.

Sono invece espressamente esclusi dall’ambito di applicazione del citato art. 2558, primo comma, c.c. i contratti aventi carattere personale, che possono quindi essere ceduti all’acquirente dell’azienda secondo la disciplina della cessione del contratto: saranno quindi necessari una specifica pattuizione fra cedente e cessionario nonché il consenso del terzo. La disposizione dell’art. 2558, primo comma, infatti, è senz’altro derogabile trattandosi di norma suppletiva, finalizzata a integrare la volontà delle parti sull’assunto che il cessionario intenda acquisire, oltre ai beni aziendali, anche i rapporti contrattuali necessari per l’esercizio dell’azienda: il subentro è dunque effetto naturale del trasferimento dell’azienda, ma non necessario. D’altronde lo stesso tenore letterale della disposizione, facendo salvo il patto contrario, consente inequivocabilmente a cedente e cessionario di escludere il subentro automatico con riferimento a taluni contratti.  La dottrina ha altresì individuato i limiti entro i quali le parti possano escludere la successione in taluni rapporti contrattuali, senza con ciò snaturare l’oggetto del trasferimento al punto da non poterlo più qualificare come azienda. Al fine di illustrare tali limiti si deve però dar conto della distinzione proposta in dottrina fra c.d. contratti aziendali, ovvero quelli che hanno per oggetto il godimento da parte dell’imprenditore di beni aziendali non suoi (come ad es. i contratti per la locazione dei locali nei quali l’azienda è esercitata), e c.d. contratti d’impresa, ossia quei contratti che attengono all’organizzazione dell’impresa stessa (come i contratti con i fornitori, i contratti di assicurazione, i contratti di appalto e simili).

Fermo restando che, come confermato da un consolidato orientamento giurisprudenziale (si veda in proposito Cass., n. 7517/2010; Cass. n. 27011/2005; Cass. n. 13651/2004; Cass. n. 3045/2002; Cass. n. 5495/2001.), la regola dell’art. 2558, primo comma c.c. trova applicazione indistintamente a entrambe le categorie di contratti, si ritiene in dottrina che affinché la fattispecie possa integrare un trasferimento d’azienda e non un trasferimento di singoli beni aziendali, le parti – pur avendo piena libertà quanto all’esclusione dei contratti d’impresa – non possono invece convenzionalmente escludere il subentro del cessionario nei contratti aziendali che debbano ritenersi essenziali per il funzionamento del complesso aziendale.

Tanto premesso, e ritornando al caso di specie, la vicenda prendeva le mosse da un contenzioso nato da un decreto ingiuntivo emesso per una fattura non saldata e scaturito, infine, col ricorso in Cassazione. La società lamentava essenzialmente che  il giudice del gravame aveva sbagliato nella valutazione del credito richiesto perché sorto successivamente alla cessione d’azienda e non già in precedenza, regolato dalla disciplina relativa alla cessione d’azienda. I Supremi Giudici hanno ritenuto valide le ragioni della difesa e hanno così stabilito che: “… È preliminare rilevare che l’applicazione della disciplina generale in tema di cessione d’azienda prevede la successione automatica del cessionario d’azienda in tutti i contratti stipulati dal cedente per l’esercizio della stessa, con la sola espressa eccezione di quelli aventi carattere personale, di quelli aventi ad oggetto prestazioni già concluse o esaurite e di quelli rispetto ai quali le parti abbiano, con espressa pattuizione, escluso che si verifichi l’effetto successorio. Il tutto si produce di diritto, con riguardo in blocco a tutti i rapporti contrattuali inerenti l’azienda ceduta, come effetto naturale della fattispecie traslativa d’azienda. A differenza della ipotesi generale della cessione del contratto ex art. 1406 c.c., la cessione d’azienda prescinde del tutto dalla volontà, espressa o tacita, delle parti stipulanti e neppure richiede, per il suo perfezionamento, il consenso del contraente ceduto.  Il che evidentemente risponde all’intenzione del legislatore di realizzare, con tale meccanismo, l’interesse di carattere generale di favorire la circolazione di complessi aziendali completi ed efficienti. Interesse che rischierebbe di rimanere frustrato se si ritenesse necessaria, ai fini del prodursi del fenomeno successorio, un’accettazione espressa dei contratti e delle pattuizioni per la cui validità è richiesta la forma scritta (Cass. 28 marzo 2007 n. 7652).  L’art. 2558 c.c., dunque, che disciplina tutti i casi di trasferimento di azienda, prevede, salvo patto contrario, una cessione automatica o “ipso iure” dei rapporti contrattuali a prestazioni corrispettive, che non abbiano carattere personale, che ineriscano all’esercizio dell’azienda e non siano ancora esauriti. (Cass. 8 giugno 1994 n. 5534). Nella specie, non è controverso che si tratti di contratto a prestazioni corrispettive, l’unica circostanza dibattuta attiene alla questione dell’esaurimento o meno degli effetti del contratto de quo in epoca precedente alla cessione del ramo d’azienda ovvero la esistenza di un patto contrario alla vicenda successoria. Al riguardo è determinante rilevare che i lavori di realizzazione della copertura presso la scuola materna erano stati conclusi alla data del 21 gennaio 2010, ed era intervenuta la cessione d’azienda solo nel successivo 11 marzo 2010. Essendo dunque posteriore la vicenda traslativa ed essendosi i lavori conclusi precedentemente alla stessa, il contratto deve ritenersi che abbia esaurito i suoi effetti alla data del 21 gennaio 2010. Peraltro, l’art. 2558 c.c. dispone con norma suppletiva, che nel caso di trasferimento dell’azienda, unitamente ai beni che la costituiscono, si trasferiscono i contratti a prestazioni corrispettive non ancora completamente eseguiti che non abbiano carattere personale e stipulati per l’esercizio di essa, oltre alla specifica ipotesi che non sia intervenuto un “patto contrario” (Cass. 7 dicembre 2005 n. 27011). Nella vicenda controversa emerge che le parti, con la scrittura privata autenticata dal Notaio B. in Torino, in data 11 marzo 2010, avevano previsto che la D.C. s.r.l. cedeva alla D.C.G. s.r.l. un ramo d’azienda, “senza alcun passaggio di debiti o crediti”.  Sussiste, dunque, anche l’ipotesi della regolazione con patto contrario alla successione universale nei debiti e crediti dell’azienda cedente, da parte della cessionaria. Alla luce di siffatti principi, va dunque esclusa l’applicabilità al caso di specie dell’art. 2558 c.c., erroneamente evocato dal giudice; con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. quale errata interpretazione, da parte del Tribunale, del contratto di subappalto. La censura rimane assorbita dall’accoglimento del primo mezzo per pregiudizialità logica. Conclusivamente, va accolto il primo di ricorso, assorbito il secondo”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 3 gennaio 2020, n. 15

Sul ricorso iscritto al n. 17091/2015 R.G. proposto da:

D. s.r.I., in persona dell’Amministratore Unico sig. Ravera Antonio, rappresentata e difesa dall’Avv. Marco Zidarich, con domicilio eletto in Torino, via Brofferio n. 1;

– ricorrente –

contro E. M. V.T. s.r.I., in persona del legale rappresentante pro tempore L. M.;

– intimata –

avverso la sentenza resa dal Tribunale di Torino – in funzione di giudice di Appello – n. 8322/2014 depositata il 23 dicembre 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 aprile 2019 dal Consigliere Milena Falaschi. 

Osserva in fatto e in diritto

Ritenuto che

– Il Giudice di Pace di Torino, sull’opposizione proposta da E.M.V.T. s.r.l. avverso il decreto n. 11997/2012, ingiunto dalla ricorrente D.C. s.r.l. per il pagamento della somma di Euro 3.200,00, a titolo di saldo del corrispettivo per l’esecuzione di lavori di realizzazione della copertura presso la “Scuola Materna e salone polivalente” in Caselle (TO) di cui alla fattura n. 11 del 15 febbraio 2011, con sentenza n. 1086/2013, in accoglimento dell’eccezione di carenza di legittimazione attiva della D.C. s.r.l. in liquidazione, revocava il decreto ingiuntivo opposto e condannava l’opposta al rimborso delle spese processuali, alla luce della scrittura privata autenticata dell’11 marzo 2011, con la quale la D.C. s.r.l. aveva ceduto alla D.C.G. s.r.l. un ramo d’azienda, seppure “senza alcun passaggio di debiti o crediti”;

– in virtù di rituale appello interposto dalla D.C. s.r.l., il Tribunale di Torino (in funzione di giudice di appello) con sentenza n. 8322/2014, rigettava il gravame e condannava la parte appellante a rimborsare le spese processuali del giudizio;

– per la cassazione del provvedimento del Tribunale di Torino ricorre la D.C. s.r.l. sulla base di due motivi, illustrati anche da memoria.

Atteso che:

– con il primo motivo la società ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1173, 1184, 1185, 2558 e 2559 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere il giudice del gravame errato nel ritenere il credito per cui è causa, seppure sorto successivamente alla cessione d’azienda e non già in precedenza rispetto a detto atto, regolato dalla disciplina relativa alla cessione d’azienda.

La censura è fondata.

È preliminare rilevare che l’applicazione della disciplina generale in tema di cessione d’azienda prevede la successione automatica del cessionario d’azienda in tutti i contratti stipulati dal cedente per l’esercizio della stessa, con la sola espressa eccezione di quelli aventi carattere personale, di quelli aventi ad oggetto prestazioni già concluse o esaurite e di quelli rispetto ai quali le parti abbiano, con espressa pattuizione, escluso che si verifichi l’effetto successorio.

Il tutto si produce di diritto, con riguardo in blocco a tutti i rapporti contrattuali inerenti l’azienda ceduta, come effetto naturale della fattispecie traslativa d’azienda.

A differenza della ipotesi generale della cessione del contratto ex art. 1406 c.c., la cessione d’azienda prescinde del tutto dalla volontà, espressa o tacita, delle parti stipulanti e neppure richiede, per il suo perfezionamento, il consenso del contraente ceduto.

Il che evidentemente risponde all’intenzione del legislatore di realizzare, con tale meccanismo, l’interesse di carattere generale di favorire la circolazione di complessi aziendali completi ed efficienti. Interesse che rischierebbe di rimanere frustrato se si ritenesse necessaria, ai fini del prodursi del fenomeno successorio, un’accettazione espressa dei contratti e delle pattuizioni per la cui validità è richiesta la forma scritta (Cass. 28 marzo 2007 n. 7652).

L’art. 2558 c.c., dunque, che disciplina tutti i casi di trasferimento di azienda, prevede, salvo patto contrario, una cessione automatica o “ipso iure” dei rapporti contrattuali a prestazioni corrispettive, che non abbiano carattere personale, che ineriscano all’esercizio dell’azienda e non siano ancora esauriti. (Cass. 8 giugno 1994 n. 5534).

Nella specie, non è controverso che si tratti di contratto a prestazioni corrispettive, l’unica circostanza dibattuta attiene alla questione dell’esaurimento o meno degli effetti del contratto de quo in epoca precedente alla cessione del ramo d’azienda ovvero la esistenza di un patto contrario alla vicenda successoria.

Al riguardo è determinante rilevare che i lavori di realizzazione della copertura presso la scuola materna erano stati conclusi alla data del 21 gennaio 2010, ed era intervenuta la cessione d’azienda solo nel successivo 11 marzo 2010.

Essendo dunque posteriore la vicenda traslativa ed essendosi i lavori conclusi precedentemente alla stessa, il contratto deve ritenersi che abbia esaurito i suoi effetti alla data del 21 gennaio 2010.

Peraltro, l’art. 2558 c.c. dispone con norma suppletiva, che nel caso di trasferimento dell’azienda, unitamente ai beni che la costituiscono, si trasferiscono i contratti a prestazioni corrispettive non ancora completamente eseguiti che non abbiano carattere personale e stipulati per l’esercizio di essa, oltre alla specifica ipotesi che non sia intervenuto un “patto contrario” (Cass. 7 dicembre 2005 n. 27011).

Nella vicenda controversa emerge che le parti, con la scrittura privata autenticata dal Notaio B. in Torino, in data 11 marzo 2010, avevano previsto che la D.C. s.r.l. cedeva alla D.C.G. s.r.l. un ramo d’azienda, “senza alcun passaggio di debiti o crediti”.

Sussiste, dunque, anche l’ipotesi della regolazione con patto contrario alla successione universale nei debiti e crediti dell’azienda cedente, da parte della cessionaria.

Alla luce di siffatti principi, va dunque esclusa l’applicabilità al caso di specie dell’art. 2558 c.c., erroneamente evocato dal giudice;

– con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. quale errata interpretazione, da parte del Tribunale, del contratto di subappalto.

La censura rimane assorbita dall’accoglimento del primo mezzo per pregiudizialità logica.

Conclusivamente, va accolto il primo di ricorso, assorbito il secondo.

La sentenza impugnata va cassata, con rinvio al Tribunale di Torino, in persona di diverso magistrato, che procederà all’esame della controversia alla luce dei principi sopra illustrati.

Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità, a norma dell’art. 385, ult. P., c.p.c.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Torino in persona di diverso magistrato.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile

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