certamento induttivo, l’Agenzia deve provvedere alla ricostruzione dei costi
Tributi – Imposte sui redditi – Associazione culturale – Omessa dichiarazione dei redditi – Accertamento natura commerciale – Determinazione reddito d’impresa – Ricostruzione dei ricavi – Costi deducibili – Documentazione di prova – Lesione del parametro costituzionale della capacità contributiva
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 9784 del 14 aprile 2021, torna a occuparsi delle presunzioni “super semplici”, affermando che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di omessa dichiarazione, l’Amministrazione finanziaria per accertare ricavi non dichiarati può utilizzare le presunzioni cosiddette super semplici. Ma, proseguono gli Ermellini, è ben chiaro che nella definizione del maggior reddito d’impresa si devono comunque determinare, sia pure induttivamente e in misura forfetaria, i costi non annotati nelle scritture contabili relativi ai maggiori ricavi accertati, pena la lesione del parametro costituzionale della capacità contributiva.
Il punto focale, sottolineato dalla Corte di legittimità, riguarda la lesione del parametro costituzionale della capacità contributiva stabilito dall’art. 53 della Costituzione italiana in rapporto all’obbligo rivolto a tutti di concorrenza alla spesa pubblica. In ragione di tale principio deve essere distribuito dal legislatore il carico fiscale gravante su tutti i cittadini.
Il rapporto posto dalle garanzie costituzionali fondamentali e il concorso alla spesa pubblica rendono preciso il limite legislativo della pressione tributaria. Questa diviene illegittima se sacrifica le garanzie fondamentali, le quali sono articolate dalla Costituzione e pertanto anche la violazione di una di esse rende illegittima la pressione tributaria che ha determinato, come peraltro già dichiarato anche dalla recente ordinanza n. 2581 del 4 febbraio 2021, nella quale si affermava che: “può ricorrere a presunzioni cd. supersemplici, anche prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, che comportano l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, ma deve, comunque, determinare, sia pure induttivamente, i costi relativi ai maggiori ricavi accertati, pena la lesione del parametro costituzionale della capacità contributiva, senza che possano operare le limitazioni previste dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 75 (ora articolo 109), in tema di accertamento dei costi, disciplinando tale norma la diversa ipotesi in cui una dichiarazione dei redditi, ancorché infedele, sia comunque sussistente (cfr. Cass. V, n. 1506/2017, Cass 13119/2019, n.19192/2019 e n.1506/2017 ma già anche Cass. V, n. 3995/09)”.
Nella vasta produzione giurisprudenziale sull’argomento appare opportuno citare anche quanto asserito con l’ordinanza n. 13119, depositata il 30 giugno 2020, che ribadiva il seguente principio: “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di omessa dichiarazione da parte del contribuente, l’Amministrazione finanziaria, i cui poteri trovano fondamento non già nell’art. 38 (accertamento sintetico) o nell’art. 39 (accertamento induttivo), bensì nell’art. 41 del d.P.R. n. 600 del 1973 (cd. accertamento d’ufficio), può ricorrere a presunzioni cd. super semplici, anche prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, che comportano l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, ma deve, comunque, determinare, sia pure induttivamente, i costi relativi ai maggiori ricavi accertati, pena la lesione del parametro costituzionale della capacità contributiva, senza che possano operare le limitazioni previste dall’art. 75 (ora 109) del d.P.R. n. 917 del 1986”.
La Suprema Corte ha dunque confermato che in tal caso non operano le limitazioni stabilite dalle norme generali sui componenti del reddito d’impresa (art. 109 del TUIR), applicabili in sede di accertamento dei costi nella diversa ipotesi in cui una dichiarazione dei redditi, ancorché infedele, sia comunque sussistente.
Lo stesso principio di valorizzazione dei costi, precisano i giudici, si applica anche nelle ipotesi di accertamento induttivo “puro” (art. 39, DPR n. 600/1973), nelle quali l’ufficio ricorre a presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. A tal fine devono essere considerati i componenti negativi collegati allo svolgimento dell’attività, perché altrimenti si assoggetterebbe a imposta il profitto lordo, anziché quello netto, in violazione del principio di capacità contributiva sancito dalla Costituzione (art. 53). In altri termini, nel caso di verifiche diverse da quelle analitiche, ed ai fini della ricostruzione del reddito, i costi non registrati devono essere riconosciuti anche nel caso in cui non siano stati annotati nelle scritture contabili e anche quando sia stata omessa la dichiarazione dei redditi.
Il reddito imponibile ai fini delle imposte dirette non è tout court parificabile ai ricavi, ma è la “risultante algebrica di costi e ricavi”: pertanto, l’imposta va applicata sull’utile netto, ossia portando in deduzione i costi non registrati, sia pure forfetariamente stabiliti.
Tanto premesso, a parere del Collegio di legittimità, in riferimento all’accertamento globalmente induttivo del reddito d’impresa, vale sempre la regola che il Fisco deve ricostruire il reddito, tenendo conto anche delle componenti negative emerse dagli accertamenti compiuti ovvero, in difetto, determinandole induttivamente e/o presuntivamente al fine di evitare che, in contrasto con il principio della capacità contributiva, venga sottoposto a tassazione il profitto lordo, anziché quello netto (Cass. VI-5, n. 26748/2018; Cass. V, n. 23314/2013; Cass. V, n. 13119/ 2020; conf. Circ. AdE, n. 9/E/2015, par.2).
A tal proposito, la Suprema Corte ha anche sottolineato che tale assunto “… ben si raccorda con le stesse indicazioni di prassi del fisco, secondo cui, in queste fattispecie, “l’ufficio non può non tener conto, (…), di un’incidenza percentuale di costi presunti a fronte dei (…) ricavi accertati (…)” e “il riconoscimento di costi deve essere livellato – anche in misura percentualistica – in ragione dei… ricavi accertati…” (Circ. AdE, n. 32/E/2006)”.
Inoltre, la citata pronunzia n. 258/20211 della Corte di Cassazione evidenziava che il citato principio trovava ulteriore conforto anche sul piano delle fonti internazionali, con l’articolo 7 (§3) del Modello OCSE e con l’articolo 7 (§3) della Convenzione Italia-Egitto, laddove si precisa che nella determinazione del reddito della stabile organizzazione vanno considerati anche gli oneri per gli scopi perseguiti (es. direzione, spese generali), e con il Comm. OCSE, sub articolo 7 (§ 15), laddove si effettuano talune esemplificazioni estimative.
In breve, i Giudici di legittimità hanno concluso che dei costi si deve tenere conto anche quando il reddito viene accertato con il metodo induttivo puro o, comunque, in conseguenza della mancata presentazione delle dichiarazioni dei redditi, in entrambi i casi utilizzandosi le presunzioni super semplici. Tale principio ermeneutico era stato ribadito successivamente dalla Suprema Corte con l’ordinanza n.28322 del 5 novembre 2019, secondo cui “… l’Amministrazione finanziarla deve riconoscere una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi di produzione soltanto in caso di accertamento induttivo “puro” Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, ex articolo 39, comma 2, mentre in caso di accertamento analitico o analitico presuntivo (…) è il contribuente ad avere l’onere di provare l’esistenza di costi deducibili, afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l’Ufficio possa, e debba, procedere al loro riconoscimento forfettario” ( vedi in tal senso anche Cass. n. 22868 del 2017; v Cass. n. 9888 del 2017; Cass. n. 34209 del 201, Cass. n. 230 del 2020). Tale consolidato orientamento è stato anche evidenziato dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 13119 del 30 giugno 2020.
Alla luce del principio di diritto enucleato dalle recenti pronunce giurisprudenziali in materia di deducibilità di costi presunti, è possibile ritenere che la giurisprudenza di legittimità si sia assestata nel ritenere che l’accertamento induttivo dei maggiori ricavi non contabilizzati presuppone l’esistenza necessaria di costi deducibili da determinarsi anche induttivamente. Dunque, se risulta pacifico che in merito al recupero a tassazione dei maggiori ricavi non dichiarati dal contribuente, la giurisprudenza di legittimità è oramai tollerante nel riconoscere i costi correlati a tali ricavi, con la conseguente deduzione degli stessi in ragione del principio della capacità contributiva, in ipotesi di accertamento analitico o analitico-induttivo, lo stesso organo giurisdizionale afferma in maniera altrettanto costante che è il contribuente ad avere l’onere di provare l’esistenza di costi deducibili, afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l’ufficio possa – o debba – procedere al loro riconoscimento forfetario, dovendosi riconoscere una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi di produzione soltanto in caso di accertamento induttivo puro ex articolo 39, comma 2, DPR 600/1973.
In definitiva, quindi, devono essere dedotti i costi correlati ai maggiori ricavi con la differenza che, in ipotesi di accertamento induttivo, questi devono essere riconosciuti de plano in misura forfetaria, mentre in caso di accertamento analitico o analitico-induttivo, il contribuente deve dimostrare, con onere probatorio a suo carico, l’esistenza dei presupposti per la deducibilità degli stessi.
Tutto ciò premesso, la controversia riguarda l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate, a seguito della qualificazione della natura commerciale dell’attività svolta da un’Associazione culturale, ha determinato il reddito d’impresa ricostruendo induttivamente i ricavi in considerazione dell’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi.
I giudici tributari hanno in parte accolto il ricorso della contribuente, riconoscendo in deduzione i costi documentati. L’Amministrazione finanziaria, attraverso l’Avvocatura erariale, ha impugnato la decisione sul rilievo con due motivi, denunciando essenzialmente la violazione e falsa applicazione dell’art. 109, DPR 917/1986 e del principio dell’onere della prova ex art 2697 cc in relazione all’art 360, comma 1, n. 3, cpc, argomentando che la CTR avrebbe disatteso i principi giurisprudenziali secondo i quali i costi devono essere provati nella loro certezza, determinazione e inerenza dal contribuente.
La Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso dell’Amministrazione finanziaria e confermando la decisione dei giudici tributari, ha voluto ricordare che: “… La giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che «In tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di omessa dichiarazione da parte del contribuente, l’Amministrazione finanziaria, i cui poteri trovano fondamento non già nell’art. 38 (accertamento sintetico) o nell’art. 39 (accertamento induttivo), bensì nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 (cd. accertamento d’ufficio), può ricorrere a presunzioni cd. supersemplici, anche prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, che comportano l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, ma deve, comunque, determinare, sia pure induttivamente, i costi relativi ai maggiori ricavi accertati, pena la lesione del parametro costituzionale della capacità contributiva, senza che possano operare le limitazioni previste dall’art. 75 (ora 109) del D.P.R. n. 917 del 1986, in tema di accertamento dei costi, disciplinando tale norma la diversa ipotesi in cui una dichiarazione dei redditi, ancorché infedele, sia comunque sussistente” (cfr. Cass 13119/2019, 19192/2019 e 1506/2017).
Lo stesso principio di valorizzazione dei costi si applica anche alle ipotesi di accertamento induttivo “puro”, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, quando trovano applicazione le presunzioni prive dei requisiti di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d (cfr. Cass. Nr 26748/2018). Per questa Corte, infatti, devono essere considerati i componenti negativi collegati allo svolgimento dell’attività, perché altrimenti si assoggetterebbe ad imposta il profitto lordo, anziché quello netto, in violazione dell’art. 53 Cost. Viene, dunque, ribadito il principio per cui, nel caso di verifiche diverse da quelle analitiche, ed ai fini della ricostruzione del reddito, i costi non registrati devono essere riconosciuti anche nel caso in cui non siano stati annotati nelle scritture contabili ed anche quando sia stata omessa la dichiarazione dei redditi. Va, dunque, applicata l’imposta sull’utile netto, ossia portando in deduzione i costi non registrati, sia pure forfetariamente stabiliti. In effetti, nel caso di specie, l’ufficio impositore, pur sollecitato dall’organo investigativo ad una verifica circa l’esistenza di costi e/o spese deducibili, ha identificato il reddito imponibile a fini di II.DD. con i ricavi presunti incorrendo in un evidente salto logico, discendente dalla omessa considerazione che reddito imponibile ai fini delle imposte dirette non è tout court parificabile ai ricavi ma, ben diversamente, è la “risultante algebrica di costi e ricavi”.
Non è d’altro canto corretto il riferimento contenuto nel motivo di censura ai principi dell’onere della prova e alla disciplina contenuta nell’art. 109 Tuir applicabili nella diversa ipotesi, rispetto a quella oggetto della presente controversia, di una dichiarazione dei redditi, in cui una dichiarazione, ancorché infedele, sia comunque sussistente. La CTR, dunque, nel computare, ai fini della determinazione del reddito netto, anche i costi determinandoli sulla base della documentazione fornita dal contribuente ha fatto buon governo dei principi giurisprudenziali sopra passati in rassegna. Ne consegue il rigetto del ricorso”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 14 aprile 2021, n. 9784
sul ricorso 30594-2019 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE 06363391001, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;
– ricorrente –
contro ASSOCIAZIONE CULTURALE “S.” in (persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO, 24, presso lo studio dell’avvocato UBALDO CIPOLLONE, rappresentata e difesa dall’avvocato RENZO COLANTONIO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 9/2/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO di BOLZANO, depositata l’ 11/03/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 23/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. COSMO CROLLA
Considerato in fatto
1. L’Associazione culturale non riconosciuta “S.” proponeva ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Bolzano avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate, all’esito di verifiche effettuate dalla Guardia di Finanza, riconosciuta la natura commerciale dell’attività esercitata dall’ente, le contestava un reddito non dichiarato di € 145.163,87 per l’anno di imposta 2010 con recupero dell’Ires e dell’Irap non versati.
2. La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso rideterminando il reddito in € 15.030,84 tenendo conto dei costi documentati dalla contribuente.
3. La sentenza veniva impugnata dall’Agenzia Entrate e la Commissione Regionale Tributaria della Regione Trentino Alto-Adige accoglieva parzialmente l’appello innalzando il reddito imponibile, in conseguenza della non inclusione del novero dei costi della voce dei fitti passivi, per un importo di € 6.578,00. I giudici di seconde cure ritenevano utilizzabile la documentazione prodotta in giudizio dalla contribuente non applicandosi l’art. 32 comma 4 dPR 600/1973, e confermavano l’esistenza e la rilevanza dei costi portati in diminuzione del reddito desumibili dalla “copiosa” produzione documentale.
4. Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate – Riscossioni ha proposto ricorso per Cassazione sulla scorta due motivi. L’Associazione si è costituita depositando controricorso.
5. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio.
Ritenuto in diritto
1. Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt 32 e 33 dPR nr 600/73, in relazione all’art. 360 1° comma nr 3 cpc; si sostiene che la CTR non avrebbe potuto esaminare la documentazione prodotta in giudizio dalla contribuente non avendo la stessa ottemperato alla richiesta di esibizione di dati, notizie e documenti previsto dall’art. 32 dPR citato
1.1. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 109 dPR 917/1986 e del principio dell’onere della prova ex art 2697 cc in relazione all’art 360 1° comma nr. 3 cpc; si argomenta che la CTR avrebbe disatteso i principi giurisprudenziali secondo i quali i costi devono essere provati nella loro certezza, determinazione ed inerenza dal contribuente.
2. Il primo motivo è infondato.
2.1 Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale <<In tema di accertamento fiscale, l’invito da parte dell’Amministrazione finanziaria, previsto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32,comma 4, a fornire dati, notizie e chiarimenti, assolve alla funzione di assicurare – in rispondenza ai canoni di lealtà, correttezza e collaborazione propri degli obblighi di solidarietà della materia tributaria – un dialogo preventivo tra fisco e contribuente per favorire la definizione delle reciproche posizioni, sì da evitare l’instaurazione del contenzioso giudiziario, rimanendo legittimamente sanzionata l’omessa o intempestiva risposta con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa. Tale inutilizzabilità consegue automaticamente all’inottemperanza all’invito, non è soggetta alla eccezione di parte e può essere rilevata d’ufficio in ogni stato e grado di giudizio. Il contribuente può conseguire una deroga all’inutilizzabilità solo ove ricorrano le condizioni di cui al D.P.R. 29 settembre, n. 600, art. 32, comma 5” (cfr. tra le tante Sez. 5, n. 5734 del 2016).
2.2. Il principio sopra enunciato trova applicazione se la richiesta di notizie dati e documentazione proviene dagli Uffici delle imposte e non, come pacificamente avvenuto nella fattispecie in esame, quando il tentativo di interlocuzione sia avvenuto ad iniziativa della Guardia di Finanza nell’esercizio dei propri poteri investigativi previsti dall’art. 33 dPR 600/73.
2.3 A favore di tale interpretazione milita la formulazione letterale dell’art.32 comma 4 dPR a tenore del quale «le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di ciò l’ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta>>.
2.4 La disciplina della sanzione del contribuente per omesso riscontro alle richieste dell’Ufficio non viene contemplata nell’art 33 dPR cit che ha ad oggetto l’esercizio poteri di indagine della Guardia Finanzia né tale disposizione contiene un espresso richiamo all’art. 32 4° comma dPR cit. 3 n secondo motivo è, parimenti, infondato.
3.1 E’ pacifico che la ripresa fiscale Irpef ed Irap si riferisce ad un reddito non dichiarato e, quindi, oggetto di accertamento d’ufficio ex art. 41 1° comma dPR 600/73.
3.2 La giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che «In tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di omessa dichiarazione da parte del contribuente, l’Amministrazione finanziaria, i cui poteri trovano fondamento non già nell’art. 38 (accertamento sintetico) o nell’art. 39 (accertamento induttivo), bensì nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 (cd. accertamento d’ufficio), può ricorrere a presunzioni cd. supersemplici, anche prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, che comportano l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, ma deve, comunque, determinare, sia pure induttivamente, i costi relativi ai maggiori ricavi accertati, pena la lesione del parametro costituzionale della capacità contributiva, senza che possano operare le limitazioni previste dall’art. 75 (ora 109) del D.P.R. n. 917 del 1986, in tema di accertamento dei costi, disciplinando tale norma la diversa ipotesi in cui una dichiarazione dei redditi, ancorché infedele, sia comunque sussistente>>.(cfr. Cass 13119/2019, 19192/2019 e 1506/2017) .
3.3 Lo stesso principio di valorizzazione dei costi si applica anche alle ipotesi di accertamento induttivo “puro”, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, quando trovano applicazione le presunzioni prive dei requisiti di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d (cfr. Cass. Nr 26748/2018).
3.4 Per questa Corte, infatti, devono essere considerati i componenti negativi collegati allo svolgimento dell’attività, perché altrimenti si assoggetterebbe ad imposta il profitto lordo, anziché quello netto, in violazione dell’art. 53 Cost.
Viene, dunque, ribadito il principio per cui, nel caso di verifiche diverse da quelle analitiche, ed ai fini della ricostruzione del reddito, i costi non registrati devono essere riconosciuti anche nel caso in cui non siano stati annotati nelle scritture contabili ed anche quando sia stata omessa la dichiarazione dei redditi.
Va, dunque, applicata l’imposta sull’utile netto, ossia portando in deduzione i costi non registrati, sia pure forfetariamente stabiliti.
3.5 In effetti, nel caso di specie, l’ufficio impositore, pur sollecitato dall’organo investigativo ad una verifica circa l’esistenza di costi e/o spese deducibili, ha identificato il reddito imponibile a fini di II.DD. con i ricavi presunti incorrendo in un evidente salto logico, discendente dalla omessa considerazione che reddito imponibile ai fini delle imposte dirette non è tout court parificabile ai ricavi ma, ben diversamente, è la “risultante algebrica di costi e ricavi”.
3.6 Non è d’altro canto corretto il riferimento contenuto nel motivo di censura ai principi dell’onere della prova e alla disciplina contenuta nell’art. 109 Tuir applicabili nella diversa ipotesi, rispetto a quella oggetto della presente controversia, di una dichiarazione dei redditi, in cui una dichiarazione, ancorché infedele, sia comunque sussistente.
3.7 La CTR, dunque, nel computare, ai fini della determinazione del reddito netto, anche i costi determinandoli sulla base della documentazione fornita dal contribuente ha fatto buon governo dei principi giurisprudenziali sopra passati in rassegna.
4 Ne consegue il rigetto del ricorso.
5 Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
– Rigetta il ricorso
– Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del presente giudizio che si liquidano in € 5.600,00 per compensi, € 200 per spese, oltre rimborso forfettario al 15% ed accessori di legge.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 23 febbraio 2021.