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Cedolare secca applicabile anche se l’inquilino è un’impresa

Tributi –  IRPEF – Imposta sostitutiva – Cedolare secca  – Art. 3, c. 6, D.lgs. 23/2011 – Avviso di accertamento

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12079 del 7 maggio 2025, soffermandosi nuovamente sul contestatissimo campo interpretativo dell’applicazione della cedolare secca, ha messo in luce un’importante

precisazione rispetto alle interpretazioni più restrittive che in passato avevano creato incertezza e in linea con il contemporaneo orientamento espresso nella Sentenza 12076/2025; ha riaffermato un giudizio rilevante, la preclusione all’applicazione della cedolare secca riguarda il locatore che agisce nell’esercizio di un’attività d’impresa o di arti e professioni, e non il conduttore.

Le due vicende portate all’attenzione degli Ermellini hanno quindi lo stesso argomento di fondo che le congiunge, visto che nella sentenza n. 12076 riguarda il caso di un contratto di locazione a una fondazione per le esigenze abitative del suo presidente, mentre nella sentenza n. 12079 è coinvolta una società per l’abitazione del suo amministratore.

In entrambi i casi la Cassazione giunge alla conclusione che “… il locatore era comunque legittimato ad applicare il regime della cedolare secca”, riproponendo lo stesso principio di diritto espresso nella pronuncia n. 12395/2024, che infatti così recitava: “…  in tema di redditi da locazione, il locatore può optare per il regime della c.d. cedolare secca anche nell’ipotesi in cui il conduttore concluda il contratto di locazione ad uso abitativo nell’esercizio della sua attività professionale, ed in particolare per le esigenze abitative dei suoi dipendenti, atteso che l’esclusione di cui all’art. 3, comma 6, d.lgs. n. 23/2011 si riferisce esclusivamente alle locazioni di unità immobiliari ad uso abitativo effettuate dal locatore nell’esercizio di una attività d’impresa o di arti e professioni”.

In altre parole, il fatto che la controparte contrattuale sia un operatore economico con partita IVA non preclude di per sé l’applicazione della cedolare secca da parte del locatore persona fisica, a condizione che l’immobile sia locato per soddisfare un’esigenza abitativa, incluso il caso in cui l’operatore economico stipuli il contratto per fornire un alloggio ai propri dipendenti (la cosiddetta “foresteria”).

La Suprema Corte ha in definitiva voluto considerare che la scelta di optare per il regime della cedolare secca è prerogativa esclusiva del locatore e che il suo regime fiscale non dovrebbe dipendere dallo status del conduttore, circostanza al di fuori del controllo del locatore stesso.

L’attuale orientamento interpretativo della Cassazione si basa evidentemente su una lettura testuale dell’art. 3, comma 6, del D.lgs. 23/2011, che esclude l’applicazione della cedolare secca solo per le locazioni di unità immobiliari abitative “effettuate nell’esercizio di un’attività d’impresa o di arti e professioni”. 

L’elemento determinante per l’applicazione del regime in questione insiste, allora, sulla destinazione abitativa dell’immobile, indipendentemente dalla natura giuridica del conduttore, purché quest’ultimo non utilizzi l’immobile per scopi diversi (ad esempio, come ufficio o magazzino).

In sintesi, la sentenza si concentra sull’esclusiva destinazione abitativa dell’immobile come requisito imprescindibile per poter beneficiare del regime fiscale agevolato.

Questa riaffermazione da parte della Cassazione sulla sostanza dell’utilizzo dell’immobile, andando oltre la mera forma contrattuale, dovrebbe semplificare e chiarire il quadro normativo e potrebbe contrastare le interpretazioni più restrittive che l’Agenzia delle entrate ha continuato a sostenere.

La questione centrale, seguendo l’odierna interpretazione degli Ermellini, riguarda allora la possibilità di applicare il regime della cedolare secca anche nel caso in cui il conduttore sia una società o un’impresa.

Tale domanda sorge in relazione alle disposizioni contenute nell’articolo 3, comma 6, del citato decreto n. 23, il quale sembra introdurre delle limitazioni all’applicabilità di tale regime.

L’interpretazione di questa specifica norma ha generato nel tempo una notevole incertezza giuridica, acuita dal contrasto tra la posizione tradizionalmente sostenuta dall’Agenzia e il recente orientamento espresso dalla Cassazione.

Tradizionalmente, l’interpretazione prevalente sostenuto dal Fisco ha considerato che tale esclusione operasse qualora il conduttore fosse una società o un’impresa che agiva nell’ambito della propria attività professionale, indipendentemente dalla destinazione abitativa dell’immobile.

Nonostante il chiaro indirizzo preso dalla Corte di Cassazione, si è registrato sino a oggi un persistente contrasto tra le due posizioni.

Più in dettaglio, e soffermandoci alla prima lettura della locuzione “locati per finalità abitative” – che ha portato qualche difficoltà interpretativa – si potrebbe ritenere che l’applicazione della cedolare secca sia esclusa qualora il conduttore sia una società o un’impresa, presumendosi che queste non utilizzino l’immobile per proprie esigenze abitative.

Nondimeno, l’interpretazione prevalente fornita dalle Entrate e dalla prassi (v. Circolare n. 26/E/2011 e successivi chiarimenti) è sostanzialmente diversa e si basa su una distinzione fondamentale, che considera di piena rilevanza la sola destinazione d’uso dell’immobile.

L’Agenzia ha infatti manifestato l’orientamento a considerare la citata sentenza della Suprema Corte come un “precedente isolato”,  non modificando per il momento la propria prassi amministrativa. Permane, a onor del vero,  anche la segnalazione di un blocco tecnico nel sistema telematico per la registrazione dei contratti di locazione (RLI), che potrebbe continuare a impedire la selezione del regime della cedolare secca qualora il conduttore sia identificato come un soggetto giuridico con partita IVA.

La Corte ha però criticato esplicitamente l’interpretazione dell’Agenzia, definendola infondata e costituente una errata applicazione della legge, in quanto estenderebbe l’esclusione anche all’attività imprenditoriale del conduttore, laddove la norma si riferirebbe unicamente a quella del locatore.

Tuttavia, la chiarezza espressa oggi dalla Cassazione, che riafferma le indicazioni contenute nella citata sentenza n. 12395/2024, dovrebbe rappresentare un punto di riferimento importante per il futuro e per la risoluzione di eventuali contenziosi.

Ricordiamo, comunque, che il regime della cedolare secca rappresenta una modalità di tassazione facoltativa introdotta nell’ordinamento italiano per i canoni derivanti dalla locazione di immobili a uso abitativo: questo regime sostitutivo offre, in alternativa al tradizionale sistema di tassazione del reddito fondiario ai fini dell’IRPEF e delle relative addizionali, l’applicazione di un’imposta piatta.

Le caratteristiche principali della cedolare secca includono l’applicazione di un’aliquota fissa del 21% sul canone di locazione annuo stabilito tra le parti, con la possibilità di usufruire di un’aliquota ridotta al 10% in specifiche circostanze, come per i contratti di locazione a canone concordato relativi ad abitazioni ubicate in comuni ad alta tensione abitativa o in quelli con carenze di disponibilità abitative.

Optando per la cedolare secca, il locatore beneficia altresì dell’esenzione dal pagamento dell’imposta di registro e dell’imposta di bollo per la registrazione, la risoluzione e le proroghe del contratto.

Infatti, l’articolo 3, comma 6, del D.lgs. 23/2011, nel definire l’ambito di applicazione della cedolare secca stabilisce che tale regime sostitutivo si applica ai redditi derivanti da contratti di locazione aventi a oggetto immobili ad uso abitativo locati per finalità abitative.

Ciò che rileva ai fini dell’applicazione della cedolare secca è allora la categoria catastale dell’immobile (che deve essere abitativa, ad esempio A/1, A/2, A/3, ecc.) e la sua effettiva destinazione contrattuale, che deve essere quella di abitazione: in altre parole, il focus della norma è sulla natura abitativa dell’immobile locato e sull’utilizzo effettivo per scopi residenziali, indipendentemente dal fatto che il contratto sia stipulato con una persona fisica o giuridica.

L’interpretazione restrittiva sin qui manifestata da una parte della giurisprudenza e dalle conclusioni dell’Agenzia sull’art. 3, che escluderebbe le locazioni a società o imprese, si scontrerebbe con la ratio del legislatore di semplificare il sistema di tassazione dei redditi da locazione di immobili abitativi e di incentivare la regolarizzazione dei contratti. Escludere a priori le locazioni a soggetti diversi dalle persone fisiche, pur con destinazione abitativa, creerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento e complicherebbe la gestione fiscale per i proprietari.

Tanto premesso e tornando alla vicenda in esame, essa ha inizio quando l’amministratore delegato di una società si vedeva  notificare alcuni  avvisi di accertamento con i quali l’Agenzia contestava la mancanza dei requisiti per fruire del regime agevolativo in relazione al contratto di locazione per esigenze abitative e familiari dello stesso: venivano quindi ripresi a tassazione maggiore IRPEF, con relative sanzioni ed interessi.

Il contribuente impugnava i suddetti avvisi di accertamento dinanzi alla Giustizia tributaria, ma non avendo però riscontrato esito positivo, presentava ricorso per cassazione, dichiarando essenzialmente che il regime della cedolare secca fosse applicabile anche nel caso di locazioni a uso abitativo concluse con soggetti imprenditoriali, a condizione che l’immobile fosse destinato a scopi abitativi.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della parte contribuente stabilendo che: “…  Questa Corte ha già affermato il principio – al quale si ritiene di dare continuità – secondo il quale, in tema di redditi da locazione, il locatore può optare per il regime della c.d. cedolare secca anche nell’ipotesi in cui il conduttore concluda il contratto di locazione ad uso abitativo nell’esercizio della sua attività professionale, atteso che l’esclusione di cui all’art. 3, comma 6, d.lgs. n. 23/2011 si riferisce esclusivamente alle locazioni di unità immobiliari ad uso abitativo effettuate dal locatore nell’esercizio di una attività d’impresa o di arti e professioni (Cass. 7 maggio 2024, n. 12395). Né possono desumersi contrari argomenti interpretativi dall’art. 3, comma 6-bis, d.lgs. n. 23/2011, ai sensi del quale l’opzione di cui al comma 1 può essere esercitata anche per le unità immobiliari abitative locate nei confronti di cooperative edilizie per la locazione o enti senza scopo di lucro di cui al libro I, titolo II del cod. civ., purché sublocate a studenti universitari e date a disposizione dei comuni con rinuncia all’aggiornamento del canone di locazione o assegnazione. In primo luogo, il comma 6-bis cit. non esclude affatto che, in base ai commi precedenti, il locatore possa esercitare l’opzione per la cedolare secca con riferimento ad un contratto di locazione ad uso abitativo concluso con un imprenditore/professionista e riconducibile all’attività di quest’ultimo.

Inoltre, non può certo ritenersi che, posta questa premessa, il comma 6-bis dell’art. 3 del d.lgs. n. 23/ 2011 sia privo di effetti. Difatti, tale disposizione disciplina la possibilità per il locatore di optare per la cedolare secca in ragione non del contratto di locazione concluso con conduttori cooperative edilizie per la locazione/enti senza scopo di lucro, ma piuttosto di quello di sub-locazione con studenti universitari: possibilità che, da un lato, prescinde dal tipo di contratto “madre” concluso (che potrebbe anche non essere una locazione ad uso abitativo), ma che, dall’altro lato, esige, al fine di evitare abusi o distorsioni della cedolare secca, la successiva stipula di un contratto di sub-locazione ad uso abitativo, con rinuncia all’aggiornamento ISTAT, a favore di studenti universitari e la messa a disposizione dei Comuni. Ne consegue che, nel caso di specie, trattandosi di locazione di immobile destinato comunque ad esigenze abitative dell’amministratore della società conduttrice, il locatore era comunque legittimato ad applicare il regime della c.d. cedolare secca.  3. Consegue quindi l’accoglimento del ricorso, sulla base del seguente principio di diritto: “ … in tema di redditi da locazione, il locatore può optare per il regime della c.d. cedolare seccа anche nell’ipotesi in cui il conduttore concluda il contratto di locazione ad uso abitativo nell’esercizio della sua attività professionale, ed in particolare per le esigenze abitative dei suoi dipendenti, atteso che l’esclusione di cui all’art. 3, comma 6, d.lgs. n. 23/2011 si riferisce esclusivamente alle locazioni di unità immobiliari ad uso abitativo effettuate dal locatore nell’esercizio di una attività d’impresa o di arti e professioni”. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa con l’accoglimento dei ricorsi originari proposti dal contribuente, e l’annullamento degli avvisi di accertamento impugnati. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza dell’Ufficio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo. Spese compensate per i gradi di merito

Corte Cassazione – Sentenza 7 maggio 2025, n. 12079

sul ricorso iscritto al n. 25363/2023 R.G. proposto da:

(Omissis ) rappresentato e difeso dal prof. avv. (Omissis ) , dal prof. Avv. (Omissis ).e dall’avv. (Omissis ) in virtù di procura speciale in calce al ricorso,

– ricorrente –

contro AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

– intimata –

avverso la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Toscana n. 516/06/2023, depositata l’8 giugno 2023;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23 gennaio 2025 dal consigliere relatore dott. Valentino Lenoci;

dato atto che il Pubblico Ministero, in persona del sost. proc. gen. dott. Fulvio Troncone, ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

FATTI DI CAUSA

1.L’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Firenze notificava a per avvisi di accertamento n. (Omissis) l’anno 2015, e n. per l’anno 2016, con i quali contestando la mancanza dei requisiti per fruire del regime agevolativo della c.d. cedolare secca di cui all’art. 3 d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, in relazione al contratto di locazione concluso in data 26 febbraio 2010 con la (Omissis) s.r.l., per esigenze abitative e familiari dell’amministratore delegato della società sig.ra (Omissis) e per il quale era stata formulata la relativa opzione in occasione del rinnovo contrattuale dopo il primo quadriennio – venivano ripresi a tassazione maggiore IRPEF di € 7.385,00 per l’anno d’imposta 2015, e di € 7.222,00 per l’anno 2016, con relative sanzioni ed interessi.

2. Il contribuente impugnava i suddetti avvisi di accertamento dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Firenze la quale:

a) con sentenza n. 141/03/2021, depositata il 17 marzo 2021, rigettava il ricorso riguardante l’avviso di accertamento per l’anno 2015;

b) con sentenza n. 20/2/2022, depositata il 7 gennaio 2022, accoglieva il ricorso riguardante l’avviso di accertamento per l’anno 2016.

3. Interposti gravami sia dall’Agenzia delle Entrate che dal contribuente, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Toscana, con sentenza n. 516/06/2023, pronunciata il 7 giugno 2023 e depositata in segreteria l’8 giugno 2023, previa riunione dei ricorsi accoglieva l’appello dell’Ufficio (proposto avverso la sentenza n. 20/2/2022, riguardante l’anno d’imposta 2016), e rigettava l’appello del contribuente (proposto avverso la sentenza n. 141/03/2021, riguardante l’anno d’imposta 2015).

4. Avverso tale sentenza (Omissis) ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo (ricorso notificato il 20 dicembre 2023).

L’Agenzia delle Entrate è rimasta intimata.

5. Con decreto dell’11 ottobre 2024 è stata fissata per la discussione del ricorso l’udienza pubblica del 23 gennaio 2025. All’udienza suddetta è comparso il procuratore del ricorrente, che ha concluso come da verbale in atti.

E’ intervenuto il Pubblico Ministero, in persona del sost. proc. gen. Fulvio Troncone, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso il contribuente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del d.lgs. n. 23/2011, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.с.

Rileva, in particolare, che, nel caso di specie, sussistevano le condizioni per poter usufruire dell’agevolazione della c.d. cedolare secca nelle locazioni, in quanto egli, nel concedere in locazione l’immobile di sua proprietà non agiva nell’esercizio di un’attività d’impresa o professionale, e, per altro verso, la causa ostativa prevista dal comma 6 dell’art. 3 del d.lgs. n. 23/2011 (e cioè l’essere la locazione effettuata nell’esercizio di un’attività d’impresa) poteva riferirsi al solo locatore, e non anche al conduttore, che quindi avrebbe potuto essere anche un soggetto imprenditoriale, purché l’unità immobiliare fosse comunque utilizzata per scopi abitativi.

2. Il motivo è fondato.

Questa Corte ha già affermato il principio – al quale si ritiene di dare continuità – secondo il quale, in tema di redditi da locazione, il locatore può optare per il regime della c.d. cedolare secca anche nell’ipotesi in cui il conduttore concluda il contratto di locazione ad uso abitativo nell’esercizio della sua attività professionale, atteso che l’esclusione di cui all’art. 3, comma 6, d.lgs. n. 23/2011 si riferisce esclusivamente alle locazioni di unità immobiliari ad uso abitativo effettuate dal locatore nell’esercizio di una attività d’impresa o di arti e professioni (Cass. 7 maggio 2024, n. 12395).

Né possono desumersi contrari argomenti interpretativi dall’art. 3, comma 6-bis, d.lgs. n. 23/2011, ai sensi del quale l’opzione di cui al comma 1 può essere esercitata anche per le unità immobiliari abitative locate nei confronti di cooperative edilizie per la locazione o enti senza scopo di lucro di cui al libro I, titolo II del cod. civ., purché sublocate a studenti universitari e date a disposizione dei comuni con rinuncia all’aggiornamento del canone di locazione o assegnazione.

In primo luogo, il comma 6-bis cit. non esclude affatto che, in base ai commi precedenti, il locatore possa esercitare l’opzione per la cedolare secca con riferimento ad un contratto di locazione ad uso abitativo concluso con un imprenditore/professionista e riconducibile all’attività di quest’ultimo.

Inoltre, non può certo ritenersi che, posta questa premessa, il comma 6-bis dell’art. 3 del d.lgs. n. 23/ 2011 sia privo di effetti.

Difatti, tale disposizione disciplina la possibilità per il locatore di optare per la cedolare secca in ragione non del contratto di locazione concluso con conduttori cooperative edilizie per la locazione/enti senza scopo di lucro, ma piuttosto di quello di sub-locazione con studenti universitari: possibilità che, da un lato, prescinde dal tipo di contratto “madre” concluso (che potrebbe anche non essere una locazione ad uso abitativo), ma che, dall’altro lato, esige, al fine di evitare abusi o distorsioni della cedolare secca, la successiva stipula di un contratto di sub-locazione ad uso abitativo, con rinuncia all’aggiornamento ISTAT, a favore di studenti universitari e la messa a disposizione dei Comuni.

Ne consegue che, nel caso di specie, trattandosi di locazione di immobile destinato comunque ad esigenze abitative dell’amministratore della società conduttrice, il locatore era comunque legittimato ad applicare il regime della c.d. cedolare secca.

3. Consegue quindi l’accoglimento del ricorso, sulla base del seguente principio di diritto: “ … in tema di redditi da locazione, il locatore può optare per il regime della c.d. cedolare seccа anche nell’ipotesi in cui il conduttore concluda il contratto di locazione ad uso abitativo nell’esercizio della sua attività professionale, ed in particolare per le esigenze abitative dei suoi dipendenti, atteso che l’esclusione di cui all’art. 3, comma 6, d.lgs. n. 23/2011 si riferisce esclusivamente alle locazioni di unità immobiliari ad uso abitativo effettuate dal locatore nell’esercizio di una attività d’impresa o di arti e professioni”.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa con l’accoglimento dei ricorsi originari proposti dal contribuente, e l’annullamento degli avvisi di accertamento impugnati.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza dell’Ufficio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo. Spese compensate per i gradi di merito.

P. Q. M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie i ricorsi originari proposti da e, per l’effetto, annulla gli avvisi di accertamento impugnati.

Condanna l’Agenzia delle Entrate alla rifusione, in favore di delle spese del presente giudizio, che si liquidano in € 2.800,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali, C.A.P. ed I.V.A. Spese compensate per i gradi di merito.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2025

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