Cartella valida solo se motivata “in modo congruo e intellegibile”
L’avviso di accertamento deve essere ben motivato.
La Corte di Cassazione, respingendo il ricorso proposto da un Ufficio delle Entrate, ha ritenuto illegittima la cartella che si limita a una motivazione “incomprensibile” quando non è stata preceduta da un atto rappresentativo e indicativo. I supremi giudici hanno ribadito che la cartella esattoriale non scaturita da un avviso di accertamento, per poter essere ritenuta valida, deve essere motivata in modo chiaro, in base ai principi dettati dall’art. 7 della legge n. 212/2000, lo Statuto dei diritti del Contribuente.
L’iter contenzioso
Una Commissione Tributaria Regionale ha respinto l’appello dell’Agenzia proposto contro una sentenza del 2009 della Commissione Tributaria Provinciale che aveva accolto il ricorso proposto dalla società contribuente, annullando in tal modo la cartella di pagamento relativa all’accertamento di minor credito d’imposta, che era stata emessa a seguito di un controllo automatizzato della dichiarazione.
La CTR ha motivato la decisione nel senso che l’iscrizione a ruolo, eseguita a norma dell’art. 36-bis del DPR n.600/1973, non costituisce un semplice atto di riscossione ma un accertamento del debito d’imposta, quando non sia preceduta da un autonomo avviso di accertamento, per cui la cartella esattoriale deve contenere anche una sufficiente motivazione in merito alla ragione dei recuperi (art.3 della legge n. 241/1990), senza che sia consentito all’Amministrazione finanziaria di rettificare il difetto di motivazione dell’atto impositivo tramite gli allegati e le prove dedotte nel contraddittorio processuale. D’altronde, l’Amministrazione aveva anche l’obbligo di una preventiva comunicazione delle irregolarità riscontrate nella dichiarazione, obbligo che invece non era stato assolto.
Infine, la CTR evidenziava che la cartella in questione doveva pure considerarsi nulla per l’assenza della sottoscrizione e dell’indicazione del responsabile del procedimento.
Le ragioni delle Entrate
Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia affermava che nel caso in questione era stata effettivamente recapitata al contribuente la comunicazione di irregolarità prodromica al ruolo e che era stato riportato – in maniera illeggibile, perché effettuata con una fotocopia del contenuto della cartella all’interno dell’atto processuale – il dettaglio degli addebiti contenuti nella cartella.
Considerava inoltre erronea l’affermazione del giudice di merito a proposito dell’incompleta motivazione della cartella di pagamento, evidenziando che la stessa era da considerare come mero atto di riscossione in quanto conseguente all’iscrizione a ruolo effettuata esclusivamente sulla base dei presupposti di legge. Di conseguenza, la cartella di pagamento risultava pienamente conforme alle previsioni di legge e del tutto priva di vizi poiché coerente con le previsioni dell’art.12 del DPR n. 602/1973, secondo il quale è sufficiente “la motivazione anche sintetica della pretesa”. Previsioni che erano state rispettate, considerato che il ruolo conteneva “gli estremi necessari per la corretta individuazione delle ragioni del recupero, ovvero che trattasi di recupero del credito di imposta ex lege 289/2002, art. 62” (per gli investimenti nelle aree svantaggiate), estremi sufficienti a garantire il diritto di difesa del contribuente.
La decisione dei Giudici
Secondo la Suprema Corte la censura appare “inammissibilmente formulata”, in quanto la parte ricorrente si limita ad affermazioni evidenti, nessuna delle quali corredata dalle necessarie delucidazioni e specificazioni, riguardo al canone di necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione.
A proposito, poi, del fatto che la cartella si era atteggiata come “mero atto di riscossione”, si evidenziava che secondo quanto sostenuto dalla stessa parte ricorrente, la ragione dell’iscrizione a ruolo consisteva nel “recupero del credito di imposta ex lege 289/2002 art. 62”, recupero che di per sé è un’affermazione anonima delle ragioni per le quali l’Amministrazione finanziaria suppone di vantare un credito, poiché quest’ultimo può derivare sia da una erronea contabilizzazione di crediti effettivamente spettanti, sia dall’esclusione dei presupposti per il riconoscimento della fruibilità del beneficio.
Veniva infine richiamata una sentenza della stessa Suprema Corte – n. 26330 del 16/12/2009 – secondo la quale “La cartella esattoriale, che non sia stata preceduta da un motivato avviso di accertamento, deve essere motivata in modo congruo, sufficiente ed intellegibile, tale obbligo derivando dai principi di carattere generale indicati, per ogni provvedimento amministrativo, dall’art. 3 della legge n. 241 del 1990, e recepiti, per la materia tributaria, dall’art. 7 della legge n. 212 del 2000”.
Nel caso richiamato era stata impugnata una cartella esattoriale, anche questa emessa ai sensi dell’art. 36-bis del DPR n. 600/1973, nella quale l’ufficio finanziario non si era limitato a una semplice correzione di errori materiali o di calcolo, ma aveva eseguito il conteggio delle somme da versare non riconoscendo un credito di imposta.