CASSAZIONE

Bastano le presunzioni per contestare le detrazioni

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 12649 del 19/5/2017, intervenendo in tema di emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, ha rammentato che non è necessaria la prova certa per contestare la falsità delle fatture presentate.

Al riguardo esiste una copiosa giurisprudenza, basterebbe citare tra le molte, la pronunzia della S.C. del, 24 maggio 2013, n. 12961, nella quale espressamente si riportava : “ ,,, Nell’ambito di una “frode carosello”, l’impresa che ha ricevuto fatture soggettivamente false non ha diritto alla detrazione dell’IVA se l’Ufficio Finanziario riesce a provare, anche mediante presunzioni semplici, la malafede rispetto all’evasione dell’imposta “, per confermare l’attuale indirizzo posto alla base dell’odierna decisione che è possibile sintetizzare che il Fisco può disconoscere la detrazione di imposta basandosi anche su presunzioni che dovranno poi essere valutate dal giudice.

Inoltre con riguardo alle ipotesi riconducibili alle c.d. “frodi carosello” realizzate mediante l’interposizione di soggetti diversi da quelli rappresentati in fattura , la Corte ha più volte ribadito che, una volta che l’Amministrazione finanziaria abbia fornito la prova dell’interposizione fittizia della società “cartiera” nell’operazione commerciale effettivamente posta in essere dal cessionario/committente con un diverso soggetto (cedente/prestatore) che non figura nella fatturazione, sarà onere del contribuente che ha portato in detrazione l’Iva fornire la prova contraria che l’apparente cedente/prestatore non è un mero soggetto (fittiziamente) interposto e che l’operazione è stata “realmente” conclusa con esso, con la conseguenza inevitabile, per il riconoscimento della frode, è la negazione alla detrazione dell’IVA addebitata in fattura secondo i principi dell’art. 19 del DPR n. 633/1972, in capo all’utilizzatore.

Allora appare logico che la prova che l’operazione commerciale oggetto della fattura non è stata posta in essere, o non lo è stata tra i soggetti che figurano nella fattura, o che essa sottende un’operazione fraudolenta cui il cessionario sia partecipe, può essere fornita dall’Ufficio Finanziario anche mediante presunzioni che costituiscono, a pieno titolo, elementi probatori capaci di confermare l’esistenza della consapevolezza del carattere evasivo dell’operazione ai fini IVA.

Inoltre, sulla scorta della pronuncia della Corte Europea C-277/14, la Cassazione ha anche affermato che: “… in alcuni casi l’onere probatorio dell’amministrazione finisce con l’appesantirsi, in quanto, di norma, non è possibile esigere che il cessionario/committente, al fine di assicurarsi che non sussistano irregolarità o evasioni nella catena delle cessioni, verifichi che l’emittente della fattura correlata ai beni e ai servizi ne disponesse e fosse in grado di fornirli e che abbia soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’IVA, o che disponga dei relativi documenti”. Resta comunque un obbligo di verifica in capo al cessionario/committente, a fronte di indizi che gli consentano di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasione.

Tornando al caso in questione, agli Ermellini è posto un caso in cui l’Amministrazione finanziaria propone ricorso contro la decisione della CTR che aveva annullato il provvedimento dell’AF per mancanza di prova certa, ovvero perché il fisco aveva basato le sue contestazioni, relative al reato di emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti solo su presunzioni, ritenendo non censurabile l’operato della contribuente. In sostanza, secondo i giudici d’appello, l’AF avrebbe basato il suo giudizio, in relazione al quale una società cui la contribuente avrebbe emesso fatture per acquisti di merce era risultata inesistente per aver cessato la sua attività, su fatti e indagini svolte in merito alla stessa da un’autorità straniera, in relazione ad un diverso processo, senza verificare nel concreto, l’esistenza o meno della società destinataria delle fatture, per questo l’accertamento doveva ritenersi nullo.

I supremi Giudici non condividono però tali asserzioni, anzi osservano che: “… La Commissione, invero, si è limitata ad aderire alla decisione di primo grado senza che emerga, in alcun modo, che a tale risultato sia pervenuta attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame: la CTR, infatti, non ha espresso, nemmeno in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo adeguato e corretto; inoltre il rinvio non è stato operato in modo da rendere possibile ed agevole il controllo, dando conto delle argomentazioni delle parti e della loro identità con quelle esaminate nella pronuncia impugnata. … Osserva la Corte che, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture ai fini IVA ed IRPEG, in quanto relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, non è mai stata posta in essere, ovvero non è stata posta in essere tra i soggetti indicati nella fattura, indicando gli elementi anche indiziari sui quali si fonda la contestazione anche in merito alla conoscenza ovvero alla conoscibilità della fittizietà delle operazioni da parte del cessionario/ committente che richiede la detrazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili e la sua mancanza di consapevolezza di partecipare ad un’operazione fraudolenta, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili (cfr. Cass. sent. n. 428/2015, n. 28683/2015, n. 12802/2011). Sul punto la Corte Europea ha più volte ribadito che se – tenuto conto di evasioni o irregolarità commesse dall’emittente della fattura, o comunque a monte dell’operazione dedotta a fondamento del diritto alla detrazione – tale operazione è considerata come non effettivamente realizzata, l’Amministrazione finanziaria deve dimostrare, alla luce di elementi oggettivi ed alla stregua dei principi sull’onere della prova vigenti nello Stato membro, senza, peraltro, esigere dal destinatario della fattura verifiche (circa la qualità di soggetto passivo IVA in capo al fatturante, o la disponibilità dei beni di cui trattasi) alle quali non è tenuto, che tale destinatario sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta operazione si inseriva nel quadro di un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto; circostanza, questa, che – secondo la Corte di Lussemburgo – spetta al giudice del rinvio verificare (C. Giust. 6.12.12, cit.; 31.1.13, cit.).Di recente la Corte Europea ha ulteriormente approfondito tali temi ed ha affermato che “Le disposizioni della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva 2002/38/CE del Consiglio, del 7 maggio 2002, devono essere interpretate nel senso che esse ostano a una normativa nazionale, quale quella di cui al procedimento principale, che neghi a un soggetto passivo il diritto di detrarre l’imposta del valore aggiunto dovuta o assolta per beni che gli sono stati ceduti sulla base dei rilievi che la fattura è stata emessa da un soggetto che deve essere considerato, con riferimento ai criteri previsti da tale normativa, un soggetto inesistente e che è impossibile identificare il vero fornitore dei beni, tranne nel caso in cui si dimostri, alla luce di elementi oggettivi e senza esigere dal soggetto passivo verifiche che non gli incombono, che tale soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta cessione si iscriveva in un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare”. (Corte Giust. 22.10.2015, C-277/14)”.

 

Corte di Cassazione Ordinanza n. 12649 del 19 maggio 2017

FATTO E DIRITTO

RILEVATO CHE:

  1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione fondato su quattro motivi avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, sezione distaccata di Latina, n.103/39/10, depositata il 21.01.2010 e non notificata, che ha confermato la decisione di primo grado con la quale era stato accolto il ricorso proposto dalla società Geymonat SPA (di seguito la società) avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) emesso per il recupero a tassazione di costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti per l’anno di imposta 2000, negandone la detrazione ai fini IVA.
  2. La società resiste con controricorso corredato da memoria.
  3. Il giudice di appello ha affermato che la pretesa erariale avrebbe dovuto fondare su elementi e prove certe che, nel caso in esame, non sussistevano, chiarendo di non condividere l’assunto dell’Ufficio in ordine alla inesistenza delle fatturazioni fatte dalla AMTOR PHARMA in favore della società e di non ritenere provata la inesistenza della società AMTOR PHARMA.

Ha affermato che non era censurabile l’operato della contribuente, relativo all’emissione di autofattura che, senza effettivo movimento finanziario per l’IVA, aveva contabilizzato l’IVA dell’autofattura nel registro IVA/vendite, maturando il diritto alla detrazione dell’imposta con registrazione nel registro acquisti, poiché si sostanziava in una partita di giro.

Ha dichiarato infondate le doglianze dell’appellante concernenti il punto B dell’accertamento.

Ha quindi concluso sottolineando che l’appellante aveva riproposto gli stessi argomenti già disattesi dai primi giudici, con ampia e diffusa motivazione che non meritava censure.

  1. Il ricorso è stato fissato dinanzi all’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis c.p.c., comma 1, il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

CONSIDERATO CHE:

1.1. La ripresa a tassazione ha riguardato i costi relativi ad un contratto stipulato dalla contribuente con la società austriaca AMTOR in data 08.03.1999 avente ad oggetto: a) la cessione da AMTOR alla società del marchio e del know how per la produzione della sostanza diosmina e del prodotto farmaceutico contenente diosmina e registrato come “(OMISSIS)”, per il corrispettivo di Euro.2.500.000 (da pagarsi quanto ad Euro 500.000 alla data del 01.01.1999 ed altre cinque rate costanti di Euro 400.000 a partire dal 01.05.2000); b) l’obbligo della società di acquistare per cinque anni da AMTOR o da altra società da questa nominata, il 50% della diosmina necessaria per produrre il farmaco, con un minimo di due tonnellate all’anno, al prezzo di Euro.129,10 al kg.

1.2. L’Ufficio, per quanto interessa il presente giudizio, ha mosso i seguenti rilievi, sulla base del pvc del 27.12.2004.

1.3. Con il rilievo A), concernente i costi relativi al marchio (OMISSIS) ed al know how di produzione, l’Ufficio ha dato conto di avere accertato, con la collaborazione degli organi austriaci collaterali, che la AMTOR: a) era società che non svolgeva alcuna attività in Austria; b) era interamente posseduta dalla società THORNBRIDGE CORPORATIONS, residente nelle (OMISSIS), paese incluso nella lista dei cd. paradisi fiscali; c) risultava avere cessato la sua attività dopo l’intervento delle autorità austriache connesso all’indagine.

1.3. Con il rilievo B), concernente il prezzo per l’acquisto della diosmina, di molto superiore al prezzo di mercato, che si attestava su Euro 67,14 al kg. in libera contrattazione, l’Ufficio ha ritenuto che il maggior costo a favore della AMTOR fosse imputabile a corrispettivo occulto della transazione principale relativa all’acquisto del marchio e del know how ed ha negato la deducibilità dal reddito ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 76, comma 7, nonchè la relativa detrazione IVA, trattandosi di costo afferente ad operazione soggettivamente inesistente.

1.4. Con riferimento a questi rilievi l’Ufficio ha proceduto al recupero concernente i costi, che sono oggetto del contenzioso ai fini IVA.

2.1. Si deve procedere all’esame del ricorso.

2.2. Con il primo motivo, riferito al rilievo A), si denuncia la motivazione insufficiente in ordine ad un fatto decisivo e controverso per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), costituito dalla natura fittizia della AMTOR PHARMA (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), sulla considerazione che la CTR avrebbe obliterato numerosi fatti emersi in sede di verifica all’esito delle indagini svolte dall’Autorità austriaca e trasfusi nell’accertamento, limitandosi ad esprimere la non condivisione dell’assunto dell’Ufficio, ad affermare che la società AMTOR PHARMA “esiste ed ha una precisa sede e collocazione ” (così testualmente in sentenza) e non vi era prova certa della sua inesistenza e, da ultimo, a richiamare la decisione di primo grado senza illustrare – sia pure sinteticamente le ragioni della condivisione.

2.3. Con il secondo motivo, sempre riferito al rilievo A), si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, e degli artt. 2727 e 2729 c.c., nonchè dell’art. 2697 c.c., (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) da parte della CTR laddove ha affermato che la pretesa erariale si deve fondare su elementi e prove certe, sia in merito alla inesistenza della società AMTOR PHARMA che delle fatturazioni oggetto di contestazione, escludendone la ricorrenza nel caso di specie. A parere della ricorrente, nel caso di contestazione di operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione non deve fornire la prova piena dell’inesistenza, ma può limitarsi a fornire un supporto probatorio costituito da presunzioni gravi, precise e concordanti ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, con inversione dell’onere della prova a carico del contribuente circa la effettiva esecuzione delle operazioni esposte in fattura.

2.4. Con il terzo motivo, sempre in relazione al rilievo A), si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 533 del 1972, artt. 17 e 19, art. 21, comma 7, art. 41, commi 4 e 6, e art. 54, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), laddove la CTR ha affermato che l’autofatturazione costituiva una partita di giro e rendeva infondate le doglianze. Secondo la ricorrente tale affermazione è errata in quanto l’emissione di autofattura non garantisce affatto il diritto di contabilizzare la fattura in detrazione, poichè ciò è possibile solo se gli obblighi sostanziali siano stati soddisfatti, con la conseguenza che se l’autofattura è riferita ad un’operazione soggettivamente inesistente non può essere riconosciuta la detrazione del relativo costo.

2.5. Con il quarto motivo, in relazione al rilievo B) si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 1, comma 2, e art. 36, comma 2, n. 4, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e art. 118 disp. att. c.p.c., (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), lamentando che su detto rilievo la CTR si sia espressa con una motivazione inesistente o apparente, avendo semplicemente affermato “… le doglianze dell’appellante sono infondate e devono essere respinte anche per quanto concerne il punto B) dell’accertamento” (così in sentenza), in modo apodittico, inidoneo a dare contezza delle ragioni della decisione.

3.1. Il primo motivo è fondato e va accolto.

3.2. Invero la sintetica statuizione della CTR – circa il difetto di assolvimento dell’onere probatorio da parte dell’Ufficio in ordine alla inesistenza della società coinvolta, ritenuta fittizia dall’Amministrazione – oltre che errata in diritto, come si avrà modo di chiarire di seguito, sub 4.1. e ss. – risulta del tutto assertiva e generica in quanto mancante di qualsivoglia riferimento alla fattispecie in esame, di guisa che appare priva di un effettivo contenuto motivazionale a sostegno, necessario per comprendere il percorso logico giuridico seguito per pervenire a tale conclusione.

La Commissione si limita a esprimere un giudizio negativo sul compendio probatorio offerto dall’Amministrazione ed a sostenere la esistenza della società, senza individuare alcun elemento di fatto e di diritto su cui ha inteso fondare la sua decisione e senza esporre le ragioni delle conclusioni raggiunte in merito ai rilievi, risultando così del tutto assertiva.

3.3. La sentenza della CTR non può nemmeno ritenersi legittimamente motivata per relationem, secondo i condivisi canoni esplicati da questa Corte con la sentenza n. 14786/2016, per avere il giudice d’appello, fatto propria la pronuncia di primo grado, con la affermazione “L’appellante in questa sede ripropone le stesse affermazioni già disattese dai primi giudici con ampia e diffusa motivazione, sicchè la decisione e la motivazione di 1 grado non meritano censure e vanno confermate, mentre l’appello va respinto” (fol. 4 della sent. imp.).

La Commissione, invero, si è limitata ad aderire alla decisione di primo grado senza che emerga, in alcun modo, che a tale risultato sia pervenuta attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame: la CTR, infatti, non ha espresso, nemmeno in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo adeguato e corretto; inoltre il rinvio non è stato operato in modo da rendere possibile ed agevole il controllo, dando conto delle argomentazioni delle parti e della loro identità con quelle esaminate nella pronuncia impugnata.

4.1. Il secondo ed il terzo motivo possono essere trattati congiuntamente per connessione, poichè si riferiscono alla medesima ripresa per operazioni soggettivamente inesistenti; sono fondati e vanno accolti.

4.2.1. Osserva la Corte che, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture ai fini IVA ed IRPEG, in quanto relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, non è mai stata posta in essere, ovvero non è stata posta in essere tra i soggetti indicati nella fattura, indicando gli elementi anche indiziari sui quali si fonda la contestazione anche in merito alla conoscenza ovvero alla conoscibilità della fittizietà delle operazioni da parte del cessionario/ committente che richiede la detrazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili e la sua mancanza di consapevolezza di partecipare ad un’operazione fraudolenta, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili (cfr. Cass. sent. n. 428/2015, n. 28683/2015, n. 12802/2011).

4.2.2. Sul punto la Corte Europea ha più volte ribadito che se – tenuto conto di evasioni o irregolarità commesse dall’emittente della fattura, o comunque a monte dell’operazione dedotta a fondamento del diritto alla detrazione – tale operazione è considerata come non effettivamente realizzata, l’Amministrazione finanziaria deve dimostrare, alla luce di elementi oggettivi ed alla stregua dei principi sull’onere della prova vigenti nello Stato membro, senza, peraltro, esigere dal destinatario della fattura verifiche (circa la qualità di soggetto passivo IVA in capo al fatturante, o la disponibilità dei beni di cui trattasi) alle quali non è tenuto, che tale destinatario sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta operazione si inseriva nel quadro di un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto; circostanza, questa, che – secondo la Corte di Lussemburgo – spetta al giudice del rinvio verificare (C. Giust. 6.12.12, cit.; 31.1.13, cit.).

4.2.3. Di recente la Corte Europea ha ulteriormente approfondito tali temi ed ha affermato che “Le disposizioni della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva 2002/38/CE del Consiglio, del 7 maggio 2002, devono essere interpretate nel senso che esse ostano a una normativa nazionale, quale quella di cui al procedimento principale, che neghi a un soggetto passivo il diritto di detrarre l’imposta del valore aggiunto dovuta o assolta per beni che gli sono stati ceduti sulla base dei rilievi che la fattura è stata emessa da un soggetto che deve essere considerato, con riferimento ai criteri previsti da tale normativa, un soggetto inesistente e che è impossibile identificare il vero fornitore dei beni, tranne nel caso in cui si dimostri, alla luce di elementi oggettivi e senza esigere dal soggetto passivo verifiche che non gli incombono, che tale soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta cessione si iscriveva in un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare”. (Corte Giust. 22.10.2015, C-277/14).

4.2.4. Ciò premesso, non può revocarsi in dubbio che l’Amministrazione possa assolvere al suo onere probatorio anche mediante presunzioni, come espressamente prevede, per l’IVA, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2 (analoga previsione è contenuta, per le imposte dirette, nel D.P.R. n. 917 del 1986, art. 39, comma 1, lett. d), e mediante elementi indiziari (cfr. Cass. 21953/07; Cass. 9108/12; 15741/12, in motivazione; 23560/12; 27718/13; 20059/2014; nello stesso senso C. Giust. 6.7.06, C- 439/04, C. Giust., 21.2.06, C-255/02; C. Giust. 21.6.12, C -80/11; C. Giust. 6.12.12, C285/11; C. Giust. 31.1.13, C-642/11).

4.2.5. Sulla scorta della pronuncia C-277/14, questa Corte di recente ha considerato che in alcuni casi “l’onere probatorio dell’amministrazione finisce con l’appesantirsi, in quanto, di norma, non è possibile esigere che il cessionario/committente, al fine di assicurarsi che non sussistano irregolarità o evasioni nella catena delle cessioni, verifichi che l’emittente della fattura correlata ai beni e ai servizi ne disponesse e fosse in grado di fornirli e che abbia soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’IVA, o che disponga dei relativi documenti” (Cass. n. 24490/2015), rimarcando che tuttavia, continua a prospettarsi un obbligo di verifica in capo al cessionario/committente a fronte di indizi che gli consentano di sospettare l’esistenza appunto di irregolarità o di evasione; indizi, che devono essere allegati e provati dall’amministrazione in base ad elementi oggettivi, anche presuntivi (tra varie, Cass. n. 20059/2014, n. 15044/2014, n. 5404/2016).

4.3.1. Per quanto riguarda l’esercizio del diritto a detrazione va, inoltre, ribadito – secondo una giurisprudenza costante della Corte di Giustizia – che il principio fondamentale della neutralità dell’IVA esige che la detrazione dell’IVA pagata a monte venga riconosciuta se sono soddisfatti i requisiti sostanziali, quand’anche taluni requisiti formali siano stati disattesi dal soggetto passivo, e che i requisiti sostanziali del diritto a detrazione sono quelli che stabiliscono il fondamento stesso e l’estensione di tale diritto, come quelli previsti nel capo 1 del titolo X della direttiva IVA, intitolato “Origine e portata del diritto a detrazione”, mentre i requisiti formali del suddetto diritto disciplinano le modalità e il controllo dell’esercizio del diritto medesimo nonchè il corretto funzionamento del sistema dell’IVA, come nel caso degli obblighi di contabilità, di fatturazione e di dichiarazione (C. Giust. 28.07.2016, C-332/15, punto 45 e 47 e la giurisprudenza ivi cit.).

4.3.2. Tali principi trovano necessariamente applicazione anche in caso di autofatturazione, giacchè le relative registrazioni, anche nel caso di “reverse charge”, assolvono una funzione sostanziale, in quanto, compensandosi a vicenda, con l’assunzione del debito avente ad oggetto l’IVA a monte e la successiva detrazione dell’IVA a valle, comportano che non permanga alcun debito nei confronti dell’Amministrazione, e consentono i controlli e gli accertamenti fiscali sulle cessione successive (cfr. Cass. n. 24022/2013).

5.1. Nel caso in esame la CTR non ha dato corretta applicazione a detti principi e la decisione va cassata.

5.2. Invero il giudice tributario di merito, investito della controversia avente ad oggetto l’atto impositivo, in applicazione dei predetti principi, avrebbe dovuto valutare, con giudizio di fatto censurabile in cassazione solo per vizi attinenti alla congruità ed alla coerenza logica della motivazione, la sussistenza dei caratteri di gravità, precisione e concordanza degli indizi motivanti l’atto medesimo, esaminandoli sia singolarmente sia nel loro complesso, ed esponendo adeguatamente l’esito di tale giudizio nella motivazione della sentenza e, successivamente, valutare gli elementi probatori a discarico offerti dalla contribuente.

5.3. Come emerge dalla lettura della sentenza, la CTR non ha dato applicazione a detti principi in quanto ha affermato erroneamente e con eccessiva concisione la necessità da parte dell’Amministrazione di offrire “prova certa” dell’inesistenza delle operazioni, in modo assertivo e senza accompagnare tale statuizione con alcuna disamina degli elementi presuntivi acquisiti nel corso del giudizio.

5.4. Inoltre ha riconosciuto la legittimità del diritto a detrazione, conseguente ad autofatturazione, prescindendo dalla verifica della sussistenza dei presupposti sostanziali richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria – e cioè la esistenza delle operazioni; in tal modo non ha considerato che la prova può sostanziarsi anche di presunzioni gravi, precise e concordanti, con conseguente inversione dell’onere probatorio sul contribuente ed ha mancato di esaminare gli elementi presuntivi offerti dall’Amministrazione.

6.1. Il quarto motivo è fondato e va accolto.

6.2. Invero la sintetica statuizione della CTR – circa l’infondatezza delle doglianze concernenti il rilievo b) – risulta del tutto assertiva e generica in quanto mancante di qualsivoglia riferimento alla fattispecie in esame necessario per comprendere il percorso logico giuridico seguito per pervenire a tale conclusione.

La Commissione si è limitata a esprimere una conclusione, senza individuare alcun elemento di fatto e di diritto sul quale ha inteso fondare la sua decisione, risultando del tutto assertiva.

6.3. Come già chiarito sub 3.3. la sentenza della CTR non può nemmeno ritenersi legittimamente motivata per relationem alla pronuncia di primo grado.

7.1. In conclusione, il ricorso va accolto su tutti i motivi; la sentenza impugnata va cassata e, non potendo decidersi nel merito, la causa va rinviata alla CTR del Lazio in diversa composizione per il riesame alla luce dei principi espressi e la compiuta motivazione, nonchè per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

– accoglie il ricorso su tutti i motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR del Lazio in diversa composizione per il riesame alla luce dei principi espressi e la compiuta motivazione, nonchè per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2017

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