FISCALITA

Azienda detenuta da un’impresa familiare: la plusvalenza da cessione

Con istanza d’interpello è stato posto un quesito relativamente al trattamento fiscale della plusvalenza da cessione dell’unica azienda detenuta da un’impresa familiare). In particolare, una signora riceveva in donazione dal marito, con atto del 28/2/2012 registrato in data 5/3/2012,

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un ramo d’azienda assumendolo agli stessi valori fiscalmente riconosciuti in capo al donante, in base all’art. 58 del TUIR; contestualmente, il contribuente istante costituiva un’impresa familiare, indicando quali collaboratrici familiari le figlie. Il ramo d’azienda ha come oggetto le attività di bar e caffè, commercio al dettaglio di alcolici e superalcolici e commercio al minuto di articoli complementari venduti nelle tabaccherie, oltre a quella di commercio al dettaglio della stampa quotidiana e periodica (edicola): le prime esercitate dal donante dal 1988, la seconda da lui avviata nel 1999. In proposito l’istante, dopo aver evidenziato che le attività svolte avevano già maturato, quindi, un’anzianità superiore ai 5 anni, avendo intenzione di cedere nel corso del 2013 l’azienda ricevuta in donazione ed esercitata sotto forma di impresa familiare a un terzo soggetto, chiedeva di conoscere il corretto trattamento fiscale ai fini delle imposte sui redditi dell’eventuale plusvalenza realizzata.

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A tale riguardo il contribuente ritiene che il caso prospettato debba essere risolto nel modo seguente.

Per prima cosa l’istante ritiene di poter optare per la tassazione separata della plusvalenza ai sensi dell’art. 17 del TUIR, considerato che si tratta di una plusvalenza derivante dalla cessione dell’unica azienda esercitata sotto forma di azienda familiare, ricevuta da un familiare entro i 5 anni antecedenti l’atto di cessione. Infatti, come già chiarito dalle risoluzioni n. 42/E del 2002 e n. 129/E del 2003, la donazione d’azienda effettuata tra marito e moglie non determina la perdita dell’anzianità dell’azienda oggetto del trasferimento, che va quindi fatta risalire all’inizio dell’attività del donante.

In secondo luogo ritiene, inoltre, di dover dichiarare l’intera plusvalenza, a nulla rilevando che l’azienda sia costituita sotto forma di impresa familiare e infine che, nell’ambito della situazione prospettata non trovi applicazione l’art. 67 del TUIR che inserisce la plusvalenza tra i redditi diversi, in quanto si tratterebbe di una previsione volta a regolamentare soltanto i casi in cui il donatario non eserciti e non intenda esercitare l’attività d’impresa e, pertanto, ceda l’azienda ricevuta in donazione senza mai assumere la qualifica di imprenditore.

Il parere dell’Agenzia delle Entrate

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Il contesto prospettato riguarda le modalità di tassazione ai fini delle imposte sui redditi della plusvalenza derivante dalla cessione dell’unica azienda detenuta da un’impresa familiare. Al riguardo, nella Risoluzione n. 78/E del 31 agosto 2015, l’Agenzia sottolinea che l’impresa familiare è disciplinata dall’art. 230-bis c.c., che nel regolare i rapporti tra il titolare dell’impresa familiare e i suoi collaboratori (parenti e affini) quando tra questi non sia stato configurato un diverso rapporto – come prestazione di lavoro subordinato, società, associazione in partecipazione o comunione di azienda – prevede che “ai collaboratori che prestino la loro attività lavorativa in modo continuativo nella famiglia o nell’impresa familiare sia riconosciuto il diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato, a partecipare agli utili dell’impresa familiare, ai beni acquistati con essa e agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento”.

Tuttavia, l’impresa familiare ha natura individuale e non collettiva e quindi l’imprenditore è unicamente il titolare dell’impresa, che la esercita assumendo in proprio diritti e obbligazioni, oltre la piena responsabilità verso i terzi, come provato dalla circostanza che il fallimento dell’imprenditore non coinvolge i familiari: in virtù della natura di impresa individuale, le eventuali perdite conseguite sono imputate esclusivamente al titolare dell’impresa familiare, come evidenziato nella Risoluzione n. 176/E del 2008.

Sotto il profilo fiscale l’impresa familiare è regolata dall’art. 5, comma 4, del TUIR, in base al quale i redditi dalla stessa derivanti, limitatamente al 49% dell’ammontare, possono essere imputati a ciascun familiare che abbia prestato in modo continuativo e prevalente la sua attività di lavoro nell’impresa, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili. Il reddito dell’impresa viene quindi dichiarato nel suo importo complessivo dall’imprenditore, unico titolare dell’impresa, che può imputare parte del suo reddito ai familiari per una parte non superiore al 49%. In proposito l’Agenzia sottolinea che i redditi imputati a tali soggetti, in proporzione alle rispettive quote di partecipazione, non rappresentano costi nella determinazione del reddito dell’impresa familiare ma una ripartizione dell’utile; riguardo al trattamento fiscale della plusvalenza realizzata dall’impresa familiare è dell’avviso che la stessa sia imputabile per intero all’imprenditore, con la conseguenza di essere fiscalmente irrilevante per i collaboratori familiari.

Tale soluzione si allinea al precedente orientamento espresso nella Circolare n. 320/E del 1997, in riferimento all’operazione di conferimento d’azienda, con la quale si era affermato che in caso di conferimento dell’impresa individuale il titolare dell’impresa familiare deve liquidare ai collaboratori l’incremento patrimoniale senza che tale operazione abbia rilevanza fiscale: questa affermazione va collocata nel contesto normativo in cui il conferimento d’azienda poteva generare plusvalenze tassabili per il conferente e non può che essere estesa alla plusvalenza generata in caso di cessione d’azienda, dato che “si tratta in entrambi i casi di operazioni realizzative la cui unica differenza consiste nel fatto che, nella cessione il prezzo è monetizzato, mentre nel conferimento il corrispettivo è rappresentato da quote di partecipazione”.

Nel caso in questione, assodato che la plusvalenza derivante dalla cessione dell’impresa familiare ha rilevanza fiscale interamente in capo al contribuente istante, l’Agenzia ritiene che la stessa sia imponibile a norma del combinato disposto degli articoli 58 e 86 del TUIR, non trovando invece applicazione l’art. 67, comma 1, lettera h-bis), dello stesso Testo unico, che stabilisce, infatti, che costituiscono redditi diversi le plusvalenze realizzate in caso di successiva cessione, anche parziale, delle aziende acquisite ai sensi dell’art. 58 del TUIR: si tratta, in pratica, della riqualificazione di plusvalenze maturate in regime d’impresa in plusvalenze tassabili come redditi diversi sempreché gli eredi o i donatari non abbiano continuato l’attività d’impresa, circostanza – quest’ultima – che si è invece verificata nel caso in esame.

La tassazione separata

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Resta infine da verificare la possibilità per l’istante di optare per la tassazione separata ai sensi dell’art. 17, comma 1, lettera g), del TUIR, in base al quale gli imprenditori individuali possono optare, in sede di dichiarazione dei redditi, per la tassazione separata delle plusvalenze realizzate mediante la cessione a titolo oneroso di aziende possedute da più di 5 anni. Considerato che l’istante ha acquisito l’azienda “in continuità” a norma dell’art. 58 del TUIR, l’Amministrazione finanziaria ritiene che nel computo del periodo di possesso sia rilevante anche il periodo in cui l’azienda era posseduta dal donante. Infatti, la continuità dei valori aziendali e la previsione specifica dell’art. 58, comma 1, del TUIR che l’atto non costituisce realizzo di plusvalenza, portano a ritenere che la successione mortis causa e la donazione, in presenza delle condizioni previste dalla norma, non costituiscono operazioni “idonee a generare materia imponibile né accadimenti suscettibili di essere considerati interruttivi della continuità aziendale, e, quindi, anche del conteggio del periodo di possesso dell’azienda da parte del nuovo titolare dell’azienda (principio già affermato, seppur ad altri fini, nella Risoluzione 6 giugno 2003, n. 129/E)”.

Dunque, avendo il donante esercitato le attività sopra descritte dal 12 aprile 1988 e l’attività di edicola dal 25 maggio 1999, nella situazione in commento ricorre il requisito temporale di possesso dell’azienda al fine dell’opzione per la tassazione separata.

Considerate le obiettive condizioni di incertezza sulle modalità di applicazione della tassazione sulla plusvalenza da cessione dell’impresa familiare derivanti dalle diverse interpretazioni fornite prima con la nota 984 del 17/7/1997 e, poi, con la circolare n. 320/E del 19/12/1997, l’Agenzia ritiene che, secondo il principio di tutela dell’affidamento e della buona fede sancito dall’art. 10, comma 3, della Legge n. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente), esistano le condizioni per escludere l’applicazione delle sanzioni nel caso in cui la plusvalenza realizzata dalla cessione sia stata ripartita tra il titolare dell’impresa e i collaboratori familiari.

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