CASSAZIONE

Atto impositivo: le condizioni di validità vanno tenute distinte da quelle della notificazione

Tributi – Irpef – Fermo amministrativo – Contenzioso – Messo notificatore –  Indirizzo – Notifica -Numero civico errato

Con l’ordinanza del 20 maggio 2021, n. 13834, la Corte di Cassazione è tornata a interessarsi delle procedure di notificazione degli atti giudiziari, in particolare del fermo amministrativo, per affermare la legittimità dell’atto ritenendo valida ed efficace la notifica del provvedimento avvenuta con consegna del plico a un numero civico diverso da quello risultante dall’anagrafe comunale.   Inoltre la decisione, confermando quella della Commissione Tributaria Regionale per il Lazio, ha evidenziato che il contribuente si era limitato a contestare genericamente le operazioni condotte dal messo notificatore, ma non ha esperito alcuna querela di falso.  

Il procedimento di notificazione degli atti in genere, per quanto interessa in questa sede, soggiace a una precisa disciplina normativa delle varie fasi in cui si articola il relativo iter, sostanziandosi in una serie di attività il cui scopo ultimo è quello di determinare la “conoscenza legale” dell’atto in capo al suo destinatario. Il puntuale rispetto della sequenza procedurale consente, infatti, di ritenere convenzionalmente intervenuta la conoscenza dell’atto da notificare, indipendentemente dal fatto che vi sia stata una effettiva conoscenza dello stesso, basandosi dunque “su di una fictio in virtù della quale l’effettiva conoscenza dell’atto da parte del destinatario, pur costituendo lo scopo della notificazione, rimane estranea alla sua struttura” (Cassazione, sentenza 23675/2014). Se, invece, nel corso del concreto espletamento dell’iter di notifica si verifichino delle “deviazioni” rispetto allo schema legale tipico, occorre valutare quali conseguenze ne possano derivare.

Abbiamo ben presente che per l’impugnazione serve la querela di falso, in quanto l’attestazione dell’ufficiale giudiziario sulla consegna dell’atto personalmente al destinatario costituisce atto pubblico che fa piena prova della notifica fino a querela di falso. Inoltre, nel giudizio di falso la prova univoca della falsità del documento impugnato con apposita querela deve essere fornita dal querelante perché possa pervenirsi all’accoglimento della relativa domanda, sia essa proposta in via incidentale o in via principale.

Rammentiamo che la tradizionale distinzione tra nullità e inesistenza, fondata sul collegamento tra luogo della notifica e destinatario della stessa, è stata da sempre foriera di vivaci contrasti nella giurisprudenza di legittimità, pur ricordando che l’articolo 160 Codice di procedura civile, (R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443) recita che “… La notificazione è nulla se non sono osservate le disposizioni circa la persona alla quale deve essere consegnata la copia, o se vi è incertezza assoluta sulla persona a cui è fatta  o sulla data, salva l’applicazione degli articoli 156 e 157”.

La nullità della notificazione si verifica in seguito alla violazione delle formalità o delle disposizioni di legge relative alla persona del destinatario o la persona alla quale può essere consegnata la copia dell’atto: diversamente si ha inesistenza della notificazione, quando questa viene effettuata in un luogo o presso una persona che non risulta in nessun modo riconducibile al vero destinatario. In ogni modo, se attualmente si ritiene che la notifica è nulla quando l’atto non è idoneo a raggiungere lo scopo, in proposito pare opportuno ricordare, sul tema, l’insegnamento della Cassazione 5057/2015, ove si legge che il raggiungimento dello scopo consente la piena conoscenza dell’atto, così realizzando “il nucleo forte di tutela dell’esercizio del diritto di difesa cui sono parametrate tutte le garanzie offerte dall’ordinamento perché tale effetto sia davvero conseguito, senza dar rilievo ad aspetti puramente formali che ostacolino la pronuncia sostanziale di giustizia alla quale tende l’ordinamento”.

Per questo dirimente principio bisogna far riferimento soprattutto alle pronunzie gemelle, le nn. 14916 e 14917 del 20 luglio 2016, che segnano un traguardo interpretativo importante in tema di notificazione degli atti giudiziari, con le quali le SS UU hanno fugato ogni dubbio circa la distinzione tra nullità e inesistenza della notifica, avendo modo di chiarire che il luogo in cui la notificazione viene eseguita non costituisce elemento costitutivo essenziale dell’atto.

Da tanto consegue che i vizi relativi alla individuazione di detto luogo, anche qualora esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, non causano l’inesistenza della notifica ma ricadono sempre nell’ambito della nullità sanabile con efficacia ex tunc per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità, oppure in conseguenza della rinnovazione della notificazione effettuata spontaneamente dalla parte stessa o su ordine del giudice ai sensi dell’art. 291 c.p.c.

E’ invece configurabile l’inesistenza della notifica solo se vi è la totale mancanza materiale dell’atto e se viene posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a qualificare un atto come notificazione. Le Sezioni Unite, investite per dirimere il contrasto, vanno al di là del caso sottoposto al loro esame individuando un criterio distintivo più chiaro, univoco e sicuro tra le tradizionali nozioni di inesistenza e di nullità della notificazione; nell’individuare tale criterio discretivo, il Supremo Consesso richiama l’unica norma che si occupa dell’invalidità della notificazione, contenuta nell’art. 160 c.p.c., a mente del quale “…la notificazione è nulla se non sono osservate le disposizioni circa la persona alla quale deve essere consegnata la copia o se vi è incertezza assoluta sulla persona a cui è fatta o sulla data, salva l’applicazione degli artt. 156 e 157”. Il riferimento all’art. 156 c.p.c. contenuto nella norma citata assume per le Sezioni Unite centrale rilievo in quanto, in base a tale disposizione, “…non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge; può tuttavia essere pronunciata quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo. La nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”.

Ricordiamo, oltre a ciò, che con l’ordinanza n. 29974/2017 la Suprema Corte, riferendosi alle molte fattispecie analizzate dalla vigente giurisprudenza (Cass. 29 marzo 2016, n. 6046; Cass. 5 dicembre 2012, n. 21817), si era occupata dei casi in cui per contestare la relazione di notifica dell’ufficiale giudiziario è necessaria la querela di falso, e dei casi in cui è sufficiente la sola prova contraria.

Secondo i giudici di legittimità – come più volte affermato dalla stessa Corte di Cassazione – la relazione dell’ufficiale notificante non fornisce la prova della veridicità sostanziale delle dichiarazioni rese dal destinatario ovvero consegnatario dell’atto notificato, ma solo di ciò che è avvenuto o compiuto in sua presenza e delle dichiarazioni ricevute e di quelle riguardanti attività svolte dall’ufficiale notificante, ovvero fatti avvenuti in sua presenza o dichiarazioni a lui rese, limitatamente al loro contenuto estrinseco. In particolare, gli Ermellini affermavano che: “… Questa Corte ha in più occasioni ribadito che la relazione dell’ufficiale notificante non fornisce la prova della veridicità sostanziale delle dichiarazioni rese dal destinatario ovvero consegnatario dell’atto notificato, sicché, ad esempio, le enunciazioni relative ai rapporti tra quest’ultimo e la persona cui l’atto è destinato, o circa la verità intrinseca delle dichiarazioni ricevute dall’ufficiale giudiziario notificante, fanno fede fino a prova contraria, con la conseguenza che in relazione a queste/ la parte interessata può fornire la prova della loro intrinseca inesattezza con tutti i mezzi consentiti, senza dover ricorrere alla querela di falso (tra le molte Cass. 5 dicembre 2012, n. 21817; Cass. 7 marzo 2012, n. 3516; Cass. 24 luglio 2000, n. 9658). In particolare, poiché la relata di notifica costituisce un atto pubblico, in quanto proviene da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, le attestazioni di essa, inerenti alle attività direttamente svolte dall’ufficiale giudiziario, fanno piena prova fino a querela di falso (Cass. 29 marzo 2016, n. 6046; Cass. 5 dicembre 2012, n. 21817, concernente attèstazione di mancato rinvenimento del legale rappresentante della società presso la sede con conseguente consegna dell’atto a persona qualificatasi come addetta alla ricezione; Cass. 22 febbraio 2010, n. 4193, riguardante attestazione del compimento di tutte le formalità prescritte; Cass. 27 ottobre 2008, n. 25860)”.

Infine, non è possibile non ricordare il preciso riferimento, segnalato dai giudici e al quale si sono uniformati, su un caso analogo, con l’ordinanza n. 13834/2021, nella quale indicavano che “… Nel caso in commento, il contribuente si è limitato a contestare genericamente le operazioni condotte dal messo notificatore ma non ha esperito alcuna querela di falso, unico strumento utile per togliere valore alla relata di notifica quale atto pubblico. Corretta e conferma ai principi espressi da questa Corte è dunque la decisione impugnata che merita dunque di essere confermata. A ciò aggiungasi che a termini dell’art. 156 c.p.c. non può essere dichiarata la nullità di alcun atto che abbia raggiunto il suo scopo. Anche su tale profilo, infatti, questa Corte è intervenuta affermando che la notificazione è una mera condizione di efficacia e non un elemento dell’atto d’imposizione fiscale, sicché la sua nullità è sanata, a norma dell’art. 156, comma 2, c.p.c., per effetto del raggiungimento dello scopo, desumibile anche dalla tempestiva impugnazione (Cfr. Cass. V, n.18480/2016). Un tanto in disparte la latente carenza d’interesse, già affermata da questa Corte, secondo cui “premesso che l’interesse ad agire (la cui assenza è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento), è richiesto per qualsiasi domanda dall’art. 100 cod. proc. civ., e costituisce un requisito per la trattazione del merito della domanda (Cass. n. 18127/2009, n. 3330/2002), 25 -22071-2014 -10/02/2021 MMF Corte di Cassazione – copia non ufficiale l’irritualità della notificazione può essere fatta valere dal contribuente unicamente al fine di eccepire la decadenza dell’amministrazione dalla possibilità di esercitare la pretesa tributaria, o la prescrizione dell’azione, ovvero al fine di dimostrare la tempestività dell’impugnazione dell’atto, altrimenti il contribuente non ha interesse a dedurre un vizio della notificazione che non ridonda, di per sé, in vizio dell’avviso di accertamento”.Inoltre, continuano gli Ermellini: “… Corretta e conferma ai principi espressi da questa Corte è dunque la decisione impugnata che merita dunque di essere confermata. A ciò aggiungasi che a termini dell’art. 156 c.p.c. non può essere dichiarata la nullità di alcun atto che abbia raggiunto il suo scopo. Anche su tale profilo, infatti, questa Corte è intervenuta affermando che la notificazione è una mera condizione di efficacia e non un elemento dell’atto d’imposizione fiscale, sicché la sua nullità è sanata, a norma dell’art. 156, comma 2, c.p.c., per effetto del raggiungimento dello scopo, desumibile anche dalla tempestiva impugnazione (Cfr. Cass. V, n.18480/2016). Un tanto in disparte la latente carenza d’interesse, già affermata da questa Corte, secondo cui “premesso che l’interesse ad agire (la cui assenza è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento), è richiesto per qualsiasi domanda dall’art. 100 cod. proc. civ., e costituisce un requisito per la trattazione del merito della domanda (Cass. n. 18127/2009, n. 3330/2002), 25 -22071-2014 -10/02/2021 MMF Corte di Cassazione – copia non ufficiale l’irritualità della notificazione può essere fatta valere dal contribuente unicamente al fine di eccepire la decadenza dell’amministrazione dalla possibilità di esercitare la pretesa tributaria, o la prescrizione dell’azione, ovvero al fine di dimostrare la tempestività dell’impugnazione dell’atto, altrimenti il contribuente non ha interesse a dedurre un vizio della notificazione che non ridonda, di per sé, in vizio dell’avviso di accertamento” (Cass. n. 16407 del 03/11/2003).

Tanto premesso, e tornando alla vicenda de quo, essa ha avuto origine dal fatto che un contribuente riceveva un provvedimento di fermo amministrativo per tributi erariali, lamentando che la cartella di pagamento quale atto presupposto era da considerarsi inesistente e illegittima perché recapitata a un numero civico diverso da quello risultante dall’anagrafe comunale.

Il contribuente adiva allora alla giustizia tributaria, ma entrambi i gradi riconoscevano le ragioni dell’Amministrazione finanziaria, per cui proponeva ricorso per cassazione affidato a un unico motivo nel quale, essenzialmente dolendosi della violazione e falsa applicazione degli artt. 138, 139 e 148 c.p.c. in parametro all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., lamentava che i giudici regionali avevano falsamente applicato la disciplina codicistica in tema di perfezionamento della notifica. 

Osserva preliminarmente il Collegio che, come correttamente eccepito dalla difesa erariale, il contribuente si è limitato a contestare genericamente le operazioni condotte dal messo notificatore ma non ha esperito alcuna querela di falso, unico strumento utile per togliere valore alla relata di notifica quale atto pubblico, affermando inoltre che: “… il principio fermo di questa Corte quello secondo cui l’attestazione dell’ufficiale giudiziario sulla consegna dell’atto personalmente al destinatario costituisce atto pubblico che fa piena prova della notifica fino a querela di falso.  Conseguentemente, per togliere valore alla prova della notifica è indispensabile esperire la querela di falso prevista dall’art. 221 c.p.c. (Cfr. Cass. V, n. 19560/2018). Nel caso in commento, il contribuente si è limitato a contestare genericamente le operazioni condotte dal messo notificatore ma non ha esperito alcuna querela di falso, unico strumento utile per togliere valore alla relata di notifica quale atto pubblico.  Corretta e conferma ai principi espressi da questa Corte è dunque la decisione impugnata che merita dunque di essere confermata.  A ciò aggiungasi che a termini dell’art. 156 c.p.c. non può essere dichiarata la nullità di alcun atto che abbia raggiunto il suo scopo. Anche su tale profilo, infatti, questa Corte è intervenuta affermando che la notificazione è una mera condizione di efficacia e non un elemento dell’atto d’imposizione fiscale, sicché la sua nullità è sanata, a norma dell’art. 156, comma 2, c.p.c., per effetto del raggiungimento dello scopo, desumibile anche dalla tempestiva impugnazione (Cfr. Cass. V, n.18480/2016).  Un tanto in disparte la latente carenza d’interesse, già affermata da questa Corte, secondo cui “premesso che l’interesse ad agire (la cui assenza è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento), è richiesto per qualsiasi domanda dall’art.100 cod. proc. civ., e costituisce un requisito per la trattazione del merito della domanda (Cass. n. 18127/2009, n. 3330/2002), l’irritualità della notificazione può essere fatta valere dal contribuente unicamente al fine di eccepire la decadenza dell’amministrazione dalla possibilità di esercitare la pretesa tributaria, o la prescrizione dell’azione, ovvero al fine di dimostrare la tempestività dell’impugnazione dell’atto, altrimenti il contribuente non ha interesse a dedurre un vizio della notificazione che non ridonda, di per sé, in vizio dell’avviso di accertamento (Cass. n. 16407 del 03/11/2003).  Le condizioni di validità dell’atto impositivo, quali prescritte dalle singole norme tributarie, vanno infatti tenute distinte (logicamente e cronologicamente) dalle condizioni di validità della sua notificazione (v. Cass., n. 11354 del 2001 e n. 3936 del 2002): non essendo in contestazione né la tempestività dell’esercizio del potere impositivo, né la tempestività dell’impugnazione del contribuente, non v’è per questi interesse a dedurre un vizio della notificazione dell’atto impugnato.” (Cfr. Cass.V, n. 10079/2017)”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 20 maggio 2021, n. 13834

sul ricorso iscritto al n. 22071/2014 R.G. proposto da

S. L., con gli avv.i Giampiero Tasco e Giorgio Pozzi e con domicilio eletto presso lo studio “Tasco & Associati” in Roma, via Antonio Gramsci n. 54

– ricorrente –

contro Equitalia Sud s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., con l’avv. Pasquale Vari, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Via Piemonte n. 39;

– contro ricorrente-

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per il Lazio – Roma n. 3612/06/2014, pronunciata il 12 maggio 2014, depositata il 29 maggio 2014 e notificata in data 25 giugno 2014;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 febbraio 2021 dal Co: Marcello M. Fracanzani;

RILEVATO

1.11 contribuente veniva attinto da un provvedimento di fermo amministrativo ed intimato al pagamento di € 3.554.008,80 per tributi erariali relativi a sanzioni pecuniarie ai fini Irpef 2005, così apprendendo, a suo dire, l’esistenza di una cartella di pagamento quale atto presupposto.

2.1 due gradi di merito erano favorevoli all’Amministrazione finanziaria.

3.Insorge con ricorso il contribuente che si affida ad un unico motivo di ricorso, cui resiste l’Agente della riscossione con tempestivo controricorso.

CONSIDERATO

1. Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 138, 139 e 148 c.p.c. in parametro all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c.

In buona sostanza la parte ricorrente invoca la cassazione della sentenza per aver la CTR falsamente applicato la disciplina codicistica in tema di perfezionamento della notifica.

1.1. La notifica della cartella esattoriale (atto presupposto), pur risultando consegnata a mani del contribuente in base alle risultanze della relata di notifica, sarebbe infatti inesistente ed illegittima per essere stata consegnata ad un numero civico diverso da quello risultante dall’anagrafe comunale. Di tal via non potrebbe essere affermato con certezza che il sottoscrittore della relata sia anche l’effettivo destinatario, pur firmatosi come il contribuente.

Il motivo è infondato.

 2.Come correttamente eccepito dalla difesa erariale, la parte ricorrente non disconosce la sottoscrizione di avvenuta ricezione dell’atto impositivo né contesta ritualmente la relata di notifica.

2.1. Il principio fermo di questa Corte quello secondo cui l’attestazione dell’ufficiale giudiziario sulla consegna dell’atto personalmente al destinatario costituisce atto pubblico che fa piena prova della notifica fino a querela di falso.

Conseguentemente, per togliere valore alla prova della notifica è indispensabile esperire la querela di falso prevista dall’art. 221 c.p.c. (Cfr. Cass. V, n. 19560/2018).

2.2 Nel caso in commento, il contribuente si è limitato a contestare genericamente le operazioni condotte dal messo notificatore ma non ha esperito alcuna querela di falso, unico strumento utile per togliere valore alla relata di notifica quale atto pubblico.

Corretta e conferma ai principi espressi da questa Corte è dunque la decisione impugnata che merita dunque di essere confermata.

A ciò aggiungasi che a termini dell’art. 156 c.p.c. non può essere dichiarata la nullità di alcun atto che abbia raggiunto il suo scopo. Anche su tale profilo, infatti, questa Corte è intervenuta affermando che la notificazione è una mera condizione di efficacia e non un elemento dell’atto d’imposizione fiscale, sicché la sua nullità è sanata, a norma dell’art. 156, comma 2, c.p.c., per effetto del raggiungimento dello scopo, desumibile anche dalla tempestiva impugnazione (Cfr. Cass. V, n.18480/2016).

Un tanto in disparte la latente carenza d’interesse, già affermata da questa Corte, secondo cui “premesso che l’interesse ad agire (la cui assenza è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento), è richiesto per qualsiasi domanda dall’art.100 cod. proc. civ., e costituisce un requisito per la trattazione del merito della domanda (Cass. n. 18127/2009, n. 3330/2002), l’irritualità della notificazione può essere fatta valere dal contribuente unicamente al fine di eccepire la decadenza dell’amministrazione dalla possibilità di esercitare la pretesa tributaria, o la prescrizione dell’azione, ovvero al fine di dimostrare la tempestività dell’impugnazione dell’atto, altrimenti il contribuente non ha interesse a dedurre un vizio della notificazione che non ridonda, di per sé, in vizio dell’avviso di accertamento (Cass. n. 16407 del 03/11/2003).

Le condizioni di validità dell’atto impositivo, quali prescritte dalle singole norme tributarie, vanno infatti tenute distinte (logicamente e cronologicamente) dalle condizioni di validità della sua notificazione (v. Cass., n. 11354 del 2001 e n. 3936 del 2002): non essendo in contestazione né la tempestività dell’esercizio del potere impositivo, né la tempestività dell’impugnazione del contribuente, non v’è per questi interesse a dedurre un vizio della notificazione dell’atto impugnato.” (Cfr. Cass.V, n. 10079/2017).

Il motivo è dunque infondato e il ricorso merita di essere respinto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore di Equitalia Sud s.p.a., che liquida in €.tredicimila/00, oltre ad €.200,00 per esborsi, rimborso nella misura forfettaria del 15%, Iva e cpa come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10/02/2021.

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