Assoluzione penale irrevocabile rilevante anche nei giudizi tributari pendenti
Tributi – IRPEF, IRAP e IVA – Accertamento – Contenzioso – Giudizio penale – Giudizio tributario – Ius superveniens – D.lgs. 14/06/2024, n. 87 in vigore dal 29 giugno 2024 – Applicabilità – Condizioni
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30814 del 2 dicembre 2024, intervenendo sul tema piuttosto dibattuto relativo ai rapporti tra giudizio penale e giudizio tributario, si è pronunciata riguardo all’efficacia delle sentenze penali di assoluzione nel contesto del giudizio tributario.
La decisione degli Ermellini si è basata anche sulle indicazioni della nuova norma introdotta dal decreto legislativo n. 87/2024, che ha inserito l’articolo 21-bis nel D.lgs. 74/2000, dove alla luce di tale disposizione una sentenza penale di assoluzione, divenuta irrevocabile e pronunciata perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso, ha efficacia di giudicato anche nel procedimento tributario, a condizione che il giudizio tributario sia ancora pendente alla data del 29 giugno 2024, ossia all’entrata in vigore della riforma.
Al riguardo la Suprema Corte ha offerto interessanti spunti interpretativi, enunciando un principio di diritto che così recita; “… L’art. 21-bis del D.Lgs. n. 74 del 2000, introdotto dal D.Lgs. n. 87 del 2024, che riconosce efficacia di giudicato nel processo tributario alla sentenza penale dibattimentale irrevocabile di assoluzione, è applicabile, quale ius superveniens, anche ai casi in cui detta sentenza è divenuta irrevocabile prima della operatività di detto articolo e, alla data della sua entrata in vigore, risulta ancora pendente il giudizio di cassazione contro la sentenza tributaria d’appello che ha condannato il contribuente in relazione ai medesimi fatti, rilevanti penalmente, dai quali egli è stato irrevocabilmente assolto, in esito a giudizio dibattimentale, con una delle formule di merito previste dal codice di rito penale (perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non l’ha commesso)”.
Tale pronuncia vale anche se depositata nel giudizio in Cassazione e anche quando i precedenti gradi di merito erano favorevoli all’Ufficio.
Del resto, e più in generale, il rapporto tra procedimento penale e tributario è un tema che negli anni ha assunto non solo un valore teorico, ma ha avuto diversi risvolti pratici di particolare rilievo. Una delle maggiori problematiche che il legislatore ha dovuto affrontare è stata quella di decidere sulla natura e tipologia di rapporto da attribuire ai due processi: se creare una sorta di collegamento tra i due, in modo da agevolarne l’influenza reciproca, oppure se optare per la netta separazione in modo che gli stessi si svolgessero in maniera del tutto autonoma e parallela. Negli anni tale questione, oltre a essere stata oggetto di molteplici interventi da parte del legislatore, è stata anche largamente affrontata sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza.
Nel panorama giuridico italiano, l’assoluzione penale irrevocabile implica, perciò, il riconoscimento della non colpevolezza dell’imputato per i reati contestatigli.
Sebbene il processo penale si concentri sulla responsabilità penale dell’individuo, l’effetto di tale sentenza si estende al processo tributario, dove spesso la Corte di Cassazione, in diverse sentenze, ha chiarito che un’assoluzione penale irrevocabile può comportare la soppressione di qualsiasi presunzione di colpevolezza, con effetti diretti sui procedimenti tributari in corso.
In particolare, la Suprema Corte ha spesso sottolineato che, laddove vi sia un’assoluzione per un reato fiscale, le autorità fiscali non possono continuare a sostenere la responsabilità del contribuente sulla base di fatti che sono stati già esclusi dal giudice penale. Questo principio ha trovato applicazione in numerosi casi, dove l’assoluzione penale irrevocabile segna un risultato decisivo anche nei giudizi tributari pendenti.
Ora, e in attuazione del criterio direttivo, l’art. 1, co. 1, lett. m), del D.lgs. 87/2024 (c.d. decreto sanzioni) ha introdotto nel D.lgs. 74/2000 il nuovo articolo 21-bis, rubricato “Efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e nel processo di Cassazione”, con il quale ha previsto che la sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento assume nel processo tributario efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi. E’ stato previsto, inoltre, che la sentenza penale irrevocabile può essere depositata anche nel giudizio di Cassazione.
La novella legislativa individua, peraltro, l’ambito soggettivo della sentenza penale assolutoria, prevedendo che l’efficacia di giudicato della sentenza irrevocabile di assoluzione si applica, in ogni stato e grado, nel processo tributario, nei confronti del medesimo soggetto, se la sentenza penale è pronunciata con le formule “perché il fatto non sussiste” o “l’imputato non lo ha commesso” o nei confronti di altri soggetti connessi con l’imputato, se la sentenza penale è pronunciata esclusivamente con la formula “perché il fatto non sussiste”.
In particolare, ai sensi del citato comma 3, la sentenza irrevocabile di assoluzione ha effetto di giudicato nel processo tributario relativo alla persona fisica nell’interesse della quale ha agito il dipendente, il rappresentante legale o negoziale e all’ente e società, con o senza personalità giuridica, nell’interesse dei quali ha agito il rappresentante o l’amministratore anche di fatto, nonché ai loro soci o associati.
La stessa Corte di Cassazione ha recentemente confermato che la disposizione si applica anche ai casi in cui la sentenza penale dibattimentale di assoluzione sia divenuta irrevocabile prima dell’entrata in vigore del D.lgs. 87/2024 (29 giugno 2024), purché in tale data il processo tributario risulti ancora pendente.(v. Ord. n. 23570/2024).
La Corte, nella odierna pronunzia, nel ricordare ampiamente la giurisprudenza relativa ai rapporti tra giudizio penale e giudizio tributario, ha rilevato che tale assetto interpretativo è stato innovato dall’art. 21-bis del D.lgs. 74/2000, introdotto dall’art. 1, comma 1, del D.lgs. 87/2024 e in vigore dal 29 giugno 2024 – rubricato “Efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e nel processo di Cassazione” – il quale dispone: “1. La sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi. 2. La sentenza penale irrevocabile di cui al comma 1 può essere depositata anche nel giudizio di Cassazione fino a quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio. 3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano, limitatamente alle ipotesi di sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, anche nei confronti della persona fisica nell’interesse della quale ha agito il dipendente, il rappresentante legale o negoziale, ovvero nei confronti dell’ente e società, con o senza personalità giuridica, nell’interesse dei quali ha agito il rappresentante o l’amministratore anche di fatto, nonché nei confronti dei loro soci o associati”.
Viene ricordato che la Corte di Cassazione (Cass. n. 21584/2024; Cass. n. 23570/2024; Cass. n. 23609/2024) aveva da tempo ritenuto che l’indicato ius superveniens si applica anche ai casi in cui la sentenza penale dibattimentale di assoluzione sia divenuta irrevocabile prima dell’entrata in vigore del citato decreto legislativo 87/2024 purché, alla data di entrata in vigore del medesimo, sia ancora pendente il giudizio di cassazione contro la sentenza tributaria d’appello che ha condannato il contribuente in relazione ai medesimi fatti, rilevanti penalmente, dai quali egli sia stato irrevocabilmente assolto, in esito a giudizio dibattimentale, con una delle formule di merito previste dal codice di rito penale (perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non l’ha commesso).
La Corte, peraltro, aveva già affermato il concetto che in mancanza di una disposizione transitoria debba essere applicato il principio per il quale, nel caso di successione di leggi processuali nel tempo, ove il legislatore non abbia diversamente disposto, in ossequio alla regola generale di cui all’art. 11 delle preleggi, la nuova norma disciplina non solo i processi iniziati successivamente alla sua entrata in vigore ma anche i singoli atti ad essa successivamente compiuti, di processi iniziati prima della sua entrata in vigore (così Cass. n. 3688/2011; Cass. n. 19270/2014; Cass. n. 27525/2014; Cass. n. 8590/2017).
Tanto premesso e tornando all’odierna vicenda, essa ha inizio quando l’Agenzia delle entrate emetteva due avvisi di accertamento, a fini IRPEF, IRAP e IVA nei confronti di un contribuente. riprendendo a imposizione i costi delle operazioni ritenuti inesistenti. Le Commissioni tributarie adite rigettavano l’appello proposto dalla parte contribuente, che allora si rivolgeva alla Cassazione proponendo il ricorso composto da 11 motivi con i quali, essenzialmente, si allegava la sentenza penale di assoluzione emessa dal Tribunale penale con attestazione di irrevocabilità, con formula “il fatto non sussiste”, dai reati ascritti.
La Suprema Corte ha valutato positivamente le conclusioni riportate dal contribuente ritenendo che: “… Atteso che nel processo tributario vigono i limiti in materia di prova posti dall’art. 7, comma quarto, del D.Lgs. n. 546 del 1992 (e, in precedenza, dall’art. 35, comma quinto, del D.P.R. n. 636 del 1972), e trovano ingresso, con rilievo probatorio, in materia di determinazione del reddito d’impresa, anche presunzioni semplici (art. 39, secondo comma, del D.P.R. n. 600 del 1973) prive dei requisiti prescritti ai fini della formazione di siffatta prova tanto nel processo civile (art. 2729, primo comma, cod. civ.), che nel processo penale (art. 192, comma secondo, cod. proc. pen.), la conseguenza del mutato quadro normativo è che nessuna automatica autorità di cosa giudicata può più attribuirsi nel separato giudizio tributario alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente. Pertanto, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 cod. proc. civ.), deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare (Cass. n. 9109/2002; Cass. n. 8102/2003; Cass. n. 10945/2005; Cass. n. 5720/2007; Cass. n. 19786/2011; Cass. n. 4924/2013; Cass. n. 10578/2015; Cass. n. 28174/2017; Cass. n. 17258/2019). Questa Corte, di conseguenza, ha precisato, quanto alla produzione della sentenza penale di assoluzione nel giudizio di cassazione in sede di memoria difensiva ex art. 378 cod. proc. civ., che il principio secondo cui, nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, con correlativa inopponibilità del divieto di cui all’art. 372 cod. proc. civ., non può trovare applicazione laddove la sentenza passata in giudicato venga invocata, ai sensi dell’art. 654 cod. proc. pen., unicamente al fine di dimostrare l’effettiva sussistenza (o insussistenza) dei fatti. In tali casi il giudicato non assume alcuna valenza enunciativa Giurisprudenza della regula iuris alla quale il giudice civile ha il dovere di conformarsi nel caso concreto, mentre la sua astratta rilevanza potrebbe ravvisarsi soltanto in relazione all’affermazione (o negazione) di meri fatti materiali, ossia a valutazioni di stretto merito non deducibili nel giudizio di legittimità. Ne consegue l’inammissibilità della produzione della sentenza penale, siccome estranea all’ambito previsionale dell’art. 372 cod. proc. civ. (Cass. S.U. n. 2735/2017, di cui fanno applicazione, tra tante, Cass. n. 22376/2017; Cass. n. 23483/2010; ed ancora Cass. n. 9900/2024 e Cass. n. 16413/2023 in materia tributaria). 2.3. Tale assetto è stato innovato dall’art. 21-bis del D.Lgs. 10/03/2000, n. 74, introdotto dall’art. 1, comma 1, D.Lgs. 14/06/2024, n. 87 ed in vigore dal 29 giugno 2024, rubricato “Efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e nel processo di Cassazione”, il quale dispone: “1. La sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi. 2. La sentenza penale irrevocabile di cui al comma 1 può essere depositata anche nel giudizio di Cassazione fino a quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio. 3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano, limitatamente alle ipotesi di sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, anche nei confronti della persona fisica nell’interesse della quale ha agito il dipendente, il rappresentante legale o negoziale, ovvero nei confronti dell’ente e società, con o senza personalità giuridica, nell’interesse dei quali ha agito il rappresentante o l’amministratore anche di fatto, nonché nei confronti dei loro soci o associati”. La disposizione, che non si accompagna alla previsione di una sospensione obbligatoria del processo tributario in pendenza di quello penale, impone di riconoscere efficacia vincolante nel processo tributario al giudicato penale assolutorio formatosi a seguito di giudizio dibattimentale purché tale giudicato abbia ad oggetto gli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario e purché l’assoluzione sia avvenuta in base ad una delle due formule sopra indicate; l’efficacia del giudicato attiene quindi agli “stessi fatti materiali”, il che ha indotto i primi commentatori ad evidenziare che quando si discute di efficacia della sentenza penale nel giudizio tributario non ci si riferisce al giudicato penale in sé e per sé, ma all’accertamento dei fatti contenuti nella relativa decisione. E quindi, ciò che interessa non è il valore extrapenale del dispositivo della sentenza, ma il valore extrapenale degli accertamenti di fatto. La ratio della riforma, evincibile del criterio direttivo della legge delega e resa esplicita dalla relazione illustrativa al decreto legislativo, è quella di rafforzare l’integrazione dei sistemi sanzionatori nella prospettiva del rispetto del principio del ne bis in idem (criterio di delega di cui all’art. 20, comma 1, lett. a), n. 1 della L. n. 111 del 2023); il legislatore si propone la razionalizzazione del sistema sanzionatorio amministrativo e penale, anche attraverso una maggiore integrazione tra i diversi tipi di sanzione, ai fini del completo adeguamento al principio del ne bis in idem. 2.4. Questa Corte (Cass. n. 21584/2024; Cass. n. 23570/2024; Cass. n. 23609/2024) ha già ritenuto che l’indicato ius superveniens si applica anche ai casi (come quello per cui è causa) in cui la sentenza penale dibattimentale di assoluzione sia divenuta irrevocabile prima dell’entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 87 del 2024, purché, alla data di entrata in vigore del medesimo, sia ancora pendente il giudizio di cassazione contro la sentenza tributaria d’appello che ha condannato il contribuente in relazione ai medesimi fatti, rilevanti penalmente, dai quali egli sia stato irrevocabilmente assolto, in esito a Giurisprudenza giudizio dibattimentale, con una delle formule di merito previste dal codice di rito penale (perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non l’ha commesso). Le disposizioni in esame appaiono infatti avere carattere processuale, incidendo sulla efficacia esterna nel processo tributario del giudicato penale (il primo comma) e sulle modalità di produzione nel giudizio di cassazione (il secondo comma). Ora, come è noto, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, sono sostanziali le norme che consistono in regole di giudizio la cui applicazione ha una diretta ricaduta sulla decisione di merito, di accoglimento o di rigetto della domanda, mentre hanno carattere processuale le disposizioni che disciplinano i modi di deduzione, ammissione e assunzione delle prove (ex plurimis, Cass. n. 18912/2018). In particolare, in merito alla prima questione, oltre all’oggetto, il giudicato, e al dato testuale, l’efficacia del medesimo, si deve rilevare che questa Corte, pronunciandosi sull’efficacia del sopravvenuto art. 654 cod. proc. pen. rispetto alla previsione dell’art. 12 del D.L. n. 429 del 1982, convertito dalla legge n. 516 del 1982, e modificato dal D.L. n. 916 del 1982, convertito dalla legge n. 27 del 1983, che prevedeva allora la efficacia vincolante del giudicato penale, ha osservato che “la norma attiene ai poteri-doveri del giudice civile (od amministrativo) quando statuisce dopo il formarsi di giudicato penale, e, quindi, alla fase decisionale del relativo procedimento, di modo che deve trovare applicazione quando tale fase sia successiva alla sua entrata in vigore” (Cass. n. 7403/1995). Nessun dubbio appare sussistere sulla natura prettamente processuale della disposizione che prevede la produzione del giudicato anche nel giudizio di cassazione (volta ad esplicitare la rilevanza in ogni stato e grado del sopravvenuto giudicato) entro il termine di quindici giorni dalla udienza pubblica o dalla adunanza. Ebbene, in tema di disposizioni processuali, questa Corte ha affermato il principio che in mancanza di una disposizione transitoria (circostanza che ricorre anche nella disciplina in esame) debba essere applicato il principio per il quale, nel caso di successione di leggi processuali nel tempo, ove il legislatore non abbia diversamente disposto, in ossequio alla regola generale di cui all’art. 11 delle preleggi, la nuova norma disciplina non solo i processi iniziati successivamente alla sua entrata in vigore ma anche i singoli atti, ad essa successivamente compiuti, di processi iniziati prima della sua entrata in vigore (così Cass. n. 3688/2011; Cass. n. 19270/2014; Cass. n. 27525/2014; Cass. n. 8590/2017). 2.5. Va quindi ribadito il seguente principio di diritto: “L’art. 21-bis del D.Lgs. n. 74 del 2000, introdotto dal D.Lgs. n. 87 del 2024, che riconosce efficacia di giudicato nel processo tributario alla sentenza penale dibattimentale irrevocabile di assoluzione, è applicabile, quale ius superveniens, anche ai casi in cui detta sentenza è divenuta irrevocabile prima della operatività di detto articolo e, alla data della sua entrata in vigore, risulta ancora pendente il giudizio di cassazione contro la sentenza tributaria d’appello che ha condannato il contribuente in relazione ai medesimi fatti, rilevanti penalmente, dai quali egli è stato irrevocabilmente assolto, in esito a giudizio dibattimentale, con una delle formule di merito previste dal codice di rito penale (perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non l’ha commesso)”. 2.6. Orbene, nel caso di specie, il contribuente, professionista, è stato assolto in sede penale, in esito a giudizio dibattimentale, perché il fatto non sussiste, con sentenza del Tribunale di Padova munita di attestazione di irrevocabilità, ritualmente e tempestivamente allegata agli atti del giudizio di cassazione entro il predetto termine di quindici giorni. Non vi è dubbio, inoltre, che i fatti posti alla base degli avvisi di accertamento impugnati siano gli stessi fatti oggetto dell’imputazione penale dalla quale il contribuente è stato definitivamente assolto, alla luce di quanto sopra evidenziato, avendo il giudice penale espressamente escluso l’inesistenza delle operazioni passive contestate al ricorrente ritenendo che le stesse fossero state effettivamente poste in essere. Ne consegue che, spiegando la sentenza penale di assoluzione efficacia di giudicato nell’ambito del presente giudizio con riferimento all’esistenza dei medesimi fatti posti a base delle riprese fiscali, deve ritenersi, anche con riferimento al giudizio tributario, che tali fatti non sussistono, con la conseguenza che, accolti i predetti motivi, va cassata la sentenza impugnata e, non essendovi bisogno di ulteriori accertamenti di fatto, in applicazione del citato giudicato ammissibile in forza dello ius superveniens, la causa deve essere decisa nel merito con l’accoglimento del ricorso proposto in primo grado. 3. Pertanto, il ricorso va accolto, nei motivi indicati, assorbiti gli altri motivi; la sentenza impugnata deve essere cassata, e la causa può essere decisa nel merito, con l’accoglimento del ricorso introduttivo. Le spese dei gradi di merito e del giudizio di legittimità vanno compensate in ragione della applicazione dello jus superveniens sopra indicato”.
Corte di Cassazione – Sentenza 2 dicembre 2024, n. 30814
sul ricorso iscritto al n. 28760/2015 R.G. proposto da:
A.A., rappresentato e difeso dall’avv. Sabina Ciccotti e dall’avv. Gianfranco Rondello, in forza di procura in calce al ricorso, elettivamente domiciliato presso l’avv. Ciccotti in Roma alla via Lucrezio Caro n. 62;
– ricorrente –
contro AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma alla via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto n. 762/2015 depositata in data 5/05/2015;
udita la relazione della causa tenuta nella pubblica udienza del 20/09/2024 dal consigliere dott. Federico Lume;
udito il sostituto Procuratore generale, dott. Alessandro Pepe, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito l’avv. Sabina Ciccotti per il ricorrente
Svolgimento del processo
1. L’Agenzia delle Entrate, Direzione provinciale di Padova, emetteva due avvisi di accertamento, a fini Irpef, Irap e Iva, per gli anni di imposta 2008 e 2009 nei confronti di A.A. riprendendo a imposizione i costi delle operazioni, aventi ad oggetto bonifica telefonica e ambientale, intercorse con la Srl L., società risultata, all’esito degli accertamenti della Guardia di Finanza, una mera cartiera, ritenendole oggettivamente inesistenti.
2. La Commissione tributaria provinciale di Padova, riuniti i distinti ricorsi proposti dal contribuente, li rigettava.
3. La Commissione tributaria regionale del Veneto rigettava l’appello; in particolare evidenziava che ..i singoli capi della sentenza impugnata criticati in appello ed esposti da pag. 32 a pag. 40 del documento trovano condivisa risposta da parte dell’Agenzia dalla pag. 5 alla pag. 11 delle controdeduzioni dove sono evidenziati gli elementi indiziari, i riscontri oggettivi e le prove a sostegno degli assunti dell’amministrazione. Il convincimento è raggiunto sulla scorta di tutti questi elementi, del loro coordinamento e dal pensiero che un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova…
4. Contro tale sentenza il contribuente propone ricorso affidato a undici motivi, illustrati da successiva memoria, unitamente alla quale ha prodotto sentenza penale di assoluzione emessa dal Tribunale di Padova con attestazione di irrevocabilità. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso. La causa è stata rimessa alla pubblica udienza del 20/09/2024.
Il PM, in persona del sostituto Procuratore generale dott. Alessandro Pepe, ha concluso per l’accoglimento del ricorso, superando le originarie conclusioni scritte.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4) cod. proc. civ., si deduce nullità della sentenza per motivazione apparente, in violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4) cod. proc. civ., 118, primo e secondo comma, disp. att. cod. proc. civ., 36, comma 2, n. 4) D.Lgs. n. 546 del 1992.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4) cod. proc. civ., si deduce violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e omessa pronuncia sulla eccepita inconferenza della circostanza che, secondo l’ufficio, dimostrerebbe che la L. sia una cartiera e conseguentemente sull’essere automaticamente inesistenti tutte le prestazioni rese ai vari clienti, tra cui quelle fatturate all’odierno ricorrente.
In particolare, i giudici di appello avrebbero omesso di pronunciare su una serie di elementi fattuali (irrilevanza dell’assenza di più sedi operative della Srl, non obbligatorietà di un contratto scritto, irrilevanza dei fatti relativi ad altri anni di imposta, irrilevanza di un trasferimento fisico dei beni, presenza di un interrogatorio del L.r. della L., B.B., che aveva dichiarato di aver effettuato personalmente i lavori di bonifica presso lo studio del Giurisprudenza contribuente, possedendone tutti i titoli, irrilevanza del patteggiamento del B.B. medesimo).
Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4) cod. proc. civ., si deduce violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia sulle prove specifiche dedotte dal contribuente per dimostrare l’effettività delle prestazioni di bonifica ambientale rese, ed in particolare il verbale di interrogatorio del B.B., che aveva dichiarato di aver effettivamente operato nello studio del contribuente, come confermato dalla dichiarazione sostitutiva di atto notorio di C.C., che aveva confermato l’effettività delle prestazioni, e dalla dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di D.D., che aveva segnalato la necessità di procedere alla verifica ambientale dello studio; evidenzia altresì che dopo la decisione di appello è intervenuta la sentenza n. 2187/2015 del Tribunale di Padova che, su conforme richiesta dell’accusa e della difesa, ha assolto il contribuente dal reato ascrittogli con la formula… il fatto non sussiste…
Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 331 cod. proc. pen., poiché, se la CTR avesse ritenuto mendaci tali dichiarazioni, avrebbe dovuto trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica; dell’art. 7, comma 4, D.Lgs. n. 546 del 1992, in quanto il valore probatorio delle predette dichiarazioni è imposto dal divieto di prova testimoniale nel processo tributario; degli artt. 1, 32, comma 1, 58, comma 2, D.Lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 32 D.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 51 D.P.R. n. 633 del 1972, ove la CTR avesse inteso come inammissibili i predetti documenti, e dell’art. 6, comma 4, della L. n. 212 del 2000.
In subordine al quarto motivo, ove si ritenga la questione oggetto di un implicito rigetto, con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4) cod. proc. civ., si deduce violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per omessa pronuncia sulla mancanza di rilevanza probatoria del patteggiamento del legale rappresentante di L., come del resto pure evidenziato nella sentenza assolutoria sopra citata. Con il sesto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., si deduce violazione dell’art. 25 D.Lgs. n. 74 del 2000, degli artt. 444 e 654 cod. proc. pen. e dell’art. 116 cod. proc. civ., in quanto, avendo l’art. 25 D.Lgs. n. 74 del 2000 abrogato la previgente previsione dell’art. 12 della legge n. 516 del 1982, che disponeva l’efficacia vincolante del giudicato penale nel processo tributario, i giudici di appello avevano l’obbligo di valutare caso per caso gli elementi probatori, tanto più che nel caso di specie il sig. B.B. aveva patteggiato la pena e il contribuente era stato assolto con la formula “perché il fatto non sussiste”.
Con il settimo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4) cod. proc. civ., si deduce violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia sulla non necessità della forma scritta del contratto di prestazione di servizi.
Con l’ottavo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., si deduce violazione dell’art. 1350 cod. civ. e dell’art. 11 della Convenzione di Vienna che non prescrivono forme contrattuali obbligatorie.
Con il nono motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4) cod. proc. civ., si deduce violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per omessa pronuncia sul vizio di ultrapetizione in cui sarebbe incorsa la CTP allorquando aveva ritenuto ingiustificata la spesa per le operazioni in questione, ritenendola antieconomica; evidenzia che la CTR abbia del tutto omesso di esaminare il motivo di appello con cui il contribuente evidenziava la documentazione in atti giustificativa dell’operazione di bonifica (la Giurisprudenza dichiarazione del sig. D.D., cliente del ricorrente, che aveva suggerito l’opportunità di effettuare una bonifica ambientale), espressamente considerata dal giudice penale.
Con il decimo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2727 cod. civ. avendo la CTR errato nel governo della prova presuntiva non avendo alcuno degli elementi dedotti dall’ufficio adeguata rilevanza presuntiva.
Con l’undicesimo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 10 della L. n. 212 del 2000 in quanto l’ufficio aveva a disposizione anche gli elementi, il verbale di interrogatorio del sig. B.B. e i titoli professionali, che deponevano per l’effettività dell’operazione.
2. Il secondo, terzo, sesto, nono e decimo motivo vanno esaminati congiuntamente e con priorità rispetto agli altri motivi.
Essi denunciano, a vario titolo, come omessa pronuncia o come violazione delle norme in tema di rapporti tra processo tributario e processo penale e di quelle in tema di prova presuntiva, l’inesistente o errato apprezzamento degli indizi offerti dall’ufficio a sostegno della inesistenza delle due operazioni contestate (una bonifica ambientale e una bonifica telefonica) e degli elementi probatori offerti dal contribuente a sostegno dell’asserita effettività delle medesime, elementi invece valorizzati nella sentenza penale di assoluzione pronunciata dal Tribunale di Padova in data (di poco) successiva alla pubblicazione della sentenza della CTR. I motivi sono fondati nei termini che seguono.
2.1. Occorre premettere che sia in data 6/06/2024 che in allegato alla memoria depositata in data 28/08/2024 il ricorrente ha prodotto copia della sentenza del Tribunale di Padova n. 2187/2015 (già depositata unitamente al ricorso introduttivo), con attestazione di irrevocabilità al 6/11/2015, che lo ha assolto, con formula “il fatto non sussiste”, dai reati a lui ascritti, ai sensi degli artt. 81 cpv. cod. pen. e 2 D.Lgs. n. 74 del 2000 (“poiché al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, in qualità di titolare dello studio legale, avvalendosi di fatture emesse per operazioni inesistenti dalla Leader tech Srl indicava elementi passivi fittizi nella dichiarazione annuale relativa all’anno di imposta 2008 e nella dichiarazione annuale relativa all’anno di imposta 2009”).
In particolare, il giudice penale, sulla base delle deposizioni dei testimoni C.C., D.D. e B.B. (quest’ultimo in particolare aveva differenziato la posizione del A.A. da altri soggetti), ha ritenuto che le prestazioni di bonifica ambientale e telefonica nello studio legale del contribuente fossero state effettivamente realizzate dal B.B., escludendo l’ipotesi accusatoria di inesistenza delle operazioni. Occorre precisare che la sentenza penale è sopravvenuta alla conclusione del giudizio di appello tributario.
2.2. Dopo l’abbandono della cd. pregiudiziale tributaria di cui all’art. 21, ultimo comma, della legge n. 4 del 1929, l’art. 12 del D.L. 429 del 1982 aveva disposto la rilevanza nel processo tributario del giudicato penale, sia assolutorio che di condanna, in riferimento ai medesimi fatti materiali, sistema poi superato sia a seguito del nuovo codice di procedura penale che a seguito del D.Lgs. 74 del 2000, in vigenza del quale il tema del raccordo tra i due procedimenti è stato interpretato in termini di “doppio binario” e quindi di autonomia dei medesimi.
Sul punto, questa Corte ha costantemente affermato, in tema di rapporti tra processo tributario e processo penale, che la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula “perché il fatto non sussiste”, non spiega Giurisprudenza automaticamente efficacia di giudicato nel processo tributario, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui detta decisione è destinata ad operare (Cass. n. 17258/2019; Cass. n. 10578/2015; Cass. n. 5720/2007).
Si è precisato, infatti, che l’art. 654 cod. proc. pen., che stabilisce l’efficacia vincolante del giudicato penale nel giudizio civile ed amministrativo nei confronti di coloro che abbiano partecipato al processo penale – norma operante, in base all’art. 207 disp. att., anche per i reati previsti da leggi speciali, ed avente, quindi, portata immediatamente modificativa dell’art. 12 del D.L. n. 429 del 1982, conv. dalla L. n. 516 del 1982, disposizione che regolava l’autorità del giudicato penale in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, poi espressamente abrogata dall’art. 25, lett. d), del D.Lgs. n. 74 del 2000 -, la sottopone alla duplice condizione che nel giudizio civile o amministrativo (e, quindi, anche in quello tributario) la soluzione dipenda dagli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudicato penale e che la legge civile non ponga limitazione alla prova “della posizione soggettiva controversa”.
Atteso che nel processo tributario vigono i limiti in materia di prova posti dall’art. 7, comma quarto, del D.Lgs. n. 546 del 1992 (e, in precedenza, dall’art. 35, comma quinto, del D.P.R. n. 636 del 1972), e trovano ingresso, con rilievo probatorio, in materia di determinazione del reddito d’impresa, anche presunzioni semplici (art. 39, secondo comma, del D.P.R. n. 600 del 1973) prive dei requisiti prescritti ai fini della formazione di siffatta prova tanto nel processo civile (art. 2729, primo comma, cod. civ.), che nel processo penale (art. 192, comma secondo, cod. proc. pen.), la conseguenza del mutato quadro normativo è che nessuna automatica autorità di cosa giudicata può più attribuirsi nel separato giudizio tributario alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente. Pertanto, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 cod. proc. civ.), deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare (Cass. n. 9109/2002; Cass. n. 8102/2003; Cass. n. 10945/2005; Cass. n. 5720/2007; Cass. n. 19786/2011; Cass. n. 4924/2013; Cass. n. 10578/2015; Cass. n. 28174/2017; Cass. n. 17258/2019).
Questa Corte, di conseguenza, ha precisato, quanto alla produzione della sentenza penale di assoluzione nel giudizio di cassazione in sede di memoria difensiva ex art. 378 cod. proc. civ., che il principio secondo cui, nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, con correlativa inopponibilità del divieto di cui all’art. 372 cod. proc. civ., non può trovare applicazione laddove la sentenza passata in giudicato venga invocata, ai sensi dell’art. 654 cod. proc. pen., unicamente al fine di dimostrare l’effettiva sussistenza (o insussistenza) dei fatti. In tali casi il giudicato non assume alcuna valenza enunciativa Giurisprudenza della regula iuris alla quale il giudice civile ha il dovere di conformarsi nel caso concreto, mentre la sua astratta rilevanza potrebbe ravvisarsi soltanto in relazione all’affermazione (o negazione) di meri fatti materiali, ossia a valutazioni di stretto merito non deducibili nel giudizio di legittimità. Ne consegue l’inammissibilità della produzione della sentenza penale, siccome estranea all’ambito previsionale dell’art. 372 cod. proc. civ. (Cass. S.U. n. 2735/2017, di cui fanno applicazione, tra tante, Cass. n. 22376/2017; Cass. n. 23483/2010; ed ancora Cass. n. 9900/2024 e Cass. n. 16413/2023 in materia tributaria). 2.3. Tale assetto è stato innovato dall’art. 21-bis del D.Lgs. 10/03/2000, n. 74, introdotto dall’art. 1, comma 1, D.Lgs. 14/06/2024, n. 87 ed in vigore dal 29 giugno 2024, rubricato “Efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e nel processo di Cassazione”, il quale dispone: “1. La sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi. 2. La sentenza penale irrevocabile di cui al comma 1 può essere depositata anche nel giudizio di Cassazione fino a quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio. 3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano, limitatamente alle ipotesi di sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, anche nei confronti della persona fisica nell’interesse della quale ha agito il dipendente, il rappresentante legale o negoziale, ovvero nei confronti dell’ente e società, con o senza personalità giuridica, nell’interesse dei quali ha agito il rappresentante o l’amministratore anche di fatto, nonché nei confronti dei loro soci o associati”. La disposizione, che non si accompagna alla previsione di una sospensione obbligatoria del processo tributario in pendenza di quello penale, impone di riconoscere efficacia vincolante nel processo tributario al giudicato penale assolutorio formatosi a seguito di giudizio dibattimentale purché tale giudicato abbia ad oggetto gli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario e purché l’assoluzione sia avvenuta in base ad una delle due formule sopra indicate; l’efficacia del giudicato attiene quindi agli “stessi fatti materiali”, il che ha indotto i primi commentatori ad evidenziare che quando si discute di efficacia della sentenza penale nel giudizio tributario non ci si riferisce al giudicato penale in sé e per sé, ma all’accertamento dei fatti contenuti nella relativa decisione. E quindi, ciò che interessa non è il valore extrapenale del dispositivo della sentenza, ma il valore extrapenale degli accertamenti di fatto. La ratio della riforma, evincibile del criterio direttivo della legge delega e resa esplicita dalla relazione illustrativa al decreto legislativo, è quella di rafforzare l’integrazione dei sistemi sanzionatori nella prospettiva del rispetto del principio del ne bis in idem (criterio di delega di cui all’art. 20, comma 1, lett. a), n. 1 della L. n. 111 del 2023); il legislatore si propone la razionalizzazione del sistema sanzionatorio amministrativo e penale, anche attraverso una maggiore integrazione tra i diversi tipi di sanzione, ai fini del completo adeguamento al principio del ne bis in idem. 2.4. Questa Corte (Cass. n. 21584/2024; Cass. n. 23570/2024; Cass. n. 23609/2024) ha già ritenuto che l’indicato ius superveniens si applica anche ai casi (come quello per cui è causa) in cui la sentenza penale dibattimentale di assoluzione sia divenuta irrevocabile prima dell’entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 87 del 2024, purché, alla data di entrata in vigore del medesimo, sia ancora pendente il giudizio di cassazione contro la sentenza tributaria d’appello che ha condannato il contribuente in relazione ai medesimi fatti, rilevanti penalmente, dai quali egli sia stato irrevocabilmente assolto, in esito a Giurisprudenza giudizio dibattimentale, con una delle formule di merito previste dal codice di rito penale (perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non l’ha commesso). Le disposizioni in esame appaiono infatti avere carattere processuale, incidendo sulla efficacia esterna nel processo tributario del giudicato penale (il primo comma) e sulle modalità di produzione nel giudizio di cassazione (il secondo comma). Ora, come è noto, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, sono sostanziali le norme che consistono in regole di giudizio la cui applicazione ha una diretta ricaduta sulla decisione di merito, di accoglimento o di rigetto della domanda, mentre hanno carattere processuale le disposizioni che disciplinano i modi di deduzione, ammissione e assunzione delle prove (ex plurimis, Cass. n. 18912/2018). In particolare, in merito alla prima questione, oltre all’oggetto, il giudicato, e al dato testuale, l’efficacia del medesimo, si deve rilevare che questa Corte, pronunciandosi sull’efficacia del sopravvenuto art. 654 cod. proc. pen. rispetto alla previsione dell’art. 12 del D.L. n. 429 del 1982, convertito dalla legge n. 516 del 1982, e modificato dal D.L. n. 916 del 1982, convertito dalla legge n. 27 del 1983, che prevedeva allora la efficacia vincolante del giudicato penale, ha osservato che “la norma attiene ai poteri-doveri del giudice civile (od amministrativo) quando statuisce dopo il formarsi di giudicato penale, e, quindi, alla fase decisionale del relativo procedimento, di modo che deve trovare applicazione quando tale fase sia successiva alla sua entrata in vigore” (Cass. n. 7403/1995). Nessun dubbio appare sussistere sulla natura prettamente processuale della disposizione che prevede la produzione del giudicato anche nel giudizio di cassazione (volta ad esplicitare la rilevanza in ogni stato e grado del sopravvenuto giudicato) entro il termine di quindici giorni dalla udienza pubblica o dalla adunanza. Ebbene, in tema di disposizioni processuali, questa Corte ha affermato il principio che in mancanza di una disposizione transitoria (circostanza che ricorre anche nella disciplina in esame) debba essere applicato il principio per il quale, nel caso di successione di leggi processuali nel tempo, ove il legislatore non abbia diversamente disposto, in ossequio alla regola generale di cui all’art. 11 delle preleggi, la nuova norma disciplina non solo i processi iniziati successivamente alla sua entrata in vigore ma anche i singoli atti, ad essa successivamente compiuti, di processi iniziati prima della sua entrata in vigore (così Cass. n. 3688/2011; Cass. n. 19270/2014; Cass. n. 27525/2014; Cass. n. 8590/2017).
2.5. Va quindi ribadito il seguente principio di diritto: “L’art. 21-bis del D.Lgs. n. 74 del 2000, introdotto dal D.Lgs. n. 87 del 2024, che riconosce efficacia di giudicato nel processo tributario alla sentenza penale dibattimentale irrevocabile di assoluzione, è applicabile, quale ius superveniens, anche ai casi in cui detta sentenza è divenuta irrevocabile prima della operatività di detto articolo e, alla data della sua entrata in vigore, risulta ancora pendente il giudizio di cassazione contro la sentenza tributaria d’appello che ha condannato il contribuente in relazione ai medesimi fatti, rilevanti penalmente, dai quali egli è stato irrevocabilmente assolto, in esito a giudizio dibattimentale, con una delle formule di merito previste dal codice di rito penale (perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non l’ha commesso)”.
2.6. Orbene, nel caso di specie, il contribuente, professionista, è stato assolto in sede penale, in esito a giudizio dibattimentale, perché il fatto non sussiste, con sentenza del Tribunale di Padova munita di attestazione di irrevocabilità, ritualmente e tempestivamente allegata agli atti del giudizio di cassazione entro il predetto termine di quindici giorni.
Non vi è dubbio, inoltre, che i fatti posti alla base degli avvisi di accertamento impugnati siano gli stessi fatti oggetto dell’imputazione penale dalla quale il contribuente è stato definitivamente assolto, alla luce di quanto sopra evidenziato, avendo il giudice penale espressamente escluso l’inesistenza delle operazioni passive contestate al ricorrente ritenendo che le stesse fossero state effettivamente poste in essere.
Ne consegue che, spiegando la sentenza penale di assoluzione efficacia di giudicato nell’ambito del presente giudizio con riferimento all’esistenza dei medesimi fatti posti a base delle riprese fiscali, deve ritenersi, anche con riferimento al giudizio tributario, che tali fatti non sussistono, con la conseguenza che, accolti i predetti motivi, va cassata la sentenza impugnata e, non essendovi bisogno di ulteriori accertamenti di fatto, in applicazione del citato giudicato ammissibile in forza dello ius superveniens, la causa deve essere decisa nel merito con l’accoglimento del ricorso proposto in primo grado.
3. Pertanto, il ricorso va accolto, nei motivi indicati, assorbiti gli altri motivi; la sentenza impugnata deve essere cassata, e la causa può essere decisa nel merito, con l’accoglimento del ricorso introduttivo. Le spese dei gradi di merito e del giudizio di legittimità vanno compensate in ragione della applicazione dello jus superveniens sopra indicato.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo, terzo, sesto, nono e decimo motivo del ricorso, nei termini di cui in motivazione, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario e compensa le spese dei gradi di merito e del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma in data 20 settembre 2024