FISCALITA IVA

Apertura partita IVA e soggetto non residente

La normativa attribuisce la natura di soggetto passivo IVA a chi, nell’esercizio d’impresa, arti o professioni, effettua cessioni di beni o prestazioni di servizi rilevanti nel territorio dello Stato (articolo 7, DPR 633/1972).

Quale domicilio fiscale indicare

Una cittadina italiana residente nel Regno Unito, iscritta all’anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE) dal 2 agosto 2020, afferma di non possedere un identificativo IVA estero, di non svolgere alcuna attività imprenditoriale o professionale nel Paese in cui risiede e di essere intenzionata a svolgere un’attività libero-professionale in Italia.

Chiede se, all’apertura della partita IVA, sia possibile indicare quale domicilio fiscale la sede di svolgimento dell’attività professionale.

La normativa IVA

In base all’articolo 9, paragrafo 1, della Direttiva CE del 28 novembre 2006, n. 112 – alla quale sono state uniformate le norme nazionali in tema di soggettività IVA – “Si considera soggetto passivo chiunque esercita in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo e dai risultati di tale attività”. Si considera attività economica ogni attività di produzione, commercializzazione o prestazione di servizi, comprese le attività estrattive, agricole e quelle di libera professione o assimilate. In particolare, “si considera, attività economica lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi caratteri di stabilità”.

Con particolare riferimento alle prestazioni di servizi, cui deve essere riferita l’attività professionale che l’istante intende svolgere, il citato articolo prevede, ai fini IVA, che per “soggetto passivo stabilito nel territorio dello Stato” si intende un contribuente domiciliato o residente in Italia che non abbia stabilito il domicilio all’estero, ovvero una stabile organizzazione nel territorio dello Stato di soggetto domiciliato e residente all’estero, limitatamente alle operazioni effettuate o ricevute. Per i soggetti diversi dalle persone fisiche si considera come domicilio il luogo in cui si trova la sede legale e residenza quello in cui si trova la sede effettiva.

In generale, quindi, chi presta attività professionale si considera soggetto passivo IVA in Italia se: • è domiciliato in Italia, anche se residente all’estero; • è residente in Italia e non è domiciliato all’estero;

• è domiciliato o residente all’estero, ma possiede una stabile organizzazione in Italia.

Ne consegue che, in presenza di uno di questi elementi, le prestazioni rese si considerano effettuate in Italia.

Le imposte sui redditi

Ai fini dell’imposizione sui redditi, a sua volta, l’articolo 2, comma 2 del DPR 917/1986 (TUIR), assimila ai cittadini residenti le persone fisiche che “… hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile”, mentre, l’articolo 58 del DPR 600/1973 stabilisce che le persone fisiche non residenti hanno il domicilio fiscale nel Comune in cui si è prodotto il reddito o, se il reddito è prodotto in più Comuni, in quello nel quale si è prodotto il reddito più elevato.

In proposito, rispetto alla definizione dei concetti di residenza e domicilio, nella risposta 429/2022 l’Agenzia delle entrate richiama la circolare 304 del 1997, con cui il Ministero delle finanze ha chiarito che l’aver stabilito il domicilio civilistico in Italia o aver fissato la propria residenza nel territorio dello Stato sono condizioni sufficienti “per l’integrazione della fattispecie di residenza fiscale, indipendentemente dall’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente”.

La circolare 304/1997

Nello specifico, la circolare ha precisato che la residenza è definita dal codice civile come il luogo in cui la persona ha la dimora abituale e, pertanto, si può affermare che la stessa è determinata dall’abituale dimora di una persona in un dato luogo, “sicché concorrono a instaurare tale relazione giuridicamente rilevante sia il fatto oggettivo della stabile permanenza in quel luogo sia l’elemento soggettivo della volontà di rimanervi” (Cass. 5 febbraio 1985, n. 791). La giurisprudenza prevalente sostiene che il domicilio è un rapporto giuridico con il centro dei propri affari e prescinde dalla presenza effettiva in un luogo (Cass. 29 dicembre 1960, n. 3322).

Alla luce della circolare sopra citata, dunque:

– è irrilevante l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente ai fini dell’individuazione del soggetto passivo d’imposta in Italia;

– la residenza non può prescindere dall’insistere sul luogo, con relativa stabilità, del soggetto e l’elemento intenzionale assume rilevanza secondaria;

– il domicilio è invece definito dalla volontà di stabilire e conservare in un determinato luogo la sede principale dei propri affari e interessi (Cass. 21 marzo 1968, n. 884).

Centro degli interessi e attività lavorativa Nel caso in questione, l’intenzione dell’interpellante è di costituire in Italia il centro dei propri interessi, e di svolgervi l’attività lavorativa, per cui il fatto che nel territorio italiano venga stabilito il domicilio fiscale, pur avendo la residenza nel Regno Unito, non impedisce di considerare la signora quale soggetto passivo d’imposta come un soggetto residente. Tuttavia, poiché nel Paese di residenza non svolge alcuna attività professionale o imprenditoriale, per avere una partita IVA nell’apposito modello dovrà indicare il domicilio fiscale, cioè il luogo in cui svolgerà l’attività lavorativa. I redditi conseguiti andranno quindi tassati in Italia, come peraltro previsto dalla vigente Convenzione tra Italia e Regno Unito (approvata con legge 329/1990).

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