CASSAZIONE FISCALITA

Al contribuente basta fornire la prova delle ragioni per ottenere la restituzione delle imposte

Contenzioso tributario – Contribuente impugna rigetto istanza di rimborso di un tributo – Onere di allegare e provare i fatti a cui la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato nella domanda – Argomentazioni con cui l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti o la qualificazione ad essi attribuita dal contribuente – Mere difese non soggette ad alcuna preclusione processuale salva la formazione del giudicato interno

La Corte di Cassazione – Ordinanza n. 126 del 4 gennaio 2017 – in tema di restituzione delle imposte versate, attenendosi alla giurisprudenza consolidata e citando fra tutte la pronunzia n. 15026 del 2/7/2014, ha determinato che in tema di contenzioso tributario il contribuente che impugni il rigetto dell’istanza di rimborso di un tributo riveste la qualità di attore in senso sostanziale, con la duplice conseguenza che grava su di lui l’onere di allegare e provare i fatti a cui la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato nella domanda e che le argomentazioni con cui l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o la qualificazione ad essi attribuita dal contribuente, costituiscono mere difese, come tali non soggette ad alcuna preclusione processuale, salva la formazione del giudicato interno.

Nel tentativo di compiere un’analisi della vicenda in esame occorre, però, preliminarmente chiarire in cosa consiste il rimborso fiscale che normalmente si intende come la restituzione, da parte dell’Amministrazione Finanziaria, di imposte e ritenute che il contribuente ha versato o subito in misura superiore al dovuto o di un eventuale credito che si è configurato in suo favore in seguito alla presentazione di una dichiarazione dei redditi. Invero, il rimborso fiscale può essere conseguente a un pagamento non dovuto che, come nel caso in esame, riguarda un rimborso di imposta riguardante un’operazione di mutuo ipotecario, poiché i mutui ipotecari sono sempre assoggettati a un’imposta che la banca trattiene per conto dell’erario dall’importo finanziato. Al riguardo, tutti quei mutui con durata superiore ai 18 mesi effettuati da banche, sono soggetti a un particolare regime fiscale, la cosiddetta imposta sostitutiva sui finanziamenti. Quest’ultima serve a determinare l’esenzione da tutte le altre imposte gravanti, tra le quali quella di bollo, di registro, le imposte ipotecarie e catastali, oltre che dalle tasse sulle concessioni governative in base alle disposizioni presenti nel DL n. 168/2004. Invece, l’imposta sostitutiva sui finanziamenti non esenta l’imposta sulle cambiali; queste ultime, soggette a imposta di bollo dello 0,1 per mille, sono emesse in relazione alle operazioni di finanziamento bancario a medio e a lungo termine. Prendendo a esempio i mutui ipotecari, il valore dell’aliquota dell’imposta sostitutiva nei confronti delle persone fisiche è pari allo 0,25 se l’importo del finanziamento è finalizzato all’acquisto, alla costruzione o alla ristrutturazione di un immobile considerato come prima casa.

Nel caso in cui l’immobile non abbia i requisiti per l’applicazione delle agevolazioni prima casa ma rientri, ad esempio, nelle condizioni di seconda casa, allora l’aliquota sarà pari al 2%. Tanto premesso, nello specifico ricordiamo che l’A.F. denunciava, a fronte di una favorevole pronuncia della Commissione Tributaria, la violazione degli artt. 57, d.lgs. 546/1992, 2697, cod. civ.

In particolare veniva ricordato che nel giudizio d’appello non possono proporsi domande nuove e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d’ufficio e che non possono proporsi nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio, ricordando come il divieto di jus novorum evocato dalla CTR riguardasse soltanto le nuove domande e le eccezioni in senso stretto. Al riguardo, infine, è utile anche ricordare che ugualmente vi è una giurisprudenza consolidata nell’affermare che la posizione dell’ufficio finanziario in sede di pretesa fiscale poi impugnata dal contribuente – che, difatti, è titolare di interessi oppositivi – risulta differente rispetto a quella ove è l’Amministrazione Finanziaria a contrastare l’impugnazione del rigetto – implicitamente o esplicitamente manifestato – di una istanza di rimborso presentata dal contribuente (il quale, difatti, è titolare di interessi pretensivi). In tal senso si muove la sentenza del Supremo collegio n. 20693/2014, che citando il proprio precedente espresso nella decisione di legittimità 18 aprile 2014, n. 8998, per la quale “… il rimborso di imposta da’ origine ad un rapporto giuridico nel quale – con una netta inversione dei ruoli rispetto allo schema paradigmatico del rapporto tributario – è il contribuente a rivestire il ruolo attivo, assumendo nei confronti dell’Erario la posizione di creditore di una determinata somma di denaro, per il fatto di avergliela in precedenza versata”. Invero viene confermato che nelle ipotesi in cui il credito nasca per effetto di un pagamento non dovuto, il divieto di arricchirsi indebitamente in danno di altri – il quale costituisce un principio generale dell’ordinamento, compreso quello tributario, e pure a prescindere dall’esistenza in esso di una norma specifica come quella dell’art. 2033 del codice di diritto comune – determina in capo all’Ufficio finanziario un obbligo di restituzione a favore del richiedente. L’aspetto processuale di tale corretto inquadramento offerto della Suprema Corte sulla diversità tra i giudizi vertenti sulla fondatezza o legittimità di un avviso di accertamento, di liquidazione o d’irrogazione di sanzione amministrativa dell’Ufficio finanziario rispetto a quelli riguardanti la richiesta del contribuente – non accolta – di rimborso, è oggi sufficientemente chiarita dalla Suprema Corte che al riguardo afferma: “Nella specie, la S.C. ha affermato che la necessità della notificazione della cessione del credito anche al concessionario della riscossione, ai fini della sua efficacia, integra una mera difesa, traducendosi nella contestazione della sussistenza, in tutti i suoi elementi, del fatto costitutivo del diritto al rimborso del credito ceduto, deducibile dall’Amministrazione per la prima volta in appello. (Sez. 5, Sentenza n. 15026 del 02/07/2014, Rv. 631523). Nel caso di specie la sentenza impugnata non si è attenuta a tale principio, evidentemente errando sulla qualificazione dei motivi di gravame come eccezioni in senso stretto, mentre risulta chiaro che di ‘mere difese’ in diritto si trattasse, pacifici essendo i fatti oggetto della controversia”.

impresa_tasse

 

CORTE DI CASSAZIONE Ordinanza n. 126 del 4/1/2017

Atteso che ai sensi dell’art. 380 bis, cod. proc. civ. è stata depositata e ritualmente comunicata la seguente relazione:

«Con sentenza in data 12 maggio 2015 la Commissione tributaria regionale del Lazio respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 388/65/13 della Commissione tributaria provinciale di Roma che aveva accolto il ricorso della B.N.L. spa — BNP Paribas sa contro il diniego di rimborso di imposta afferente un’operazione di mutuo ipotecario. La CTR rilevava in via preliminare ed assorbente che non essendosi l’Ente impositore costituito in primo grado, quanto devoluto in appello era precluso dal divieto di nuove domande ed eccezioni sancito dall’art. 57, d.lgs. 546/1992.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo un unico motivo.

La società contribuente resiste con controricorso.

Con l’unico motivo dedotto —ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- l’Agenzia delle entrate lamenta la violazione degli artt. 57, d.lgs. 546/1992, 2697, cod. civ. In particolare osserva che il divieto di jus novorum evocato dalla CTR riguardasse soltanto le nuove domande e le eccezioni in senso stretto, non le mere difese quali quelle contenute nell’atto di appello.

La censura si palesa fondata.

E’ infatti giurisprudenza consolidata di questa Corte che «In tema di contenzioso tributario, il contribuente che impugni il rigetto dell’istanza di rimborso di un tributo riveste la qualità di attore in senso sostanziale, con la duplice conseguenza che grava su di lui l’onere di allegare e provare i fatti a cui la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato nella domanda e che le argomentazioni con cui l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o la qualificazione ad essi attribuita dal contribuente, costituiscono mere difese, come tali non soggette ad alcuna preclusione processuale, salva la formazione del giudicato interno. (Nella specie, la S.C. ha affermato che la necessità della notificazione della cessione del credito anche al concessionario della riscossione, ai fini della sua efficacia, integra una mera difesa, traducendosi nella contestazione della sussistenza, in tutti i suoi elementi, del fatto costitutivo del diritto al rimborso del credito ceduto, deducibile dall’Amministrazione per la prima volta in appello)» (Sez. 5, Sentenza n. 15026 del 02/07/2014, Rv. 631523).

Nel caso di specie la sentenza impugnata non si è attenuta a tale principio, evidentemente errando sulla qualificazione dei motivi di gravame come eccezioni in senso stretto, mentre risulta chiaro che di “mere difese” in diritto si trattasse, pacifici essendo i fatti oggetto della controversia.

Si ritiene pertanto la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 375, cod. proc. civ. per la trattazione del ricorso in camera di consiglio e se ne propone l’accoglimento».

Il Collegio condivide la relazione depositata.

Il ricorso va dunque accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio al giudice a quo per nuovo esame.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio anche per le spese del presente giudizio.

Desidero ricevere in abbonamento gratuito il vostro periodico FiscotoDay