CASSAZIONE

Agevolazioni prima casa: non basta l’istanza di trasferimento della residenza

Tributi – IVA –  Agevolazione IVA al 4% per la prima casa – Condizione – Residenza – Definizione – Obbligo – Scadenza temporale – Mancato trasferimento dopo diciotto mesi dall’acquisto –  Domanda di trasferimento – Rigetto

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 667 del 12 gennaio 2023 è intervenuta sull’annoso tema della perdita delle agevolazioni prima casa, per affermare che non è sufficiente la semplice presentazione della domanda di trasferimento per perfezionare il procedimento entro il termine stabilito di 18 mesi, essendo necessario che a essa segua l’effettivo trasferimento della residenza. Gli Ermellini hanno al riguardo  enunciato il seguente principio di diritto: “ … in tema di imposta di registro, il beneficio fiscale della prima casa, al di là dell’ipotesi riconnessa all’attività lavorativa esercitata, spetta esclusivamente al soggetto che abbia trasferito la residenza anagrafica nel comune dove ha acquistato l’immobile entro il termine di decadenza previsto dalla legge; pertanto, nel caso in cui non risulti l’effettivo trasferimento della residenza, il contribuente può conservare il beneficio solo se, avendo proposto nei termini istanza di aggiornamento dei registri anagrafici comunali, il procedimento amministrativo non sia stato ancora ultimato per fatto non imputabile allo stesso ovvero si sia chiuso con un diniego al trasferimento”.

Dunque, per ottenere l’agevolazione fiscale, sempre secondo questa interpretazione, il contribuente può conservare il beneficio solo se, avendo proposto nei termini istanza di aggiornamento dei registri anagrafici comunali, il procedimento amministrativo non sia stato ancora ultimato per fatto non imputabile allo stesso ovvero si sia chiuso con un diniego al trasferimento.

In una precedente ordinanza – la n. 4800/2015  la Cassazione si era espressa in termini ancora più perentori, ritenendo nel caso che i ritardi burocratici per la pratica di trasferimento della residenza o di permessi vari non giustificavano il mancato cambio di residenza entro 18 mesi, come riportato dalla circolare dell’Agenzia delle entrate 12 agosto 2005, n. 38/E, par.2.4., dove il cambio di residenza si considera avvenuto nella stessa data in cui l’interessato rende al Comune, ai sensi dell’art. 18, commi 1 e 2, DPR 223/1989, la dichiarazione di trasferimento.

In buona sostanza, secondo la S.C. la verifica della sussistenza del requisito della dimora abituale si perfeziona soltanto con l’iscrizione anagrafica in un Comune, che deve avvenire da parte degli organi a ciò preposti con modalità concrete che si concilino con l’esigenza di ogni cittadino di poter attendere quotidianamente alle proprie occupazioni in virtù del principio di leale collaborazione tra soggetto pubblico e privato. Questi, in sintesi sono i principi enunciati dalla Prima sezione civile di Cassazione, con ordinanzan. 3841/2021 in tema di nozione di residenza e modalità di esercizio del potere di controllo da parte degli Enti comunali.

In realtà, tale interpretazione non convince appieno poiché la vera questione, che resta ancora in sospeso e degna di maggiori approfondimenti, è su quale concetto di residenza debba essere univocamente applicato senza incorrere in errore davanti al Fisco. Per esempio, ai fini fiscali, la residenza – intesa come iscrizione anagrafica, domicilio o residenza ai sensi del codice civile – si verifica quando il contribuente la utilizza per la “maggior parte del tempo” e con tale espressione si intende la permanenza per un periodo minimo di 183 giorni, anche non in maniera continuativa. Così facendo si verificherebbe “la sussistenza di un legame effettivo e non provvisorio del soggetto con il territorio dello Stato, tale da legittimare il concorso alle spese pubbliche in ottemperanza ai doveri di solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione” (C.M. 304/E del 2 dicembre 1997). Mentre a norma del comma 1 dell’articolo 43 del codice civile, “il domicilio di una persona è nel luogo nel quale ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi, che può anche non coincidere con quello di residenza”.

E’ la stessa norma in questione a suggerire, allora, alcune considerazioni sul concetto di residenza.  Si tratta di una definizione che assume come caratterizzante l’elemento sostanziale e fattuale della “dimora abituale”, non considerando neanche per inciso gli aspetti formali dell’annotazione della dimora abituale – dunque, residenza – presso i pubblici registri dell’anagrafe.

Nel tempo, infatti, si sono accavallati su questo importantissimo aspetto commenti diversi e dissonanti anche all’interno della Suprema Corte, nel tentativo di dare una univoca interpretazione al concetto di residenza, ritenendo rilevante il fatto che vale “… non solo la residenza anagrafica ma anche quella effettiva risultante aliunde, anche se non suffragata dalle risultanze anagrafiche”.

Citiamo al riguardo anche i giudici della Cassazione hanno ritenuto più volte fondato il motivo di doglianza proposto dalla parte contribuente in un caso di disconoscimento delle agevolazioni prima casa, decidendo alla luce dell’orientamento consolidato che “… l’agevolazione prevista per l’immobile adibito ad abitazione principale non può essere negata […] per la divergenza tra il luogo indicato e la residenza anagrafica del contribuente” (cfr. Cass. nn. 13062/2017, 12299/2017, 13151/2010).

Quest’ultima tesi, che riteniamo dovrebbe essere prevalente, come sopra accennato, è stata confermata di recente da una parte della giurisprudenza tributaria (v. Ord. n. 20686/2021), secondo la quale non è sufficiente la risultanza burocratica dell’anagrafe per ritenere sussistente la decadenza dalle agevolazioni per l’acquisto della prima casa in dipendenza del mancato trasferimento della residenza. Infatti, seguendo questa linea interpretativa l’indicazione anagrafica non può stabilire un modo assoluto la residenza o meno del soggetto, ma assume il valore di una semplice e mera presunzione che può essere superata sulla base di elementi di convincimento idonei a dimostrare che la dimora attuale del soggetto si trova in luogo diverso. A tal fine l’attivazione delle utenze (fornitura di gas, trasporto di rifiuti solidi urbani) può costituire elemento di valutazione per la verifica dell’effettiva residenza e, inoltre, proprio il DPR 131/1986, all’interno del quale si era giustamente previsto che l’aliquota del 2% trovava applicazione “… Se il trasferimento ha per oggetto case di abitazione, ad eccezione di quelle di categoria catastale A1, A8 e A9”; qualora ricorra, tra le altre, la seguente condizione: a) che l’immobile sia ubicato nel territorio del comune in cui l’acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquisto la propria residenza o, se diverso, in quello in cui l’acquirente svolge la propria attività ovvero, se trasferito all’estero per ragioni di lavoro, in quello in cui ha sede o esercita l’attività il soggetto da cui dipende ovvero, nel caso in cui l’acquirente sia cittadino italiano emigrato all’estero, che l’immobile sia acquisito come prima casa sul territorio italiano. La dichiarazione di voler stabilire la residenza nel comune ove é ubicato l’immobile acquistato deve essere resa, a pena di decadenza, dall’acquirente nell’atto di acquisto”.

In sostanza, secondo questa tesi, può esservi residenza anche qualora la stessa non sia stata denunciata al Comune competente. All’anagrafe, dunque, può essere riconosciuta una valenza e un’efficacia probatoria ex art. 44 cod. civ., a norma del quale “Il trasferimento della residenza non può essere opposto ai terzi di buona fede, se non è stato denunciato nei modi prescritti dalla legge”.

Quanto sopra è stato più volte contestato dalla Cassazione, la quale, con la sentenza Cass. civ. Sez. III, n. 11550/2013, attestava quanto segue: “… Invero, a riguardo, mette conto di rilevare, in primo luogo,che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo circa il luogo dell’effettiva abituale dimora, il quale è accertabile con ogni mezzo di prova, anche contro le stesse risultanze anagrafiche (Cass.n.19132/04,n. 11562/03, 4829/79, 4705/89), assumendo rilevanza esclusiva il luogo ove il destinatario della notifica dimori di fatto in via abituale (Cass. 12303/08).  Pertanto, risultanze anagrafiche possono essere superate da qualsiasi fonte di convincimento, come ad esempio la corrispondenza intercorsa tra le parti prima del giudizio (Cass. 24422/06) ovvero il comportamento della persona che accetta di ricevere l’atto per conto del destinatario (Cass. 5715/02, 3262/05, 11562/03, 17504/03)”.

Si richiama infine l’Ordinanza della Suprema Corte, la citata n. 20686/2021, nella quale viene affermato anche che, per abitazione principale deve intendersi quella in cui il contribuente e i suoi familiari dimorano abitualmente, a prescindere dal dato formale della residenza anagrafica e facendo riferimento al dato fattuale dell’effettiva dimora del nucleo familiare.

Nello specifico gli Ermellini statuiscono che “… l’agevolazione prevista per l’immobile adibito ad abitazione principale non può essere negata per la divergenza tra il luogo indicato e la residenza anagrafica del contribuente. Per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente e prescinde dal dato formale della residenza anagrafica, e attiene, invece, al dato fattuale dell’effettiva dimora del nucleo familiare del contribuente per la quale la residenza anagrafica non è il requisito indispensabile essendo ammessa per il contribuente la prova contraria”.

Ancora, ma in materia di ICI, è stato viepiù affermato che “ai fini del riconoscimento dell’agevolazione prevista dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 8, per l’immobile adibito ad abitazione principale, le risultanze anagrafiche rivestono un valore presuntivo circa il luogo di residenza effettiva e possono essere superate da prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte di convincimento e suscettibile di apprezzamento riservato alla valutazione del giudice di merito” (Cass., Ord. n. 12299/2017; (v. ordd. nn. 13062/2017, 15444/2017).

Nel caso da ultimo richiamato la Cassazione ha ritenuto che i giudici d’appello avessero “malgovernato” il superiore principio di diritto, in quanto non avevano tenuto conto che la diversa
residenza anagrafica dei coniugi, “costituisce solo una presunzione circa il luogo di residenza effettiva, che può essere oggetto di prova contraria, che non è stata oggetto di verifica da parte della CTR, benché la normativa lo prevedesse”.

Se questo è il quadro normativo vigente e seguendo questa interpretazione di parte della S.C., è possibile concludere che può esservi residenza, dunque dimora abituale, quand’anche la stessa non sia stata anagraficamente annotata: in ogni caso, la parte può fornire la prova circa la sussistenza, sin da data anteriore rispetto all’annotazione della medesima nei pubblici registri, della dimora abituale, dunque della residenza.

La residenza anagrafica potrebbe presentare, dunque, un quid pluris rispetto alla residenza, poiché presuppone l’annotazione della medesima nei pubblici registri in considerazione del fatto che la stessa giurisprudenza tributaria ha fatto suo più volte il concetto di residenza quale luogo in cui l’individuo ha la sua dimora abituale, a prescindere dalle risultanze anagrafiche alle quali può essere attribuita una valenza probatoria valorizzando, come giusto, l’aspetto sostanziale della dimora abituale.

Tanto premesso e tornando al caso in esame, la vicenda inizia quando una contribuente, ricevendo due avvisi di liquidazione, si rivolge alla giustizia tributaria ottenendo soddisfazione presso la CTR, dove i giudici sostengono che “… pur prevalendo, nella determinazione della residenza, il dato anagrafico sulle risultanze fattuali, il beneficio fiscale della “prima casa” spetta a coloro che, pur avendone fatto formale richiesta, non abbiano ancora, al momento dell’acquisto dell’immobile, ottenuto il trasferimento della residenza nel Comune in cui è situato l’immobile stesso, in base all’unicità del procedimento amministrativo di mutamento dell’iscrizione anagrafica, sancita anche dall’art. 18, comma 2, del d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223 (contenente il regolamento anagrafico della popolazione residente), che, nell’affermare la necessità della saldatura temporale tra cancellazione dall’anagrafe del comune di precedente iscrizione ed iscrizione in quella del comune di nuova residenza, ancora la decorrenza alla dichiarazione di trasferimento resa dall’interessato nel comune di nuova residenza” (Cass. n. 110 del 08/01/2015; conf. Cass. n. 18187 del 16/09/2015). L’Amministrazione finanziaria si rivolge in Cassazione sostenendo che la CTR aveva erroneamente ritenuto che occorresse, ai fini dell’agevolazione per l’acquisto della prima casa, la semplice presentazione della domanda di trasferimento, a nulla rilevando il mancato perfezionamento del procedimento amministrativo. Tesi, questa, condivisa dai giudici togati, che hanno affermato: “…  Tuttavia, il menzionato principio non fa venire meno il legame tra la concessione dell’agevolazione e il trasferimento della residenza, per come risultante chiaramente dalla legge. 1.4. Ne consegue che laddove il procedimento concernente il trasferimento di residenza non si sia concluso per ragioni imputabili alla contribuente o, addirittura, il trasferimento della residenza sia stato negato, non v’è più alcuna valida ragione giustificativa per non revocare il beneficio (per l’ipotesi della negazione si veda Cass. n. 14399 del 15/06/2010). 1.4.1. In altri termini, se è vero che le lungaggini del procedimento amministrativo di trasferimento della residenza non possono incidere sulla concessione del beneficio, sicché deve ritenersi che il trasferimento si sia attuato al momento dell’inoltro della relativa domanda, è altrettanto vero che non osta alla revoca dell’agevolazione la circostanza che il procedimento amministrativo, sebbene tempestivamente avviato, non sia terminato per fatto imputabile alla contribuente ovvero si sia chiuso con un diniego al trasferimento della residenza. 1.5. Va, dunque, enunciato il seguente principio di diritto: «in tema di imposta di registro, il beneficio fiscale della “prima casa”, al di là dell’ipotesi riconnessa all’attività lavorativa esercitata, spetta esclusivamente al soggetto che abbia trasferito la residenza anagrafica nel comune dove ha acquistato l’immobile entro il termine di decadenza previsto dalla legge; pertanto, nel caso in cui non risulti l’effettivo trasferimento della residenza, il contribuente può conservare il beneficio solo se, avendo proposto nei termini istanza di aggiornamento dei registri anagrafici comunali, il procedimento amministrativo non sia stato ancora ultimato per fatto non imputabile allo stesso ovvero si sia chiuso con un diniego al trasferimento». 1.6. Nel caso di specie, la CTR non ha compiuto alcuna indagine in ordine all’esito del procedimento amministrativo di trasferimento della residenza, sebbene a ciò sollecitata da AE, e, conseguentemente la sentenza impugnata va cassata con rinvio. 2. In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 12 gennaio 2023, n. 667

sul ricorso iscritto al n. 126/2016 R.G. proposto da

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

–ricorrente –

contro C. E. A., elettivamente domiciliata in Roma, via Tommaso Salvini n. 55, presso lo studio dell’avv. Simonetta De Sanctis Mangelli, che la rappresenta e difende, unitamente all’avv. Chiara Adele Citterio e all’avv. Giuseppina Caruso, giusta procura speciale in calce al controricorso;

–controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia – Sezione staccata di Brescia n. 2485/67/15, depositata in data 8 giugno 2015.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 dicembre 2022 dal Consigliere Giacomo Maria Nonno.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 2485/67/15 dell’8 giugno 2015 la Commissione tributaria regionale della Lombardia (di seguito CTR), respingeva l’appello proposto dalla Agenzia dell’entrate (di seguito AE) avverso la sentenza n. 65/10/13 della Commissione tributaria provinciale di Bergamo (di seguito CTP), la quale aveva accolto il ricorso proposto da E. A. C. nei confronti di due avvisi di liquidazione, il primo concernente IVA e sanzioni e il secondo riguardante l’imposta sostitutiva su operazioni di credito a medio e lungo termine.

1.1. Come si evince anche dalla sentenza della CTR, con gli avvisi di liquidazione veniva contestato alla contribuente l’acquisto di un fabbricato in data 23/10/2007 con l’agevolazione IVA per la prima casa al 4%, agevolazione che doveva essere revocata in ragione del mancato trasferimento dopo diciotto mesi dall’acquisto.

1.2. La CTR motivava il rigetto dell’appello dell’Ufficio evidenziando che E. A. C. aveva effettuato tempestivamente la domanda di trasferimento, unico atto necessario per ottenere la conferma del beneficio.

2. Avverso la sentenza della CTR, AE proponeva ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo.

3. E. A. C. resisteva con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso, AE deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (T.U. sull’imposta di registro), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR erroneamente ritenuto che occorresse, ai fini dell’agevolazione per l’acquisto della prima casa, la semplice presentazione della domanda di trasferimento, a nulla rilevando il mancato perfezionamento del procedimento amministrativo.

1.1. Il motivo, ammissibile in quanto vertente su questione di diritto, è altresì fondato nei termini di cui subito si dirà.

1.2. La CTR fa riferimento al principio di diritto per il quale «pur prevalendo, nella determinazione della residenza, il dato anagrafico sulle risultanze fattuali, il beneficio fiscale della “prima casa” spetta a coloro che, pur avendone fatto formale richiesta, non abbiano ancora, al momento dell’acquisto dell’immobile, ottenuto il trasferimento della residenza nel Comune in cui è situato l’immobile stesso, in base all’unicità del procedimento amministrativo di mutamento dell’iscrizione anagrafica, sancita anche dall’art. 18, comma 2, del d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223 (contenente il regolamento anagrafico della popolazione residente), che, nell’affermare la necessità della saldatura temporale tra cancellazione dall’anagrafe del comune di precedente iscrizione ed iscrizione in quella del comune di nuova residenza, ancora la decorrenza alla dichiarazione di trasferimento resa dall’interessato nel comune di nuova residenza» (Cass. n. 110 del 08/01/2015; conf. Cass. n. 18187 del 16/09/2015).

1.3. Tuttavia, il menzionato principio non fa venire meno il legame tra la concessione dell’agevolazione e il trasferimento della residenza, per come risultante chiaramente dalla legge.

1.4. Ne consegue che laddove il procedimento concernente il trasferimento di residenza non si sia concluso per ragioni imputabili alla contribuente o, addirittura, il trasferimento della residenza sia stato negato, non v’è più alcuna valida ragione giustificativa per non revocare il beneficio (per l’ipotesi della negazione si veda Cass. n. 14399 del 15/06/2010).

1.4.1. In altri termini, se è vero che le lungaggini del procedimento amministrativo di trasferimento della residenza non possono incidere sulla concessione del beneficio, sicché deve ritenersi che il trasferimento si sia attuato al momento dell’inoltro della relativa domanda, è altrettanto vero che non osta alla revoca dell’agevolazione la circostanza che il procedimento amministrativo, sebbene tempestivamente avviato, non sia terminato per fatto imputabile alla contribuente ovvero si sia chiuso con un diniego al trasferimento della residenza.

1.5. Va, dunque, enunciato il seguente principio di diritto: «in tema di imposta di registro, il beneficio fiscale della “prima casa”, al di là dell’ipotesi riconnessa all’attività lavorativa esercitata, spetta esclusivamente al soggetto che abbia trasferito la residenza anagrafica nel comune dove ha acquistato l’immobile entro il termine di decadenza previsto dalla legge; pertanto, nel caso in cui non risulti l’effettivo trasferimento della residenza, il contribuente può conservare il beneficio solo se, avendo proposto nei termini istanza di aggiornamento dei registri anagrafici comunali, il procedimento amministrativo non sia stato ancora ultimato per fatto non imputabile allo stesso ovvero si sia chiuso con un diniego al trasferimento».

1.6. Nel caso di specie, la CTR non ha compiuto alcuna indagine in ordine all’esito del procedimento amministrativo di trasferimento della residenza, sebbene a ciò sollecitata da AE, e, conseguentemente la sentenza impugnata va cassata con rinvio.

2. In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata e rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio. Così deciso in Roma il 6 dicembre 2022

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