ECONOMIA

Agevolazioni per gli impatriati, quali requisiti

Con due risposte, la n. 32 e la n. 34, entrambe del 12 febbraio, l’Agenzia delle entrate elimina alcuni dubbi riguardo al regime speciale degli impatriati, in particolare in merito ai requisiti da possedere per fruire delle agevolazioni fiscali previste, contenute

nel D.lgs. 147/2015 e riservate ai lavoratori con alte qualificazioni e specializzazioni che nell’anno in corso decidono di trasferire la propria residenza fiscale in Italia: si tratta della imponibilità al 50% del reddito di lavoro dipendente e autonomo prodotto nel nostro Paese per un periodo di 5 anni a partire dal periodo d’imposta in cui il lavoratore trasferisce la residenza fiscale in Italia e per i quattro successivi.

Il periodo minimo sufficiente

Il primo caso è prospettato da un cittadino laureato in Italia attualmente residente all’estero, che ha frequentato un master universitario in Francia dal 5 gennaio al 21 dicembre 2017 e si è iscritto all’AIRE dal 16 giugno, mantenendo residenza e domicilio in Francia fino al 16 aprile 2018, quando a Londra ha iniziato a lavorare a tempo pieno presso una società, dove ancora lavora: nel settembre 2018 ha trasferito la residenza presso il registro AIRE nel Regno Unito. Ora ha intenzione di tornare in Italia nel 2019 e chiede lumi sui benefici fiscali previsti dall’art. 16 del citato decreto 147/2017, che al comma 2 prevede che sono destinatari dell’agevolazione i cittadini dell’Unione europea o di uno Stato extraeuropeo con il quale risulti in vigore una convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale che: a) sono laureati e hanno svolto continuativamente un’attività di lavoro dipendente, autonomo o di impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, oppure b) hanno svolto continuativamente un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo una laurea o una specializzazione post laurem. La circolare 17/E del 2017 ha poi chiarito che i soggetti individuati dal comma 2, per fruire del beneficio, devono essere: 1) laureati, 2) aver svolto continuativamente un’attività di lavoro o studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, 3) essere cittadini Ue o di uno Stato extraeuropeo con il quale risulti in vigore una convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale, 4) svolgere un’attività di lavoro autonomo o dipendente in Italia.

L’accesso al regime speciale presuppone che il soggetto non sia stato residente in Italia per un periodo minimo precedente all’impatrio. Nella risoluzione 51/E del 2018 è stato precisato che, anche se l’art. 16 non indica espressamente un periodo minimo di residenza estera, prevede tuttavia un periodo minimo di lavoro (o di studio) all’estero di due anni, per cui la residenza all’estero per almeno due periodi di imposta è ritenuta come il periodo minimo sufficiente a integrare il requisito della non residenza nel territorio dello Stato che apre le porte al regime agevolativo.

Rispetto al quesito sullo svolgimento di un’attività continuativa di lavoro o studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi, il contribuente non può accedere all’agevolazione se rientra nel 2019, dato che la permanenza per motivi di lavoro risulterebbe inferiore ai 24 mesi. Per quanto riguarda l’attività di studio, la permanenza all’estero risulta per un periodo inferiore a quello richiesto e, inoltre, il presupposto è il conseguimento di una laurea o di specializzazione post lauream, per cui anche in questo caso gli elementi presentati precludono la fruizione del beneficio fiscale (risposta n. 32/2019).

L’impegno a rimanere in Italia per almeno due anni

Il secondo caso è contenuto nell’interpello presentato da una S.p.A. in qualità di sostituto d’imposta, che chiede chiarimenti sull’applicabilità del regime fiscale per gli impatriati a un lavoratore rientrato in Italia nel 2018 e assunto alle sue dipendenze dal 1° settembre 2018: un ingegnere nato in Belgio, laureato presso l’Università di Pisa nel 2000, residente all’estero dal 15 maggio 2011 al 19 luglio 2018, periodo durante il quale ha lavorato ininterrottamente come dipendente presso un’altra società. Ha trasferito la residenza in Italia il 20 luglio 2018 con l’impegno di rimanervi per almeno 2 anni, pochi giorni dopo l’assunzione presso la S.p.A. ha chiesto l’applicazione dei benefici fiscali previsti.

Il citato D.lgs. 147/2015, al comma 1 dell’art. 16 riconosce l’agevolazione a tutti i soggetti, cittadini e non dell’Unione europea, che trasferiscono in Italia la residenza fiscale a decorrere dall’anno 2016, e che:

a) non sono stati residenti in Italia nei 5 periodi di imposta precedenti il trasferimento e si impegnano a rimanere in Italia per almeno due anni;

b) lavorano presso un’azienda residente nel territorio dello Stato in base a un rapporto di lavoro instaurato con questa o con una società che direttamente o indirettamente la controllano, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’azienda;

c) lavorano prevalentemente in Italia;

d) rivestono ruoli direttivi o possiedono requisiti di elevata qualificazione o specializzazione.

Questi soggetti hanno diritto all’agevolazione a condizione che trasferiscano la residenza in Italia e si impegnino a permanervi per almeno 2 anni, condizioni fra loro alternative e quindi anche la sussistenza di una sola è sufficiente a far ritenere una persona, ai fini fiscali, residente in Italia.

Per queste ragioni, in presenza delle circostanze evidenziate, il dipendente della società istante può accedere al regime agevolato a partire dal periodo di imposta in cui è avvenuto il trasferimento della residenza fiscale in Italia (dal 2019) e per i 4 anni successivi. (risposta n. 34/2019)

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