Agevolazione impatriati e 24 mesi di lavoro o studio: sono alternativi, non si sommano
L’articolo 16 del decreto legislativo 147/2015 ha introdotto nell’ordinamento tributario il regime speciale per lavoratori impatriati, con il dichiarato intento di favorire, incentivandolo,
il trasferimento in Italia di lavoratori con elevate qualificazioni e specializzazioni “e favorire lo sviluppo tecnologico, scientifico e culturale del nostro Paese”.
Il decreto è stato oggetto di modifiche normative anche recenti, come quelle introdotte con l’articolo 5 del decreto legge 34/2019 (il decreto crescita), in vigore dal 1° maggio dello scorso anno: e poiché, ai sensi del comma 2 del citato articolo 5 tali modifiche trovano applicazione a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del decreto legge, sono di interesse per i contribuenti che acquisiscono la residenza fiscale in Italia a partire dal periodo d’imposta 2020 (dichiarazione dei redditi da presentare nel 2021).
Destinatari dell’agevolazione e requisiti
Il regime agevolato dei lavoratori impatriati si applica:
1. ai cittadini dell’Unione europea indicati nell’articolo 2, comma 1, della legge n. 238/2010. Per individuare le categorie indicate si è tenuto conto di specifiche esperienze e qualificazioni scientifiche e professionali (decreto del Ministro Economia e Finanze del 26 maggio 2016);
2. ai cittadini di Stati diversi da quelli appartenenti all’Unione europea, con i quali sia in vigore una convenzione per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale.
Questi cittadini devono:
• essere in possesso di un diploma di laurea (triennale o magistrale);
• aver svolto continuativamente un’attività di lavoro (dipendente, autonomo o di impresa) o di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi (conseguendo un diploma di laurea o una specializzazione post lauream);
• svolgere attività di lavoro autonomo o dipendente in Italia.
Lavoro o studio all’estero
Il requisito dello svolgimento dell’attività di lavoro o studio all’estero in modo continuativo negli ultimi 24 mesi non deve necessariamente far riferimento all’attività svolta nei 2 anni immediatamente precedenti il rientro. È sufficiente che l’interessato, prima di rientrare in Italia, abbia svolto tali attività all’estero per un periodo minimo e ininterrotto di almeno 24 mesi.
Per quanto riguarda l’attività di studio, questo requisito è soddisfatto a condizione che il soggetto consegua la laurea o altro titolo accademico post lauream aventi la durata di almeno 2 anni accademici.
Ruoli direttivi ed elevata qualificazione
Sono considerati ruoli direttivi quelli ricoperti dai dirigenti oppure anche dai quadri o gli impiegati con funzioni direttive.
I requisiti di elevata qualificazione o specializzazione si hanno nei seguenti casi:
• conseguimento di un titolo di istruzione superiore rilasciato da autorità competenti nel Paese dove è stato conseguito, attestante il completamento di un percorso di istruzione superiore di durata almeno triennale e della relativa qualifica professionale superiore, rientrante nei livelli 1 (legislatori, imprenditori e alta dirigenza), 2 (professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione) e 3 (professioni tecniche) della classificazione Istat delle professioni CP 2011, certificata dal Paese di provenienza e riconosciuta in Italia;
• possesso dei requisiti previsti dal decreto legislativo 206/2007, limitatamente all’esercizio delle professioni regolamentate in tale decreto, che si applica ai cittadini degli Stati membri dell’Unione europea che vogliano esercitare sul territorio nazionale, quali lavoratori subordinati o autonomi, compresi i liberi professionisti, una professione regolamentata in base a qualifiche professionali conseguite in uno Stato membro Ue e che, nello Stato d’origine, li abilita all’esercizio di detta professione.
Un’agevolazione “temporanea”
Il citato articolo 16 del D.lgs. 147/2015, nella formulazione applicabile nel periodo d’imposta 2019 prevede che – in presenza delle condizioni richieste dalla norma – i redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotti in Italia concorrono alla formazione del reddito complessivo per il 50%.
Si tratta di un’agevolazione temporanea, che si applica per un quinquennio a partire dal periodo d’imposta in cui il lavoratore trasferisce la residenza fiscale in Italia (ai sensi dell’art. 2 del TUIR) e per i quattro periodi d’imposta successivi.
In particolare (come sopra indicato), il comma 2 del citato articolo 16 prevede che sono destinatari del beneficio fiscale in esame i cittadini dell’Unione europea o di uno Stato extra-Ue con il quale risulti in vigore una convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale che:
1. sono in possesso di un titolo di laurea e hanno svolto continuativamente un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, ovvero
2. hanno svolto continuativamente un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione post lauream.
Come chiarito nel Principio di diritto n. 4/2020, sul diritto all’agevolazione riservata ai lavoratori rimpatriati dopo almeno due anni di studio o lavoro all’estero, per il raggiungimento dei 24 mesi fuori dall’Italia il periodo di studio non è cumulabile con quello di lavoro, essendo necessario che l’attività lavorativa o quella di studio, ciascuna e separatamente, siano durate per almeno 24 mesi. L’Agenzia delle entrate evidenzia inoltre che la circolare 17/E del 2017 ha già spiegato che anche in riferimento all’attività di studio, il requisito dello svolgimento negli ultimi 24 mesi è adempiuto a condizione che lo studente consegua la laurea o altro titolo accademico post lauream aventi la durata di almeno due anni accademici.
