CASSAZIONE

Acquisto prima casa: il requisito della residenza nel Comune in cui è ubicato l’immobile va riferito alla famiglia

Tributi – Imposta di Registro – Agevolazioni prima casa – Effetti del mancato trasferimento – Benefici – Famiglia – Coniugi in regime di comunione – Requisito della residenza familiare – Sussistenza – Acquisto separato o congiunto del bene stesso – Rilevanza

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. n. 30594 del 3 novembre 2023, intervenendo sulle agevolazioni prima casa ha fornito un interessante chiarimento in merito alle agevolazioni prima casa: i benefici sono previsti per la famiglia, in conformità a quanto affermato dal principio di diritto che recita “… in tema di imposta di registro e dei relativi benefici per l’acquisto della prima casa, ai fini della fruizione degli stessi, il requisito della residenza nel Comune in cui è ubicato l’immobile va riferito alla famiglia, così che, nel caso di acquisto in comunione legale tra coniugi, quel che rileva è che l’immobile acquistato sia destinato a residenza familiare, mentre non assume rilievo in contrario la circostanza che uno dei coniugi non abbia la residenza anagrafica in tale Comune, e ciò in ogni ipotesi in cui il bene sia divenuto oggetto della comunione ai sensi dell’art. 177 c.c.; a maggior ragione il requisito in discorso non deve essere realizzato dal coniuge del contribuente che abbia operato un acquisto a titolo personale (v., ex plurimis, e da ultimo, Cass., 2 febbraio 2023, n. 3123; Cass., 19 luglio 2022, n. 22557)”.

In buona sostanza, gli Ermellini hanno voluto dare una significativa risposta alla classica domanda che ricorre più volte sull’annoso tema delle agevolazioni prima casa, riassumibile semplicemente con “… Si può comunque usufruire dell’agevolazione prima casa se il coniuge dell’acquirente non cambia residenza nel Comune dell’immobile?”.

La Suprema Corte ha dato una risposta affermativa precisando, per quello che qui interessa, che il trasferimento non deve essere realizzato dal coniuge del contribuente che ha acquistato a titolo personale; in caso di acquisto in comunione legale tra i coniugi, quel che rileva è che l’immobile acquistato sia destinato a residenza familiare.

Posto che nella specie si verte in ipotesi di residenza familiare, appare rilevante anche la precedente pronunzia della Cassazione, l’ordinanza n. 24488/2023 della sezione tributaria, con la quale si precisava che ai fini delle agevolazioni prima casa, il termine per trasferire la residenza è considerato perentorio e non sollecitatorio. Ciò significa che il contribuente deve effettuare il trasferimento della residenza entro il termine stabilito dalla legge, al fine di poter beneficiare delle agevolazioni fiscali o di altro tipo legate alla prima casa. La decisione della Cassazione è apprezzabile in quanto sancisce che il trasferimento della residenza deve avvenire entro il termine stabilito e che eventuali solleciti o richieste di proroga da parte del contribuente non sono accettati. Per poter usufruire delle agevolazioni legate alla prima casa, quindi, è fondamentale che il contribuente si attivi per trasferire la residenza entro il termine previsto dalla legge, altrimenti potrebbe perdere il diritto a tali benefici.

Secondo la più recente e consolidata giurisprudenza della Corte, “… per la fruizione dei benefici cd. prima casa, previsti in caso di acquisto di immobile in altro Comune, è richiesto che il compratore vi trasferisca la residenza, rilevante ai fini del godimento dell’agevolazione, entro il termine di diciotto mesi dall’acquisto; detto trasferimento, elemento costitutivo del beneficio richiesto e provvisoriamente accordato, rappresenta un obbligo del contribuente verso il fisco, dovendosi però tenere conto di eventuali ostacoli nell’adempimento di tale obbligazione, caratterizzati dalla non imputabilità alla parte obbligata e dall’inevitabilità ed imprevedibilità dell’evento”.

Ne consegue che il mancato stabilimento nei termini di legge della residenza non comporta la decadenza dall’agevolazione, solo qualora tale evento sia dovuto a causa di forza maggiore sopravvenuta rispetto alla stipula dell’acquisto rilevando, a tal fine, i soli impedimenti non imputabili alla parte obbligata, inevitabili e imprevedibili. Ciò implica che il termine triennale per la notifica decorre non dalla registrazione dell’atto, ma dal momento in cui il trasferimento della residenza sia successivamente rimasto ineseguito o ineseguibile e dunque, al più tardi, dal diciottesimo mese successivo alla registrazione dell’atto.

Appare quindi evidente che il nocciolo della questione si sposta sul significato che assume il termine “residenza” ai fini tributari.

In termini generali l’articolo 43 del codice civile dispone che “… Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi. La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale”. La residenza, insieme a domicilio e dimora, è uno dei criteri di collegamento tra persone e luoghi, espressamente previsti dal Legislatore. L’istituto della residenza ha, nel tempo, assunto un ruolo molto significativo venendo a rappresentare il legame non solo giuridico, ma anche politico e sociale, tra il singolo e la comunità territoriale alla quale egli appartiene. Essa rappresenta un fattore di integrazione dell’individuo in un determinato contesto geografico, rilevante in special modo per i soggetti più deboli, i quali possono beneficiare di tutta una serie di tutele assistenziali grazie al radicamento riconosciuto a livello amministrativo”.

La residenza rappresenta un elemento integrante dello stato individuale della persona, garantendo al soggetto una precisa identità. Più che la cittadinanza, infatti, è la residenza a esprimere il legame reale dell’individuo con il territorio, anche in termini di partecipazione e contribuzione all’economia del paese, spiegando – pertanto – il suo rilevante peso quale criterio di riconoscimento di prerogative pubblicistiche (ad esempio, il diritto di voto al cittadino europeo alle elezioni amministrative). La definizione sintetica di residenza fornita dal codice civile la descrive come“il luogo in cui la persona ha la dimora abituale”.Tutte le persone collegate in maniera stabile a un determinato territorio, sia come singoli che come componenti di una famiglia o di una convivenza, hanno diritto a essere iscritte all’ufficio anagrafico di un determinato Comune. La residenza anagrafica è, dunque, la regolare iscrizione presso l’ufficio anagrafico di un Comune specifico, laddove l’anagrafe è il registro della popolazione residente. Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione (da ultimo Cass. Civ., sez. VI, 28/05/2018, n. 13241), la residenza è determinata dalla abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, che si caratterizza per l’elemento oggettivo della permanenza e per l’elemento soggettivo dell’intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali. Non è necessario che la permanenza in un determinato posto si sia protratta per tempo abbastanza lungo, ma è sufficiente accertare che la persona abbia fissato in quel posto la propria dimora con l’intenzione, desumibile da ogni elemento di prova anche con giudizio postumo, di stabilirvisi in modo non temporaneo (cfr. Cass. Civ. 6/7/1983 n. 4525).

In sostanza, può esservi residenza anche qualora la stessa non sia stata denunciata al Comune competente. All’anagrafe, dunque, possono e devono essere riconosciute una valenza e un’efficacia probatoria ex art. 44 cod. civ., a norma delle quali “Il trasferimento della residenza non può essere opposto ai terzi di buona fede, se non è stato denunciato nei modi prescritti dalla legge”.

Quanto sopra è confermato dalla Cassazione, la quale, con la sentenza Cass. civ. Sez. III, n. 11550/2013, ha affermato quanto segue: “… Invero, a riguardo, mette conto di rilevare, in primo luogo, che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo circa il luogo dell’effettiva abituale dimora, il quale è accertabile con ogni mezzo di prova, anche contro le stesse risultanze anagrafiche (Cass. n.19132/04, n.11562/03, 4829/79, 4705/89), assumendo rilevanza esclusiva il luogo ove il destinatario della notifica dimori di fatto in via abituale (Cass. 12303/08). Pertanto, le risultanze anagrafiche possono essere superate da qualsiasi fonte di convincimento, come ad es. la corrispondenza intercorsa tra le parti prima del giudizio (Cass. 24422/06) ovvero il comportamento della persona che accetta di ricevere l’atto per conto del destinatario (Cass. 5715/02, 3262/05, 11562/03, 17504/03).”

Infine, si richiama ancora l’ordinanza n. 20689/2021, in cui si afferma che “… l’agevolazione prevista per l’immobile adibito ad abitazione principale non può essere negata per la divergenza tra il luogo indicato e la residenza anagrafica del contribuente. Per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente e prescinde dal dato formale della residenza anagrafica, e attiene, invece, al dato fattuale dell’effettiva dimora del nucleo familiare del contribuente per la quale la residenza anagrafica non è il requisito indispensabile essendo ammessa per il contribuente la prova contraria”. Tanto premesso e tornando al caso di specie, la vicenda ha inizio quando la Commissione Tributaria Regionale rigettava l’appello proposto da una contribuente, ritenendo legittimo l’avviso di liquidazione e irrogazione di sanzioni conseguente alla revoca delle agevolazioni prima casa relative all’acquisto di un appartamento. L’avviso in questione era stato emanato dall’ufficio fiscale il quale aveva ritenuto che, contrariamente a quanto affermato dalla contribuente, non si trattava di bene personale ma di un bene acquistato in regime di comunione legale con il coniuge, il quale non aveva i requisiti per poter fruire dell’agevolazione della prima casa non avendo trasferito la propria residenza.
La contribuente si rivolgeva allora alla Cassazione essenzialmente evidenziando, nelle motivazioni del ricorso, che per avere diritto al beneficio era sufficiente il trasferimento di residenza in loco di un solo coniuge. Tale affermazione è stata condivisa dagli Ermellini che infine hanno sentenziato che “… occorre rilevare che appare incontroverso fra le parti che l’avviso di liquidazione abbia, quale fatto costitutivo della decadenza, il mancato trasferimento della residenza del marito della contribuente (dott. Shober) nel comune sede della unità immobiliare oggetto dell’acquisto agevolato (questo sostiene la stessa Agenzia delle Entrate, v. f. 1 del ricorso); 7. Orbene in ordine al primo motivo del ricorso va osservato che riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 -01). 7.1. il primo motivo appare fondato atteso che la motivazione della sentenza è meramente apparente e nella sostanza incomprensibile in quanto si assume che pur trattandosi di “bene personale” sussisteva la causa di decadenza correlata ad un adempimento (trasferimento di residenza) realizzato dalla contribuente ma non realizzato da un terzo estraneo all’acquisto; 7.2. in presenza di motivazione meramente apparente si può, comunque, decidere nel merito se, come nel caso in esame, non sussiste la necessità di accertare dati di fatto che devono risultare già acquisiti al giudizio. Invero alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma secondo, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod. proc. civ. ispirata a tali principi, deve ritenersi che alla Corte sia consentito di decidere nel merito dell’eccezione di inammissibilità della quale si assume l’omesso esame, alla stessa stregua dei fatti introdotti in giudizio dalle parti e non risultando, per l’appunto, necessario alcun ulteriore accertamento in fatto (Cass., 1 marzo 2019, n. 6145; Cass. Sez. U., 2 febbraio 2017, n. 2731; Cass., 3 marzo 2011, n. 5139; Cass., 1 febbraio 2010, n. 2313; Cass., 28 luglio 2005, n. 15810; Cass., 23 aprile 2001, n. 5962); 8. ritiene questa Corte che è possibile decidere la causa nel merito in accoglimento del quarto motivo, assorbiti i residui motivi; 8.1.posto che nella specie si verte in ipotesi di residenza familiare va, invero, rilevato che il principio di diritto enunciato da Corte, e più volte ribadito, è nel senso che, in tema di imposta di registro e dei relativi benefici per l’acquisto della prima casa, ai fini della fruizione degli stessi, il requisito della residenza nel Comune in cui è ubicato l’immobile va riferito alla famiglia, così che, nel caso di acquisto in comunione legale tra coniugi, quel che rileva è che l’immobile acquistato sia destinato a residenza familiare, mentre non assume rilievo in contrario la circostanza che uno dei coniugi non abbia la residenza anagrafica in tale Comune, e ciò in ogni ipotesi in cui il bene sia divenuto oggetto della comunione ai sensi dell’art. 177 c.c.; a maggior ragione il requisito in discorso non deve essere realizzato dal coniuge del contribuente che abbia operato un acquisto a titolo personale (v., ex plurimis, e da ultimo, Cass., 2 febbraio 2023, n. 3123; Cass., 19 luglio 2022, n. 22557); 8.2. ne discende che se, come sostiene la Commissione Tributaria Regionale, si trattava di acquisto a titolo personale, l’adempimento del terzo (il coniuge) non era affatto necessario mentre se, diversamente, si trattava di acquisto in comunione, il trasferimento di residenza di uno dei coniugi componente il nucleo familiare era sufficiente per escludere la decadenza in quanto il requisito della residenza nel comune in cui è ubicato l’immobile va riferito alla famiglia;” .

Corte di Cassazione – Ordinanza 3 novembre 2023, n. 30594

sul ricorso iscritto al n.15036/2020 R.G. proposto da :

B. I.I., elettivamente domiciliata in ROMA VIA ALESSANDRO MALLADRA 31, presso lo studio dell’avvocato IARIA GIOVANNI (RIAGNN69A21D086G) rappresentata e difesa dagli avvocati BERTELLI PAOLA (BRTPLA74R44B157L), SPAGIARI STEFANO (SPGSFN68D10B157L);

-ricorrente-

contro AGENZIA DELLE ENTRATE, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che la rappresenta e difende ;

 -controricorrente-

avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. MILANO n. 4378/2019 depositata il07/11/2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/06/2023dal Consigliere FABIO DI PISA.

RILEVATO CHE

1. la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con sentenza n. 4738/14/2019 depositata in data 7 novembre 2019 e non notificata, pronunziando in sede di rinvio – a seguito di annullamento della Corte di Cassazione che con ordinanza n. 9493/2017 aveva accolto il ricorso dell’ufficio ritenendo priva di fondamento l’eccezione di decadenza dal potere impositivo – rigettava l’appello proposto dalla contribuente, B. I.I., ritenendo legittimo l’avviso di liquidazione ed irrogazione di sanzioni conseguente alla revoca delle agevolazioni prima casa relativamente all’acquisto di un appartamento sito in Monzambano (MN);

1.1. l’avviso in questione era stato emanato dall’ufficio il quale aveva ritenuto che, contrariamente a quanto affermato dalla contribuente, non trattavasi di bene personale ma di un bene acquistato in regime di comunione legale con il coniuge il quale non aveva i requisiti per poter fruire dell’agevolazione della prima casa, non avendo trasferito la propria residenza a Monzambano;

1.2. i giudici del rinvio, nel rilevare l’inammissibilità dei motivi nuovi introdotti con il ricorso in riassunzione, ritenevano che il ben e acquistato era personale e non rientrava nella comunione dei beni e che le ulteriori contestazioni di parte contribuente erano infondate in quanto le agevolazioni fiscali erano regolate dalla legge italiana e non dalla invocata legge tedesca;

2. contro tale sentenza propone ricorso per cassazione B. I. I. affidandolo a quattro motivi;

3. l’ufficio resiste con controricorso.

CONSIDERATO CHE

1. Con il primo motivo si deduce, ex art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 132 cod. proc. civ. risultando la motivazione totalmente carente e/o del tutto illogica e irrazionale;

1.1. la ricorrente evidenzia che sebbene l’avviso impugnato fosse fondato sul presupposto che il bene in questione era stato acquistato dalla contribuente in regime di comunione legale con il coniuge, la Commissione Tributaria Regionale con motivazione meramente apodittica e totalmente illogica e contraddittoria, nel rigettare le eccezioni della contribuente, aveva affermato: “quanto al merito resta da confermare che i beni acquistati sono beni personali, che non rientrano nella comunione dei beni”;

2. con il secondo motivo si deduce, ex art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 29 e 30 legge 218/1995;

2.1. viene rilevato che i giudici di appello nell’evidenziare che le agevolazioni fiscali erano regolate dalla legge italiana e non dalla legge tedesca non avevano considerato che la specifica eccezione formulata atteneva al fatto che la ricorrente aveva invocato l’applicazione dell’art. 1362 del Codice civile tedesco il quale prevede fra i coniugi una “comunione differita” delle acquisizioni patrimoniali con la conseguenza che, dovendo trovare applicazione con riferimento ai rapporti personali fra coniugi la legge nazionale comune, correttamente il bene acquistato era stato trascritto esclusivamente in favore della ricorrente che doveva essere considerata l’ unica proprietaria;

3. con il terzo motivo si lamenta, ex art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti costituito dalla circostanza che la ricorrente avrebbe potuto fruire dell’ agevolazione anche nella denegata ipotesi in cui il regime patrimoniale dei coniugi fosse stato quello della comunione dei beni così come stabilito dall’ ordinamento italiano;

3.1. si seduce che sia nel ricorso di primo grado che nell’ originario atto di appello era stato dedotto che la ricorrente aveva diritto al beneficio essendo sufficiente il trasferimento di residenza in loco di un solo coniuge, profilo questo ribadito con il ricorso in riassunzione ed erroneamente ritenuto nuovo dai giudici di merito;

4. con il quarto si lamenta, ex art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 143 e 144 cod. civ., 2 della legge 118/1985, dell’art. 1 d.P.R. 131/1986 e 29 Cost. in relazione alla nozione di residenza familiare;

5. il ricorso può trovare accoglimento per le ragioni appresso specificate;

6. occorre rilevare che appare incontroverso fra le parti che l’avviso di liquidazione abbia, quale fatto costitutivo della decadenza, il mancato trasferimento della residenza del marito della contribuente (dott. Shober) nel comune sede della unità immobiliare oggetto dell’acquisto agevolato (questo sostiene la stessa Agenzia delle Entrate, v. f. 1 del ricorso);

7. orbene in ordine al primo motivo del ricorso va osservato che riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 -01).

7.1. il primo motivo appare fondato atteso che la motivazione della sentenza è meramente apparente e nella sostanza incomprensibile in quanto si assume che pur trattandosi di “bene personale” sussisteva la causa di decadenza correlata ad un adempimento (trasferimento di residenza) realizzato dalla contribuente ma non realizzato da un terzo estraneo all’acquisto;

7.2. in presenza di motivazione meramente apparente si può, comunque, decidere nel merito se, come nel caso in esame, non sussiste la necessità di accertare dati di fatto che devono risultare già acquisiti al giudizio. Invero alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma secondo, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod. proc. civ. ispirata a tali principi, deve ritenersi che alla Corte sia consentito di decidere nel merito dell’eccezione di inammissibilità della quale si assume l’omesso esame, alla stessa stregua dei fatti introdotti in giudizio dalle parti e non risultando, per l’appunto, necessario alcun ulteriore accertamento in fatto (Cass., 1 marzo 2019, n. 6145; Cass. Sez. U., 2 febbraio 2017, n. 2731; Cass., 3 marzo 2011, n. 5139; Cass., 1 febbraio 2010, n. 2313; Cass., 28 luglio 2005, n. 15810; Cass., 23 aprile 2001, n. 5962);

8. ritiene questa Corte che è possibile decidere la causa nel merito in accoglimento del quarto motivo, assorbiti i residui motivi;

8.1.posto che nella specie si verte in ipotesi di residenza familiare va, invero, rilevato che il principio di diritto enunciato da Corte, e più volte ribadito, è nel senso che, in tema di imposta di registro e dei relativi benefici per l’acquisto della prima casa, ai fini della fruizione degli stessi, il requisito della residenza nel Comune in cui è ubicato l’immobile va riferito alla famiglia, così che, nel caso di acquisto in comunione legale tra coniugi, quel che rileva è che l’immobile acquistato sia destinato a residenza familiare, mentre non assume rilievo in contrario la circostanza che uno dei coniugi non abbia la residenza anagrafica in tale Comune, e ciò in ogni ipotesi in cui il bene sia divenuto oggetto della comunione ai sensi dell’art. 177 c.c.; a maggior ragione il requisito in discorso non deve essere realizzato dal coniuge del contribuente che abbia operato un acquisto a titolo personale (v., ex plurimis, e da ultimo, Cass., 2 febbraio 2023, n. 3123; Cass., 19 luglio 2022, n. 22557);

8.2. ne discende che se, come sostiene la Commissione Tributaria Regionale, si trattava di acquisto a titolo personale, l’adempimento del terzo (il coniuge) non era affatto necessario mentre se, diversamente, si trattava di acquisto in comunione, il trasferimento di residenza di uno dei coniugi componente il nucleo familiare era sufficiente per escludere la decadenza in quanto il requisito della residenza nel comune in cui è ubicato l’immobile va riferito alla famiglia; 8.3. le residue questioni, ivi compresa quella di diritto internazionale privato relativo all’applicabilità dell’art. 1362 del Codice civile tedesco, rimangono assorbite; 9. in accoglimento del primo e del quarto motivo, assorbiti i residui, la sentenza va cassata e decidendosi nel merito va accolto l’originario ricorso della contribuente;

9.1. le spese dei giudizi di merito possono essere compensate in ragione dell’andamento processuale mentre le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno liquidate nella misura fissata in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte accoglie il primo ed il quarto motivo, assorbiti gli altri;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario della contribuente; compensa le spese dei giudizi di merito; condanna l’ufficio alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore della ricorrente, liquidandole nella misura di € 200,00 per esborsi ed € 3.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% sui compensi ed altri accessori di legge.

Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria, in data 22 giugno 2023.

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