CASSAZIONE

Accertamento tributario, chiarimenti per operazioni inesistenti e creazione di crediti fittizi

Tributi – II.DD. – IVA – Reati tributari – Professionista – Operazioni inesistenti – Avviso di accertamento – Indagini bancarie – Art.32, c.1, DPR 600/1973 – Contenzioso – Ricavi non dichiarati – Inversione onere della  prova – Presunzione legale

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1147 del 17 gennaio2025, intervenendo sulle modalità degli accertamenti bancari in seguito ad attività istruttorie basate sulle indagini finanziarie, ha affermato che il contribuente destinatario di un’indagine bancaria promossa dall’Amministrazione finanziaria deve sempre fornire adeguata giustificazione ai versamenti e ai prelevamenti transitati sui conti oggetto di verifica.

In sostanza, come peraltro già affermato recentemente anche dall’ordinanza n. 16850/2024, i Supremi Giudici ribadiscono essenzialmente che, se il contribuente non fornisce valide giustificazioni dei prelievi e versamenti effettuati su conti correnti a lui riconducibili, è legittimo l’accertamento bancario eseguito dall’Amministrazione finanziaria ai sensi dell’art. 32 del Testo unico sull’accertamento delle imposte sui redditi. Gli stessi giudici, nella richiamata pronunzia, ricordando il consolidato orientamento della giurisprudenza, hanno già allora evidenziato che la norma sopra richiamata, “… prevede una presunzione (relativa) in base alla quale i versamenti non giustificati operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi, ove il contribuente non alleghi elementi probatori idonei a giustificare una diversa imputazione delle singole movimentazioni. […]la presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancaria, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione”.

L’accertamento da indagini bancarie, come è noto, è un procedimento utilizzato principalmente dall’Agenzia delle entrate per verificare la correttezza delle dichiarazioni fiscali dei contribuenti e si basa sull’analisi dei movimenti bancari e delle operazioni finanziarie per identificare eventuali redditi non dichiarati o anomalie nelle transazioni; le indagini possono basarsi su informazioni provenienti da banche, istituti finanziari e altre fonti di dati, come il Sistema di Interscambio delle informazioni fiscali. Gli accertamenti possono includere l’analisi dei movimenti sui conti correnti, delle operazioni di prelievo e deposito e delle transazioni effettuate con carte di credito e altri strumenti di pagamento: in assenza di documentazione adeguata, l’Agenzia può utilizzare presunzioni per determinare il reddito imponibile. Il contribuente ha però il diritto di essere informato dell’accertamento, di presentare le proprie osservazioni ed a un contraddittorio con l’Amministrazione fiscale.

In definitiva, ne consegue che l’accertamento da indagini bancarie è certamente uno strumento efficace ma comporta, di converso, anche diritti e tutele per i contribuenti anche se prevede una presunzione a favore dell’Amministrazione finanziaria, per cui le movimentazioni rilevate sui conti dei contribuenti possono essere utilizzate, ai sensi dell’art. 32, comma 1, n. 2, del Dpr 600/1973,  per fondare i propri accertamenti relativi ai maggiori redditi da recuperare a tassazione, se il contribuente non dimostra di averne tenuto conto nella dichiarazione dei redditi (oppure che non doveva tenerne conto).

Infine, l’Agenzia delle entrate può richiedere agli istituti di credito dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto o a operazioni effettuate con i loro clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi (articolo 32, comma 1, numero 7, Dpr 600/1973, e articolo 51, comma 2, numero 7, Dpr n. 633/1972).

La Corte di Cassazione ha anche avuto modo di precisare alcuni punti di merito, ancora una volta con la sentenza n. 13122/2020, che negli accertamenti bancari sussiste una presunzione legale in favore dell’Erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza per le presunzioni semplici (art. 2729 c.c.).

Tale presunzione può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono a operazioni imponibili.

Ricordiamo che nella pronuncia n. 15857/2016, la Suprema Corte aveva osservato che, qualora l’accertamento effettuato dall’Ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti stessi, determinando così un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente.

In questo caso il contribuente deve dimostrare, con una prova non generica ma analitica, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria, per ogni versamento, non sono riferibili a operazioni imponibili.

Sull’argomento gli Ermellini, con l’Ordinanza n. 24402/2022, hanno ancora rammentato, in particolare, che quando l’Agenzia delle entrate fonda l’accertamento sulle indagini finanziarie, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti correnti comunicati dagli istituti finanziari e di credito.

L’inversione dell’onere della prova vale anche in tema di IVA: spetta infatti al contribuente, ai sensi dall’articolo 51, secondo comma, numero 2, del Dpr 633/1972, dimostrare che tali operazioni non siano imponibili.

Inoltre, si ricorda che la presunzione legale è un principio giuridico che stabilisce che un fatto è considerato vero fino a prova contraria, sulla base di una norma di legge: in altre parole, la legge presume che un certo stato di cose esista o sia vero, e spetta a chi contesta tale presunzione fornire prove contrarie.

Le presunzioni legali sono utilizzate in vari ambiti del diritto, come nel tributario, per semplificare la prova di determinati fatti e per garantire una maggiore certezza giuridica; pertanto, la presunzione legale è riferibile alla generalità dei contribuenti e non solo ai titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, come desumibile dall’articolo 38 del Dpr 600/1973, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia al citato articolo 32, comma 1, n. 2.

Essendo una presunzione legale “relativa”, la stessa è superabile se il contribuente riesce a dimostrare che le movimentazioni bancarie oggetto di analisi sono state già considerate per determinare il reddito complessivo, oppure che le stesse sono fiscalmente irrilevanti.

Infine, con l’ordinanza n. 8905/2024, la Corte di Cassazione ha recentemente riaffermato che in tema di accertamenti bancari, poiché il contribuente ha l’onere di superare la relativa presunzione di legge, dimostrando in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili, il Giudice tributario è tenuto a effettuare una verifica rigorosa in ordine all’efficacia dimostrativa delle prove fornite rispetto a ogni singola movimentazione, dandone compiutamente conto nella motivazione della sentenza che decide la questione.

Invece, sul tema della presunzione legale di redditi occulti derivante da movimentazioni bancarie e sul relativo onere della prova contraria a carico del contribuente, con la sentenza n. 28719/2024 la Corte di Cassazione ha offerto un importante contributo interpretativo, riaffermando  l’importanza della presunzione legale quale strumento per contrastare l’evasione fiscale, ma al contempo ne delimita i confini, richiedendo una rigorosa valutazione della prova contraria: “…  Invero, nel caso di specie, la CTR, dopo aver riportato il quadro normativo e giurisprudenziale in tema di presunzione legale ex art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 e di prova contraria a carico del contribuente, ha affermato che ‘non risulta che tale prova sia stata fornita dal contribuente, che, come rilevato dal primo giudice, si è limitato ad una descrizione generica della movimentazione bancaria, senza alcuna indicazione delle relative causali giustificative’ (pag. 3 della sentenza). Ha, in definitiva,indicato in modo del tutto generico la materia del contendere, omettendo di riportare ed esaminare le censure specificamente mosse dal contribuente nell’appello , censure corredate da corposa documentazione relativa ai movimenti bancari. Tali affermazioni, per la loro genericità, non consentono in alcun modo di apprezzare l’iter logico posto a fondamento della decisione di appello e di verificare le ragioni che hanno indotto la CTR a confermare la sentenza di primo grado. 3. In base alle considerazioni svolte la sentenza di appello va cassata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, perché proceda a nuovo esame in relazione alla censura accolta ed alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità”.

Si può concludere, quindi,  che vi è un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente e che tale onere della prova interessa anche l’IVA. Ciò è in linea con la sentenza della Corte Cost. n. 10/2023 secondo cui, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati e quindi occulti, scaturente da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore può sempre opporre la prova presuntiva contraria, eccependo un’incidenza percentuale forfetaria di costi di produzione, che vanno quindi detratti dall’ammontare dei maggiori ricavi presunti (Cass. Ordinanza n. 18653/2023).

Tanto premesso e tornando alla vicenda in esame, essa ha inizio quando un medico, ricevuti tre avvisi di accertamento in merito all’uso di fatture emesse per operazioni inesistenti, funzionali alla creazione di fittizi crediti IVA da utilizzare in compensazione, si rivolge alla giustizia tributaria per contestarli. Il giudice di prime cure accoglieva nel merito in parte le doglianze della parte ricorrente e annullava l’atto di accertamento limitatamente ai prelievi, applicando il disposto della sentenza n. 228/2014 della Corte costituzionale, trattandosi di contribuente professionista, e confermava nel resto le riprese. Il giudice d’appello confermava la sentenza di primo grado, ritenendo che il contribuente non avesse offerto la prova specifica riguardante analiticamente i singoli versamenti bancari richiesta in caso di accertamenti bancari come quelli occorsi nella specie. Avverso tale sentenza il contribuente proponeva ricorso per Cassazione affidato a sei motivi, nei quali essenzialmente  lamentava  la  violazione  e falsa applicazione dell’art. 32, Dpr 600/1973, e 112 cod. proc. civ. da parte della sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto irrilevanti i motivi personali addotti dal ricorrente a giustificazione dell’impossibilità di produrre in sede amministrativa la documentazione  richiesta.

I Supremi Giudici, nel respingere tutte le motivazioni addotte, hanno invece affermato che: “… Con il secondo motivo il ricorrente, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ., deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia sull’eccezione di giudicato interno e di giudicato esterno sollevati dal contribuente, in violazione degli artt.112, 324 cod. proc. civ. e 2909 cod. civ. Il ricorrente lamenta il fatto che la decisione si sia basata su una lettura errata dei motivi di appello che l’avrebbe condotta alla erronea integrale conferma dell’avviso di accertamento attraverso un nuovo e completo riesame della pretesa erariale. Ciò sarebbe stato precluso dal giudicato interno in ordine ad alcuni punti della motivazione della sentenza di primo grado, non oggetto di appello dell’Agenzia, la cui conseguenza doveva essere quantomeno la riduzione del maggior reddito imponibile nella misura delle movimentazioni giustificate e non più contestate. Inoltre, il giudice non avrebbe tenuto conto del giudicato esterno discendente da lla sentenza n. 397/09/16 resa della C.T.R. relativamente a diverso anno d’imposta nell’arco del triennio oggetto di accertamento, ma i cui effetti avrebbero dovuto essere estesi anche alla presente controversia, essendo a dire del ricorrente identiche le questioni affrontate 4. Il motivo è inammissibile. 4.1 Da un lato, con riferimento al prospettato giudicato interno, il ricorso non riproduce l’atto di appello dell’Agenzia al fine di consentire la verifica della decisività della censura, alla luce dell’accertamento contenuto alla terza pagina della sentenza della intervenuta proposizione di appello anche nel merito circa la fondatezza delle riprese oggetto di accertamento. 4.2. Quanto al giudicato esterno, sulla base di quanto esposto nel ricorso anche a  livello di allegazione  mancano le condizioni di fatto per ritenere operante l’effetto ex art.2909 cod. civ. con riferimento alle imposte periodiche oggetto di ripresa, posto che gli accertamenti bancari e le operazioni contestate come inesistenti possono condurre a risultati divergenti a seconda dell’anno oggetto di imposta, trattandosi di operazioni economiche che, astrattamente, possono sussistere per un’annualità e non per un’altra, così come i singoli movimenti bancari contestati possono trovare giustificazione caso per caso. 5. Con il terzo motivo il ricorrente, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ ., viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 23, 24, 32, 54, 57 e 58 d.lgs. n. 546/9 2 e 112 cod. proc. civ . per aver l’Agenzia, tardivamente costituita, sollevato in appello eccezioni nuove mai formulate in primo grado. 6. Il motivo è inammissibile, sia per difetto di specificità , sia per essere quelle evidenziate in censura (circa la fase di liquidazione della cooperativa , il suo stato debitorio e la contraddittorietà di un’operazione straordinaria, nonché la mancata redistribuzione delle somme agli altri comproprietari, cfr. pp. 26 e 27 ricorso) delle mere difese o comunque circostanze irrilevanti ai fini del decidere. Inoltre,  la  censura  ex  art.  57  del  d.lgs.  n.  546  de l 1992  è  anche manifestamente infondata, nella parte in cui a pag. 26 del ricorso fa riferimento aIla presunta  irritualità  del deposito di nuovi documenti in appello che, al contra rio, è comunque sempre consentito. 7. Con il quarto motivo di ricorso, in rapporto all’art. 360, comma  1, nn.  3)  e 4),  cod.  proc. civ., viene  lamentata  la  violazione  e falsa applicazione  dell’art.32  d. P. R.  n .600/7 3  e  112  cod.  proc.  civ.  da parte della sentenza  impugnata  nella  parte in cui ha  ritenuto irrilevanti i motivi personali addotti dal ricorrente a giustificazione dell’impossibilità di produrre in sede amministrativa la documentazione  richiesta dall’Amministrazione. 8. Il mezzo di impugnazione è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi espressa dal giudice sulla  questione, dal momento che la CTR è vero che ha inizialmente accertato l’assenza di cause impeditive all’esibizione documentale in fase procedimentale, ma poi ha implicitamente ritenuto  utilizzabile  la  documentazione  prodotta dal contribuente nel giudizio e non esibita in sede amministrativa, avendola valutata, e l’ha ritenuta non adeguata alla giustificazione delle movimentazioni bancarie contestate. 9. Il quinto motivo di ricorso, in rapporto all’art. 360, comma 1, n. 3) deduce la violazione e falsa applicazione degli artt.1321, 1350, 1351 e ss., 1703 e ss., 2697, 27 27, 27 29 cod. civ. e 112 cod. proc. civ. con riferimento aIla «qualità di comproprietario del (omissis) alla scelta del suo e/e ed alla mancata redistribuzione delle somme ». 10. Il motivo è inammissibile. È condivisa  la  giurisprudenza  deIla Corte  (Cass.  22 settembre  2014 n. 199 59) secondo la quale il motivo del ricorso deve necessariamente possedere  i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 cod. proc. civ., sicché è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata , formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito. Nella censura in esame, sotto l’ombrello della violazione di legge è richiesto il riesame di una pluralità di questioni di fatto, connesse alle indagini bancarie alla base delle riprese ad imposizione. Al proposito, va ribadito che in tema di accertamento, resta invariata la presunzione legale posta dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 de l 197 3 con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicché questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti a i fatti imponibili, essendo venuta meno, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 de l 2014, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale limitatamente ai prelevamenti su i conti correnti (Sez. 5, Sentenza n. 16697 del 09/08/2016, Rv. 640983-01; conforme, Sez. 6-5, Ordinanza n . 3628 del 10/02/ 2017, Rv. 643207-01).La sentenza impugnata è pienamente conforme al principio di diritto di cui a tale arresto giurisprudenziale,  la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice  di merito. 1.1. Il sesto motivo rubricato “spese di lite”, solo un abbozzo senza neppure indicazione del pertinente paradigma dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ. è inammissibile sia per la tecnica di formulazione sia perché diretto manifestamente ad ottenere una  sostituzione della decisione di merito, non ottenibile nei termini richiesti in sede di legittimità . Il giudizio di cassazione  (cfr. Cass.  28 novembre 2014  n. 25332)  è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale  ed esercita un controllo sulla legalità e  logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il me rito di un capo della decisione. 11.1 Inoltre, in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la  pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass., Sez. U, Sentenza n. 14989 del 15/07/2005; conf., Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 11329 del 26/04/2019, Rv. 653610, nonché Cass. n. 3122 del 2020, non massimata)”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 17 gennaio 2025, n. 1147

sul ricorso iscritto al n. 18608/2017 R.G. proposto da:

(omissis) rappresentato e difeso dall’Avv. (omissis) elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, in (omissis);

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12 costituita ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione ex art.370, comma 1, cod. proc. civ.;

– resistente –

avverso la sentenza  n. 59/3/2017 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio depositata il 18.1.2017, non  notificata.

Udita  la  relazione  svolta  nell’adunanza  camera le del  21 novembre 2024 dal consigliere Pierpaolo Gori.

Rilevato che

La Commissione Tributaria  Regionale del Lazio rigettava l’appello proposto da (omissis)

avverso la sentenza della Commissione Tributa ria Provinciale di Roma n. 27176/ 31/ 2015 con la  quale era stato parzialmente accolto il ricorso avverso un avviso di accertamento notificato al contribuente per Il.DD. e IVA relativamente all’anno di imposta 2009.

A carico del Dr. (Omissis), esercente attività di medico generico convenzionato con il S.S.N., venivano svolte indagini circa l’uso di fatture emesse per operazioni inesistenti, funzionali alla creazione di fittizi crediti IVA da utilizzare in compensazione.

Emergeva che nei confronti del contribuente, nel corso del triennio  2008- 2010, erano stati effettuati diversi bonifici da parte della cooperativa (omissis)  con causale “rate  acquisto terreni” o similari.

Ulteriori bonifici, per complessivi e uro 420. 000,00 venivano effettuati dalla cooperativa (omissis) .       

Da un controllo all’Anagrafe tributaria non risultava che le due cooperative, il cui oggetto sociale era costituito dalla prestazione di  servizi di pulizia e logistica, avessero registrato contratti preliminari o definitivi per acquisto di immobili nel triennio considerato.

L’Amministrazione finanziaria disponeva indagini finanziarie su conti bancari intestati al contribuente, ex art. 32, d.P.R. n. 600/73 e art. 51, d.P.R. 633/72 e, all’esito, lo invitava al preventivo contraddittorio, ma egli non si presentava né forniva giustificazione delle anomale movimentazioni bancarie contestate.

Venivano così emessi tre avvisi di accertamento, uno per ciascuna annualità.

Il giudice di prime cure, in adesione alla stessa sollecitazione dell’Agenzia, accoglieva nel merito in parte le doglianze della parte ricorrente e annullava l’atto di accertamento limitatamente ai prelievi, applicando il disposto della sentenza n. 228/2014 della Corte costituzionale trattandosi di contribuente professionista, e confermava nel resto le riprese.

Il giudice d’appello confermava la sentenza di primo grado, ritenendo che il contribuente non avesse offerto la prova specifica  riguardante analiticamente i singoli versamenti bancari richiesta in caso di accertamenti bancari come quelli occorsi nella specie.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il contribuente, affidato a sei motivi che  illustra  con  memoria, mentre l’Agenzia delle Entrate si è costituita al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Considerato che

1. Con il primo motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., viene prospettata la violazione e falsa applicazione degli artt. 42 d.P.R. 600/1973 e n. 112  c.p.c. per omessa pronuncia da parte del giudice sulla questione dell’omessa sottoscrizione dell’avviso impugnato da parte del capo dell’ufficio o da un sostituto validamente delegato.

2. Il motivo è inammissibile, sia per la tecnica di formulazione che non individua il paradigma processuale dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ. pertinente all’omessa pronuncia, che è il n. 4 con relativi requisiti di specificità, sia per novità, dal momento che il ricorso non allega né dimostra la tempestiva proposizione della questione  in primo grado e riproposizione  in appello.

3. Con il secondo motivo il ricorrente, in relazione all’art.  360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ., deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia sull’eccezione di giudicato interno e di giudicato esterno sollevati dal contribuente, in violazione degli artt.112, 324 cod. proc. civ. e 2909 cod. civ.

Il ricorrente lamenta il fatto che   la decisione si sia basata su una lettura errata dei motivi di appello che l’avrebbe condotta aIla erronea integrale conferma dell’avviso di accertamento attraverso un nuovo e completo riesame della pretesa erariale. Ciò sarebbe stato precluso dal giudicato interno in ordine ad alcuni punti della motivazione della sentenza di primo grado, non oggetto di appello dell’Agenzia, la cui conseguenza doveva essere quantomeno la riduzione del maggior reddito imponibile nella misura delle movimentazioni giustificate e non più contestate.

Inoltre, il giudice non avrebbe tenuto conto del giudicato esterno discendente da lla sentenza n. 397 /09/16 resa della C.T.R. relativamente a diverso anno d’imposta nell’arco del triennio oggetto di accertamento, ma i cui effetti avrebbero dovuto essere estesi anche alla presente controversia, essendo a dire del ricorrente identiche le questioni affrontate.

4. Il motivo è inammissibile.

4.1 Da un lato, con riferimento al prospettato giudicato interno, il ricorso non riproduce l’atto di appello dell’Agenzia al fine di consentire la verifica della decisività della censura, alla luce dell’accertamento contenuto alla terza pagina della sentenza della intervenuta proposizione di appello anche nel merito circa la fondatezza delle riprese oggetto di accertamento.

4.2. Quanto al giudicato esterno, sulla base di quanto esposto nel ricorso anche a livello di allegazione  mancano le condizioni di fatto per ritenere operante l’effetto ex art.2909 cod. civ. con riferimento alle imposte periodiche oggetto di ripresa, posto che gli accertamenti bancari e le operazioni contestate come inesistenti possono condurre a risultati divergenti a seconda dell’anno oggetto di imposta, trattandosi di operazioni economiche che, astrattamente, possono sussistere per un’annualità e non per un’altra, così come i singoli movimenti bancari contestati possono trovare giustificazione caso per caso.

5. Con il terzo motivo il ricorrente, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ ., viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt.23, 24, 32, 54, 57 e 58 d.lgs. n. 546/9 2 e 112 cod. proc. civ . per aver l’Agenzia, tardivamente costituita, sollevato in appello eccezioni nuove mai formulate in primo grado.

6. Il motivo è inammissibile, sia per difetto di specificità , sia per essere quelle evidenziate in censura (circa la fase di liquidazione della cooperativa , il suo stato debitorio e la contraddittorietà di un’operazione straordinaria, nonché la mancata redistribuzione delle somme agli altri comproprietari, cfr. pp. 26 e 27 ricorso) delle mere difese o comunque circostanze irrilevanti ai fini del decidere. Inoltre,  la  censura  ex  a rt.  57  del  d.lgs.  n.  546  de l 1992  è  anche manifestamente infondata, nella parte in cui a pag. 26 del ricorso fa riferimento alla presunta irritualità del deposito di nuovi documenti in appello che, al contra rio, è comunque sempre consentito.

7. Con il quarto motivo di ricorso, in rapporto all’art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ., viene  lamentata  la  violazione  e falsa applicazione  dell’art.32  d. P. R.  n .600/73  e  112  cod.  proc.  civ.  da parte della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto irrilevanti i motivi personali addotti dal ricorrente a giustificazione dell’impossibilità di produrre in sede amministrativa la documentazione  richiesta dall’Amministrazione.

8. Il mezzo di impugnazione è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi espressa dal giudice sulla  questione, dal momento che la CTR è vero che ha inizialmente accertato l’assenza di cause impeditive all’esibizione documentale in fase procedimentale, ma poi ha implicitamente ritenuto utilizzabile  la  documentazione  prodotta dal contribuente nel giudizio e non esibita in sede amministrativa, avendola valutata, e l’ha ritenuta non adeguata alla giustificazione delle movimentazioni bancarie contestate.

9. Il quinto motivo di ricorso, in rapporto all’art. 360, comma 1, n. 3) deduce la violazione e falsa applicazione degli artt.1321, 1350, 1351 e ss., 1703 e ss., 2697, 27 27, 27 29 cod. civ. e 112 cod. proc. civ. con riferimento aIla «qualità di comproprietario del (omissis) alla scelta del suo e/e ed alla mancata redistribuzione delle somme ».

10. Il motivo è inammissibile.

È condivisa  la  giurisprudenza  della Corte  (Cass.  22 settembre  2014 n. 19959) secondo la quale il motivo del ricorso deve necessariamente possedere  i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 cod. proc. civ., sicché è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata , formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito. Nella censura in esame, sotto l’ombrello della violazione di legge è richiesto il riesame di una pluralità di questioni di fatto, connesse alle indagini bancarie alla base delle riprese ad imposizione.

Al proposito, va ribadito che in tema di accertamento, resta invariata la presunzione legale posta dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicché questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti a i fatti imponibili, essendo venuta meno, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale limitatamente ai prelevamenti su i conti correnti (Sez. 5, Sentenza n. 16697 del 09/08/2016, Rv. 640983-01; conforme, Sez. 6-5, Ordinanza n. 3628 del 10/02/2017, Rv. 643207-01).

La sentenza impugnata è pienamente conforme al principio di diritto di cui a tale arresto giurisprudenziale,  la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice  di merito.

11. Il sesto motivo rubricato “spese di lite”, solo un abbozzo senza neppure indicazione del pertinente paradigma dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ. è inammissibile sia per la tecnica di formulazione sia perché diretto manifestamente ad ottenere una  sostituzione della decisione di merito, non ottenibile nei termini richiesti in sede di legittimità.

Il giudizio di cassazione (cfr. Cass. 28 novembre 2014  n. 25332) è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e  logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il me rito di un capo della decisione.

11.1 Inoltre, in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass., Sez. U, Sentenza n. 14989 del 15/07/2005; conf., Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 11329 del 26/04/2019, Rv. 653610, nonché Cass. n. 3122 del 2020, non massimata).

12. Il ricorso è conclusivamente rigettato.

Le spese di lite non seguono la soccombenza in assenza di effettiva attività difensiva da parte dell’Agenzia .

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso.

Si dà atto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21 novembre 2024

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