Accertamento per ristretta base partecipativa al socio receduto: non basta l’allegazione dell’accertamento societario
Tributi – IrPEF – Presunzione distribuzione utili extracontabili – Ristretta base – Socio receduto – Conoscibilità degli atti – Violazione del principio del contraddittorio – Nullità dell’avviso di accertamento indirizzato al socio receduto – Diritto di controllo della documentazione sociale da parte dei soci, previsto dall’art. 2261 cod. civ.
La Corte di Cassazione, con l’rdinanza n. 18038 del 1° luglio 2024 ha fornito un importante chiarimento nel caso di un accertamento nei confronti del socio di società a ristretta base, ove tra l’anno d’imposta sottoposto ad accertamento e il momento della notificazione alla società dell’atto impositivo il socio sia receduto dalla compagine sociale, disponendo la nullità dell’avviso di accertamento a lui notificato per i maggiori redditi di capitale presuntivamente distribuiti, anche qualora sia allegato l’accertamento societario, quando da esso non risultino elementi sufficienti per consentire al contribuente di difendersi.
Gli Ermellini hanno così proposto il seguente principio di diritto che recita: “…In tema di accertamento nei confronti del socio di società a ristretta partecipazione sociale, ove tra l’anno d’imposta sottoposto ad accertamento ed il momento della notificazione alla società dell’atto impositivo il socio sia receduto dalla compagine sociale, è nullo l’avviso di accertamento a lui notificato per i maggiori redditi di capitale presuntivamente distribuiti, quando esso, rinviando per relationem alla motivazione dell’avviso di accertamento indirizzato alla società, manchi dell’allegazione della documentazione citata o della riproduzione dei suoi contenuti essenziali”.
In sostanza la Suprema Corte ha riaffermato la correttezza dell’interpretazione che riconosce in capo al socio la conoscibilità degli atti indirizzati alla società, anche per la peculiare ristrettezza della compagine sociale, ma non può certo affermarsi che il socio receduto abbia accesso agli atti e alla documentazione sociale, così come prevede l’art. 2261 e l’art. 2320 cod. civ. per le società di persone, oppure l’art. 2476, secondo comma, cod. civ., per le società a responsabilità limitata. Inoltre, viene anche riaffermato il diritto di controllo della documentazione sociale da parte dei soci, previsto dall’art. 2261 cod. civ., come peraltro dichiarato nella Sentenza n. Cass., n. 21126/2020. (v. anche le Sent. n. 25296/2014; n. 14275/2018 e la n. 3980/2020).
Comunque, per meglio delimitare i contorni legislativi, com’è noto si definiscesocietà a ristretta base azionaria quella società di capitali la cui compagine è costituita da un numero limitato di soci quasi sempre legati tra loro da un vincolo di parentela e/o affinità. Dal punto di vista tributario generalmente esiste una netta distinzione tra la società di capitali e i soci che ne fanno parte, per cui l’imputazione degli utili si realizza attraverso una formale deliberazione dell’assemblea dei soci, che ne fissa anche i limiti.
Nel corso degli anni si è andato ad affermare che quando l’Agenzia delle entrate emette avvisi di accertamento anche nei confronti dei singoli soci, legittima pertanto la propria pretesa impositiva in considerazione di una sorta di equiparazione implicita tra la società di persone e la società a ristretta base azionaria partecipativa.
La stessa Corte di Cassazione ha ampiamente avallato tale modus operandi dell’ufficio, ritenendo fondata l’equiparazione tra la società e i singoli soci, entrambi destinatari della pretesa erariale, nel presupposto che è da ritenersi legittimo presumere che vengano distribuiti ai soci gli utili extracontabili accertati alla società di capitali a ristretta base azionaria.
Del resto, seguendo tale ragionamento sarebbe ravvisabile dalla stessa tipologia di società formata da un numero esiguo di soci compartecipi, nonché dalla presenza di unvincolo di solidaristico esistente tra loro che porta ai soci, conoscere gli affari societari attraverso un reciproco controllo dell’attività societaria.
Va comunque rammentato che l’accertamento del maggior reddito nei confronti di tale società di capitali implica una presunzione (benché semplice e non legale, a differenza delle società di persone, – Cass. sent. n. 29231/2008) di distribuzione degli utili tra i soci che si basa sulla partecipazione al capitale sociale, a prescindere dalla prova di specifici poteri di gestione.
Tale presunzione determina anche che sia a carico del singolo socio l’onere di fornire prova contraria rispetto alla pretesa dell’Amministrazione finanziaria, dimostrando che i maggiori ricavi dell’ente sono stati accantonati o reinvestiti (Cass. Sent. n. 32959/2018): questa presunzione legittima una attribuzione pro quota ai soci degli utili stessi (Cass. sentenze n. 24535/2017 e n. 18032/2016). Nell’eventuale caso di utili in nero, la società a ristretta base azionaria potrebbe essere accostata a una società di fatto, e quindi potrebbe scontare la stessa tassazione delle società di persone; quindi, dopo la verifica nei confronti della società con conseguente rideterminazione del reddito tassabile e irrogazione delle imposte IRAP e IVA nei confronti di quest’ultima, è da ritenersi legittimo il successivo accertamento a carico dei soci ai fini IRPEF.
In particolare, si sottolinea che proprio in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di queste società, ove siano accertati utili non contabilizzati, per giurisprudenza di Cassazione ormai prevalente opera una sorta di presunzione di attribuzione pro quota ai soci degli utili stessi, salva la prova contraria ex art. 2697, comma 2, c.c., che inevitabilmente incombe sui soci accertati in ordine alla circostanza che i maggiori ricavi siano stati accantonati o reinvestiti. Si è quindi applicata, nel tempo, la presunzione in base alla quale, laddove, l’Amministrazione finanziaria accerti in capo a una società di capitali a ristretta base proprietaria utili occulti, essi sono considerati automaticamente imputati, nel medesimo esercizio annuale e in quote uguali, ai soci della società stessa (v. Cass. n. 28789/2008).
Il meccanismo che legittima la pretesa impositiva dell’Agenzia è simile a quello delle società di persone, ossia del principio di trasparenza di cui all’art. 5 del TUIR. Inoltre, anche recentemente i Supremi giudici avevano avuto l’occasione di riaffermare che in materia di accertamento del maggior reddito nei confronti di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di distribuzione degli utili tra i soci, in quanto la stessa ha origine nella partecipazione e, pertanto, prescinde dalle modalità di accertamento, ferma restando la possibilità per i soci di fornire prova contraria rispetto alla pretesa dell’Amministrazione finanziaria dimostrando che i maggiori ricavi dell’ente sono stati accantonati o reinvestiti (v. Cass. Sent., n. 32959/2018 e Cass. n. 27778/2017).
Tuttavia la stessa Corte di Cassazione, nelle sue ultime pronunce, ha evidenziato alcune circostanze che in fase di articolazione della prova ex art. 2697, comma 2, .c.c. potrebbe permettere al socio di dimostrare la propria estraneità rispetto a una possibile distribuzione di utili extra contabili riconducibili alla società di capitali; al riguardo ricordiamo la pronuncia n. 2224/2021, che confermava l’orientamento della giurisprudenza di legittimità che riteneva che la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili nelle società di capitali a ristretta base societaria opera laddove vi sia stata la determinazione di costi indeducibili (v. Cass. Sent. n. 25501/2020).
In particolare gli Ermellini, con riferimento alla questione impositiva in esame, avevano espressamente disposto che: “… i costi indeducibili vanno ad alterare il conto economico che, una volta emendato da tale errore, comporta inevitabilmente ricavi maggiori e, quindi, un reddito maggiore rispetto a quello dichiarato”. Essi, dunque, aumentano il reddito imponibile per via del principio di derivazione di cui all’art. 83 del TUIR e, eliminate le poste indeducibili dal reddito fiscale ne scaturisce, a parità dei ricavi già contabilizzati, un aumento del reddito d’impresa e maggiori imposte alla società e, quindi, ai soci.
In caso di dividendi che concorrono all’imponibile IRPEF vengono a essere emessi due accertamenti, sulla base del presupposto che i maggiori ricavi non contabilizzati siano stati integralmente distribuiti .
La decisione odierna offre comunque alcune interessanti precisazioni sull’argomento, proprio alla luce delle motivazioni offerte dalla pronunzia n. 4239/2022, che poneva la risoluzione della questione attraverso due diverse interpretazioni. Nella prima, la parte contribuente doveva rispondere della presunta distribuzione degli utili extracontabili accertati in via definitiva in capo alla società perché ancora in condizione di accedere alla documentazione della società; nella seconda, al contrario, si affermava che la prescrizione degli artt. 7, L. 212/2000 e 42, DPR 600/1973 poteva trovare piena applicazione, con l’effetto della nullità dell’avviso di accertamento indirizzato al socio receduto, motivato mediante rinvio all’atto impositivo precedentemente notificato alla società, senza allegazione o riproduzione dei suoi contenuti essenziali nell’atto impositivo che attinge il socio. Il Collegio ha ritenuto corretta la seconda interpretazione incontrando, come rilevato da Cass. n. 4239/2022 cit., il limite della persistente posizione di socio facente capo al partecipante alla ristretta compagine sociale, e dunque al facile accesso alla conoscenza e, comunque, alla conoscibilità degli atti che attingono la società.
Tanto premesso e tornando alla vicenda oggi esaminata una contribuente, ancora socia nell’anno d’imposta sottoposto a verifica fiscale, nello spazio temporale tra tale annualità e quella in cui l’Amministrazione finanziaria dava corso all’attività accertativa nei riguardi della compagine sociale, e successivamente nei suoi confronti, che aveva ceduto la sua partecipazione sociale, riceveva alcuni avvisi con i quali l’Agenzia delle entrate accertava maggiori redditi da partecipazione in virtù della presunzione di distribuzione di utili extracontabili. La contribuente si rivolgeva alla giustizia tributaria, ottenendo in prime cure soddisfazione, riformata però successivamente dalla CTR. Da qui il ricorso per Cassazione affidato a tre motivi, in cui essenzialmente si deduceva la violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa che trova la propria fonte giuridica negli artt. 47 e 48, nonché nell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Il Supremo consesso riconosceva la validità delle motivazioni della parte contribuente affermando, fra l’altro, che: “… Nel caso di specie, invece, la ricorrente, ancora soci a nell’anno d’imposta sottoposto a verifica fiscale, nello spazio temporale tra tale annualità e quella in cui l’Amministrazione finanziaria ha dato corso all’attività accertativa nei riguardi della compagine sociale, e successivamente nei suoi confronti, aveva ceduto la sua partecipazione sociale. Se è indiscutibile che astrattamente può rispondere anche della presunta distribuzione degli utili extracontabili accertati in via definitiva in capo alla società, è tutt’altro che scontato che, ceduta la propria partecipazione sociale ed uscita da quella compagine sociale, ella sia stata ancora in condizione di accedere alla documentazione della società, e, prima ancora, abbia potuto conoscere dell’attività di verifica cui la società medesima è stata sottoposta. Per conseguenza ci si deve chiedere se quella giurisprudenza di legittimità, afferente il socio della società a ristretta base partecipativa, possa adagiarsi anche all’ipotesi del socio già receduto dalla società. Oppure, al contrario, se la prescrizione degli artt. 7 della I. 212 del 2000 e 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, debba trovare piena applicazione, con l’effetto della nullità dell’avviso di accertamento indirizzato al socio receduto, motivato mediante rinvio all’atto impositivo precedentemente notificato alla società, senza allegazione o riproduzione dei suoi contenuti essenziali nell’atto impositivo che attinge il socio. Questo Collegio, in adesione al citato precedente,ritiene corretta la seconda interpretazione. Se, infatti , è corretta l’interpretazione che riconosce in capo al socio la conoscibilità degli atti indirizzati alla società, anche per la peculiare ristrettezza della compagine sociale, non può certo affermarsi che il socio receduto abbia accesso agli atti e alla documentazione sociale, così come prevede l’art. 2261 e l’art. 2320 cod. civ. per le società di persone, oppure l’art. 2476, secondo comma, cod. civ., per le società a responsabilità limitata. Ci si troverebbe in altri termini di fronte ad un soggetto che, ricevuta notificazione di un avviso d’accertamento con il quale gli si ridetermina il reddito da partecipazione in una società, di cui non èpiù̀ socio, ma relativamente ad una annualità in cui tale era, deve apprestare nei successivi sessanta giorni la propria difesa (o anche solo valutare se convenga), senza alcuna garanzia di accesso alla documentazione notificata alla società, cui per relationem fa rinvio l’atto impositivo ricevuto. 4.2 Conseguentemente l’avviso di accertamento notificato alla contribuente, che ai fini della motivazione ha fatto rinvio all’avviso di accertamento indirizzato alla società, doveva essere corroborato dalla allegazione della documentazione citata, o dalla riproduzione dei suoi contenuti essenziali. Il giudice regionale, al contrario ritenendo irrilevante e non compromesso il diritto di difesa del contribuente, non si è attenuto a tale principio, in contraddizione con le regole di garanzia che presidiano la motivazione dell’atto impositivo. Il motivo trova dunque accoglimento, dovendosi ribadire il principio di diritto: «in tema di accertamento nei confronti del socio di società a ristretta partecipazione sociale, ove tra l’anno d’imposta sottoposto ad accertamento ed il momento della notificazione alla società dell’atto impositivo il socio sia receduto dalla compagine sociale, è nullo l’avviso di accertamento a lui notificato per i maggiori redditi di capitale presuntivamente distribuiti, quando esso, rinviando per relationem alla motivazione dell’avviso di accertamento indirizzato alla società, manchi dell’allegazione della documentazione citata o della riproduzione dei suoi contenuti essenziali”
Corte di Cassazione – Ordinanza 1° luglio 2024, n. 18038
sul ricorso proposto da:
M. M., rappresentata e difesa, per procura in calce al ricorso dall’Avv. Giuseppe Merolla che ha indicato indirizzo p.e.c. e richiedente in data 26 maggio 2017 ammissione in via anticipata e provvisoria al patrocinio a spese dello Stato.
-ricorrente-
contro AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi 12 è domiciliata
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 2651/16 della Commissione tributaria regionale della Puglia – sezione distaccata di Foggia, depositata i l 7 novembre 2016;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4giugno 2024 dal Consigliere dott.ssa Roberta Crucitti.
Fatti di causa
M. M. propose ricorso avverso gli avvisi con cui l’Agenzia delle entrate aveva accertato, per gli anni di imposta 2009 e 2010, ai fini dell’IRPEF e in virtù della presunzione di distribuzione di utili extracontabili, maggiori redditi da partecipazione a seguito di avviso di accertamento emesso nei confronti della Mo.ve. s.r.l. partecipata dalla contribuente.
La Commissione tributaria provinciale accolse, previa riunione, i ricorsi ma la decisione, appellata dall’Agenzia delle entrate, è stata integralmente riformata dalla Commissione tributaria regionale della Puglia, con la sentenza indicata in epigrafe.
Il Giudice di appello ha ribadito la legittimità della presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, ritenendo privi di valenza probatoria gli estratti conto bancari prodotti dalla contribuente.
Avverso la sentenza M. M. ha proposto ricorso,sulla base di tre motivi, cui ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio.
Ragioni della decisione
1.Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa che trova la propria fonte giuridica negli artt.47 e 48… nonché nell’art.41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Si censura, nella sostanza, la sentenza impugnata per avere ritenuto legittima la pretesa tributaria e per non avere annullato gli atti impositivi che, siccome privi di motivazione, erano lesivi del diritto del contraddittorio e della difesa. Secondo la prospettazione difensiva tale lesione si era concretizzata nella circostanza che l’avviso a lei notificato recava solo il numero del diverso avviso emesso a carico della Società, e gli utili ricostruiti nei periodi di imposta. Ribadiva la ricorrente la totale ignoranza dell’avviso di rettifica emesso ai danni della Società in una data (l’anno 2013) nella quale ella aveva già dismesso, sin dal 2010, la propria partecipazione sociale.
2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’art.360, primo comma, num. 5 cod. proc. civ., che la C.T.R. avrebbe omesso l’esame della mancata notificazione alla contribuente dell’atto di accertamento a carico della società e del fatto della mancata allegazione e riproduzione negli atti impositivi a lei diretti, dell’avviso di accertamento notificato alla società.
3.Con il terzo motivo, infine, si deduce la violazione dell’art. 53 della Costituzione in quanto la C.T.R. avrebbe dovuto, in ossequio a tale norma annullare gli atti impositivi perché diretti in modo automatico, senza alcuna giustificazione,a imporre una tassazione.
4. Il primo motivo è fondato con assorbimento dei restanti.
Premesso che, pur facendo riferimento alla violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, la ricorrente con il primo mezzo ha sostanzialmente denunciato l’illegittimità dell’avviso di accertamento perché privo della necessaria motivazione, va osservato che, di recente, questa Corte ha inaugurato un orientamento che il Collegio condivide. Si è, infatti, statuito con ordinanza n. 4239 del 10/02/2022 che in tema di accertamento nei confronti del socio di società a ristretta partecipazione sociale, ove tra l’anno d’imposta sottoposto ad accertamento ed il momento della notificazione alla società dell’atto impositivo il socio sia receduto dalla compagine sociale, è nullo l’avviso di accertamento a lui notificato per i maggiori redditi di capitale presuntivamente distribuiti, quando esso, rinviando “per relationem” alla motivazione dell’avviso di accertamento notificato alla società, manchi dell’allegazione della documentazione citata o della riproduzione dei suoi contenuti essenziali .
4.1. Va escluso, sulla base dei documenti allegati al ricorso, che gli avvisi d’accertamento notificati al la contribuente contenessero i passaggi essenziali dell’atto impositivo notificato alla società in quanto essi indicavano il solo numero degli avvisi di accertamento emessi a carico della società, né il mero accenno alle voci di maggior imponibile accertato in capo alla società sopperisce al procedimento logico – motivazionale su cui regge l’avviso di accertamento che ha attinto la compagine sociale. Va, in proposito, rammentato che questa Corte ha affermato che in materia di accertamento tributario di un maggior reddito nei confronti di una società di capitali, organizzata nella forma della società a responsabilità limitata ed avente ristretta base partecipativa, e di accertamento conseguenziale nei confronti dei soci, l’obbligo di motivazione degli atti impositivi notificati ai soci è soddisfatto anche mediante rinvio per relationem alla motivazione dell’avviso di accertamento riguardante i maggiori redditi percepiti dalla società, anche se solo a quest’ultima notificato, giacché il socio, ex art. 2476 cod. civ., ha il potere di consultare la documentazione relativa alla società e, quindi, di prendere visione dell’accertamento presupposto e dei suoi documenti giustificativi (Cass., 2/10/2020, n. 21126; cfr. anche 28/11/2014, n. 25296; 4/06/2018, 14275; 18/02/2020, n. 3980, queste ultime richiamano il diritto di controllo della documentazione sociale da parte dei soci, previsto dall’art. 2261 cod. civ.).
Questo condivisibile orientamento incontra, come rilevato da Cass. n.4239/2022 cit., il limite della persistente posizione di socio, facente capo al partecipante alla ristretta compagine sociale, e dunque al facile accesso alla conoscenza e comunque alla conoscibilità degli atti che attingono la società. Nel caso di specie, invece, la ricorrente, ancora soci a nell’anno d’imposta sottoposto a verifica fiscale, nello spazio temporale tra tale annualità e quella in cui l’Amministrazione finanziaria ha dato corso all’attività accertativa nei riguardi della compagine sociale, e successivamente nei suoi confronti, aveva ceduto la sua partecipazione sociale. Se è indiscutibile che astrattamente può rispondere anche della presunta distribuzione degli utili extracontabili accertati in via definitiva in capo alla società, è tutt’altro che scontato che, ceduta la propria partecipazione sociale ed uscita da quella compagine sociale, ella sia stata ancora in condizione di accedere alla documentazione della società, e, prima ancora, abbia potuto conoscere dell’attività di verifica cui la società medesima è stata sottoposta. Per conseguenza ci si deve chiedere se quella giurisprudenza di legittimità, afferente il socio della società a ristretta base partecipativa, possa adagiarsi anche all’ipotesi del socio già receduto dalla società.
Oppure, al contrario, se la prescrizione degli artt. 7 della L. 212 del 2000 e 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, debba trovare piena applicazione, con l’effetto della nullità dell’avviso di accertamento indirizzato al socio receduto, motivato mediante rinvio all’atto impositivo precedentemente notificato alla società, senza allegazione o riproduzione dei suoi contenuti essenziali nell’atto impositivo che attinge il socio.
Questo Collegio, in adesione al citato precedente,ritiene corretta la seconda interpretazione.
Se, infatti , è corretta l’interpretazione che riconosce in capo al socio la conoscibilità degli atti indirizzati alla società, anche per la peculiare ristrettezza della compagine sociale, non può certo affermarsi che il socio receduto abbia accesso agli atti e alla documentazione sociale, così come prevede l’art. 2261 e l’art. 2320 cod. civ. per le società di persone, oppure l’art. 2476, secondo comma, cod. civ., per le società a responsabilità limitata. Ci si troverebbe in altri termini di fronte ad un soggetto che, ricevuta notificazione di un avviso d’accertamento con il quale gli si ridetermina il reddito da partecipazione in una società, di cui non è più socio, ma relativamente ad una annualità in cui tale era, deve apprestare nei successivi sessanta giorni la propria difesa (o anche solo valutare se convenga), senza alcuna garanzia di accesso alla documentazione notificata alla società, cui per relationem fa rinvio l’atto impositivo ricevuto.
4.2 Conseguentemente l’avviso di accertamento notificato alla contribuente, che ai fini della motivazione ha fatto rinvio all’avviso di accertamento indirizzato alla società, doveva essere corroborato dalla allegazione della documentazione citata, o dalla riproduzione dei suoi contenuti essenziali.
Il giudice regionale, al contrario ritenendo irrilevante e non compromesso il diritto di difesa del contribuente, non si è attenuto a tale principio, in contraddizione con le regole di garanzia che presidiano la motivazione dell’atto impositivo. Il motivo trova dunque accoglimento, dovendosi ribadire il principio di diritto: «in tema di accertamento nei confronti del socio di società a ristretta partecipazione sociale, ove tra l’anno d’imposta sottoposto ad accertamento ed il momento della notificazione alla società dell’atto impositivo il socio sia receduto dalla compagine sociale, è nullo l’avviso di accertamento a lui notificato per i maggiori redditi di capitale presuntivamente distribuiti, quando esso, rinviando per relationem alla motivazione dell’avviso di accertamento indirizzato alla società, manchi dell’allegazione della documentazione citata o della riproduzione dei suoi contenuti essenziali».
5. La sentenza va, dunque, cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la controversia può decidersi nel merito con l’accoglimento del ricorso introduttivo proposto dalla contribuente.
6. Le spese dei gradi di merito, atteso il recente formarsi del diverso orientamento giurisprudenziale, vanno integralmente compensate tra le parti mentre quelle del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
In accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo proposto dalla contribuente.
Compensa integralmente tra le parti le spese dei gradi di merito e condanna l’Agenzia delle entrate alla refusione in favore della ricorrente delle spese processuali che liquida in complessivi euro 4.100, 00 oltre euro 200 per esborsi, rimborso forfetario nella misura di legge e accessori di legge.
Così deciso in Roma il 4 giugno 2024