Accertamento motivato correttamente anche se non è accluso il verbale con le prove
Tributi – Contenzioso tributario – Maggiori imposte non versate – Accertamento – Rinvio al verbale della pregressa attività ispettiva – Società di comodo – Obbligo di motivazione – Decisione – Rilevanza – Limiti e condizioni – Validità
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7278 del 7 marzo 2022, intervenendo sul tema della validità dell’accertamento che non presenta in allegato il relativo verbale ha stabilito la validità dell’avviso di accertamento che soddisfa l’obbligo di motivazione rinviando al verbale redatto in sede di ispezione dalla Guardia di finanza, senza che vi sia la necessità di allegare tutti i verbali dai quali prende le mosse l’indagine fiscale e che hanno riguardato altri contribuenti.
Gli Ermellini hanno offerto una interessante direttiva sul tema, che letteralmente sancisce “… l’avviso di accertamento soddisfa l’obbligo di motivazione ogni qualvolta l’Amministrazione abbia posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente l’an ed il quantum debeatur, sicché lo stesso è correttamente motivato quando fa riferimento ad un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza regolarmente notificato o consegnato all’intimato, senza che l’Amministrazione sia tenuta ad includervi notizia delle prove poste a fondamento del verificarsi di taluni fatti o a riportarne, sia pur sinteticamente, il contenuto”.
Conseguentemente, se l’avviso di accertamento accontenta, come indicato dagli Ermellini, l’obbligo di motivazione, è da ritenersi valido ogni volta che l’ufficio mette il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali, in quanto l’avviso riproduce il contenuto fondamentale degli atti in esso richiamati ma non allegati. Per di più, si deve ricordare che l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di allegare all’avviso di accertamento gli atti nello stesso indicati, deve essere inteso in relazione alla finalità integrativa delle ragioni che giustificano l’emanazione dell’atto impositivo, pertanto l’obbligo interessa i soli atti che assolvano a una funzione di esplicitazione della pretesa erariale e non siano stati già trascritti nella loro parte essenziale nell’avviso stesso.
Semplificando, l’Amministrazione deve consentire al contribuente la conoscenza degli elementi essenziali della pretesa, ma non è tenuta a includere nel provvedimento la notizia delle prove e in definitiva è corretto ritenere che la motivazione di un avviso di accertamento è legittima non solo quando l’atto richiamato sia allegato all’avviso, ma anche quando di tale atto sia riprodotto nell’avviso il contenuto essenziale, in tal modo consentendo al contribuente il corretto esercizio del proprio diritto alla difesa.
E’ anche possibile ritenere, più in generale, che l’interesse sulla mancanza di adeguata informazione del contribuente ha trovato una conferma nei molti arresti della Suprema Corte (ex multis, Cass. n. 9799/2017; n. 31270/2018; n. 27800/2019; n. 20784/2020), che hanno indicato nel tempo il costante interesse nella motivazione dell’avviso di accertamento che deve essenzialmente assolvere a una pluralità di funzioni, calcolando che deve garantire sempre il diritto di difesa del contribuente, delimitando l’ambito delle ragioni deducibili dall’ufficio nella successiva fase processuale contenziosa, che non possono riguardare fatti nuovi e diversi, perché in tal caso si amplierebbe di fatto il termine per l’accertamento ove si dovesse ritenere che l’ufficio può modificare le ragioni poste a fondamento dell’atto impositivo (Corte di Cassazione, n. 25879/2015).
L’obbligo di motivazione dell’atto impositivo in concreto persegue il fine di porre il contribuente in condizione di conoscere la pretesa impositiva in misura tale da consentirgli sia di valutare l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale sia, in caso positivo, di contestare efficacemente l’an e il quantum debeatur. Detti elementi conoscitivi devono sempre essere forniti all’interessato, non solo tempestivamente (e cioè inserendoli ab origine nel provvedimento impositivo), ma anche con quel grado di determinatezza e intelligibilità che permetta al medesimo un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa (Cass. 25 marzo 2014, n. 7056; Cass. 20 settembre 2013, n. 21564).
Ricordiamo anche che ai fini della legittimità della motivazione dell’avviso di accertamento ex art. 7 della L. n. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente), devono essere allegati i documenti cui lo stesso fa riferimento, non anche quelli cui fa riferimento il processo verbale di constatazione, i quali devono eventualmente essere prodotti in giudizio al fine di provare la legittimità della pretesa.
Uno sguardo veloce alla precedente giurisprudenza potrebbe risultare utile per ampliare la nuova puntualizzazione interpretativa, in quanto una pronunzia della Suprema Corte, la n. 14942/2013, stabiliva che “… Da tempo nella giurisprudenza di legittimità si è affermato l’orientamento secondo cui in tema di imposte sui redditi, deve ritenersi, in base al d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 art. 42 commi 1 e 3 ,che gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio sono nulli tutte le volte che gli avvisi nei quali si concretizzano non risultino sottoscritti dal capo dell’Ufficio emittente o da un impiegato della carriera direttiva validamente delegato dal reggente di questo[…]È da ritenersi decaduto dalla potestà accertativa l’Ufficio che notifichi l’avviso d’accertamento successivamente al termine ordinario di decadenza dalla potestà impositiva. L’operato dell’Ufficio è altresì da ritenersi tardivo o quanto meno non tempestivo in riferimento all’inoltro della denuncia ai fini del raddoppio dei termini, qualora tale atto non abbia preceduto l’emissione dell’avviso di accertamento e sia stato ivi allegato”.
In altre parole, si è ritenuto illegittimo l’avviso d’accertamento quando manca l’allegazione degli atti in esso richiamati: è infatti nullo l’avviso d’accertamento che si fonda su un atto dell’Amministrazione finanziaria (Pvc) non valutato autonomamente dall’ufficio e privo dell’allegazione dei documenti posti a suo fondamento, non essendo sufficiente al riguardo la produzione in sede contenziosa degli atti mancanti.
Anche nelle pronunzie, la n. 25617/2010 e l’ord. n. 20428/2020, la Corte di Cassazione aveva evidenziato che la mancata allegazione all’avviso di accertamento degli atti ivi richiamati, nel regime vigente prima dell’emissione dello Statuto del contribuente, può avere rilevanza ai fini di inficiarne la legittimità solo se lo stesso dimostri che la conoscenza del relativo contenuto sia indispensabile ai fini di un congruo esercizio del diritto di difesa e che, comunque, l’atto non possa essere stato diversamente conoscibile.
Infine, fra i molti interventi segnaliamo anche quello della Suprema Corte che con l’Ordinanza n. 13402/2020 aveva ben distinto l’importanza di soddisfare l’obbligo motivazionale, affermando, in tema d’imposta di registro, che quando l’ufficio si limita a indicare esclusivamente la normativa di riferimento (DPR 131/1986) e gli estremi dell’atto a cui fa riferimento l’imposta erariale richiesta, non possono dirsi elementi sufficienti a supportare l’obbligo motivazionale dell’atto in ottemperanza a quanto disposto dall’art. 7 della L. 212/2000. Ne deriva la nullità dell’atto per carenza di motivazione e conseguente lesione dell’esercizio del diritto di difesa.
E’ appena il caso di accennare che allo scopo di assicurare maggiore chiarezza e trasparenza agli atti dell’Amministrazione finanziaria, lo Statuto richiama all’art. 7 (“Chiarezza e motivazione degli atti”) l’obbligo generale di motivazione dei provvedimenti amministrativi già previsto all’art. 3 della legge 241/1990 e prevede che in ogni comunicazione ai contribuenti siano specificati i presupposti di fatto e le ragioni di diritto su cui si fonda l’atto. Di conseguenza, il citato art. 7 individua gli elementi tassativi degli atti emessi dall’Amministrazione finanziaria e dai concessionari della riscossione.
Tanto premesso e tornando al caso de qua, l’Ufficio aveva contestato a una Srl l’omesso versamento di ritenute d’acconto e IVA, in relazione a prestazioni artistiche di un musicista. Il Fisco aveva inizialmente effettuato una verifica presso l’artista e poi aveva proseguito l’indagine nei confronti della società, ritenuta di comodo, con la quale il cantante avrebbe pagato meno imposte. Al momento dell’atto impositivo, però, l’ufficio ha allegato solo l’ultimo Pvc senza accludere, nell’avviso di accertamento, tutti i processi verbali relativi alla pregressa attività ispettiva che spiegassero il motivo dell’indagine. La parte contribuente si rivolgeva alla giustizia tributaria ottenendo in entrambi i gradi un parere favorevole che respingeva le lagnanze delle Entrate. L’Agenzia proponeva ricorso in Cassazione con tre motivi, in cui essenzialmente si doleva della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3, L. 241/1990, 42, DPR 600/1973, e 7, L. 212/2000, per aver la sentenza impugnata ritenuto che l’avviso di accertamento fosse motivato per relationem al contenuto delle risultanze di analoghe verifiche effettuate nei confronti di altri contribuenti e, in ogni caso, che tale avviso non riproducesse il contenuto essenziale degli atti richiamati. La Suprema Corte ha riconosciuto la validità delle argomentazioni dell’Avvocatura erariale rilevando che “ … la Commissione regionale dà atto che, come evidenziato nel processo verbale di constatazione notificato alla contribuente, l’indagine svolta, culminata nella notifica dell’atto impositivo in oggetto, trae origine da una verifica effettuata nei confronti dell’artista B. A., da cui era emerso, a parere dei verbalizzanti, che quest’ultimo, al fine di ridurre il proprio carico fiscale, avesse fittiziamente interposto la S. s.r.l. nei rapporti economici intrattenuti con gli operatori – tra cui la medesima odierna contribuente – che, a vario titolo, avevano usufruito delle sue prestazioni professionali; – giunge, quindi, alla conclusione che l’Ufficio avrebbe dovuto allegare all’avviso di accertamento i processi verbali relativi alla pregressa attività ispettiva, ritenendo insufficiente, al fine del soddisfacimento dell’obbligo motivazionale, la «mera descrizione nel processo verbale di constatazione redatto (e consegnato alla contribuente) … di tutte le informazioni relative alle operazioni poste in essere dall’artista A. e, per esso, dalla S. s.r.l.»; – in proposito, osserva che tale processo verbale di constatazione non conteneva «il riferimento all’attività d’indagine esperita a carico di B. A. ovvero della S. …», né individuava tale attività quale fondamento dell’attività accertatrice; – orbene, deve rammentarsi che l’avviso di accertamento soddisfa l’obbligo di motivazione ogni qualvolta l’Amministrazione abbia posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente l’an ed il quantum debeatur, sicché lo stesso è correttamente motivato quando fa riferimento ad un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza regolarmente notificato o consegnato all’intimato, senza che l’Amministrazione sia tenuta ad includervi notizia delle prove poste a fondamento del verificarsi di taluni fatti o a riportarne, sia pur sinteticamente, il contenuto (cfr. Cass. 30 ottobre 2019, n. 27800); – infatti, ai fini della legittimità della motivazione dell’avviso di accertamento ex art. 7 della L. n. 212 del 2000, devono essere allegati i documenti cui lo stesso fa riferimento, non anche quelli cui fa riferimento il processo verbale di constatazione, i quali devono eventualmente essere prodotti in giudizio al fine di provare la legittimità della pretesa (Cass., ord., 28 settembre 2020, n. 20428); – deve, altresì, rammentarsi che l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di allegare all’avviso di accertamento gli atti indicati nello stesso deve essere inteso in relazione alla finalità integrativa delle ragioni che giustificano l’emanazione dell’atto impositivo, sicché detto obbligo riguarda i soli atti che assolvano ad una funzione di esplicitazione della pretesa erariale e non siano stati già trascritti nella loro parte essenziale nell’avviso stesso (così, Cass., ord., 5 ottobre 2018, n. 24417); – ciò posto, si rileva che la Commissione regionale non ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi di diritto, in quanto, da un lato, ha considerato privo di idonea motivazione l’atto impositivo senza valutare se lo stesso consentisse al contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali; – dall’altro lato, ha ritenuto che, ai fini dell’assolvimento di tale obbligo motivazionale, l’Ufficio fosse tenuto ad allegare anche i processi verbali elevati all’esito dell’indagine da cui aveva preso le mosse l’attività ispettiva svolta nei confronti dell’odierna contribuente, indipendentemente da ogni considerazione in ordine al fatto che gli stessi fossero stati richiamati al fine di dare giustificazione della pretesa e, comunque, che gli stessi fossero trascritti nei loro elementi essenziali; – all’accoglimento del terzo motivo segue l’assorbimento dell’ultimo motivo, avente ad oggetto l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso per il giudizio, in relazione all’estraneità all’apparato motivazionale del riferimento alle verifiche operate nei confronti di altri soggetti e, comunque, alla avvenuta riproduzione degli esiti di tali verifiche, in quanto strettamente dipendente”. – la sentenza impugnata va, dunque, cassata in relazione al motivo accolto, e rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 7 marzo 2022, n. 7278
sul ricorso iscritto al n. 25673/2015 R.G. proposto da
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12
– ricorrente –
contro S. s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Federico Pergami, Beatrice Bertini e Massimo Panzarani, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, sito in Roma, via Crescenzio, 19
– -controricorrente-
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, n. 1342/2015, depositata il 10 aprile 2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 dicembre 2021 dal Consigliere Paolo Catallozzi;
RILEVATO CHE:
– l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata il 1° aprile 2015, di reiezione dell’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto – riuniti – i ricorsi per l’annullamento dell’avviso di accertamento con cui era stata rettificata la dichiarazione resa per l’anno 2005, erano state recuperate le maggiori imposte non versate ed irrogate le relative sanzioni, e della relativa cartella di pagamento notificata ai sensi dell’art. 15-bis, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602;
– dall’esame della sentenza impugnata si evince che con il richiamato avviso di accertamento l’Ufficio aveva contestato l’omesso versamento di ritenute d’acconto ed I.V.A. in relazione a prestazioni artistiche commissionate;
– il giudice di appello ha riferito che la Commissione provinciale aveva accolto i ricorsi della contribuente in ragione del difetto di motivazione dell’avviso di accertamento;
– ha, quindi, confermato tale decisione, osservando che l’appellante si era limitata a mere enunciazioni apodittiche ed autoreferenziali e, in definitiva, ad una critica priva di alcun pregio della sentenza impugnata; – il ricorso è affidato a quattro motivi;
– la S. s.r.l. in liquidazione non spiega alcuna attività difensiva;
CONSIDERATO CHE:
– con il primo motivo l’Agenzia denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 342 c.p.c. e 53, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per aver la sentenza impugnata ritenuto inammissibile l’appello erariale per carenza di motivi specifici di impugnazione;
– il motivo è inammissibile, in quanto muove da un’erronea interpretazione della sentenza che ha disatteso il gravame erariale non già in ragione della sua inammissibilità perché articolato in motivi non specifici, bensì della sua infondatezza, ritenuta dalla apoditticità delle argomentazioni poste a fondamento dell’appello e dell’assenza di pregio delle censure prospettate;
– con il secondo motivo la ricorrente deduce, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., 118, disp. att., c.p.c., e 26, secondo comma, n. 4, e 61, d.lgs. n. 546 del 1992, per carenza di motivazione della sentenza;
– il motivo è infondato;
– la Commissione regionale ha respinto l’appello dell’Amministrazione condividendo la statuizione del giudice di primo grado, diffusamente riportata, secondo la quale l’atto impositivo fosse privo di un’adeguata motivazione ed evidenziando che, in presenza di una siffatta statuizione, l’appellante si era limitata a «mere enunciazioni apodittiche ed autoreferenziali», e, dunque, ad una «critica priva di alcun pregio»;
– tale argomentazione consente di individuare l’iter logico seguito dal giudice e, per tale ragione, di sottrae alla censura prospettata;
– con il terzo motivo l’Agenzia si duole della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3, L. 7 agosto 1990, n. 241, 42, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e 7, L. 27 luglio 2000, n. 212, per aver la sentenza impugnata ritenuto che l’avviso di accertamento fosse motivato per relationem al contenuto delle risultanze di analoghe verifiche effettuate nei confronti di altri contribuenti e, in ogni caso, che tale avviso non riproducesse il contenuto essenziale degli atti richiamati;
– il motivo è fondato;
– la Commissione regionale dà atto che, come evidenziato nel processo verbale di constatazione notificato alla contribuente, l’indagine svolta, culminata nella notifica dell’atto impositivo in oggetto, trae origine da una verifica effettuata nei confronti dell’artista B. A., da cui era emerso, a parere dei verbalizzanti, che quest’ultimo, al fine di ridurre il proprio carico fiscale, avesse fittiziamente interposto la S. s.r.l. nei rapporti economici intrattenuti con gli operatori – tra cui la medesima odierna contribuente – che, a vario titolo, avevano usufruito delle sue prestazioni professionali;
– giunge, quindi, alla conclusione che l’Ufficio avrebbe dovuto allegare all’avviso di accertamento i processi verbali relativi alla pregressa attività ispettiva, ritenendo insufficiente, al fine del soddisfacimento dell’obbligo motivazionale, la «mera descrizione nel processo verbale di constatazione redatto (e consegnato alla contribuente) … di tutte le informazioni relative alle operazioni poste in essere dall’artista A. e, per esso, dalla S. s.r.l.»; – in proposito, osserva che tale processo verbale di constatazione non conteneva «il riferimento all’attività d’indagine esperita a carico di B. A. ovvero della S. …», né individuava tale attività quale fondamento dell’attività accertatrice;
– orbene, deve rammentarsi che l’avviso di accertamento soddisfa l’obbligo di motivazione ogni qualvolta l’Amministrazione abbia posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente l’an ed il quantum debeatur, sicché lo stesso è correttamente motivato quando fa riferimento ad un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza regolarmente notificato o consegnato all’intimato, senza che l’Amministrazione sia tenuta ad includervi notizia delle prove poste a fondamento del verificarsi di taluni fatti o a riportarne, sia pur sinteticamente, il contenuto (cfr. Cass. 30 ottobre 2019, n. 27800);
– infatti, ai fini della legittimità della motivazione dell’avviso di accertamento ex art. 7 della L. n. 212 del 2000, devono essere allegati i documenti cui lo stesso fa riferimento, non anche quelli cui fa riferimento il processo verbale di constatazione, i quali devono eventualmente essere prodotti in giudizio al fine di provare la legittimità della pretesa (Cass., ord., 28 settembre 2020, n. 20428);
– deve, altresì, rammentarsi che l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di allegare all’avviso di accertamento gli atti indicati nello stesso deve essere inteso in relazione alla finalità integrativa delle ragioni che giustificano l’emanazione dell’atto impositivo, sicché detto obbligo riguarda i soli atti che assolvano ad una funzione di esplicitazione della pretesa erariale e non siano stati già trascritti nella loro parte essenziale nell’avviso stesso (così, Cass., ord., 5 ottobre 2018, n. 24417);
– ciò posto, si rileva che la Commissione regionale non ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi di diritto, in quanto, da un lato, ha considerato privo di idonea motivazione l’atto impositivo senza valutare se lo stesso consentisse al contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali;
– dall’altro lato, ha ritenuto che, ai fini dell’assolvimento di tale obbligo motivazionale, l’Ufficio fosse tenuto ad allegare anche i processi verbali elevati all’esito dell’indagine da cui aveva preso le mosse l’attività ispettiva svolta nei confronti dell’odierna contribuente, indipendentemente da ogni considerazione in ordine al fatto che gli stessi fossero stati richiamati al fine di dare giustificazione della pretesa e, comunque, che gli stessi fossero trascritti nei loro elementi essenziali;
– all’accoglimento del terzo motivo segue l’assorbimento dell’ultimo motivo, avente ad oggetto l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso per il giudizio, in relazione all’estraneità all’apparato motivazionale del riferimento alle verifiche operate nei confronti di altri soggetti e, comunque, alla avvenuta riproduzione degli esiti di tali verifiche, in quanto strettamente dipendente;
– la sentenza impugnata va, dunque, cassata in relazione al motivo accolto, e rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso e dichiara assorbito il quarto; dichiara inammissibile il primo e rigetta il secondo;
cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione. Così deciso in Roma, nell’adunanza del 22 dicembre 2021