Accertamento induttivo valido con i dati acquisiti dalle compravendite online
Tributi – IRPEF – Vendita di beni tramite aste online – Omessa presentazione di dichiarazione dei redditi – Accertamento induttivo del reddito – Legittimità
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 26987 del 22 ottobre 2019 è intervenuta in merito a un accertamento induttivo inviato a un contribuente che aveva effettuato delle compravendite online ed effettuato dall’Ufficio delle entrate sulla base di dati raccolti tramite la Guardia di Finanza su un noto sito specializzato, statuendo quanto segue: in caso di omessa dichiarazione fiscale si può procedere all’accertamento induttivo del reddito imponibile anche sulla base di presunzioni prive dei requisiti della gravità, precisione e concordanza, che hanno il valore autonomo di prova della pretesa fiscale e producono l’effetto di spostare sul contribuente l’onere della prova contraria. Tali transazioni, infatti, in quanto consentono la tracciabilità sia del pagamento che della consegna delle merci, costituiscono valide presunzioni su cui fondare la ricostruzione induttiva del reddito e spetta al contribuente fornire la prova contraria alla pretesa erariale.
Il reddito di impresa della persone fisiche e delle società commerciali, e il reddito di lavoro autonomo di artisti e professionisti, in deroga al criterio dell’accertamento analitico, può essere determinato in via induttiva – in altre parole, extracontabilmente – ai sensi e per gli effetti dell’articolo 39, comma 1, lett. d), e comma 2.
Sovente l’ufficio finanziario fonda l’accertamento analitico induttivo su dati medi di settore e in base all’orientamento giurisprudenziale consolidato della Suprema Corte, dati che si qualificano come semplici elementi indiziari non in grado di supportare da soli un accertamento induttivo.
Secondo i Supremi Giudici, lo scostamento dalle medie di settore non può qualificarsi meccanicamente e autonomamente quale presunzione semplice dotata dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 c.c.: tale disallineamento sarà invece utile se supportato da altri elementi critici a “costruire” la motivazione dell’accusa.
A conferma di quanto specificato appare importante osservare la sentenza della Suprema Corte n. 25200/2008, secondo la quale le percentuali di ricarico elaborate dall’Amministrazione non costituiscono, di per sé, un fatto noto da cui si possa dedurre il “fatto ignoto” costituito dal reddito dell’impresa, con prova contraria a carico del contribuente.
Si può quindi affermare che in presenza di una contabilità attendibile, la possibilità per l’ufficio di emettere un avviso di accertamento induttivo è sottoposta, secondo l’orientamento consolidato degli Ermellini, a condizioni molto precise e rigorose.
Infatti la Suprema Corte, con le sentenze n. 12956 e 13915 del 2009, ha statuito che “…alla luce del principio enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte secondo cui la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell´accertamento analitico – induttivo del reddito d´impresa, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza e del comune buon senso. In tali casi è, pertanto, consentito all´ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici – purché gravi, precise e concordanti – maggiori ricavi o minori costi, con conseguente spostamento dell´onere della prova a carico del contribuente (cfr. ex multis Cass. nn. 6337/02, 1711/07, 26130/07).
Il ricorso al metodo induttivo può dunque legittimamente fondarsi anche su dati e notizie raccolti dall’ufficio nei modi di legge, come nel caso in esame, attraverso il Pvc della Gdf: in questo caso le autorità si avvalgono delle cosiddette “presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza”. Certamente, di fronte a casi di omessa dichiarazione fiscale, il ricorso al metodo induttivo può fondarsi anche su quell’insieme di dati e notizie ricavabili dalle operazioni online. Tanto premesso, e tornando al caso in esame, la Suprema Corte ha risposto in maniera sufficientemente chiara alla domanda sottesa a tutto il procedimento, che sinteticamente è possibile riassumere su quanto sia legittima l’azione del Fisco nell’universo commerciale del web.
La vicenda trae origine da un avviso di accertamento IRPEF 2006 notificato a un contribuente, con cui l’Agenzia delle entrate ha accertato in via induttiva i ricavi, sulla base delle risultanze di un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza. In particolare, i militari avevano ricostruito il volume d’affari del soggetto – che aveva omesso di tenere le scritture contabili e di presentare le dichiarazioni dei redditi – attraverso le informazioni ricevute tramite la società eBay Europe Sarl e attinenti alle aste alle quali aveva partecipato e alle vendite andate a buon fine effettuate nel periodo dal 2004 al 2009.
Dopo le sentenze dei giudici tributari, che in secondo grado avevano accolto l’appello del contribuente sull’assunto della mancanza di prove in ordine al fatto che le transazioni online effettuate fossero tutte andate a buon fine e avessero così generato redditi tassabili, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione.
Gli Ermellini hanno dato accolto la tesi delle Entrate, secondo cui l’ufficio può emettere l’atto impositivo, soprattutto se in assenza della presentazione della contabilità, anche sulla base di semplici presunzioni.
La S.C. ha accolto le doglianze della difesa erariale sostenendo che in tema di motivazione “per relationem” degli atti d’imposizione tributaria, l’art. 7, comma 1, dello Statuto del contribuente, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’Amministrazione finanziaria ogni documento da esso richiamato in motivazione, si riferisce esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza. A parere dei giudici di Piazza Cavour, quindi, la CTR ha errato nel giudizio considerando “…che il secondo motivo di ricorso è invece fondato; che invero esso ha ad oggetto un accertamento induttivo effettuato dall’ufficio a carico del contribuente a seguito delle comunicazioni fornite dalla E.E. SARL circa la chiusura delle aste on line per vendite effettuate dal contribuente tramite il canale informatico E-Bay dal 2004 al 2009; che, al riguardo, va richiamata la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 6086 del 2009; Cass. n. 9203 del 2008; Cass. n. 18787 del 2016; Cass. n. 14930 del 2017), secondo la quale, in caso di omessa dichiarazione fiscale, l’ufficio può procedere all’accertamento induttivo del reddito imponibile anche sulla base di presunzioni prive dei requisiti della gravità, precisione e concordanza, le quali hanno il valore autonomo di prova della pretesa fiscale e producono l’effetto di spostare sul contribuente l’onere della prova contraria; il ricorso al metodo induttivo può dunque legittimamente fondarsi anche su dati e notizie raccolti dall’ufficio nei modi di legge (nella specie, tramite pvc della Gdf); che la CTR non si è adeguata a tali principi di diritto, avendo erroneamente sostenuto che era l’ufficio a dover dimostrare che le transazioni effettuate dal contribuente si fossero concretizzate in vendite, alle quali erano seguiti ricavi tassabili; che la sentenza impugnata va dunque cassata in relazione al motivo di ricorso in esame, con rinvio alla CTR del Lazio in diversa composizione per nuovo esame”.
Corte di Cassazione – Ordinanza 22 ottobre 2019, n. 26987
Sul ricorso 14884-2018 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. 06363391001, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;
– ricorrente –
contro S. P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 38, presso lo studio dell’avvocato GIANFRANCO GRASSIA, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6669/10/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO, depositata il 17/11/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata dell’Il /07 /2019 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELE CAPOZZI.
Rilevato
che l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza della CTR del Lazio di accoglimento dell’appello proposto dal contribuente S.P. avverso una decisione della CTP di Roma, che aveva respinto il ricorso di quest’ultimo avverso un avviso di accertamento IRPEF 2006;
Considerato
che il ricorso è affidato a due motivi;
che, col primo, la ricorrente prospetta la nullità della sentenza impugnata per assenza di motivazione (motivazione apparente), in violazione degli artt. 36 n. 4 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 132 cod. proc. civ., ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ., per carenza di una motivazione idonea a chiarire le ragioni della soluzione accolta, essendosi la CTR limitata a trascrivere gli assunti formulati dal contribuente nel suo appello;
che, col secondo motivo, prospetta violazione e falsa applicazione degli artt. 38 e 41 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, 2697, 2727 e 2729 cod. civ. e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., in quanto nel pvc della GDF erano state chiaramente indicate le informazioni acquisite, tramite E.E. SARL, circa le aste cui il contribuente aveva preso parte e circa le vendite effettuate dal medesimo negli anni dal 2004 al 2009 ed andate a buon fine, per essere state di volta in volta consegnati i beni, tenendo conto del fatto che, nelle vendite on line, la consegna della merce è successiva al pagamento del prezzo; pertanto i dati utilizzati dall’ufficio erano idonei in via presuntiva a fondare l’accertamento, stante l’omessa tenuta delle scritture contabili da parte del contribuente;
che l’intimato si è costituito con controricorso;
che il primo motivo è infondato;
che, infatti, la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 22598 del 2018) è concorde nel ritenere che, a seguito della riformulazione dell’art. 360 comma 1 n. 5 cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza o di adeguatezza della motivazione; tuttavia, rimanendo pur sempre l’obbligo della motivazione per i provvedimenti giudiziari, imposto dall’art. 111 della Costituzione e, nel processo civile, dall’art. 132 comma 2 n. 4 cod. proc. civ., occorre pur sempre esaminare se detto obbligo sia violato; e detta violazione può ritersi sussistente solo se la motivazione sia totalmente mancante ovvero risulti assolutamente inidonea ad assolvere alla sua funzione di esplicitare le ragioni della decisione, concretandosi in tal caso come una nullità processuale, deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 cod. proc. civ.;
che, nella specie, non può dirsi che la motivazione sia inesistente, alla stregua dei criteri sopra evidenziati, avendo la CTR in ogni caso indicato le ragioni che l’hanno indotta ad accogliere l’appello del contribuente, avendo sostenuto che mancava la prova che le transazioni effettuate dal contribuente tramite ebay fossero andate tutte a buon fine ed avessero quindi generato redditi tassabili;
che il secondo motivo di ricorso è invece fondato; che invero esso ha ad oggetto un accertamento induttivo effettuato dall’ufficio a carico del contribuente a seguito delle comunicazioni fornite dalla E.E. SARL circa la chiusura delle aste on line per vendite effettuate dal contribuente tramite il canale informatico E-Bay dal 2004 al 2009; che, al riguardo, va richiamata la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 6086 del 2009; Cass. n. 9203 del 2008; Cass. n. 18787 del 2016; Cass. n. 14930 del 2017), secondo la quale, in caso di omessa dichiarazione fiscale, l’ufficio può procedere all’accertamento induttivo del reddito imponibile anche sulla base di presunzioni prive dei requisiti della gravità, precisione e concordanza, le quali hanno il valore autonomo di prova della pretesa fiscale e producono l’effetto di spostare sul contribuente l’onere della prova contraria; il ricorso al metodo induttivo può dunque legittimamente fondarsi anche su dati e notizie raccolti dall’ufficio nei modi di legge (nella specie, tramite pvc della gdf); che la CTR non si è adeguata a tali principi di diritto, avendo erroneamente sostenuto che era l’ufficio a dover dimostrare che le transazioni effettuate dal contribuente si fossero concretizzate in vendite, alle quali erano seguiti ricavi tassabili; che la sentenza impugnata va dunque cassata in relazione al motivo di ricorso in esame, con rinvio alla CTR del Lazio in diversa composizione per nuovo esame;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso con riferimento al primo motivo e, accogliendo il secondo motivo, cassa con riferimento ad esso la sentenza impugnata e rinvia alla CTR del Lazio in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.