CASSAZIONE

Accertamento garantito per l’impresa che non fattura

Secondo l’interpretazione della Suprema Corte, che ha respinto il ricorso di una Srl, non si può conservare le società con un fatturato zero, non operativa e sostanzialmente in perdita, con l’introduzione di una presunzione relativa di redditività.

Gli Ermellini hanno ricordato che attraverso simile disciplina si intende disincentivare il fenomeno dell’uso improprio dello strumento societario, utilizzato come involucro per raggiungere scopi, anche di risparmio fiscale, diversi da quelli attesi dal legislatore per tale istituto.
Ma non basta.

muratura

Per i Supremi giudici, dunque: “… Il meccanismo deterrente consiste nel fissare un livello minimo di ricavi e proventi correlato al valore di determinati beni patrimoniali, il cui mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico della natura non operativa della società (nel senso ora indicato), con conseguente presunzione di un reddito minimo, stabilito in base a coefficienti medi di redditività dei detti elementi patrimoniali di bilancio. Spetta poi al contribuente fornire la prova contraria, dimostrando, secondo il testo della disciplina applicabile ratione temporis, sopra riportato, l’esistenza di “oggettive situazioni di carattere straordinario”, specifiche e indipendenti dalla sua volontà, che hanno impedito il raggiungimento della soglia di operatività e del reddito minimo presunto. La normativa, contrariamente a quanto ritiene la ricorrente, non dà adito a dubbi di legittimità costituzionale per il fatto che si applica al periodo d’imposta in corso alla data della sua entrata in vigore, poiché si limita a stabilire una semplice presunzione superabile con la prova contraria, né ha rilievo, di per sé, il principio di cui all’art. 3 dello Statuto del contribuente, il quale non ha rango superiore alla legge ordinaria”.


CORTE DI CASSAZIONE  SEZ. TRIBUTARIA
Sentenza 13 maggio – 21 ottobre 2015, n. 21358

Presidente Cappabianca – Relatore Virgilio

Ritenuto in fatto

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  1. La S. Edilizia s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sardegna indicata in epigrafe, con la quale, rigettando l’appello della contribuente, è stata confermata la legittimità dell’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti a titolo di IRES per l’anno 2006, ai sensi dell’art. 41 bis del D.P.R. n. 600 del 1973, in quanto ritenuta società non operativa in base al disposto dell’art. 30 della legge n. 724 del 1994.

Il giudice di appello ha premesso, in tema di ambito applicativo della disciplina sulle c.d. società di comodo vigente per l’annualità in esame (2006), che nella fattispecie si tratta di verificare “se ricorresse in capo alla società la causa automatica di esclusione quale l’affitto dell’unica azienda per il quale, secondo la ricorrente, si versava in condizioni di non normale svolgimento dell’attività”. Ha, quindi, rilevato che il citato art. 30 della legge n. 724 del 1994 “prevede alcune particolari e limitate ipotesi di disapplicazione automatica, tra le quali non appare richiamata quella relativa alla concessione in affitto dell’unica azienda posseduta”, la quale circostanza, peraltro, “non è idonea a determinare un periodo di non normale svolgimento dell’attività”, ferma rimanendo la possibilità per il contribuente di fornire prova contraria (poi soppressa con la legge finanziaria del 2007), facoltà nella specie non esercitata dalla contribuente.

  1. L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.
  2. La ricorrente ha depositato memoria.

Considerato in diritto

Giudice

  1. Con il primo motivo, la società ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 30, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, nonché insufficienza e illogicità della motivazione. Osserva che il giudice d’appello ha errato nel ricercare tra le ipotesi di disapplicazione automatica della disciplina richiamata la concessione in affitto dell’unica azienda, mentre avrebbe dovuto accertare se la società si trovava, o meno, in un “periodo di normale svolgimento dell’attività”, secondo il testo della norma citata vigente fino al 4 luglio 2006; aggiunge che l’affitto dell’unica azienda poneva la società, almeno fino a detta data, in una situazione di non normale svolgimento dell’attività, o, comunque, in una situazione oggettiva di esclusione dall’applicazione della disciplina de qua, in base al testo del citato art. 30 modificato dall’art. 35, commi 15 e 16, del d.l. n. 223 del 2006 (convertito in legge n. 248 del 2006) con decorrenza, appunto, dal 4 luglio 2006. Solleva anche, al riguardo, questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., di quest’ultima normativa, nonché di contrarietà al principio di irretroattività stabilito dall’art. 3 dello Statuto del contribuente, là dove stabilisce che le modifiche apportate hanno effetto dal periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del citato d.l.

Col secondo motivo, è denunciata la violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ. e 116 cod. proc. civ., nonché l’insufficienza ed illogicità della motivazione. La ricorrente lamenta che il giudice d’appello, sul punto concernente la prova contraria da essa fornita, ha adottato una motivazione inidonea, limitandosi a far proprie, per relationem, le argomentazioni della sentenza di primo grado. Ribadisce, poi, che il giudice a quo non ha considerato la circostanza dell’affitto dell’unica azienda né quale causa automatica, né, comunque, quale situazione oggettiva di esclusione dall’applicazione della disciplina in esame, in quanto idonea a rendere impossibile il rispetto dei parametri reddituali in essa stabiliti.
2.1. I motivi, da esaminare congiuntamente per stretta connessione, sono infondati, previa correzione della motivazione ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ.
2.2. Il testo dell’art. 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, vigente, nelle parti che qui rilevano, a seguito delle modifiche apportate dall’art. 35, comma 15, del d.l. n. 223 del 2006 (convertito in legge n. 248 del 2006), per il periodo d’imposta in contestazione (2006) (come stabilito dal successivo comma 16), è il seguente:
– comma 1: <Agli effetti del presente articolo le società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, in nome collettivo e in accomandita semplice, nonché le società e gli enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, si considerano, salvo prova contraria, non operativi se l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico, ove prescritto, è inferiore alla somma degli importi che risultano applicando le seguenti percentuali: a) il 2 per cento al valore dei beni indicati nell’articolo 85, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, anche se costituiscono immobilizzazioni finanziarie, aumentato del valore dei crediti; b) il 6 per cento al valore delle immobilizzazioni costituite da beni immobili e da beni indicati nell’articolo 8-bis, primo comma, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, anche in locazione finanziaria; c) il 15 per cento al valore delle altre immobilizzazioni, anche in locazione finanziaria. Le disposizioni del primo periodo non si applicano: 1) ai soggetti ai quali, per la particolare attività svolta, è fatto obbligo di costituirsi sotto forma di società di capitali; 2) ai soggetti che si trovano nel primo periodo di imposta; 3) alle società in amministrazione controllata o straordinaria; 4) alle società ed enti i cui titoli sono negoziati in mercati regolamentati italiani; 5) alle società esercenti pubblici servizi di trasporto; 6) alle società con un numero di soci non inferiore a 100>;
– comma 2: <Ai fini dell’applicazione del comma 1, i ricavi e i proventi nonché i valori dei beni e delle immobilizzazioni vanno assunti in base alle risultanze medie dell’esercizio e dei due precedenti (…)>;
– comma 3: <Fermo l’ordinario potere di accertamento, ai fini dell’imposta personale sul reddito per le società e per gli enti non operativi indicati nel comma 1 si presume che il reddito del periodo di imposta non sia inferiore all’ammontare della somma degli importi derivanti dall’applicazione, ai valori dei beni posseduti nell’esercizio, delle seguenti percentuali: a) l’1,50 per cento sul valore dei beni indicati nella lettera a) del comma 1; b) il 4,75 per cento sul valore delle immobilizzazioni costituite da beni immobili e da beni indicati nell’articolo 8-bis, primo comma, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, anche in locazione finanziaria; c) il 12 per cento sul valore complessivo delle altre immobilizzazioni anche in locazione finanziaria. Le perdite di esercizi precedenti possono essere computate soltanto in diminuzione della parte di reddito eccedente quello minimo di cui al presente comma>;
– comma 4 bis: <In presenza di oggettive situazioni di carattere straordinario che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4, la società interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi dell’articolo 37-bis, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600>.
Attraverso tale disciplina (poi più volte ulteriormente modificata) si intende disincentivare il fenomeno dell’uso improprio dello strumento societario, utilizzato come involucro per raggiungere scopi, anche di risparmio fiscale, diversi – quale l’amministrazione dei patrimoni personali dei soci – da quelli previsti dal legislatore per tale istituto (cosiddette società senza impresa, o di mero godimento, dunque “di comodo”).
Il meccanismo deterrente consiste nel fissare un livello minimo di ricavi e proventi correlato al valore di determinati beni patrimoniali, il cui mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico della natura non operativa della società (nel senso ora indicato), con conseguente presunzione di un reddito minimo, stabilito in base a coefficienti medi di redditività dei detti elementi patrimoniali di bilancio.
Spetta poi al contribuente fornire la prova contraria, dimostrando, secondo il testo della disciplina applicabile ratione temporis, sopra riportato, l’esistenza di “oggettive situazioni di carattere straordinario”, specifiche e indipendenti dalla sua volontà, che hanno impedito il raggiungimento della soglia di operatività e del reddito minimo presunto.
La normativa, contrariamente a quanto ritiene la ricorrente, non dà adito a dubbi di legittimità costituzionale per il fatto che si applica al periodo d’imposta in corso alla data della sua entrata in vigore, poiché si limita a stabilire una semplice presunzione superabile con la prova contraria, né ha rilievo, di per sé, il principio di cui all’art. 3 dello Statuto del contribuente, il quale non ha rango superiore alla legge ordinaria.
2.3. Nella fattispecie, la società contribuente si è in sostanza limitata a sostenere che l’affitto dell’unica azienda la escludeva dall’ambito applicativo della normativa in esame, dovendosi cioè essa considerarsi operativa in quanto proprio in ciò consisteva e si esauriva l’oggetto della propria attività d’impresa e, quindi, la sua operatività.
È evidente che tale argomentazione è di per sé inidonea ai fini della prova contraria richiesta dalla legge: una volta che la contribuente non aveva conseguito i ricavi e i conseguenti redditi presunti dalla legge, avrebbe dovuto dimostrare l’esistenza di particolari situazioni oggettive e straordinarie che avevano impedito il raggiungimento di tali soglie, situazioni nella fattispecie neanche enunciate, se non con il mero, e tautologico, richiamo all’oggetto sociale.
La sentenza impugnata, in definitiva, si rivela conforme al diritto, anche se ne va corretta la motivazione – la quale, contrariamente a quanto denunciato in ricorso, non si risolve affatto nella acritica adesione alla sentenza di primo grado – là dove fa riferimento, quanto alla prova contraria, al concetto di “periodo di non normale svolgimento dell’attività”, previsto nella disciplina previgente al d.l. n. 223/06, anziché, come detto, all’accertamento dei detti fatti impeditivi, obiettivi e straordinari.

  1. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
  2. La novità della questione e la peculiarità della fattispecie inducono a disporre la compensazione delle spese del presente giudizio.
  3. Sussistono, infine, i presupposti per dare atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

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