CASSAZIONE

Accertamento fiscale sul professionista se il reddito è basso rispetto ai costi

Tributi –IRPEF – IRAP – Accertamento – Professionista – Studi di settore – Presunzioni sempliciParametri – Applicabilità – Condizioni – Contraddittorio

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14996 del 15 luglio 2020, occupandosi della legittimità di un avviso di accertamento nei confronti di un giovane professionista, ha ricordato che i 18 mesi di attività professionale e i problemi familiari non giustificano lo scostamento del reddito dai parametri indicati dal DPCM 29 gennaio 1996; per l’applicazione degli studi di settore, inoltre, il professionista avrebbe dovuto fornire i conteggi, ma questi non sono stati prodotti in giudizio.

La Corte di Cassazione ha pertanto ritenuto non rilevante la tesi difensiva del contribuente, confermando la legittimità dell’avviso di accertamento dell’Agenzia delle entrate. 

Per quanto attiene alla materia in argomento, cioè sulla legittimità dell’accertamento basato sugli studi di settore, è possibile fare riferimento ad alcuni commenti contenuti nella pronunzia a Sezioni Unite del 18 dicembre 2009 n. 26635, che detta alcuni principi fondamentali in materia di accertamenti basati su parametri e studi di settore.

Fra l’altro, la Suprema Corte afferma anche che per affermare la violazione, come lo scostamento rispetto a Gerico – il software che consente l’utilizzo degli studi di settore ai contribuenti ed è utilizzato per analizzare la coerenza economica e la congruità delle dichiarazioni fiscali delle attività professionali – deve determinarsi una grave incongruenza tra i ricavi dichiarati e le risultanze degli studi di settore: ciò perché a imporlo è l’articolo 62-sexies, comma 3, del Dl 331/1993, convertito con  modificazioni dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, e confermate negli anni e anche dopo la restrizione interpretativa sul tema, avvenuta a fine 2015 con la nota pronunzia a SS.UU. n. 24823 del  9 dicembre 2015 che, in buona sostanza, stabiliva che: “La procedura  di  accertamento  standardizzato  mediante   l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce  un  sistema  di  presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non e ex lege determinata in relazione ai soli standard in sé considerati, ma nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente (che  può  tuttavia,  restare  inerte assumendo le  conseguenze, sul piano della valutazione, di questo suo atteggiamento), esito che, essendo alla fine di un percorso di  adeguamento della elaborazione statistica degli standard alla concreta realtà economica del  contribuente,  deve  far  parte  (e  condiziona  la  congruità) della motivazione dell’accertamento, nella quale vanno esposte le ragioni per le quali i rilievi  del  destinatario  dell’attività  accertativa  siano  state disattese.  Il contribuente ha, nel giudizio relativo all’impugnazione dell’atto di accertamento, la più ampia facoltà di prova, anche a mezzo di presunzioni semplici, ed il giudice può liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, che deve essere dimostrata dall’ente impositore, quanto la controprova sul punto offerta da contribuente”.

Gli studi di settore rappresentano delle “presunzioni semplici” in quanto costituiscono un sistema standard di determinazione del reddito e dunque, per essere provate, vanno sempre corroborate da altri elementi, dove per l’accertamento diventa essenziale il contraddittorio con la parte.

Quindi, l’elaborazione delle ragioni addotte dal contribuente nel caso di mancato rispetto degli standard costituiscono elemento essenziale della motivazione dell’accertamento, al punto da “condizionarne la congruità”.

Sempre nel medesimo contesto appare quindi determinante quanto affermato con la pronunzia n. 26637 del 18 dicembre 2009, che spiegava che: “… Sicchè, una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni relative alla procedura di accertamento mediante l’applicazione dei parametri impone di attribuire a quest’ultimi una natura meramente presuntiva, in quanto, a ben vedere, essi non costituiscono un fatto noto e certo, capace di rivelare con rilevante probabilità il presunto reddito del contribuente, ma solo una estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali elaborati sulla base dell’analisi delle dichiarazioni di un campione di contribuenti. Un siffatto orientamento si è già manifestato nella giurisprudenza della Corte con le sentenze nn. 23602, 26459 e 27648 del 2008 e la n. 4148/2009. Tra le altre, quest’ultima ben pone in evidenza che tali coefficienti rivelano “valori, che, quando eccedano il dichiarato, integrano, in ogni caso, presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico – induttivo previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d): ma che, per i motivi sopra puntualizzati, sono, tuttavia, inidonei a supportare l’accertamento medesimo, ove contestati sulla base di allegazioni specifiche, se non confortati da elementi concreti desunti dalla realtà economica dell’impresa”. Ed è questo – salvo le precisazioni che si faranno successivamente in ordine all’inquadramento dell’attività accertativa de qua nel sistema di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, – l’indirizzo che il Collegio condivide e ritiene aderente alla realtà normativa delle disposizioni mediante le quali è stata istituita la possibilità di procedere all’accertamento sulla base dei parametri. In questa prospettiva va ribadito che quel che dà sostanza all’accertamento mediante l’applicazione dei parametri è il contraddittorio con il contribuente dal quale possono emergere elementi idonei a commisurare alla concreta realtà economica dell’impresa la “presunzione” indotta dal rilevato scostamento del reddito dichiarato dai parametri. Pertanto, la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel mero rilievo del predetto scostamento dai parametri, ma deve essere integrata (anche sotto il profilo probatorio) con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio: è da questo più complesso quadro che emerge la gravità, precisione e concordanza attribuibile alla presunzione basata sui parametri e la giustificabilità di un onere della prova contraria (ma senza alcuna limitazione di mezzi e di contenuto) a carico del contribuente”.

Tanto premesso e tornando al caso in esame, l’Agenzia delle entrate notificava a un giovane avvocato un avviso di accertamento nel quale si contestava l’entità del reddito dichiarato ai fini Irpef e Irap 1998.

Accertamento a cui si opponeva il giovane professionista, che però risultava soccombente: la Ctp, infatti, rilevava uno scostamento tra il reddito dichiarato e quello risultante dai parametri indicati dal DPCM 29 gennaio 1996. Per l’applicazione degli studi di settore, inoltre, l’avvocato avrebbe dovuto curare i conteggi, che non sono stati prodotti in giudizio.

Appellata la sentenza della Ctp, la Ctr la confermava perché non erano emersi elementi tali da poter ritenere fondato il ricorso del contribuente. Il professionista contribuente ricorreva in Cassazione con cinque motivi di ricorso, nei quali essenzialmente ricordava quanto affermato dalla stessa Suprema Corte nella sentenza 26637 del 18 dicembre 2009, e di come la sentenza avesse in pratica confermato l’accertamento solo in base a dati statistici, senza considerare che, secondo un preciso orientamento giurisprudenziale, “… la procedura di accertamento standardizzato mediante parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata in relazione ai soli standard in sé considerati, ma nasce proceduralmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente con il contribuente”. La tesi difensiva non ha però convinto i Supremi Giudici, che invece hanno ritenuto che: “… È principio consolidato in giurisprudenza che la sentenza d’appello può essere motivata “per relationem”, purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass., 20883/2019; Cass., 28139/2018). La motivazione della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale era stata formulata nei seguenti termini: “Per quanto riguarda la lamentata considerazione della personale situazione del ricorrente, che aveva iniziato l’attività di avvocato da appena un anno e mezzo, va precisato che la dedotta circostanza è irrilevante in quanto l’accertamento induttivo resta legittimo se ha tenuto conto di tutti gli indicatori tecniche e metodologie allegati ai DPCM indicati in premessa. Circa la carenza di motivazione, la sua deduzione nell’atto resta implicita in relazione allo scostamento reddituale dichiarato rispetto a quello ottenuto con riferimento para metrico. Per quanto riguarda infine la richiesta che al caso andavano applicati i criteri basati sugli studi di settore, la predisposizione dei relativi conteggi doveva essere curata dal ricorrente, opponendola all’atto impugnato quale elemento di prova a dimostrazione che il reddito attribuibile allo stesso era inferiore a quello determinato dall’Ufficio. Tale studio-elaborato però non è stato prodotto in giudizio per cui il contribuente non ha fornito prove o comunque concreti indizi per dimostrare la erroneità dell’applicazione dei coefficienti al caso di specie. Il ricorso va pertanto rigettato.” L’appello contro questa sentenza fu articolato sui seguenti motivi: “Nullità della sentenza per violazione dell’art 36 comma 2 D.Lgs. 546/92, in quanto priva del contenuto minimo, atteso il fatto che in parte motiva “appare tralasciato ogni riferimento alle osservazioni riguardanti il periodo attraversato dal ricorrente, con particolare riferimento alla situazione familiare”; Errata e/o falsa applicazione della normativa riguardante i parametri, atteso il fatto che la sentenza appellata non aveva dato conto della circostanza che l’accertamento impugnato andava considerato illegittimo in quanto “fondato esclusivamente sulle risultanze di elaborazioni statistico matematiche che prescindono totalmente dalla effettiva capacità contributiva del soggetto sottoposto a controllo e non possono costituire, da sole, presunzioni gravi, precise e concordanti”. La motivazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale, per quanto scarna e sommaria, se letta alla luce della più esaustiva motivazione di quella di primo grado, espressamente richiamata, e dei motivi di appello, consente di ricostruire il procedimento logico seguito per giungere alla decisione. Per quanto riguarda la particolare situazione personale e familiare del contribuente, è logico ritenere che essa sia stata pretermessa – come aveva fatto la sentenza di primo grado – perché circostanza evidentemente del tutto assertiva, ben lontana dal costituire elemento anche meramente indiziario capace di inficiare il dato scaturente dai parametri e in ultima analisi trascurabile. In proposito, va ribadito il principio secondo cui il giudice non è tenuto a prendere in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni svolte dalle parti, essendo invece sufficiente che indichi (come accaduto nella specie con riferimento al rispetto della procedura prevista per l’applicazione dei parametri, passata attraverso il contraddittorio del contribuente) le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass., 2272/2007; Cass., 5316/2009). Per quanto riguarda il secondo motivo d’appello, esso si risolveva in una critica del metodo standardizzato di determinazione del reddito, come tale del tutto sterile, sicché la conclusione assunta, riguardo alla mancata emersione di elementi atti a inficiare l’accertamento, si pone in logica conseguenziale rispetto alla genericità dei motivi di appello. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia «art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c – Violazione e falsa applicazione dell’art.39 DPR 600/1973, dell’art.3 della L.549/95 e del DPRC 29.1.1996» perché la sentenza avrebbe confermato l’accertamento fondato solo su dati statistici. Cita in proposito l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale la procedura di accertamento standardizzato mediante parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità precisione e concordanza non è ex lege determinata in relazione ai soli standard in sé considerati, ma nasce proceduralmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente (che può tuttavia restare inerte assumendo le conseguenze, sul piano della valutazione, di questo suo atteggiamento), esito che, essendo la fine di un percorso di adeguamento della elaborazione statistica degli standard alla concreta realtà economica del contribuente,  deve  far  parte  (e  condiziona  la  congruità)   della motivazione dell’accertamento, nella quale vanno esposte le ragioni  per  le quali i rilievi  del  destinatario  dell’attività  accertativa  siano  state disattese. (Cass. 26637 del 18 dicembre 2009). Pur citando un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, il rilievo è inconferente alla luce del fatto che, secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata, l’Ufficio attivò il contraddittorio con il contribuente, che però “non forniva argomentazioni valide né forniva documentazione per giustificare lo scostamento. Il motivo è quindi infondato. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia «art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c – Violazione e falsa applicazione degli artt. 10 comma 4 lettera e) Legge 146/1998 e 4 comma 1 DPR 195/1999 – Periodo di non normale esercizio dell’attività – Inapplicabilità dei parametri» risultando non contestato in punto di fatto che il contribuente sia incorso nell’anno d’imposta 1998 in una serie di situazioni soggettive che hanno impedito il normale esercizio della propria attività, riferendosi al decesso del padre ed alla consequenziale necessità di dedicarsi all’attività agricola di famiglia. La sentenza di primo grado, fatta propria dalla Commissione Tributaria Regionale, avrebbe ritenuto prevalenti su questa circostanza i risultati del calcolo parametrico. Con il quinto motivo denuncia «art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c. – Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» in relazione al fatto che né la sentenza di primo grado né quella di appello avevano preso in considerazione i rilievi esposti in ricorso ed afferenti la sua condizione personale e familiare. I motivi, strettamente connessi, vanno trattati congiuntamente e dichiarati inammissibili. Essi infatti sono reciprocamente contraddittori, in quanto il quarto parte dal presupposto che le vicende personali e familiari del contribuente fossero incontestate; il quinto invece reputa lo stesso fatto oggetto di discussione fra le parti, e quindi controverso (Cass., 26274/2018). Con il quarto motivo, inoltre, il ricorrente non coglie il punto della decisione, perché la sentenza, nel richiamare i dati parametrici, ha preso in considerazione non la situazione personale del contribuente, ma l’inizio recente della sua attività professionale. Il ricorso va quindi rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo “.

Corte di Cassazione – Ordinanza 15 luglio 2020, n. 14996

sul ricorso iscritto al n. 16949/2014, promosso da:

S. C., rappresenta e difeso dall’avv. Renato Torrisi del Foro di Catania ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Catania, viale XX Settembre n. 43, domicilio in Roma, p.zza Cavour presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente-

contro Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 203/18/2013 della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, depositata il 27 giugno 2013, avente ad oggetto l’avviso di accertamento .

RILEVATO CHE

Con l’avviso di accertamento in oggetto l’Agenzia delle Entrate di Catania contestò a C. S., in applicazione dei parametri di cui al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 gennaio 1996 maggior reddito ai fini IRPEF, IRAP, IVA per l’anno d’imposta 1998.

L’accertamento, impugnato davanti alla Commissione Tributaria Provinciale, fu da questa confermato sulla base dei rilievi secondo i quali il parametro applicato aveva tenuto conto del fatto che si trattava di contribuente che aveva iniziato da poco l’esercizio della professione;

che la motivazione dell’accertamento era implicita nello scostamento fra reddito dichiarato e quello risultante dai parametri;

che per l’applicazione degli studi di settore i conteggi avrebbero dovuti essere curati dal ricorrente, che non li aveva neppure prodotti in giudizio.

Appellata alla Commissione Tributaria Regionale, la sentenza è stata da questa confermata, sulla base del fatto che l’Ufficio aveva tenuto conto dei fatti addotti dal contribuente ritenendoli ininfluenti e che non erano “emersi elementi per far ritenere un qualche fondamento del ricorso del contribuente”.

Ricorre per la cassazione di questa sentenza, per cinque motivi, C. S.

Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Per la trattazione è stata fissata l’adunanza in camera di consiglio del 18 dicembre 2019, ai sensi degli artt. 375, ult. co ., e 380 bis 1, c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. in legge n. 168 del 2016.

CONSIDERATO CHE

Con il primo motivo il ricorrente deduce «art.360 comma 1 n. 3 c.p.c. – Violazione e falsa applicazione dell’art. 134 n. 4 cod. proc. civ. – Omessa o apparente motivazione», in quanto dalla motivazione della sentenza non si traggono gli elementi sui quali si sia fondato il convincimento della Commissione, “non potendosi considerare esaustivo il riferimento acritico alle suggestioni assunte dalla parte pubblica, ovvero li ha indicati senza compiere alcuna approfondita disamina logica e giuridica, dalla quale evincere la reale giustificazione del decisum”.

Con il secondo motivo deduce «art. 360, comma 1, n.3 c.p.c. – Violazione e falsa applicazione dell’art.132 n.4 cod. proc. civ. – Omessa o apparente motivazione – Rinvio apodittico alla sentenza di primo grado » perché la sentenza ha effettuato un generico richiamo alla sentenza della Commissione tributaria provinciale, limitandosi, peraltro, a rilevare che il contribuente non aveva offerto la prova del proprio assunto, senza indicare i concreti elementi, ritenuti rilevanti e posti a base della decisione.

Le espressioni utilizzate, infatti, non assolvono all’obbligo motivazionale, essendo principio consolidato quello secondo cui “la motivazione di una sentenza per relationem ad altra sentenza, è legittima quando il Giudice, riportando il contenuto della decisione, evocata, non si limiti a richiamarla genericamente ma la faccia propria con autonoma e critica valutazione”.

Questi primi motivi, strettamente connessi e riferiti entrambi all’art. 360, comma, 1, n. 3, cod. proc. civ., vanno trattati congiuntamente.

È principio consolidato in giurisprudenza che la sentenza d’appello può essere motivata “per relationem”, purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass., 20883/2019; Cass., 28139/2018).

La motivazione della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale era stata formulata nei seguenti termini: “Per quanto riguarda la lamentata considerazione della personale situazione del ricorrente, che aveva iniziato l’attività di avvocato da appena un anno e mezzo, va precisato che la dedotta circostanza è irrilevante in quanto l’accertamento induttivo resta legittimo se ha tenuto conto di tutti gli indicatori tecniche e metodologie allegati ai DPCM indicati in premessa. Circa la carenza di motivazione, la sua deduzione nell’atto resta implicita in relazione allo scostamento reddituale dichiarato rispetto a quello ottenuto con riferimento para metrico. Per quanto riguarda infine la richiesta che al caso andavano applicati i criteri basati sugli studi di settore, la predisposizione dei relativi conteggi doveva essere curata dal ricorrente, opponendola all’atto impugnato quale elemento di prova a dimostrazione che il reddito attribuibile allo stesso era inferiore a quello determinato dall’Ufficio. Tale studio-elaborato però non è stato prodotto in giudizio per cui il contribuente non ha fornito prove o comunque concreti indizi per dimostrare la erroneità dell’applicazione dei coefficienti al caso di specie. Il ricorso va pertanto rigettato.”

L’appello contro questa sentenza fu articolato sui seguenti motivi: “Nullità della sentenza per violazione dell’art 36 comma 2 D.Lgs. 546/92, in quanto priva del contenuto minimo, atteso il fatto che in parte motiva “appare tralasciato ogni riferimento alle osservazioni riguardanti il periodo attraversato dal ricorrente, con particolare riferimento alla situazione familiare”;

Errata e/o falsa applicazione della normativa riguardante i parametri, atteso il fatto che la sentenza appellata non aveva dato conto della circostanza che l’accertamento impugnato andava considerato illegittimo in quanto “fondato esclusivamente sulle risultanze di elaborazioni statistico matematiche che prescindono totalmente dalla effettiva capacità contributiva del soggetto sottoposto a controllo e non possono costituire, da sole, presunzioni gravi, precise e concordanti”.

La motivazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale, per quanto scarna e sommaria, se letta alla luce della più esaustiva motivazione di quella di primo grado, espressamente richiamata, e dei motivi di appello, consente di ricostruire il procedimento logico seguito per giungere alla decisione.

Per quanto riguarda la particolare situazione personale e familiare del contribuente, è logico ritenere che essa sia stata pretermessa – come aveva fatto la sentenza di primo grado – perché circostanza evidentemente del tutto assertiva, ben lontana dal costituire elemento anche meramente indiziario capace di inficiare il dato scaturente dai parametri e in ultima analisi trascurabile.

In proposito, va ribadito il principio secondo cui il giudice non è tenuto a prendere in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni svolte dalle parti, essendo invece sufficiente che indichi (come accaduto nella specie con riferimento al rispetto della procedura prevista per l’applicazione dei parametri, passata attraverso il contraddittorio del contribuente) le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass., 2272/2007; Cass., 5316/2009).

Per quanto riguarda il secondo motivo d’appello, esso si risolveva in una critica del metodo standardizzato di determinazione del reddito, come tale del tutto sterile, sicché la conclusione assunta, riguardo alla mancata emersione di elementi atti a inficiare l’accertamento, si pone in logica conseguenziale rispetto alla genericità dei motivi di appello.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia «art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c – Violazione e falsa applicazione dell’art.39 DPR 600/1973, dell’art.3 della L.549/95 e del DPRC 29.1.1996» perché la sentenza avrebbe confermato l’accertamento fondato solo su dati statistici.

Cita in proposito l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale la procedura di accertamento standardizzato mediante parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità precisione e concordanza non è ex lege determinata in relazione ai soli standard in sé considerati, ma nasce proceduralmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente (che può tuttavia restare inerte assumendo le conseguenze, sul piano della valutazione, di questo suo atteggiamento), esito che, essendo la fine di un percorso di adeguamento della elaborazione statistica degli standard alla concreta realtà economica del contribuente,  deve  far  parte  (e  condiziona  la  congruità)   della motivazione dell’accertamento, nella quale vanno esposte le ragioni  per  le quali i rilievi  del  destinatario  dell’attività  accertativa  siano  state disattese. (Cass. 26637 del 18 dicembre 2009)

Pur citando un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, il rilievo è inconferente alla luce del fatto che, secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata, l’Ufficio attivò il contraddittorio con il contribuente, che però “non forniva argomentazioni valide né forniva documentazione per giustificare lo scostamento.

Il motivo è quindi infondato.

Con il quarto motivo il ricorrente denuncia «art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c – Violazione e falsa applicazione degli artt. 10 comma 4 lettera e) Legge 146/1998 e 4 comma 1 DPR 195/1999 – Periodo di non normale esercizio dell’attività – Inapplicabilità dei parametri» risultando non contestato in punto di fatto che il contribuente sia incorso nell’anno d’imposta 1998 in una serie di situazioni soggettive che hanno impedito il normale esercizio della propria attività, riferendosi al decesso del padre ed alla consequenziale necessità di dedicarsi all’attività agricola di famiglia.

La sentenza di primo grado, fatta propria dalla Commissione Tributaria Regionale, avrebbe ritenuto prevalenti su questa circostanza i risultati del calcolo parametrico.

Con il quinto motivo denuncia «art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c. – Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» in relazione al fatto che né la sentenza di primo grado né quella di appello avevano preso in considerazione i rilievi esposti in ricorso ed afferenti la sua condizione personale e familiare.

I motivi, strettamente connessi, vanno trattati congiuntamente e dichiarati inammissibili.

Essi infatti sono reciprocamente contraddittori, in quanto il quarto parte dal presupposto che le vicende personali e familiari del contribuente fossero incontestate; il quinto invece reputa lo stesso fatto oggetto di discussione fra le parti, e quindi controverso (Cass., 26274/2018).

Con il quarto motivo, inoltre, il ricorrente non coglie il punto della decisione, perché la sentenza, nel richiamare i dati parametrici, ha preso in considerazione non la situazione personale del contribuente, ma l’inizio recente della sua attività professionale.

Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in C 1.500,00, oltre spese prenotate a debito.

 Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater del D.P.R. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2019.

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