Accertamento dopo la risposta del contribuente al questionario? Niente contraddittorio
Tributi – Accertamento – Verifica a tavolino – Questionario Entrate – Rapporti tra fisco e contribuente – Attività di taxista nautico – Reddito d’impresa – Antieconomicità – Verbale di constatazione – Termine dilatorio ex art. 12, comma 7, l. n. 212 del 2000 – Applicabilità in caso di risposta al questionario – Esclusione – Fondamento
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5167 del 17 febbraio 2023, intervenendo su alcuni specifici aspetti dell’accertamento fiscale ha stabilito che non è necessario il processo verbale di constatazione e non è previsto il termine dilatorio di 60 giorni prima dell’emissione dell’atto impositivo, in caso di avviso di accertamento successivo alle risposte del contribuente a un questionario inviato dall’ufficio senza alcun accesso, ispezione o verifica fiscale. L’Amministrazione, quindi, non è tenuta a redigere il processo verbale di constatazione e a concedere il termine dilatorio di 60 giorni prima dell’emissione dell’atto impositivo.
Peraltro, come risulta dalla lettura del principio sancito dalla stessa Corte con l’ordinanza n. 3060/2018, il diritto al contraddittorio è previsto per qualsiasi atto di accertamento a tavolino che abbia richiesto un accesso istantaneo presso la sede sociale, dovendosi procedere anche in questo caso alla redazione di un processo verbale di chiusura delle operazioni, con conseguente possibilità per il contribuente di comunicare osservazioni e richieste entro i termini di legge. Sul punto, il Collegio di legittimità ha confermato il principio per cui, in tema di accertamento fiscale, il termine dilatorio previsto dall’art. 12, comma 7, della L. 212/2000 opera soltanto in caso di controllo eseguito presso la sede del contribuente e non anche nella diversa ipotesi, non assimilabile alla precedente, di accertamenti a tavolino, atteso che la naturale vis expansiva dell’istituto del contraddittorio procedimentale nei rapporti tra fisco e contribuente non giunge fino al punto di imporre termini dilatori all’azione di accertamento derivanti da controlli eseguiti nella sede dell’Amministrazione sulla base dei dati forniti dallo stesso contribuente o acquisiti documentalmente a seguito delle risposte fornite dal contribuente al questionario inviatogli.
In simili evenienze, dunque, non occorre alcun previo p.v.c., posto che la necessità dello stesso è ricollegata dall’art. 52, DPR 633/1972 – richiamato dall’art. 33, DPR 600/1973 – all’effettuazione di un accesso.
In effetti l’obbligatorietà dell’istituto del contraddittorio endoprocedimentale, che caratterizza i rapporti tra Erario e contribuente, non giunge fino al punto di imporre termini dilatori assoluti all’azione di accertamento derivanti da controlli eseguiti nella sede dell’Amministrazione, sulla base dei dati forniti dallo stesso contribuente o acquisiti documentalmente.
Preliminarmente è fuor di dubbio il ruolo essenziale che possono svolgere le indagini finanziarie per ricostruire la capacità contributiva del contribuente, in grado di fornire dati certi e non contestabili e validi supporti di prova per la sua quantificazione.
Per questo il Questionario dell’Agenzia Entrate, oggi in questione, è da considerarsi come un invito con cui l’Amministrazione finanziaria chiede di fornire informazioni e/o di produrre documentazione necessaria ai fini dell’accertamento della situazione fiscale per quel determinato periodo d’imposta, purché sia accompagnato dall’avvertimento circa le conseguenze della sua mancata ottemperanza, che si giustifica – in deroga ai principi di cui agli artt. 24 Cost. (Diritto di difesa) e 53 Cost. (Capacità contributiva) – per la violazione dell’obbligo di leale collaborazione con il Fisco (Cass. n. 11765/2014). Si tratta, appunto, di una disposizione che deve essere applicata in modo da non comprimere il diritto alla difesa e non obbligare il contribuente a pagamenti non dovuti, proprio perché in qualche misura deroga ai principi costituzionali di cui sopra.
Tale strumento ha lo scopo di favorire il dialogo fra la parte pubblica e quella privata per chiarire le reciproche posizioni, così da escludere l’instaurazione del contenzioso e nel rispetto dei canoni di lealtà, correttezza e collaborazione richiesti dallo Statuto dei diritti del contribuente.
La giurisprudenza della Suprema Corte ha rimarcato che il principio di collaborazione e buona fede è un principio di derivazione costituzionale, che deve essere applicato a quelli volti solo a un’acquisizione di documenti, dove “… occorre sottolineare, sul punto, che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte «la garanzia del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, quale espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente, si applica anche agli accessi cd. istantanei, ossia quelli volti alla sola acquisizione della documentazione posta a fondamento dell’accertamento, sicché, anche in detta ipotesi, è illegittimo, ove non ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’atto impositivo emesso ante tempus» (a partire da Sez. U, n. 18184/2013 che ha composto i diversi orientamenti sulla questione; v. da ultimo, sulla specifica fattispecie degli accessi istantanei, Cass. n. 10388/2019)”.
All’uopo fa anche fede l’ordinanza n. 27069/2016, dove la Cassazione ha ribadito il principio consolidato secondo cui la mancata esibizione in sede amministrativa dei libri, della documentazione e delle scritture all’ufficio dell’Agenzia delle entrate comporta la sanzione dell’inutilizzabilità della successiva produzione in sede contenziosa, così come previsto dal DPR 600/1793, art. 32.
Ne consegue che gli avvisi di accertamento emessi a seguito delle risposte fornite dal contribuente al questionario inviatogli dall’ufficio, senza lo svolgimento di accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività d’impresa o professionale, non sono assoggettati al termine dilatorio previsto dal citato art. 12, comma 7, della 212/2000.
Sempre sul tema delle garanzie del contribuente in relazione al rispetto dei 60 giorni prima dell’emissione dell’avviso di accertamento, è di estremo interesse la sentenza della Cassazione n. 10352/2022, secondo cui il termine dilatorio dei 60 giorni “decorre da tutte le possibili tipologie di verbali che concludono le operazioni di accesso, verifica o ispezione, indipendentemente dal loro contenuto e denominazione formale, essendo finalizzato a garantire il contraddittorio anche a seguito di un verbale meramente istruttorio e descrittivo (Cass. n. 1497 del 23/01/2020; Cass. n. 15010 del 02/07/2014)”. Va difatti rammentato che il principio del contraddittorio in questi casi si traduce in quella fondamentale e irrinunciabile interlocuzione difensiva a 60 giorni del contribuente.
La Cassazione, difatti, con orientamento oramai stabile ha a più riprese osservato che “è, comunque, necessario, anche in caso di ‘accesso breve’, redigere un verbale di chiusura delle operazioni (in senso conf. Cass. 2593/14 e Cass. 15624/14), sia perché, anche in caso di accesso breve si verifica quella peculiarità che, secondo Cass. Sez. Unite 24823/2015, giustifica, quale contro bilanciamento, le garanzie di cui al cit. art. 12; peculiarità consistente nella autoritativa intromissione dell’Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca di elementi valutativi a lui sfavorevoli (v. Cass. n. 7988/2016)”.
A ciò si aggiunga quanto in diverse altre occasioni chiarito dalla medesima Corte in tema di applicazione del termine dilatorio per l’emissione dell’atto impositivo, che non opera nell’ipotesi di accertamenti a tavolino, salvo che il controllo riguardi tributi armonizzati, come l’IVA. In tale ipotesi, tuttavia, il contribuente che faccia valere il mancato rispetto del termine di 60 giorni ha in ogni caso l’onere di indicare, in concreto, le ragioni che avrebbe potuto dedurre in sede di contraddittorio preventivo.
Tanto premesso e tornando alla vicenda in esame, un contribuente riceveva un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle entrate aveva ricostruito con metodologia analitico-induttiva i suoi redditi. Il ricorso è stato respinto dalla CTP e avverso tale decisione il contribuente ha proposto appello. Anche la CTR respingeva il ricorso del contribuente, a cui seguiva l’impugnazione dinanzi alla Corte di Cassazione formulato su sei motivi, nei quali essenzialmente si lamentava della mancata instaurazione del contraddittorio.
La Corte di Cassazione ha ritenuto infondati tutti i motivi e, in particolare, ha stabilito che “… Col secondo motivo il contribuente deduce, ai sensi dell’art.360, primo comma, num. 3 cod. proc. civ. la violazione degli artt. 33, comma 1, d.P.R. n. 600/1973; 52, d.P.R. 28 ottobre 1972, n. 633; 10 e 12, comma 7, l. 27 luglio 2000, n. 212, per mancata redazione del processo verbale e dell’instaurazione del contraddittorio. 2.1. In proposito va rilevato che il ricorrente malgrado abbia evidenziato l’omessa pronuncia su tale questione da parte della C.T.R. abbia poi dedotto con il mezzo di impugnazione la violazione di legge nella quale sarebbe incorso il giudice di appello con il rigetto implicito. La censura è infondata posto che è pacifico come, nella specie, l’accertamento sia conseguito alle risposte del contribuente al questionario inviato al contribuente, e quindi non nei locali dello stesso. Orbene, come noto “In tema di accertamento fiscale, il termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 opera soltanto in caso di controllo eseguito presso la sede del contribuente e non anche alla diversa ipotesi, non assimilabile alla precedente, di accertamenti cd. a tavolino, atteso che la naturale “vis expansiva” dell’istituto del contraddittorio procedimentale nei rapporti tra fisco e contribuente non giunge fino al punto di imporre termini dilatori all’azione di accertamento derivanti da controlli eseguiti nella sede dell’Amministrazione sulla base dei dati forniti dallo stesso contribuente o acquisiti documentalmente stato nella specie effettuato a seguito delle risposte fornite dal contribuente al questionario inviatogli” (ex plurimis Cass. 05/11/2020, n. 24793). In simili evenienze, dunque, non occorre alcun previo p.v.c., posto che la necessità dello stesso è ricollegata dall’art. 52, d.P.R. n. 633/1972, richiamato dall’art. 33, d.P.R. n. 600/1973, all’effettuazione di un accesso. 3. Col terzo motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’art. 112, cod. proc. civ., per non essersi la sentenza pronunciata in ordine all’eccepita illegittimità dell’avviso in assenza di p.v.c. e di possibilità di instaurazione del contraddittorio. Alla reiezione del motivo precedente consegue anche il rigetto del presente motivo. 4. Col quarto motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 132, secondo comma, num. 4, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ. ritenendosi la motivazione della sentenza d’appello meramente apparente, poiché la stessa avrebbe ritenuto provata la pretesa dell’erario in quanto “le circostanze indicate nel provvedimento di accertamento del reddito d’impresa sarebbero state obiettive e in particolare per quanto riguarda i consumi, perché essi sarebbero stati evinti dal dato tecnico presso la Veneziana motoscafi, per cui lo stesso appare del tutto attendibile”. 5. Col quinto motivo si denuncia il medesimo asserito vizio della sentenza per ragioni del tutto analoghe, peraltro richiamando la violazione in relazione, questa volta, dell’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ. 6. I due motivi, da trattarsi congiuntamente, sono inammissibili, poiché è evidente come il ricorrente tenti con tali mezzi di sottoporre a questa Corte una revisione dell’accertamento di merito, sottratto invece allo scrutinio di legittimità. I motivi tendono infatti a richiedere una nuova analisi degli accertamenti dell’ufficio ritenendo insoddisfacente quella svolta dai giudici del merito, cioè esattamente una revisione del giudizio e della relativa valutazione delle prove. In ogni caso, la motivazione non è affatto apparente, poiché, oltre a quanto richiamato dal ricorrente, essa fa riferimento agli elementi su cui si basa la ricostruzione dei costi (dichiarazione dei redditi, consumo carburanti, fonti ufficiali sull’afflusso di turisti, tempi di percorrenza delle corse, tariffari, consumi medi, valori della licenza, documentazione allegata richiamata nel verbale di accertamento), nonché all’inattendibilità delle dichiarazioni dei redditi in relazione alle spese per il mantenimento della famiglia ed all’antieconomicità dell’attività (reddito dichiarato quasi inesistente, in relazione alle ore lavorate, al valore della licenza ed a quello del motoscafo, oltre al già richiamato tenore di vita ed esborsi per mutui, auto, moto, nonché a un giudizio di inattendibilità sul numero di corse dichiarato) e infine alla ricostruzione effettuata dall’ufficio (basata a sua volta sul numero di viaggi ragionevolmente eseguiti, consumo complessivo di carburante, ore di lavoro, tariffario). 7. Col sesto ed ultimo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 112, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., asserendo che i giudici d’appello non si sarebbero pronunciati sul mancato scomputo dai ricavi ricostruiti dei costi, invece quantificati in maniera forfettaria. 7.1. Anche questo motivo è inammissibile laddove tende a qualificare come omessa pronuncia una valutazione di fatto svolta dai giudici di merito, che, infatti, hanno esaminato la ricostruzione dei costi operata dall’ufficio, come sopra rassegnata, ed hanno altresì osservato che a fronte di ciò il contribuente “non aveva prodotto e non produce neppure ora alcun elemento di contrasto”. 8. Il ricorso dev’essere dunque respinto, con aggravio di spese, nella misura liquidata in dispositivo, per il contribuente soccombente”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 17 febbraio 2023, n. 5167
sul ricorso iscritto al n. 18958/2014 R.G. proposto da:
P. M., rappresentato e difeso dagli avv. Loris Tosi e Giuseppe Marini, elettivamente domiciliato presso quest’ultimo in Roma, via dei Monti Parioli, 48, come da procura a margine del ricorso introduttivo;
–ricorrente –
contro AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso la stessa domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
-controricorrente –
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, n.76/26/14, depositata il 20 gennaio 2014.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 gennaio 2023dal consigliere Alberto Crivelli.
RILEVATO CHE
1. L’Agenzia delle entrate procedeva nei confronti del contribuente (taxista nautico in Venezia) alla notifica di avviso di incompetenza e carenza potere rettifica per l’anno d’imposta 2006 tramite accertamento analitico induttivo. Il contribuente proponeva ricorso e la C.T.P. lo respingeva, e così pure faceva la C.T.R. con riferimento al gravame proposto dal medesimo contribuente.
2. Quest’ultimo propone, quindi, ricorso in cassazione affidato a sei motivi.
L’Agenzia si è costituita con controricorso per resistere all’impugnativa.
CONSIDERATO CHE
1. Con il primo motivo di ricorso M. P. deduce la violazione degli artt. 21-septies, l. 7 agosto 1990, n. 241 e 31, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ritenendo che la violazione della competenza territoriale costituisca causa di nullità dell’atto. Nella specie, il contribuente assume di risiedere in un comune rientrante nella competenza dell’Ufficio di Venezia 2, mentre l’accertamento venne eseguito da Venezia 1.
1.1. Il vizio di nullità cui fa riferimento l’art. 21-septies, l. 241/1990 (in virtù del quale “È nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge”) attiene al difetto assoluto di attribuzione, pertanto all’ipotesi di carenza di potere in astratto in capo all’amministrazione, in contrapposizione all’ipotesi di mero cattivo uso del (esistente) potere, ad esempio per violazione delle regole di competenza, come assunto nella specie.
Il motivo, che attiene ad una questione di distinzione tra uffici della medesima Agenzia – espressione di una articolazione delle competenze ad essa intrinseca, disposta con un atto interno priva di efficacia verso il pubblico degli utenti (Cass. 15/12/2004, n. 23349) – è, peraltro, stato proposto tardivamente solo in sede d’appello come eccepito dalla controricorrente e rilevato dalla C.T.R.
2. Col secondo motivo il contribuente deduce, ai sensi dell’art.360, primo comma, num. 3 cod. proc.civ. la violazione degli artt. 33, comma 1, d.P.R. n. 600/1973; 52, d.P.R. 28 ottobre 1972, n. 633; 10 e 12, comma 7, l. 27 luglio 2000, n. 212, per mancata redazione del processo verbale e dell’instaurazione del contraddittorio.
2.1. In proposito va rilevato che il ricorrente malgrado abbia evidenziato l’omessa pronuncia su tale questione da parte della C.T.R. abbia poi dedotto con il mezzo di impugnazione la violazione di legge nella quale sarebbe incorso il giudice di appello con il rigetto implicito.
La censura è infondata posto che è pacifico come, nella specie, l’accertamento sia conseguito alle risposte del contribuente al questionario inviato al contribuente, e quindi non nei locali dello stesso.
Orbene, come noto “In tema di accertamento fiscale, il termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 opera soltanto in caso di controllo eseguito presso la sede del contribuente e non anche alla diversa ipotesi, non assimilabile alla precedente, di accertamenti cd. a tavolino, atteso che la naturale “vis expansiva” dell’istituto del contraddittorio procedimentale nei rapporti tra fisco e contribuente non giunge fino al punto di imporre termini dilatori all’azione di accertamento derivanti da controlli eseguiti nella sede dell’Amministrazione sulla base dei dati forniti dallo stesso contribuente o acquisiti documentalmente stato nella specie effettuato a seguito delle risposte fornite dal contribuente al questionario inviatogli” (ex plurimis Cass. 05/11/2020, n. 24793). In simili evenienze, dunque, non occorre alcun previo p.v.c., posto che la necessità dello stesso è ricollegata dall’art. 52, d.P.R. n. 633/1972, richiamato dall’art. 33, d.P.R. n. 600/1973, all’effettuazione di un accesso.
3. Col terzo motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’art. 112, cod. proc. civ., per non essersi la sentenza pronunciata in ordine all’eccepita illegittimità dell’avviso in assenza di p.v.c. e di possibilità di instaurazione del contraddittorio. Alla reiezione del motivo precedente consegue anche il rigetto del presente motivo.
4. Col quarto motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 132, secondo comma, num. 4, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ. ritenendosi la motivazione della sentenza d’appello meramente apparente, poiché la stessa avrebbe ritenuto provata la pretesa dell’erario in quanto “le circostanze indicate nel provvedimento di accertamento del reddito d’impresa sarebbero state obiettive e in particolare per quanto riguarda i consumi, perché essi sarebbero stati evinti dal dato tecnico presso la Veneziana motoscafi, per cui lo stesso appare del tutto attendibile”.
5. Col quinto motivo si denuncia il medesimo asserito vizio della sentenza per ragioni del tutto analoghe, peraltro richiamando la violazione in relazione, questa volta, dell’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ.
6. I due motivi, da trattarsi congiuntamente, sono inammissibili, poiché è evidente come il ricorrente tenti con tali mezzi di sottoporre a questa Corte una revisione dell’accertamento di merito, sottratto invece allo scrutinio di legittimità. I motivi tendono infatti a richiedere una nuova analisi degli accertamenti dell’ufficio ritenendo insoddisfacente quella svolta dai giudici del merito, cioè esattamente una revisione del giudizio e della relativa valutazione delle prove. In ogni caso, la motivazione non è affatto apparente, poiché, oltre a quanto richiamato dal ricorrente, essa fa riferimento agli elementi su cui si basa la ricostruzione dei costi (dichiarazione dei redditi, consumo carburanti, fonti ufficiali sull’afflusso di turisti, tempi di percorrenza delle corse, tariffari, consumi medi, valori della licenza, documentazione allegata richiamata nel verbale di accertamento), nonché all’inattendibilità delle dichiarazioni dei redditi in relazione alle spese per il mantenimento della famiglia ed all’antieconomicità dell’attività (reddito dichiarato quasi inesistente, in relazione alle ore lavorate, al valore della licenza ed a quello del motoscafo, oltre al già richiamato tenore di vita ed esborsi per mutui, auto, moto, nonché a un giudizio di inattendibilità sul numero di corse dichiarato) e infine alla ricostruzione effettuata dall’ufficio (basata a sua volta sul numero di viaggi ragionevolmente eseguiti, consumo complessivo di carburante, ore di lavoro, tariffario).
7. Col sesto ed ultimo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 112, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., asserendo che i giudici d’appello non si sarebbero pronunciati sul mancato scomputo dai ricavi ricostruiti dei costi, invece quantificati in maniera forfettaria.
7.1. Anche questo motivo è inammissibile laddove tende a qualificare come omessa pronuncia una valutazione di fatto svolta dai giudici di merito, che, infatti, hanno esaminato la ricostruzione dei costi operata dall’ufficio, come sopra rassegnata, ed hanno altresì osservato che a fronte di ciò il contribuente “non aveva prodotto e non produce neppure ora alcun elemento di contrasto”.
8. Il ricorso dev’essere dunque respinto, con aggravio di spese, nella misura liquidata in dispositivo, per il contribuente soccombente.
Sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
P. Q. M.
La Corte respinge il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in € 4.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto. Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2023