CASSAZIONE

Accertamento bancario e onere della prova

Presunzione legale – Prova presuntiva contraria – Art. 32, c. 1, n. 2, del DPR 600/1973

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 16850 del 19 giugno 2024, intervenendo sull’annosa questione legata  all’accertamento dei redditi con il metodo analitico-induttivo, ha ricordato che dopo la sentenza della Corte

Cost. n. 10 del 2023, che ha operato un’interpretazione adeguatrice dell’art. 32, comma 1, n. 2, del DPR 600/1973, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati e quindi occulti, relativi a prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore può sempre opporre la prova presuntiva contraria, eccependo una incidenza percentuale forfettaria di costi di produzione che vanno quindi detratti dall’ammontare dei maggiori ricavi presunti (v. Cass. Ord. n. 18653/2023).

A prescindere dallo specifico caso processuale, in termini più generali, giova rilevare che in tema di accertamenti bancari, il citato art. 32 del DPR 600/1973 e l’art. 51 del DPR 633/1972 prevedono una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici, e che comunque  può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono a operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze.

Non a caso la Suprema Corte, con l’ordinanza n. 10192/2023 era tornata sul consolidato filone che statuisce la necessità di riconoscere, in caso di accertamento induttivo, una valenza percentuale ai costi sostenuti in relazione alla produzione di ricavi di impresa. Questa interpretazione ormai consolidata ha subito un necessario adeguamento anche alle altre forme di accertamenti parametrici o presuntivi in virtù di quanto statuito dalla citata sentenza della Consulta n. 10 del 31 gennaio 2023, nella quale rimarcava, in estrema sintesi, il quadro di riferimento normativo e giurisprudenziale nel quale si colloca la disposizione censurata, ossia l’art. 32, comma 1, n. 2), DPR 600/1973, secondo cui “… i dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti e rilevati rispettivamente a norma del numero 7) e dell’articolo 33, secondo e terzo comma, o acquisiti ai sensi dell’articolo 18, comma 3, lettera b), del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni per importi superiori a euro 1.000 giornalieri e, comunque, a euro 5.000 mensili”.

La disposizione esprimeva una presunzione per la quale i versamenti sul conto corrente, salvo prova contraria del contribuente, ove non dichiarati o risultanti dalle scritture contabili, costituiscono ricavi occulti sottratti alla tassazione. Viene al contrario censurata sotto il profilo della violazione del canone di ragionevolezza, ma anche del principio di capacità contributiva, la stessa norma laddove pone la presunzione secondo cui anche i prelevamenti sul conto, se non risultanti dalle scritture contabili dell’imprenditore e salvo che quest’ultimo ne indichi il beneficiario, costituiscono, per un pari importo, dei ricavi. I giudici delle leggi hanno infatti ricordato che il citato art. 32, DPR 600/1973, nella sezione in cui pone la presunzione di equiparazione tanto dei versamenti a redditi occulti, quanto dei prelevamenti a ricavi non dichiarati, è stato modificato dal Dl 193/2016, come convertito, che ha limitato l’operare della equiparazione ai soli prelevamenti per importi superiori a 1.000 euro giornalieri e, nel complesso, in ogni caso, a 5.000 euro mensili. Si tratta, quindi, di una presunzione a carattere relativo (quindi, iuris tantum) e non già assoluto, perché opera solo se il contribuente non offre la prova contraria.

In mancanza di prova contraria, i prelevamenti e gli importi riscossi sono considerati ricavi e possono essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti suddetti per determinare il reddito imponibile nel regime delle imposte dirette. La possibilità della prova contraria, così articolata, che può dare il contribuente, assicura, in principio, la non arbitrarietà della presunzione legale in favore del Fisco. Pertanto, per l’accertamento globalmente induttivo del reddito d’impresa viene confermato che vale sempre la regola che il Fisco deve ricostruire il reddito, tenendo conto anche delle componenti negative emerse dagli accertamenti compiuti ovvero, in difetto, determinandole induttivamente e/o presuntivamente al fine di evitare che, in contrasto con il principio della capacità contributiva, venga sottoposto a tassazione il profitto lordo anziché quello netto (Cass. VI-5, n. 26748/2018; Cass. V, n. 23314/2013; Cass. V, n. 13119/ 2020; Circ. AdE, n. 9/E/2015, p.2 e Cass. n. 2581/2021).

Inoltre, con la pronunzia n.10422/2023 gli Ermellini, esaminando la questione dell’accertamento induttivo dei redditi d’impresa, avevano espresso al riguardo il seguente principio di diritto: “… In tema di accertamento analitico-induttivo ex art. 39 comma 1 lett. d) del d.P.R. 600/1973, ai fini della determinazione del reddito di impresa per omessa contabilizzazione di ricavi e IVA relativa ad operazione commerciale posta in essere tra società del medesimo gruppo aventi sede in Italia, ai fini del valore da attribuire ad una prestazione di servizi, lo scostamento dal “valore normale” del canone di affitto di cui all’art. 9 T.U.I.R. può assumere rilievo quale parametro meramente indiziario dell’antieconomicità manifesta e macroscopica dell’operazione posta in essere, esulante dal normale margine di errore di valutazione anche dell’inerenza della destinazione del bene o servizio, sì da giustificare l’accertamento con conseguente prova contraria a carico del contribuente, senza che per ciò sia violato il criterio della neutralità del tributo armonizzato, né la norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 147 del 2015, la quale è diretta ad escludere l’applicazione dell’art. 110 T.U.I.R. al “trasfer pricing” interno, ma non a limitare la portata logico-giuridica dell’art. 9 cit.”.

In definitiva è quindi possibile ritenere che, con riguardo agli accertamenti bancari e al regime probatorio a questi collegato, è stato ormai sufficientemente chiarito che se è vero che devono essere indicati e dimostrati dal contribuente la provenienza e la destinazione dei singoli pagamenti, con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti attivi e passivi, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti e dei prelievi, è allora sicuramente anche vero che a fronte dell’analiticità nella deduzione del mezzo di prova, o comunque delle allegazioni difensive da parte del contribuente, debba corrispondere una speculare analiticità, da parte del giudice, nell’esaminare quanto dedotto e documentato (cfr., Cass., Ordinanza n. 30786 del 28/11/2018, Cass., n. 15217 del 12/09/2012; Cass., n. 1418 del 22/01/2013; Cass., n. 6595 del 15/03/2013; Cass., n. 20668 del 01/10/2014).

Tanto premesso e tornando al caso oggi in esame, una società contribuente aveva ricevuto alcuni avvisi di accertamento con i quali l’ufficio, a seguito di indagini finanziarie, aveva contestato nei confronti della società un maggior reddito d’impresa ai fini IRES, IRAP e IVA. Nel successivo procedimento presso la giustizia tributaria la parte contribuente vedeva in prime cure accolto parzialmente il ricorso, poi riformato in secondo grado. La contribuente proponeva ricorso in Cassazione affidato a tre  motivi, in cui essenzialmente denunciava la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 39 del DPR 600/1973 per non avere la CTR – in riforma della sentenza della CTP che aveva ridotto dell’80% l’accertamento impositivo dell’Amministrazione finanziaria – tenuto conto dell’incidenza dei costi presunti a fronte dei maggiori ricavi accertati, essendo invece necessario considerare, sia nel caso di rettifiche con metodo induttivo che di accertamenti ex art. 41, DPR 600/1973, anche le componenti negative del reddito emerse dagli accertamenti compiuti. La Suprema Corte ha respinto la tesi prospettata dalla parte contribuente, affermando che: “ …Nella sentenza impugnata la CTR- senza incorrere in una delle gravi anomalie argomentative individuate dagli arresti giurisprudenziali sopra richiamate – ha accolto il motivo di appello incidentale dell’Ufficio relativo l’assunto vizio di ultrapetizione della CTP – in merito al disposto riconoscimento forfetario dei costi correlati ai maggiori ricavi accertati con abbattimento dell’80% dei prelevamenti risultati non giustificati – non avendo “la parte eccepito nulla sul punto in primo grado” – così esplicitando chiaramente le ragioni sottese alla decisione.  3. Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 C.P.C., la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 39 del D.P.R. n. 600/73 , per avere la CTR ritenuto legittimi gli avvisi in questione sebbene:  1) la contribuente avesse fornito la prova contraria atta a superare la presunzione legale ai sensi dell’art. 32 cit.;  2) nella ricostruzione giudiziale del reddito d’impresa si dovesse tenere conto, in mancanza di documentazione certa, dell’incidenza percentuale dei costi presunti a fronte dei maggiori ricavi accertati. 3.1. Il motivo – che consta di due sub censure- si profila complessivamente inammissibile.  3.2. Quanto alla prima sub censura, premesso che in tema di accertamenti bancari, gli artt. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del D.P.R. n. 633 del 1972 prevedono una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze (Sez. 5, Sentenza n. 13112 del 30/06/2020), nella specie, il motivo, pur prospettando una violazione degli artt. 32 e 39 cit., in realtà tende inammissibilmente ad una nuova interpretazione di questioni di merito, avendo la CTR, con una valutazione in fatto non sindacabile dinanzi al giudice di legittimità, ritenuto che “a fronte delle specifiche contestazioni fornite dall’Ufficio… la parte, da un canto, non (aveva) prodotto alcuna documentazione relativa ai conti n. (Omissis) e n. (Omissis) tenuti presso la Banca della Campania, filiale di B; dall’altro, quanto agli altri conti, non risultava operata alcuna riconciliazione cosicché non risultava provata l’irrilevanza reddituale”. Va, al riguardo, ribadito l’orientamento di questa Corte secondo cui: “… È inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito” (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 18721 del 13/07/2018; Cass., sez. 5, 26 novembre 2020, n. 26961). 3.3.Quanto all’altra sub censura, la stessa non è attinente al decisum atteso che la CTR – quanto all’abbattimento disposto dalla CTP nella misura dell’80% dei prelevamenti risultati non giustificati in riconoscimento forfetario dei costi a fronte dei maggiori ricavi accertati – ha accolto il motivo di appello incidentale dell’Ufficio afferente il vizio di ultrapetizione (quale error in procedendo) sul punto del giudice di primo grado, assorbendo gli ulteriori motivi di censura in merito alla medesima questione di infondatezza e difetto di motivazione. 4. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Corte di Cassazione – Ordinanza 19 giugno 2024, n. 16850

sul ricorso iscritto al numero 2552 del ruolo generale dell’anno 2021, proposto da:

B.B. Costruzioni Srl in persona del legale rappresentante pro tempore A.A., anche in proprio, e C.C., quale socio, rappresentati e difesi, giusta procura speciale su foglio allegato al ricorso, dall’Avv.to Michele Turi elettivamente domiciliati presso l’indirizzo di posta elettronica del difensore (PEC) avvmicheleturi@legalmail.it;

 – ricorrenti –

contro Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

 – controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, sezione staccata di Salerno n. 2594/04/2020, depositata in data 8 giugno 2020, non notificata;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 maggio 2024 dal Consigliere Maria Giulia Putaturo Donati Viscido di Nocera;

Svolgimento del processo

– B. B. Costruzioni Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, A.A., anche in proprio, e C.C., quale socio, propongono ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe con cui la Commissione tributaria regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, aveva rigettato l’appello principale e accolto quello incidentale proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 1707/03/2018 della Commissione Tributaria Provinciale di Salerno che aveva accolto parzialmente il ricorso proposto avverso avvisi di accertamento con i quali l’Ufficio, relativamente agli anni 2012-2013, a seguito di indagini finanziarie, aveva contestato nei confronti della società un maggior reddito d’impresa, ai fini Ires, Irap e Iva, ascrivendo a ricavi non dichiarati le movimentazioni risultate ingiustificate riscontrate su diversi conti correnti riconducibili alla medesima;

 – nella sentenza impugnata il giudice di appello – riformando la sentenza di prime cure che, in accoglimento parziale del ricorso, aveva rideterminato il maggior reddito accertato in capo alla società riconoscendo costi pari all’80% dei prelevamenti risultati non giustificati – ha ritenuto che

1) l’appello principale era infondato in quanto, a fronte delle specifiche contestazioni dell’Amministrazione, la società contribuente non aveva prodotto alcuna documentazione relativa ai conti correnti bancari n. (Omissis) e n.(Omissis) tenuti presso la Banca della Campania, filiale di B; quanto agli altri conti, non risultava operata alcuna riconciliazione per cui non era stata provata l’irrilevanza reddituale delle contestate movimentazioni;

2) era fondato l’appello incidentale dell’Agenzia quanto all’eccepita extrapetizione (con assorbimento delle altre censure di infondatezza e difetto di motivazione) – in cui era incorsa la CTP nell’avere riconosciuto costi pari all’80% dei prelevamenti risultanti non giustificati – non avendo la contribuente eccepito alcunché sul punto in primo grado;

– resiste, con controricorso, l’Agenzia delle entrate;

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 C.P.C., la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 39 del D.P.R. n. 600/73 per non avere la CTR – in riforma della sentenza della CTP che aveva ridotto dell’80% l’accertamento impositivo dell’Amministrazione finanziaria – tenuto conto dell’incidenza dei costi presunti a fronte dei maggiori ricavi accertati, essendo, invece, necessario considerare, sia nel caso di rettifiche con metodo induttivo che di accertamenti ex art.v41 del D.P.R. n. 600/73, anche le componenti negative del reddito emerse dagli accertamenti compiuti.

1.1. Il motivo si profila inammissibile in quanto non attinente al decisum avendo la CTR – in merito al disposto riconoscimento forfetario da parte della CTP dei costi correlati ai maggiori ricavi accertati con abbattimento dell’80% dei prelevamenti risultati non giustificati – accolto il motivo di appello incidentale con il quale l’Ufficio aveva denunciato sul punto il vizio di extrapetizione da parte del giudice di primo grado, con ciò assorbendo le ulteriori censure di infondatezza e difetto di motivazione proposte al riguardo dall’Amministrazione.

2. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 C.P.C., la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 111 Cost., 36 del D.Lgs. n. 546/1992, 132 e 274 C.P.C. e 118 disp. att. C.P.C., per avere la CTR affermato, con una motivazione apparente, che la decisione della CTP era affetta da ultrapetizione in merito al disposto abbattimento forfetario (dell’80%) dei prelevamenti senza indicare le ragioni poste a fondamento di tale decisione.

2.1. II motivo è infondato.

2.2. Le Sezioni Unite (Cass., sez. U, 7/04/2014, n. 8053 e n. 8054) hanno affermato che l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integri un error in procedendo che comporta la nullità della sentenza nel caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”. Dalla giurisprudenza di legittimità è stato ulteriormente precisato che di “motivazione apparente” può parlarsi laddove essa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (Cass., sez. U, 3/11/2016, n. 22232; Cass., sez. U, 5/04/2016, n. 16599).

È stato pure affermato che ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica e che il giudice di merito è tenuto a dare conto, in modo comprensibile e coerente rispetto alle evidenze processuali, del percorso logico compiuto al fine di accogliere o rigettare la domanda proposta, dovendosi ritenere viziata per apparenza la motivazione meramente assertiva (Cass., sez. 3, 30/05/2019, n. 14762; Cass., sez. 3, 08/10/2021, n. 27411 ; Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 35257 del 2023).

2.3. Tanto premesso, in tema di accertamento dei redditi con il metodo analitico-induttivo, a seguito della sentenza della Corte cost. n. 10 del 2023, che ha operato un’interpretazione adeguatrice dell’art. 32, comma 1, n. 2, del D.P.R. del 1973, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi occulti, scaturente da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore può sempre opporre la prova presuntiva contraria, eccependo una incidenza percentuale forfettaria di costi di produzione, che vanno quindi detratti dall’ammontare dei maggiori ricavi presunti (Cass. sez. 5, Sez. 5 – , Ordinanza n. 18653 del 03/07/2023).

2.4. Quanto al vizio di ultrapetizione o extrapetizione, esso ricorre quando il giudice del merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi obiettivi dell’azione (“petitum” e “causa petendi”) e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (“petitum” immediato), ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (“petitum” mediato) (Cass., 21 marzo 2019, n. 8048; Cass., 11 aprile 2018, n. 9002; Cass. sez. 5, n. 771 del 2024).

2.5. Nella sentenza impugnata la CTR- senza incorrere in una delle gravi anomalie argomentative individuate dagli arresti giurisprudenziali sopra richiamate – ha accolto il motivo di appello incidentale dell’Ufficio relativo l’assunto vizio di ultrapetizione della CTP – in merito al disposto riconoscimento forfetario dei costi correlati ai maggiori ricavi accertati con abbattimento dell’80% dei prelevamenti risultati non giustificati – non avendo “la parte eccepito nulla sul punto in primo grado” – così esplicitando chiaramente le ragioni sottese alla decisione.

3. Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 C.P.C., la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 39 del D.P.R. n. 600/73 , per avere la CTR ritenuto legittimi gli avvisi in questione sebbene:

 1) la contribuente avesse fornito la prova contraria atta a superare la presunzione legale ai sensi dell’art. 32 cit.;

2) nella ricostruzione giudiziale del reddito d’impresa si dovesse tenere conto, in mancanza di documentazione certa, dell’incidenza percentuale dei costi presunti a fronte dei maggiori ricavi accertati.

3.1. Il motivo – che consta di due sub censure- si profila complessivamente inammissibile.

3.2. Quanto alla prima sub censura, premesso che in tema di accertamenti bancari, gli artt. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del D.P.R. n. 633 del 1972 prevedono una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze (Sez. 5, Sentenza n. 13112 del 30/06/2020), nella specie, il motivo, pur prospettando una violazione degli artt. 32 e 39 cit., in realtà tende inammissibilmente ad una nuova interpretazione di questioni di merito, avendo la CTR, con una valutazione in fatto non sindacabile dinanzi al giudice di legittimità, ritenuto che “a fronte delle specifiche contestazioni fornite dall’Ufficio… la parte, da un canto, non (aveva) prodotto alcuna documentazione relativa ai conti n. (Omissis) e n. (Omissis) tenuti presso la Banca della Campania, filiale di B; dall’altro, quanto agli altri conti, non risultava operata alcuna riconciliazione cosicché non risultava provata l’irrilevanza reddituale”.

Va, al riguardo, ribadito l’orientamento di questa Corte secondo cui: “… È inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito” (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 18721 del 13/07/2018; Cass., sez. 5, 26 novembre 2020, n. 26961).

3.3.Quanto all’altra sub censura, la stessa non è attinente al decisum atteso che la CTR – quanto all’abbattimento disposto dalla CTP nella misura dell’80% dei prelevamenti risultati non giustificati in riconoscimento forfetario dei costi a fronte dei maggiori ricavi accertati – ha accolto il motivo di appello incidentale dell’Ufficio afferente il vizio di ultrapetizione (quale error in procedendo) sul punto del giudice di primo grado, assorbendo gli ulteriori motivi di censura in merito alla medesima questione di infondatezza e difetto di motivazione.

4. In conclusione, il ricorso va rigettato.

5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 2.400,00 per compensi oltre spese prenotate a debito;

Dà atto, ai sensi dell’art.13 comma 1-quater D.P.R. n.115/2002 , della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dai ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13. Così deciso in Roma il 29 maggio 2024

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