CASSAZIONE

Accertamento anticipato: è illegittimo se non sono specificate le ragioni consistenti nella lesività della condotta

Tributi – Accertamento – Inosservanza del termine dilatorio ex art. 12, co. 7, L. n. 212 del 2000 – Deroga – Motivi di urgenza – Onere di prova a carico dell’Ufficio – Necessaria eccezione da parte del contribuente – Effetti – Illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 32081 del 9 dicembre 2019, intervenendo in materia di accertamento anticipato ha stabilito che anche se il contribuente ha commesso azioni particolarmente gravi (quali possono essere le fatture false per importi rilevanti), l’accertamento fiscale dell’Agenzia delle entrate emesso anzitempo, prima di 60 giorni dal rilascio del verbale da parte delle Fiamme Gialle, è illegittimo.

I Supremi Giudici hanno quindi rammentato che per l’emissione dell’avviso di accertamento lo Statuto del Contribuente, all’art. 12, comma 7, prevede che non possa essere emanato prima della scadenza del termine, salvi i casi “di particolare e motivata urgenza”, e impone prima un termine per l’esercizio dell’azione amministrativa piuttosto che un obbligo di motivazione circa il requisito dell’urgenza nell’emissione, anticipata, dell’atto impositivo.

Diviene pertanto dirimente individuare le circostanze di fatto che sono effettivamente in grado di integrare il requisito dell’urgenza e, per l’effetto, di giustificare la notifica di un avviso di accertamento ante tempus.

Com’è noto, nell’ambito delle garanzie poste a tutela del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, il citato articolo 12, comma 7, dello Statuto dei diritti del contribuente, nell’obiettivo di agevolare la leale cooperazione tra Amministrazione e contribuente prevede la possibilità in capo al privato di poter produrre le proprie osservazioni entro 60 giorni dalla notifica del processo verbale di constatazione. La norma statuisce altresì il divieto per l’Amministrazione finanziaria di notificare l’atto impositivo al contribuente prima che sia decorso il predetto termine, salvo in casi di particolare e motivata urgenza per cui si renda necessaria la compressione del termine di 60 giorni a sfavore del contribuente.

Sul punto appare necessario ricordare quanto affermato nella sentenza n. 18184/2013, con cui le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno chiarito che “l’inosservanza del termine dilatorio prescritto dall’articolo 12, settimo comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212 , in assenza di qualificate ragioni di urgenza, non può che determinare l’invalidità dell’avviso di accertamento tributario emanato prematuramente, quale effetto del vizio del relativo procedimento, costituito dal non aver messo a disposizione del contribuente l’intero lasso di tempo previsto dalla legge per garantirgli la facoltà di partecipare al procedimento stesso esprimendo le proprie osservazioni che l’Ufficio finanziario è tenuto a valutare come la norma prescrive”.

In altri termini, secondo l’impostazione della Suprema Corte, il Legislatore ha previsto tutta una serie di norme la cui finalità è quella di garantire l’effettivo esercizio del diritto al contraddittorio, principio immanente del nostro ordinamento. Da ciò deriva inevitabilmente che, in assenza di valide ragioni giustificatrici, il mancato rispetto del termine dei 60 giorni rappresenti un’evidente compressione del diritto di difesa del contribuente costituzionalmente garantito dall’articolo 24, oltre che una chiara violazione del principio del buon andamento della Pubblica Amministrazione sancito all’articolo 97 della Costituzione.

Sul tema ricordiamo che il maggioritario orientamento della Suprema Corte sostiene che l’emissione anticipata dell’atto impositivo non sia invece giustificabile dall’approssimarsi dello scadere dei termini di decadenza dell’azione accertativa, a meno che non si tratti di fattispecie in cui la condotta illecita del contribuente sia rilevante anche sotto il profilo penale.

Con l’ordinanza n. 15527 del 27 luglio 2016, la Corte di Cassazione ha poi confermato la sopracitata linea interpretativa, rilevando che “il pericolo derivante da reiterate condotte penali tributarie è, in astratto, un’indubitabile e valida ragione d’urgenza atta a giustificare l’anticipazione della notifica dell’atto impositivo in deroga al termine imposto dalla L. 212/2000, articolo 12, comma 7”.

Naturalmente, dalla mera presenza di condotte penalmente rilevanti non può derivare un’automatica deroga del termine posto a garanzia del contribuente, costituendo piuttosto un’ipotesi astratta che deve trovare concreto riscontro nella specifica fattispecie. Sotto il profilo probatorio, pertanto, spetterà all’ufficio l’onere di provare la sussistenza del presupposto derogatorio del termine e che, in particolare, “l’urgenza dell’atto impositivo ben può profilarsi allo scopo di infrenare per tal verso una condotta, che appariva di patente e grave violazione continuata degli obblighi fiscali”.

La vexata quaestio del c.d. accertamento anticipato e, quindi, la legittimità dell’avviso di accertamento notificato prima del decorso del termine di sessanta giorni dal rilascio del processo verbale di constatazione, consente di porre in evidenza due importanti principi di diritto in tema di contraddittorio endoprocedimentale nel diritto tributario, nonché con riguardo ai presupposti di fatto legittimanti l’urgenza idonea a giustificare l’accertamento ante tempus, citando due pronunce della Corte di Cassazione, le ordinanze nn. 15527/2016 e 14861/ 2016.

In particolare la Suprema Corte, con l’ordinanza n. 15527/2016 ha statuito che la pericolosità fiscale del contribuente, reo tra l’altro di aver commesso alcuni illeciti tributari è tale da poter legittimare, se adeguatamente motivata, l’anticipazione della notifica dell’atto impositivo, in deroga al termine previsto dallo Statuto dei diritti del contribuente.

A tale riguardo occorre preliminarmente osservare che la menzionata disposizione statutaria, come peraltro enunciato dalla Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 244/2009,deve necessariamente essere inserita in un complesso quadro normativo dalla cui analisi interpretativa deriva la possibilità di ritenere invalido l’avviso di accertamento notificato antecedentemente allo spirare dei suddetti termini qualora lo stesso sia privo di una adeguata motivazione sulla “particolare urgenza”; quanto precede, tenuto conto del generale obbligo di motivazione degli atti amministrativi di cui al combinato disposto degli artt. 3 e 7, c. 1, della legge 241/1990, la cui inosservanza è espressamente sanzionata, in termini di invalidità dell’atto, dal successivo art. 21-septies che prevede tale conseguenza giuridica per il provvedimento amministrativo privo di un elemento essenziale quale è la motivazione, come tra l’altro previsto dagli artt. 42, cc. 2 e 3, del DPR 600/1973 e 56, c. 5, del DPR 633/1972, che impongono l’obbligo di motivare, a pena di nullità, l’avviso di accertamento in relazione ai relativi presupposti di fatto e di diritto. 

Inoltre la ratio sottesa alla norma in esame, volta a garantire i principi di contraddittorio e di collaborazione fra Amministrazione finanziaria e contribuente sottoposto a verifica fiscale, prevede, nell’ambito del procedimento di accertamento, che l’ufficio proceda all’emanazione dell’atto impositivo solo dopo avere acquisito le eventuali osservazioni del contribuente in ordine al contenuto del processo verbale di constatazione redatto a conclusione della verifica fiscale (Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sentenza 29 luglio 2013, n. 18184).

Ciò premesso, e tornando al caso di specie, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della curatela di una società che aveva ricevuto un accertamento con cui erano stati recuperati a tassazione maggiori redditi a seguito del disconoscimento di fatture false per importi rilevanti concludendo, in linea con consolidato orientamento giurisprudenziale, che: “… in presenza di casi di urgenza, l’effetto derogatorio opera a prescindere dalla sua esternazione all’interno dell’atto impositivo, che non è richiesto né dallo Statuto dei diritti del contribuente (posto che l’art. 7 della legge n. 212 del 2000 prescrive che l’atto deve contenere soltanto i “presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione”), né da altre specifiche disposizioni (quali l’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e l’art. 56 del d.P.R. n. 633 del 1972) che disciplinano il contenuto degli atti impositivi e non i tempi della loro emanazione.  Ovviamente, in presenza di contestazione da parte del contribuente, è onere dell’Ufficio allegare e provare la sussistenza in concreto delle ragioni dell’urgenza, in particolare che “l’inosservanza del termine dilatorio non sia dovuta a inerzia o negligenza, ma ad altre circostanze che abbiano ritardato incolpevolmente l’accertamento ovvero abbiano reso difficoltoso con il passare del tempo il pagamento del tributo e necessario procedere senza il rispetto del termine” (Cass. n. 24316/14 citata). Di recente questa Corte ha affermato che l’art. 12, comma 7, l. n. 212 del 2000 deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio (Cass. 27623/2018)”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 9 dicembre 2019, n. 32081

Sul ricorso 25102-2017 proposto da:

C. F. A. M. SRL, in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MUZIO CLEMENTI 51, presso lo studio dell’avvocato VALERIO SANTAGATA, rappresentata e difesa dall’avvocato VINCENZO PASCALE;

– ricorrente –

contro M. D.;

– intimato –

contro AGENZIA DELLE ENTRATE 06363391001, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 191/3/2017 della COMMISSIONE TRIBTUARIA REGIONALE di POTENZA, depositata il 13/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 25/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ROSARIA MARIA CASTORINA.

Ragioni della decisione

La Corte, costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal comma 1, lett e), dell’art. 1 – bis del d.l. n. 168/2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197/2016, osserva quanto segue;

Con sentenza n. 191/03/2017, depositata il 13.3.2017, non notificata, la CTR della Basilicata accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di A. Multimediale srl a socio unico e di M. D. avverso la sentenza della CTP di Potenza che aveva rigettato il ricorso proposto dalla contribuente su controversia avente ad oggetto avvisi di accertamento con i quali erano stati recuperati a tassazione maggiori redditi conseguiti per effetto del disconoscimento di alcune fatture per operazioni inesistenti, sul presupposto che l’emissione dell’accertamento ante tempus fosse giustificato dalle ragioni di urgenza ravvisate nella particolare gravità della condotta lesiva delle ragioni erariali poste in essere dalla società accertata.

Con ordinanza del 7.11.2018 veniva ordinata l’integrazione del contraddittorio nei confronti di M. D..

Espletato l’incombente la curatela della società, nelle more del giudizio di appello dichiarata fallita, ricorre per la cassazione della sentenza affidando il suo mezzo a due motivi.

L’Agenzia delle Entrate si è costituita al solo fine della partecipazione all’eventuale udienza di discussione della causa.

1. Con il primo e il secondo motivo di ricorso la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 12 della legge 212/2000 in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c.. Lamenta che la CTR non aveva motivato sull’esistenza dei motivi di urgenza dedotti, né aveva argomentato sulla validità o meno delle doglianze mosse dall’ufficio in relazione a questi motivi.

2. Le censure sono suscettibili di trattazione congiunta.

Esse sono fondate.

3. Questa Corte ha già avuto modo di precisare che “la legge n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, nel prevedere che l’avviso di accertamento non possa essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvi i casi “di particolare e motivata urgenza” impone un termine per l’esercizio dell’azione amministrativa piuttosto che un obbligo di motivazione circa il requisito dell’urgenza nell’emissione, anticipata, dell’atto impositivo” (cfr. Cass. n. 11944 del 2012, cui hanno fatto seguito Cass. S.U., n. 18184 del 2013; Sez. V, n. 24316 del 2014).

Quindi, in presenza di casi di urgenza, l’effetto derogatorio opera a prescindere dalla sua esternazione all’interno dell’atto impositivo, che non è richiesto né dallo Statuto dei diritti del contribuente (posto che l’art. 7 della legge n. 212 del 2000 prescrive che l’atto deve contenere soltanto i “presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione”), né da altre specifiche disposizioni (quali l’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e l’art. 56 del d.P.R. n. 633 del 1972) che disciplinano il contenuto degli atti impositivi e non i tempi della loro emanazione.

Ovviamente, in presenza di contestazione da parte del contribuente, è onere dell’Ufficio allegare e provare la sussistenza in concreto delle ragioni dell’urgenza, in particolare che “l’inosservanza del termine dilatorio non sia dovuta a inerzia o negligenza, ma ad altre circostanze che abbiano ritardato incolpevolmente l’accertamento ovvero abbiano reso difficoltoso con il passare del tempo il pagamento del tributo e necessario procedere senza il rispetto del termine” (Cass. n. 24316/14 citata). Di recente questa Corte ha affermato che l’art. 12, comma 7, l. n. 212 del 2000 deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio (Cass. 27623/2018).

Nella specie la CTR ha osservato che nel corpo dell’avviso di accertamento erano state indicate le ragioni di urgenza ravvisate nella particolare gravità della condotta lesiva delle ragioni erariali poste in essere dalla società ma non ha, tuttavia, accertato in cosa si fosse manifestata tale condotta lesiva; a tanto provvederà il giudice di rinvio. Il ricorso deve essere, pertanto, accolto e la sentenza cassata con rinvio alla CTR della Basilicata che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Basilicata anche per la spese del presente giudizio di legittimità. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 25.9.2019

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