A ogni operazione il suo tributo
Tributi – Alternatività tra IVA e imposta di registro – Principio del consolidamento del criterio impositivo – Pretesa di un’imposta di tipo diverso (IVA) da quella versata (registro) – Legittimità – Obbligo del contribuente di corrispondere il tributo previsto dalla legge e non quello scelto
La Corte di Cassazione, con la sentenza n.13963 dell’8 luglio 2016, interviene su un punto molto complesso della normativa tributaria, il principio di alternatività tra IVA e imposta di registro, ricordando al riguardo che un’operazione considerata per errore imponibile non dà diritto alla detrazione della relativa imposta e che l’Agenzia delle Entrate, nello svolgimento della sua attività accertatrice, è libera di imporre il tributo previsto dalla legge a prescindere dalla qualificazione scelta dal contribuente. Nell’operare la liquidazione del tributo l’Ufficio è, tuttavia, imprescindibilmente tenuto a conformarsi al c.d. principio di “alternatività IVA/registro”, di cui all’art. 40 del relativo Testo Unico (D.P.R. n. 131/86).
Detto principio rappresenta quindi uno strumento predisposto dal legislatore per ovviare al complesso inconveniente della doppia imposizione; per cui, nei casi di operazioni rientranti nel campo di applicazione dell’IVA e contemporaneamente assoggettabili a imposta di registro, è stata disposta l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa anziché proporzionale e il normale assoggettamento a IVA. Di contro, laddove l’IVA non risulti applicabile, il registro trova applicazione in misura – per così dire – piena, ossia proporzionale. Ciò impone all’Ufficio impositore, nel momento in cui opera l’attività di analisi finalizzata a individuare l’esatta natura giuridica dell’atto condotto alla registrazione, di determinare quale delle due imposte in questione (IVA o registro) debba trovare applicazione. Il termine “alternatività”, del resto, è chiaramente indicativo del fatto che l’applicazione dell’una escluda, conseguentemente, l’obbligo di assolvere all’altra. In altri termini, al momento della presentazione di un atto alla registrazione, l’Ufficio deve verificare innanzitutto se tale atto è soggetto a IVA, dopodiché provvede con l’ordinaria applicazione del registro.
L’esito della disamina della sentenza in argomento conferma l’attuale interpretazione della normativa vigente, il DPR 131/1986, che all’art. 40 fissa il principio di alternatività IVA/registro, con prevalenza dell’IVA e assoggettamento a imposta di registro fissa degli atti, anziché a imposta proporzionale, che viene riservata quindi agli atti estranei al campo di applicazione dell’IVA. Tale previsione risulta rafforzata dal dispositivo dell’art. 43, co. 1, lett. i), per cui negli atti relativi a operazioni soggette e non soggette a IVA (misti), la base imponibile per l’applicazione dell’imposta di registro in misura proporzionale è solo quella costituita dal valore delle operazioni non soggette a IVA. Il meccanismo di attuazione del principio di alternatività vede quindi dominante la normativa IVA rispetto a quella dell’imposta di registro. Il trattamento segue quindi direttamente la qualificazione che viene attribuita all’operazione ai fini dell’IVA e si deve perciò, preliminarmente, valutare se l’operazione sia soggetta o meno alla normativa IVA. Solamente nel caso in cui l’operazione non rientri nella sfera di assoggettamento a IVA si renderà applicabile l’imposta di registro in misura proporzionale. In tal senso, ad esempio, si è espressa anche la Commissione Tributaria Centrale, Sez. 9^, con decisione del 30 settembre 2002, n. 6801. In definitiva, sono da considerarsi soggette a IVA tutte le operazioni rientranti nel campo applicativo dell’IVA stessa e pertanto assoggettate agli adempimenti contabili previsti dalla medesima normativa, anche se esenti o non imponibili. Nel giudizio di specie l’Amministrazione finanziaria, attraverso un verbale redatto dalla G.d.F. in data 29 marzo 2006, notificava alla società un avviso di accertamento con cui provvedeva alla rettifica della dichiarazione IVA relativa all’anno di imposta 2000, recuperando a tassazione l’intero corrispettivo risultante dalla scrittura privata di “cessione di ramo d’azienda commerciale”, autenticato nelle firme il 10 gennaio 2010, che la società aveva sottoposto a registrazione scontando l’imposta di registro proporzionale sul corrispettivo dichiarato, ma che la G.d.F. prima, e l’Agenzia delle Entrate, dopo, avevano riqualificato come atto di trasferimento di beni e diritti da assoggettarsi ad IVA. Il Fisco, in buona sostanza, desumeva che detta compravendita riguardava un unitario compendio immobiliare, due terzi del quale erano occupati dall’azienda agricola, scontando la corrispondente imposta di registro, e il resto comprendeva la confinante e annessa area fabbricabile che scontava l’IVA. Secondo il Fisco l’intero comprensorio costituiva un unico ramo d’azienda la cui cessione era per legge soggetta per intero a imposta di registro e che tale conclusione era avvalorata da alcuni “indicatori” come l’adiacenza dei suoli edificatori rispetto a quelli dell’azienda agricola, il censimento catastale di tutti i terreni come agricoli e nella stessa partita, l’indicazione in fattura dell’appartenenza dei terreni edificabile all’azienda agricola, (IV) la conduzione agricola di tutti i terreni da parte della società cessionaria.
La tesi difensiva invece si imperniava su una presunta violazione degli artt. 9 e 40 TUR, e sul fatto che il “… principio secondo cui il comportamento amministrativo seguito da un locale ufficio dell’Agenzia delle entrate territorialmente competente alla registrazione di un atto, estrinsecandosi in un atto esterno dove si confermano i criteri di assoggettabilità ad imposta di registro (e di conseguenza ad IVA in relazione alla correlazione di beni compravenduti) dell’atto stesso non può essere superato da altro successivo avviso di accertamento IVA emesso da altro ufficio locale della medesima Agenzia delle entrate, avviso di accertamento che deve dunque ritenersi illegittimo”. Insomma, come a dire che il Fisco non può prima qualificare un atto come sottoposto a un’imposta e poi cambiare idea sottoponendolo a imposizione diversa.
Di ben altro avviso gli Ermellini, che hanno respinto la tesi della parte contribuente affermando che “… L’orientamento espresso da questa Corte nelle citate decisioni merita di essere confermato, fondandosi sulla condivisibile considerazione che il c.d. principio del consolidamento del criterio impositivo, applicato nella fattispecie dai giudici di merito, ‘è stato elaborato riguardo alla messa in discussione del criterio estimativo di tassazione (C. 7242/03 sul D.P.R. n. 634 del 1972, art. 74, ora TU D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76; conf. 6150/03 e 7835/01 sul D.P.R. n. 131 del 1986, art. 77, C. 4025/12 sul D.P.R. n. 634 del 1972, art. 75, C. 9/76 sul R.D. n. 3269 del 1923, art. 136)’, mentre in caso d’imposizione alternativa, non può rilevare il fatto storico che sia stato corrisposto un tributo, atteso che il contribuente ha l’obbligo di corrispondere il tributo previsto dalla legge e non quello scelto in base a considerazioni soggettivo (in tal senso anche Cass. Sez. 5, sent. n. 18524 del 10/08/2010) e ‘non a caso, del resto, sono diversi i termini per l’azione di finanza: tre anni dalla data della registrazione dell’atto, ai sensi dell’art. 76 TUR, a fronte del più ampio termine fissato al 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, previsto per gli accertamenti in materia di IVA dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57’. Pertanto, non sono violati i principi di alternatività dell’imposta, di consolidamento del criterio impositivo e di divieto di doppia imposizione (D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 40, e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 67) allorché l’amministrazione finanziaria, in caso di cessione soggetta ad IVA, indichi questa come tributo dovuto ed escluda, invece, l’imposta di registro erroneamente corrisposta dall’acquirente. Infatti, ai fini dell’imposta di registro, va qualificata come cessione d’azienda il trasferimento contestuale al medesimo soggetto, anche se compiuto attraverso negozi formalmente distinti, di beni idonei, nel loro complesso e nella loro interdipendenza all’esercizio dell’impresa; per contro, sarà soggetta ad IVA, e non all’imposta di registro, la cessione di singoli beni, inidonei da soli a garantire l’attività produttiva dell’impresa (Cass. n. 1405 del 2013), dovendosi escludere decisività alla volontà delle parti o al “nomen iuris” attribuito all’atto posto in essere, occorrendo invece verificare se, in base agli elementi probatori disponibili, i beni complessivamente ceduti abbiano, o meno, mantenuto carattere autonomo idoneo a consentire l’esercizio dell’impresa, seppure con le integrazioni che il cessionario abbia dovuto eventualmente effettuare (Cass. sez. 5, sent. n. 10740 del 08/05/2013)”.
Corte di Cassazione Sentenza n. 13963 dell’8 luglio 2016
Ritenuto in fatto
- L’Agenzia delle entrate di Modena, facendo proprie le risultanze di un processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F., in data 29 marzo 2006 notificava alla E. s.c. a r.l. un avviso di accertamento con cui operava la rettifica della dichiarazione IVA relativa all’anno di imposta 2000 recuperando a tassazione l’intero corrispettivo risultante dalla scrittura privata di “cessione di ramo d’azienda commerciale”, autenticato nelle firme il 10 gennaio 2010, che la società aveva sottoposto a registrazione scontando l’imposta di registro proporzionale sul corrispettivo dichiarato, ma che la G.d.F., prima, e l’Agenzia delle entrate, dopo, avevano riqualificato come atto di trasferimento di beni e diritti da assoggettarsi ad IVA.
- Avverso il predetto avviso di accertamento, la società presentava ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Modena che annullava l’atto impositivo per decadenza dei termini di rettifica dell’atto. La Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, dinanzi alla quale proponeva appello l’Agenzia delle entrate, con decisione n. 37 del 22 aprile 2010 confermava la sentenza di primo grado ritenendo che, in virtù del principio del consolidamento del criterio impositivo, non potesse essere operata alcuna modificazione dei titoli una volta decorso, come nel caso di specie, il termine di decadenza di tre anni dal giorno di pagamento della tassa di registrazione dell’atto, previsto dal d.P.R. n. 131 del 1986, art. 76.
- Ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate con un unico motivo cui replica l’intimata società con controricorso.
- La causa, inizialmente assegnata alla 6A sezione, è stata successivamente rimessa all’udienza pubblica.
Considerato in diritto
- Con l’unico motivo del ricorso, l’Agenzia ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 76 e 77 d.P.R. n. 131 del 1986 e 57 d.P.R. n. 633 del 1972 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
Sostiene la difesa erariale che i giudici di merito avevano equivocato sulla natura della rettifica operata dall’ufficio finanziario con l’atto impositivo impugnato, che non riguardava il valore dei beni ceduti con l’atto sottoposto a registrazione (cessione di ramo di azienda), bensì il diverso accertamento dell’imponibilità ad IVA dell’operazione negoziale posta in essere dalla società contribuente, riqualificata come <mero trasferimento del diritto al subentro nell’atto di concessione dei locali di proprietà del Comune di Modena, nonché dei singoli beni individualmente considerati (così nel processo verbale di constatazione ritrascritto nel motivo di ricorso, in ossequio al principio di autosufficienza del medesimo), con la conseguenza che la società contribuente avrebbe dovuto emettere fattura ai sensi del d.P.R. n. 600 del 1973, art. 21, ed i termini per l’accertamento erano quelli previsti dall’art. 57 del citato decreto, prorogato dalla legge n. 289 del 2002, e non quelli più brevi previsti dal d.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, in tema di recupero dell’imposta di registro.
- Il mezzo è da ritenersi fondato, sulla base del quadro normativo di riferimento e del principio di diritto secondo cui <il c.d. principio del consolidamento del criterio impositivo (in virtù del quale è precluso all’amministrazione finanziaria, decorso il termine previsto dall’art. 76 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, procedere ad una diversa qualificazione dell’atto presentato per la registrazione ed esigere di conseguenza una diversa imposta)>, nella specie applicato dal giudice di merito, <trova applicazione quando, essendo pacifica l’applicabilità dell’imposta di registro, sia in discussione la misura di essa. Quel principio non può, invece, trovare applicazione quando l’amministrazione finanziaria contesti al contribuente di avere assolto, in relazione all’atto, un’imposta di tipo diverso da quella dovuta> (Cass. Sez. 5, sent. n. 1405 del 22/01/2013; id. Sez. 5, sent. n. 18764 del 05/09/2014).
2.1. L’orientamento espresso da questa Corte nelle citate decisioni merita di essere confermato, fondandosi sulla condivisibile considerazione che il c.d. principio del consolidamento del criterio impositivo, applicato nella fattispecie dai giudici di merito, <è stato elaborato riguardo alla messa in discussione del criterio estimativo di tassazione (C. 7242/03 sul D.P.R. n. 634 del 1972, art. 74, ora TU D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76; conf. 6150/03 e 7835/01 sul D.P.R. n. 131 del 1986, art. 77, C. 4025/12 sul D.P.R. n. 634 del 1972, art. 75, C. 9/76 sul R.D. n. 3269 del 1923, art. 136)>, mentre <in caso d’imposizione alternativa, non può rilevare il fatto storico che sia stato corrisposto un tributo, atteso che il contribuente ha l’obbligo di corrispondere il tributo previsto dalla legge e non quello scelto in base a considerazioni soggettivo (in tal senso anche Cass. Sez. 5, sent. n. 18524 del 10/08/2010) e <non a caso, del resto, sono diversi i termini per l’azione di finanza: tre anni dalla data della registrazione dell’atto, ai sensi dell’art. 76 TUR, a fronte del più ampio termine fissato al 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, previsto per gli accertamenti in materia di IVA dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57>.
Pertanto, non sono violati i principi di alternatività dell’imposta, di consolidamento del criterio impositivo e di divieto di doppia imposizione (D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 40, e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 67) allorché l’amministrazione finanziaria, in caso di cessione soggetta ad IVA, indichi questa come tributo dovuto ed escluda, invece, l’imposta di registro erroneamente corrisposta dall’acquirente. Infatti, ai fini dell’imposta di registro, va qualificata come cessione d’azienda il trasferimento contestuale al medesimo soggetto, anche se compiuto attraverso negozi formalmente distinti, di beni idonei, nel loro complesso e nella loro interdipendenza all’esercizio dell’impresa; per contro, sarà soggetta ad IVA, e non all’imposta di registro, la cessione di singoli beni, inidonei da soli a garantire l’attività produttiva dell’impresa (Cass. n. 1405 del 2013), dovendosi escludere decisività alla volontà delle parti o al “nomen iuris” attribuito all’atto posto in essere, occorrendo invece verificare se, in base agli elementi probatori disponibili, i beni complessivamente ceduti abbiano, o meno, mantenuto carattere autonomo idoneo a consentire l’esercizio dell’impresa, seppure con le integrazioni che il cessionario abbia dovuto eventualmente effettuare (Cass. sez. 5, sent. n. 10740 del 08/05/2013).
- All’accoglimento del motivo consegue la cassazione della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della CTR dell’Emilia Romagna che, attenendosi ai principi di diritto enunciati, riesaminerà nel merito la vicenda processuale e provvederà alla liquidazione delle spese anche del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla CTR dell’Emilia Romagna, in diversa composizione.

