CASSAZIONE

IMU: in caso di separazione chi provvede al pagamento del tributo?

Tributi locali – IMU – Avviso accertamento – Abitazione familiare – Art. 4, comma 12-quinquies, Dl 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 aprile 2012, n. 44 – Immobile assegnato in sede di separazione al coniuge affidatario – Diritto reale di abitazione – Soggetto passivo

Con l’ordinanza n. 6545 del 3 marzo 2023 la Corte di Cassazione, volgendo l’attenzione su alcune importanti questioni relative all’applicazione dell’IMU in caso di separazione coniugale, ha affermato che il coniuge assegnatario dell’abitazione in sede di separazione legale o divorzio è l’unico soggetto passivo IMU, essendo considerato titolare del diritto di abitazione su di essa. Il Collegio ricorda, inoltre, che in tema di ICI “…il coniuge al quale era assegnata la casa di abitazione posta nell’immobile di proprietà (anche in parte) dell’altro coniuge non fosse soggetto passivo dell’imposta per la quota dell’immobile stesso sulla quale non vantava il diritto di proprietà ovvero un qualche diritto reale di godimento”. Di conseguenza l’unità abitativa sarà esente, in quanto abitazione principale.

Questa regola non vale, tuttavia, in caso di assegnazione di casa detenuta in locazione, che comporta il subentro dell’assegnatario nel contratto di affitto senza che si modifichi la soggettività passiva del proprietario del bene. In buona sostanza gli Ermellini oggi hanno affermato che le agevolazioni inerenti all’abitazione principale e relative pertinenze sono riconosciute al coniuge assegnatario della ex casa coniugale, in quanto titolare del diritto di abitazione di cui all’art. 4, comma 12-quinquies, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, per il quale è quindi sospeso il versamento della prima rata dell’IMU, sospensione che opera anche a favore del coniuge non assegnatario relativamente all’immobile dallo stesso adibito ad abitazione principale.

Come precedentemente ricordato, la disciplina legata al trattamento IMU dell’abitazione coniugale assegnata a uno dei coniugi risale all’art. 4, c. 12-quinquies del Dl 16/12, secondo cui l’assegnazione della casa coniugale a un coniuge a seguito del provvedimento di separazione legale configura l’insorgere di un diritto di abitazione: nel caso in cui il giudice assegni la ex casa coniugale a uso di uno dei coniugi, questi acquisisce il diritto di abitazione sull’immobile e tale diritto spetta indipendentemente dalla proprietà effettiva detenuta sull’immobile.

Il diritto di abitazione fa sorgere l’obbligo del versamento IMU in capo al coniuge assegnatario.

Con l’aumento delle separazioni e dei divorzi la prima questione su cui si è dovuto fare chiarezza è stata la natura del diritto in capo al soggetto risultato assegnatario della ex casa coniugale. Sul punto è intervenuta la Corte costituzionale già con la sentenza n. 454/1989, precisando come il provvedimento giudiziale di assegnazioni non crei un titolo di legittimazione ad abitare per uno dei due ex-coniugi: piuttosto il provvedimento di assegnazione, da un lato, preserva la destinazione dell’immobile con il suo arredo a residenza familiare al fine di stabilizzare, a tutela della prole minorenne o maggiorenne ma non autosufficiente senza propria colpa, la preesistente organizzazione, che trova nella casa familiare il suo momento di aggregazione e unificazione; dall’altro, esclude uno degli ex coniugi da tale contesto, concentrandone la detenzione in favore, oltre che della prole, dell’altro coniuge. La lettura dell’art. 6, comma 6, della legge 898/1970 ha però dato inizio a qualche dubbio sulla circostanza che l’assegnazione della ex casa coniugale fosse necessariamente subordinata alla presenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti. La norma in questione, infatti, così recita: “L’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età. In ogni caso ai fini dell’assegnazione il giudice dovrà valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole”. L’inciso della legge divorzile riguardo le condizioni economiche dei coniugi ha creato qualche difficoltà interpretativa, portando alcuni autori a ritenere che la regolamentazione dell’assegnazione della ex casa coniugale in ipotesi di divorzio potesse essere diversa rispetto a quella in sede di separazione.

Analoga confusione interpretativa si riverberava nella giurisprudenza di legittimità.

A far chiarezza sulla questione sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 11297/1995 hanno ordinato il contrasto giurisprudenziale statuendo che la disposizione dell’art. 6, comma 6, della legge 898/1970 “… non attribuisce al giudice il potere di disporre l’assegnazione a favore del coniuge che non vanti alcun diritto – reale o personale – sull’immobile e che non sia affidatario della prole minorenne o convivente con figli maggiorenni non ancora provvisti, senza loro colpa, di sufficienti redditi propri”.Il principio così espresso è stato poi ribadito dalla successiva giurisprudenza della Corte di legittimità, che ha sottolineato come “… in materia di separazione o divorzio, l’assegnazione della casa familiare, pur avendo riflessi anche economici, particolarmente valorizzati dall’art.6, sesto comma, della legge 1° dicembre 1970 n. 898 (come sostituito dall’art.11 della legge 6 marzo 1987, n. 74), è finalizzata all’esclusiva tutela della prole e dell’interesse di questa a permanere nell’ambiente domestico in cui è cresciuta, e non può quindi essere disposta, come se fosse una componente degli assegni rispettivamente previsti dall’art. 156 c.c. e dall’art. 5 della legge n. 898 del 1970, per sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole, alle quali sono destinati unicamente i predetti assegni. Pertanto anche nell’ipotesi in cui l’immobile sia di proprietà comune dei coniugi, la concessione del beneficio in questione resta subordinata all’imprescindibile presupposto dell’affidamento dei figli minori  o della convivenza con figli maggiorenni  ma economicamente non autosufficienti: diversamente, infatti, dovrebbe porsi in discussione la legittimità costituzionale del provvedimento, il quale, non risultando modificabile a seguito del raggiungimento della maggiore età e dell’indipendenza economica da parte dei figli, si tradurrebbe in una sostanziale espropriazione del diritto di proprietà, tendenzialmente per tutta la vita del coniuge assegnatario, in danno del contitolare” (v. Cass. n. 1545/2006).

Sullo specifico punto ricordiamo le pronunzie a SS.UU. nn, 13603/2004 e 20448/2014, insieme, fra le tante, alla sentenza n. 20892 del 2016, nelle quali il nucleo essenziale dell’intervento ruota intorno all’esigenza di bilanciamento tra gli opposti interessi, entrambi di rilievo costituzionale, della conservazione del residuo nucleo familiare e della disponibilità del bene da parte del legittimo titolare; il limite del sacrificio imposto dal dovere di solidarietà è stato individuato nell’impedimento di “una funzionalizzazione assoluta del diritto di proprietà del terzo a tutela di diritti che hanno radice nella solidarietà coniugale o post coniugale”.

In altre occasioni la giurisprudenza di legittimità si è allontanata da tale interpretazione e ha ritenuto che in ipotesi di casa familiare in comproprietà, e di assenza di figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti conviventi con uno dei genitori, qualora  entrambi i coniugi rivendichino il godimento esclusivo della casa coniugale l’esercizio del potere discrezionale del giudice non può trovare altra giustificazione se non quella di favorire quello che fra i coniugi non abbia adeguati redditi propri, al fine di consentirgli la conservazione di un tenore di vita corrispondente a quello di cui godeva in costanza di matrimonio.

Qualora, invece, entrambi i coniugi comproprietari della casa familiare abbiano adeguati redditi propri, il giudice dovrà respingere le domande contrapposte di assegnazione del godimento esclusivo, lasciandone la disciplina agli accordi tra i comproprietari. Dal principio espresso discende anche che, venuta meno la eventuale situazione di disagio che poteva giustificare la temporanea compressione del diritto di comproprietà dell’ex coniuge non assegnatario, quest’ultimo non può per ciò solo vantare un diritto al godimento esclusivo dell’abitazione della quale è mero comproprietario ma deve, in mancanza di accordo con l’ex coniuge assegnatario, proporre una domanda di divisione per lo scioglimento della comunione (così Cass. Civ. 23 febbraio 2000 n. 2070). In ipotesi di separazione o divorzio, infatti, il diritto all’assegnazione della ex casa coniugale spetta al genitore con cui convivono i figli minorenni o maggiorenni ma non autosufficienti, indipendentemente dalla circostanza per cui tale genitore sia già titolare di un diritto reale ovvero personale di godimento su tale immobile. La questione dell’assegnazione familiare ha peraltro assunto un’importanza notevole anche a livello fiscale, in particolare per l’ICI un tempo, e per l’IMU della casa, ora.

La circolare 1/DF/2020, insieme alla precedente risoluzione 5/DF del 2013, hanno poi fatto generale chiarezza sulla materia a disciplina dell’IMU e, nello specifico, sulla ex casa familiare che può essere così sintetizzata: onere tributario che grava in capo al soggetto assegnatario, in quanto affidatario dei figli, a prescindere dalla sussistenza a monte di un matrimonio tra genitori, passibile del beneficio dell’esclusione dall’imposta in virtù dell’assimilazione all’abitazione principale.

Il conflitto esistente tra diritto di proprietà e diritto di abitazione della ex casa coniugale in caso di separazione e divorzio ha interessato l’ordinanza n 9990 del 10 aprile 2019, dove  la Corte ha emanato un chiarificatore principio di diritto nel quale “…Con riferimento alla cessione al terzo, effettuata in costanza di matrimonio dal coniuge esclusivo proprietario, del diritto di proprietà dell’immobile precedentemente utilizzato per le esigenze della famiglia, il provvedimento di assegnazione della casa familiare all’altro coniuge – non titolare di diritti reali sul bene – collocatario della prole, emesso in data successiva a quella dell’atto di acquisto compiuto dal terzo, è a questi opponibile ai sensi dell’art. 155 quater c.c. – applicabile ratione temporis – e della disposizione della L. n. 898 del 1970, art. 6, comma 6, in quanto analogicamente applicabile al regime di separazione, soltanto se -a seguito di accertamento in fatto da compiersi alla stregua delle risultanze circostanziali acquisite- il Giudice di merito ravvisi la instaurazione di un preesistente rapporto, in corso di esecuzione, tra il terzo ed il predetto coniuge dal quale quest’ultimo derivi il diritto di godimento funzionale alle esigenze della famiglia, sul contenuto del quale viene a conformarsi il successivo vincolo disposto dal provvedimento di assegnazione, ipotesi che ricorre nel caso in cui il terzo abbia acquistato la proprietà con clausola di rispetto del titolo di detenzione qualificata derivante al coniuge dal negozio familiare, ovvero nel caso in cui il terzo abbia inteso concludere un contratto di comodato, in funzione delle esigenze del residuo nucleo familiare, con il coniuge occupante l’immobile, non essendo sufficiente a tal fine la mera consapevolezza da parte del terzo, al momento dell’acquisto, della pregressa situazione di fatto di utilizzo del bene immobile da parte della famiglia”.

Tanto premesso e tornando alla vicenda oggi esaminata, dei contribuenti ricorrevano, dopo un parziale riconoscimento dei giudici provinciali, davanti alla CTR avverso l’avviso di accertamento IMU sostenendo che, essendo l’immobile (ex casa coniugale) stato assegnato in sede di separazione all’ex coniuge del de cuius, siccome affidataria dei figli, legittimata sul piano passivo fosse solo quest’ultima. La CTR rigettava il gravame sull’appello dei contribuenti, rilevando che, a seguito dell’assegnazione della casa coniugale in sede di separazione, la titolarità dell’obbligo di pagamento dell’IMU non si trasferiva sul coniuge assegnatario, ma restava a carico del terzo proprietario che aveva concesso l’immobile a titolo di comodato. La parte contribuente si rivolgeva allora alla Cassazione, sostenendo essenzialmente fra i motivi di ricorso che la giustizia tributaria  non aveva tenuto nella debita considerazione che “…ai soli fini dellapplicazione dellIMU, lassegnazione della casa coniugale al coniuge, disposta a seguito di provvedimento di separazione, si intende in ogni caso effettuata a titolo di diritto di abitazione, sicchè limposta deve essere versata per il suo intero ammontare dal coniuge assegnatario anche se non proprietario della ex casa coniugale”.

Tale doglianza è stata ritenuta fondata dagli Ermellini, che hanno poi stabilito che “… L’orientamento che sembrava essersi formato in seno a questa Corte sulla questione principale era nel senso che, in tema di ICI, il coniuge al quale era assegnata la casa di abitazione posta nell’immobile di proprietà (anche in parte) dell’altro coniuge non fosse soggetto passivo dell’imposta per la quota dell’immobile stesso sulla quale non vantava il diritto di proprietà ovvero un qualche diritto reale di godimento, come previsto dall’art. 3 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, poiché con il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa coniugale in sede di separazione personale o di divorzio viene riconosciuto al coniuge un diritto personale atipico di godimento e non un diritto reale, sicché si riteneva che in capo al coniuge (assegnatario) non fosse ravvisabile la titolarità di un diritto di proprietà o di uno di quei diritti reali di godimento, specificamente previsti dalla norma, costituenti il presupposto impositivo del tributo (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 7395 del 15/03/2019).  Né in proposito rilevava, secondo tale orientamento, il disposto dell’art. 218 cod. civ., secondo il quale “Il coniuge che gode dei beni dell’altro coniuge è soggetto a tutte le obbligazioni dell’usufruttuario”, in quanto la norma, dettata in tema di regime di separazione dei beni dei coniugi, andava intesa solo come previsione integrativa del precedente art. 217 (Amministrazione e godimento dei beni), di guisa che la complessiva regolamentazione recata dalle disposizioni dei due articoli era inapplicabile in tutte le ipotesi in cui il godimento del bene del coniuge da parte dell’altro coniuge fosse fondato su un rapporto diverso da quello disciplinato da dette norme, come nell’ipotesi di assegnazione (volontaria o giudiziale) al coniuge affidatari8atelerleire03/03/2023 minori della casa di abitazione di proprietà dell’altro coniuge, atteso che il potere del primo non derivava né da un mandato conferito dal secondo, né dal godimento di fatto del bene (ipotizzante il necessario consenso dell’altro coniuge), di cui si occupa l’art. 218 (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 6192 del 16/03/2007). Tuttavia, l’orientamento riportato si era formato con la pronuncia del 2007, poi ripresa tralaticiamente da quella del 2019, prima dell’adozione dell’art. 4, comma 12-quinquies, d.l. 2 marzo 2012, n. 16 (entrato in vigore il 2 marzo 2012), convertito, con modificazioni, dalla L. 26 aprile 2012, n. 44, applicabile ratione temporis all’annualità (2013) in esame. Occorre premettere che il presupposto per l’applicazione dell’I.M.U. è il medesimo di quello previsto dall’ICI. L’art. 13, comma 2, d.l. 6 dicembre 2012, n. 201 (convertito, con modificazioni, dalla I. 22 dicembre 2011, n. 214) prevede, infatti, che «l’imposta municipale propria ha per presupposto il possesso di immobili di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504». Perché sorga l’obbligo di pagare l’imposta in esame, è necessario che il rapporto che lega il soggetto all’immobile sia “qualificato”, riconducibile, quindi, alla proprietà, all’usufrutto o ad altro reale di godimento, o ad un’altra situazione giuridica specificatamente stabilita dalla legge, come nel caso di locazione finanziarie o concessione di beni demaniali. Il legislatore ha specificamente disciplinato il presupposto impositivo nell’ipotesi di scioglimento del vincolo matrimoniale, prevedendo che, ai soli fini dell’applicazione dell’imposta municipale sugli immobili, è soggetto passivo del tributo, il coniuge a cui viene assegnata la casa coniugale con provvedimento giurisdizionale.  Segnatamente, l’articolo 4, comma 12-quinquies, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, «Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento” prevede espressamente che: “Ai soli fini dell’applicazione dell’imposta municipale propria di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, e successive modificazioni, nonché all’articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011,  successive modificazioni, l’assegnazione della casa coniugale al coniuge, disposta a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, si intende in ogni caso effettuata a titolo di diritto di abitazione».  A seguito di tale intervento normativo, pertanto, il legislatore ha sancito la traslazione della soggettività passiva dell’IMU dal proprietario all’assegnatario dell’alloggio, cosicché l’imposizione ricade in capo all’utilizzatore con liberazione dal pagamento del coniuge non assegnatario anche se quest’ultimo è proprietario dell’intero immobile.  Dal tenore letterale della norma appena citata emerge che il diritto di abitazione dovrebbe prevalere in tutte le ipotesi di assegnazione della casa coniugale al coniuge disposta con i citati provvedimenti giudiziali e ciò deriva dalla considerazione che il legislatore ha esplicitamente utilizzato l’espressione “in ogni caso”. Al riguardo, si deve, però, osservare che tale locuzione deve essere circoscritta a ogni caso in cui il legislatore non abbia disciplinato espressamente la fattispecie, come è avvenuto, invece, con l’art. 6 della legge 27 luglio 1978, n. 392, il quale prevede che «in caso di separazione giudiziale, di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso, nel contratto di locazione succede al conduttore l’altro coniuge, se il diritto di abitare nella casa familiare sia stato attribuito dal giudice a quest’ultimo».  In questa ipotesi, infatti, il legislatore ha previsto direttamente la successione nel contratto di locazione da parte del coniuge assegnatario, il quale, pertanto, utilizza l’immobile sulla base di un titolo giuridico diverso da quello del diritto reale di abitazione previsto, invece, dall’art. 4, comma 12-quinquies del d.l. n. 16 del 2012 (cfr. Risoluzione n. 5/DF del 28 marzo 2013). Indirettamente, ha confermato l’impostazione che si è inteso privilegiare Cass., Sez. 5, Sentenza n. 11416 del 30/04/2019, nel momento in cui ha statuito che, in tema di IMU, il convivente more uxorio, al quale a seguito della cessazione del rapporto viene assegnato l’immobile adibito a casa familiare di proprietà dell’altro convivente, è soggetto passivo di imposta disciplinando un’ipotesi di agevolazione o di esenzione, può essere interpretato estensivamente includendo nel relativo ambito di applicazione, per eadem ratio, anche i rapporti di convivenza. Tale assetto normativo comporta, come chiarito con la Circolare n. 2/DF del 23 maggio 2013, che le agevolazioni inerenti all’abitazione principale e relative pertinenze sono riconosciute al coniuge assegnatario della ex casa coniugale, in quanto titolare del diritto di abitazione di cui all’art. 4, comma12-quinquies, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16 (convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44), per il quale, quindi, è sospeso il versamento della prima rata dell’IMU. Ovviamente, la sospensione opera anche a favore del coniuge non assegnatario relativamente all’immobile dallo stesso adibito ad abitazione principale. 2. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso merita accoglimento, con conseguente cassazione della sentenza impugnata”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 3 marzo 2023, n. 6545

sul ricorso 17220/2020 proposto da….. 

rappresentati e difesi, in virtù di mandato allegato al ricorso, dall’Avv. Katia Ferri del Foro di Pescara presso il cui studio in Pescara, alla Via F. F. Guelfi n. 6, eleggono domicilio;

ricorrente –

contro Comune di

– intimato –

– avverso la sentenza n. 960/01/2019 emessa dalla CTR Abruzzo in data 20/11/2019 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. Andrea Penta;

Rilevato che

1. I ricorrenti quali eredi di … proponevano ricorso davanti alla Commissione tributaria provinciale di L’Aquila avverso l’avviso di accertamento concernente l’I.M.U. per l’anno 2013, sostenendo, tra l’altro, che, essendo l’immobile (ex casa coniugale) stato assegnato, in sede di separazione all’ex coniuge del de cuius, siccome affidataria dei figli, legittimata sul piano passivo fosse solo quest’ultima.

2. La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva parzialmente il ricorso, riducendo per il secondo trimestre del 2013 l’imponibile del 50%, ai sensi dell’art. 13 d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito, con modificazioni, dalla I. 22 dicembre 2011, n. 214).

3. Sull’appello dei contribuenti, la Commissione Tributaria Regionale Abruzzo rigettava il gravame, rilevando che, a seguito dell’assegnazione della casa coniugale in sede di separazione, la titolarità dell’obbligo di pagamento dell’IMU non si trasferiva sul coniuge assegnatario, ma restava a carico del terzo proprietario che aveva concesso l’immobile a titolo di comodato.

4. Avverso la sentenza della C.T.R. hanno proposto ricorso per cassazione i contribuenti sulla base di un unico motivo. Il Comune di non ha svolto difese. In prossimità dell’adunanza camerale i ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.

Considerato che

1. Con l’unico motivo i ricorrenti deducono la violazione degli “artt. 2 e 3 Cost., 4, comma 12-quinquies, d.l. n. 16/2012 (conv. in L. 402 del 03/03/2023, art. 13, comma 2, lett. c), d.l. n. 201/2011”, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., per non aver la CTR considerato che, ai soli fini dell’applicazione dell’Imu, l’assegnazione della casa coniugale al coniuge, disposta a seguito di provvedimento di separazione, si intende in ogni caso effettuata a titolo di diritto di abitazione, sicchè l’imposta deve essere versata per il suo intero ammontare dal coniuge assegnatario anche se non proprietario della ex casa coniugale.

1.1. Il motivo è fondato.

 L’orientamento che sembrava essersi formato in seno a questa Corte sulla questione principale era nel senso che, in tema di ICI, il coniuge al quale era assegnata la casa di abitazione posta nell’immobile di proprietà (anche in parte) dell’altro coniuge non fosse soggetto passivo dell’imposta per la quota dell’immobile stesso sulla quale non vantava il diritto di proprietà ovvero un qualche diritto reale di godimento, come previsto dall’art. 3 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, poiché con il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa coniugale in sede di separazione personale o di divorzio viene riconosciuto al coniuge un diritto personale atipico di godimento e non un diritto reale, sicché si riteneva che in capo al coniuge (assegnatario) non fosse ravvisabile la titolarità di un diritto di proprietà o di uno di quei diritti reali di godimento, specificamente previsti dalla norma, costituenti il presupposto impositivo del tributo (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 7395 del 15/03/2019).

Né in proposito rilevava, secondo tale orientamento, il disposto dell’art. 218 cod. civ., secondo il quale “Il coniuge che gode dei beni dell’altro coniuge è soggetto a tutte le obbligazioni dell’usufruttuario”, in quanto la norma, dettata in tema di regime di separazione dei beni dei coniugi, andava intesa solo come previsione integrativa del precedente art. 217 (Amministrazione e godimento dei beni), di guisa che la complessiva regolamentazione recata dalle disposizioni dei due articoli era inapplicabile in tutte le ipotesi in cui il godimento del bene del coniuge da parte dell’altro coniuge fosse fondato su un rapporto diverso da quello disciplinato da dette norme, come nell’ipotesi di assegnazione (volontaria o giudiziale) al coniuge affidatari  minori della casa di abitazione di proprietà dell’altro coniuge, atteso che il potere del primo non derivava né da un mandato conferito dal secondo, né dal godimento di fatto del bene (ipotizzante il necessario consenso dell’altro coniuge), di cui si occupa l’art. 218 (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 6192 del 16/03/2007).

Tuttavia, l’orientamento riportato si era formato con la pronuncia del 2007, poi ripresa tralaticiamente da quella del 2019, prima dell’adozione dell’art. 4, comma 12-quinquies, d.l. 2 marzo 2012, n. 16 (entrato in vigore il 2 marzo 2012), convertito, con modificazioni, dalla I. 26 aprile 2012, n. 44, applicabile ratione temporis all’annualità (2013) in esame.

Occorre premettere che il presupposto per l’applicazione dell’I.M.U. è il medesimo di quello previsto dall’ICI. L’art. 13, comma 2, d.l. 6 dicembre 2012, n. 201 (convertito, con modificazioni, dalla I. 22 dicembre 2011, n. 214) prevede, infatti, che «l’imposta municipale propria ha per presupposto il possesso di immobili di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504». Perché sorga l’obbligo di pagare l’imposta in esame, è necessario che il rapporto che lega il soggetto all’immobile sia “qualificato”, riconducibile, quindi, alla proprietà, all’usufrutto o ad altro reale di godimento, o ad un’altra situazione giuridica specificatamente stabilita dalla legge, come nel caso di locazione finanziarie o concessione di beni demaniali.

Il legislatore ha specificamente disciplinato il presupposto impositivo nell’ipotesi di scioglimento del vincolo matrimoniale, prevedendo che, ai soli fini dell’applicazione dell’imposta municipale sugli immobili, è soggetto passivo del tributo, il coniuge a cui viene assegnata la casa coniugale con provvedimento giurisdizionale. Segnatamente, l’articolo 4, comma 12-quinquies, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, «Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento” prevede espressamente che: “Ai soli fini dell’applicazione dell’imposta municipale propria di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, e successive modificazioni, nonché all’articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011,  successive modificazioni, l’assegnazione della casa coniugale al coniuge, disposta a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, si intende in ogni caso effettuata a titolo di diritto di abitazione».

A seguito di tale intervento normativo, pertanto, il legislatore ha sancito la traslazione della soggettività passiva dell’IMU dal proprietario all’assegnatario dell’alloggio, cosicché l’imposizione ricade in capo all’utilizzatore con liberazione dal pagamento del coniuge non assegnatario anche se quest’ultimo è proprietario dell’intero immobile. 

Dal tenore letterale della norma appena citata emerge che il diritto di abitazione dovrebbe prevalere in tutte le ipotesi di assegnazione della casa coniugale al coniuge disposta con i citati provvedimenti giudiziali e ciò deriva dalla considerazione che il legislatore ha esplicitamente utilizzato l’espressione “in ogni caso”. Al riguardo, si deve, però, osservare che tale locuzione deve essere circoscritta a ogni caso in cui il legislatore non abbia disciplinato espressamente la fattispecie, come è avvenuto, invece, con l’art. 6 della legge 27 luglio 1978, n. 392, il quale prevede che «in caso di separazione giudiziale, di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso, nel contratto di locazione succede al conduttore l’altro coniuge, se il diritto di abitare nella casa familiare sia stato attribuito dal giudice a quest’ultimo».

In questa ipotesi, infatti, il legislatore ha previsto direttamente la successione nel contratto di locazione da parte del coniuge assegnatario, il quale, pertanto, utilizza l’immobile sulla base di un titolo giuridico diverso da quello del diritto reale di abitazione previsto, invece, dall’art. 4, comma 12-quinquies del d.l. n. 16 del 2012 (cfr. Risoluzione n. 5/DF del 28 marzo 2013).

Indirettamente, ha confermato l’impostazione che si è inteso privilegiare Cass., Sez. 5, Sentenza n. 11416 del 30/04/2019, nel momento in cui ha statuito che, in tema di IMU, il convivente more uxorio, al quale a seguito della cessazione del rapporto viene assegnato l’immobile adibito a casa familiare di proprietà dell’altro convivente, è soggetto passivo di imposta disciplinando un’ipotesi di agevolazione o di esenzione, può essere interpretato estensivamente includendo nel relativo ambito di applicazione, per eadem ratio, anche i rapporti di convivenza.

Tale assetto normativo comporta, come chiarito con la Circolare n. 2/DF del 23 maggio 2013, che le agevolazioni inerenti all’abitazione principale e relative pertinenze sono riconosciute al coniuge assegnatario della ex casa coniugale, in quanto titolare del diritto di abitazione di cui all’art. 4, comma12-quinquies, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16 (convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44), per il quale, quindi, è sospeso il versamento della prima rata dell’IMU.

Ovviamente, la sospensione opera anche a favore del coniuge non assegnatario relativamente all’immobile dallo stesso adibito ad abitazione principale.

2. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso merita accoglimento, con conseguente cassazione della sentenza impugnata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito nel senso di accogliere l’originario ricorso dei contribuenti.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

 P.Q.M

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario dei contribuenti;

condanna l’intimato al rimborso delle spese del presente giudizio, che si liquidano in € 850,00 per compensi ed € 200,00 per spese, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, IVA e Cap. Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione tributaria della Corte Suprema di Cassazione del 17 febbraio 2023

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